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8. Cappelli rossi

Rhod

Avevo ucciso delle persone. Le avevo uccise. Uccise.

Più ci pensavo più non mi sembrava vero. Più ci pensavo e più il ricordo iniziava a piacermi.

«Ma che accidenti...» biascicò il mercenario, osservandoci mentre arrancavamo nella terra. Fissai lo sguardo verso il basso, sulle mie mani sporche di sangue. André mi teneva per le spalle, ed era l'unica cosa che mi permetteva di restare in piedi. Mi portò verso il fuoco e mi ci fece sedere vicino, nello stesso momento in cui il principe si lasciò cadere su una coperta, gocciolante.

«Briganti.» rispose il biondo alla perplessità del corvino, con quell'aria impassibile di sempre, come se fosse scontato. Una sola parola che avrebbe dovuto spiegare tutto. Ma io smisi di sentire i loro discorsi e rimasi a fissare le lingue rosse che ondeggiavano, rimasi ad ascoltare il rumore crepitante della legna che scoppiettava mentre il fuoco la divorava. Nella mia mente rividi le teste esplodere, i corpi cadere a terra, il sangue riversarsi fuori.

Una risata mi salì sulle labbra e non provai neppure a soffocarla. Non ero pentito, anzi. L'avrei rifatto altre mille volte. Forse era questo a farmi paura, il fatto che fosse stato così facile. Il fatto che mi fosse piaciuto. Mi era servito solo congiungere le mani per un attimo, e loro erano... morti. Proruppi in un'altra risata.

Una mano fredda mi carezzò il viso e la vista tornò a fuoco sul volto pallido dell'erborista. Non mi ero neppure accorto che si fosse avvicinato tanto. Mi scostò una treccina, indirizzandomela dietro all'orecchio, poi mi mise fra le mani una scodella fumante di qualcosa.

«E' un infuso.» si limitò a dire. Doveva averlo preparato lì sul momento, perché stringeva ancora fra le mani un mortaio. «Ti calmerà.» I suoi occhi verde acido risplendevano di una luce sinistra davanti alle fiamme.

«Gr... gr...» tentai di dimostrare la mia gratitudine, ma non ci riuscii. Le parole non venivano fuori e avevo la bocca incrostata di sangue. Anche la mia faccia era immersa nel rosso. Abbassai lo sguardo sugli scarponcini di pelle consumata. Solo quelli erano puliti.

Non aspettò una mia risposta, ma si alzò e prese dalle borse qualche altra strana erba e delle garze, per poi iniziare a sminuzzarle con precisione. Rimasi a fissarlo mentre sorseggiavo quella bevanda, in qualche modo soporifera, che profumava di mughetto. La concentrazione lo faceva sembrare più bello.

Si avvicinò al principe dai riccioli rossicci e iniziò a spalmare il ricavato dell'erba sulle fasciature, per poi avvolgerle attorno alle gambe del più piccolo con cura e dedizione. Aveva mani grandi, ma delicate. Il capo era chino, gli occhi erano rivolti a tutto ciò che stava facendo, senza distrarsi. Una ciocca grigia gli sfuggì dalla coda e gli sfiorò una guancia. Inclinai la testa, studiando a lungo il profilo del naso, la linea della bocca. Aveva qualcosa di particolare, di intenso.

«Ehi, non c'è bisogno che lo tocchi così tanto, eh.» sbottò il mercenario, per un momento frapponendosi fra gli arti snelli del principe e le mani del biondo.

«Lo sto medicando.» lo zittì André, senza staccare gli occhi dalle ferite, fino a che non si alzò sparendo fra gli alberi. Qualche minuto dopo, riemerse con una bacinella piena d'acqua, pronto ad inginocchiarmisi di fronte. Immerse un panno nell'acqua e mi tamponò il viso. Ogni tocco sembrava una carezza.

«Sei sporco.» fu tutto ciò che disse, mentre mi passava il panno bagnato sulla fronte. Mi era così vicino che tenni perentoriamente gli occhi bassi. Ma poi, con una strana sensazione che mi cresceva nel petto, alzai lo sguardo verso di lui e mi accorsi che mi stava guardando negli occhi per tutto il tempo. Deglutii.

«Perché...» pensai a qualcosa da dire. «perché sei un erborista?» ripetei la prima cosa che mi era venuta in mente, senza smettere di scrutare quegli scintillanti occhi verdi. Per un po' continuò a strofinare il panno sulle mie guance senza dire nulla, in silenzio. Poi mi prese una mano fra le sue ed iniziò a pulirla meticolosamente. Nonostante continuasse a tenere quella maschera d'imperturbabilità sul viso, il suo sguardo prese una sfumatura quasi... sinistra. Diversi minuti dopo, parlò.

«Sopravvivenza.» rispose, atono. Avevo le mani completamente pulite, ora. «Perché sei un mago?» Presi un respiro e alzai lo sguardo verso le stelle. Il mercenario e il principe intanto si erano stesi sulle coperte. Il rosso si era nascosto fino alla punta dei capelli, e pareva essersi già profondamente addormentato. Il bruno invece era ancora sveglio: teneva le braccia incrociate dietro la testa, mordicchiava fra i denti un filo d'erba e osservava il cielo notturno.

«Sfortuna.» ribattei io, prendendo il panno bagnato dalle sue mani per immergerlo nella tinozza e guardare l'alone rosso che si allargava nell'acqua. Il liquido trasparente assunse una tenue tinta rosata.

«Dovresti riposare.» mi disse, trasportando la tinozza con sé fino alla sua coperta. Mi stesi di spalle al fuoco e fissai la fitta boscaglia finché non udii il respiro di tutti farsi regolare. Allora chiusi gli occhi e provai a prendere sonno. E dopo ore in cui l'immagine delle teste dei briganti che esplodevano mi tornava davanti, mi addormentai.

La mattina dopo mi svegliai per primo. Il cielo era azzurro, il sole splendeva e gli uccellini cinguettavano. Sembrava una giornata perfetta per continuare il viaggio. Osservai il restante gruppo che dormiva ancora. Gli occhi mi caddero sulla figura dell'erborista. Durante il sonno i capelli si erano sciolti e cadevano sulla coperta come una cascata d'argento. Aveva la fronte aggrottata e biascicava qualcosa fra le labbra. Era strano non vederlo impassibile come sempre. In quel momento sembrava vulnerabile.

Mi chinai su di lui e lo scossi più volte.

«S-sve..gliati.» esclamai, agitandolo per le spalle. «Svegliati!»

Spalancò gli occhi e si drizzò a sedere. Il sudore gli imperlava la fronte e aveva il fiatone. Per diversi minuti non mi guardò in viso, ma rimase a dondolarsi avanti e indietro, fissando il vuoto davanti a sé. Poi si strofinò le mani contro la faccia, e solo allora mi accorsi che gli mancava un dito. Come avevo fatto a non averlo notato? Presi un profondo respiro.

«André. André Sion.» ripetei il suo nome, sforzandomi per non balbettare. A quel punto mi guardò, e i suoi occhi tornarono impassibili come ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Sembrava che non fosse successo assolutamente nulla. Io, però, mi chiesi cosa avesse sognato.

«Che c'è?» disse lui, fissandomi dritto negli occhi. Sbattei più volte le palpebre. Non si era accorto di niente. Aprii la bocca, cercando le parole giuste da dirgli, ma poi la richiusi. E a quel punto il principe si stiracchiò.

«Buona giornata, miei amici viaggiatori!» Si alzò in piedi, alzando il volto verso il cielo. «Nonostante preferisca i letti che ho nel castello... Svegliarsi al richiamo della natura non è affatto male.» Si voltò a guardarci e ci rivolse un sorriso a trentadue denti. «Il sole splende, gli uccellini cinguettano e...» Si bloccò e tirò un calcio al fianco del mercenario, che dormiva ancora. «Vedi di svegliarti!» continuò.

«Dacci un taglio, principino.» lo stroncò il mercenario, alzandosi a sedere.

«Allora, come avete dormito?» chiese, cercando una spazzola per pettinarsi i riccioli color caramello. «Io come un sasso!»

«E io su un sasso.» sbottò il mercenario, sollevandosi per sgranchirsi la schiena. Allora si alzò anche l'erborista e abbassò lo sguardo verso di me, che ero ancora inginocchiato sulle sue coperte.

«Vieni.» Fece un cenno ai cavalli. «Il viaggio è lungo.»

***


Un giorno e tanti alberi dopo, fermammo i nostri destrieri davanti al cartello che citava a lettere scavate nel legno "Başlik", segnando l'ingresso del primo villaggio dopo miglia.

«Finalmente!» disse il principe, con un sorriso enorme sulla faccia. Se era così impaziente di arrivare anche solo nel primo villaggio, allora non osai immaginare in futuro cosa avrebbe provato ad attendere fino all'arrivo nei regni del Caos.

Superammo una sterile staccionata, che doveva fungere da mura improvvisate e mal riuscite, ma probabilmente i paesani non se ne preoccupavano. Avanzammo lungo un sentiero costellato di capanne di paglia o legno, ed io mi guardai intorno pur con il capo chino, scrutando ogni cosa con la coda dell'occhio.

«Ci deve essere una taverna, o una locanda...» mormorò il mercenario, mentre guardava con un sopracciglio alzato i vari abitanti del luogo che se ne andavano a zonzo per strada, pascolando animali o passeggiando semplicemente. Per la maggior parte delle volte si voltavano verso di noi e salutavano con ampi gesti, perfino contenti di vedere stranieri. Pareva essere un umile villaggio di contadini, niente di più. Ricambiammo con un modesto cenno del capo, poi poco più avanti scorgemmo l'insegna de "La Locanda della Topa Matta".

«Che nome privo di gusto...» esordì Francis, storcendo la bocca per poi avvicinarsi alle umili stalle dell'edificio e smontare dallo stallone. Lo seguimmo a ruota e lasciammo lì i nostri cavalli, portandoci dietro le borse. Davanti all'ingresso, il rosso alzò nuovamente lo sguardo sull'insegna.

«Mi auguro non ci siano topi.» sussurrò, stizzito. Cyran ridacchiò.

«O in questo caso, tope...» e continuò con un sorrisetto malizioso. Il ragazzo aggrottò la fronte.

«Che intendi dire?»

«Entriamo.» li interruppe André, aprendo le porte con una mano per avanzare senza alcuna esitazione. Dal canto mio, mi limitai a stringere le labbra e ad incassare la testa nelle spalle, per poi seguirlo in silenzio. All'interno, l'aria sapeva di birra stantia e di sudore. Alcune lanterne illuminavano male la saletta, e i pochi avventori erano dei vecchi che avevano tutta l'aria di essere ubriachi marci. Una tipa dall'aria bruttina e spelacchiata si avvicinò a noi a grandi passi.

«Viaggiatori! Ma che piacere!» E poi partì l'occhiolino verso il mercenario, che pareva più un tic all'occhio. Lui fece finta di non vederlo e guardò per aria.

«Ci servono delle stanze.» tagliò corto il biondo. Mi piaceva il modo in cui sintetizzava le cose. Di certo non si poteva dire che perdesse tempo in chiacchiere.

«Oh, ne abbiamo solo una.» Ed ecco partire altri due occhiolini per Cyran. «Siamo in un piccolo villaggiò.»

«Ci basterà.» rispose l'erborista, afferrando le chiavi della stanza e ignorando l'ennesimo occhiolino che la tipa indirizzava al mercenario.

«E' proprio lei.» esordì lui quando fummo sulle scale che portavano alla stanza. «La Topa Matta.» E rabbrividì strizzando la bocca, mentre l'erborista apriva la porta della nostra stanza.

L'interno era semplice: il soffitto basso di legno, che arrivava a malapena alla testa del mercenario, i muri di un bianco sporco e due letti con coperte di lanetta grezza. «Che postaccio.» Fracis storse la bocca.

«Dormirò a terra.» avvisò André, accorgendosi del numero limitato di letti. Il mercenario alzò gli occhi al cielo.

«Immagino di non avere altra scelta.» esclamò, mettendo una coperta a terra e cercando una posizione comoda. Io invece mi sedetti senza dire nulla. Poi all'improvviso udii qualcosa. Un sussurro.

«Avete sentito?» azzardai.

«Sentito cosa?» domandò di rimando il rosso.

Aiu...

«Questo.» continuai, mentre una sottospecie di mormorio si faceva più fitto, e rendeva le parole poco distinguibili.

«Io non sento niente.» intervenne Cyran.

...iut..

«Ma lo sento! - Il biondo mi guardò, silenzioso, e scosse la testa.

Aiut...

Mi alzai dal letto e camminai per la stanza. «Viene da qualche parte...» Deglutii, con una brutta sensazione dentro al petto. «Nella camera.» Andai alla finestra, fissai il paesaggio che si vedeva da fuori e tornai verso i letti. La voce continuava, confusa, bassissima. Riuscivo solo a capire sillabe disordinate.

...tami...

«C'è davvero qualcosa che...» Mi sedetti sul letto, con un senso d'angoscia che mi saliva nel petto. E in quel momento, capii.

Aiutami!

All'improvviso, la stanza intorno a me cambiò bruscamente. Non ero più nella camera da letto di una locanda, non ero più con i miei compagni di viaggio. Ero solo, in un corridoio di sterile pietra grigia. Una grande porta di legno mi troneggiava davanti. Sopra di essa, c'era impresso a fuoco il simbolo di una farfalla.

«Ti prego, ti scongiuro!»

I lamenti venivano da dietro alla porta. Misi le mani sulle grandi maniglie ad anello e l'ingresso si aprì cigolando.

«...iuto.. Aiuto! Qualcuno... mi aiuti.» Una ragazza era al centro della stanza, che pareva la segreta di un qualche castello, o forse una torre. Pesanti catene l'ancoravano a terra e allo stesso tempo la tenevano appesa al soffitto, e lei se ne stava riversa su un lato del corpo, con la testa poggiata al braccio teso dalle catene. Aveva un bel vestito, ma sporco e sdrucito, e lunghi capelli di un azzurro pallido, una sorta di tonalità accesa del verde acqua. Con gli occhi mezzi chiusi, non si capiva se stesse delirando nel sonno o se fosse lucida. - ..Aiuto.. -

«Oh, dei.» mi avvicinai a lei e, solo allora, mi accorsi che era in qualche modo sveglia, e aveva la bocca distorta da una smorfia di dolore, gli occhi pieni di lacrime. «Ehi.» chiamai. Ma continuava a fissare il muro, come se io non ci fossi. Le agitai una mano davanti alla faccia, ma non funzionò. Non riusciva a vedermi. Non poteva vedermi.

All'improvviso, la porta alle mie spalle si riaprì, ed io mi misi accanto alla ragazza incatenata, da un punto in cui potessi guardare il nuovo arrivato. Mi si mozzò il respiro in gola: non era esattamente una persona.

Indossava vestiti eleganti, completamente neri, e lì dove dovevano esserci i piedi, le mani, il collo e la testa, c'era un gruppo di farfalle. Piccole farfalline nere, fitte, che piano piano, lentamente, si trasformavano in mosche e cadevano a terra morte e rattrappite in uno spettacolo raccapricciante.

«Per favore no... per favore no... per favore.» sussurrò lei, scuotendo il capo, l'espressione orripilata.

«....» L'essere pronunciò qualcosa in una lingua sconosciuta, verso la ragazza. Lei lanciò un grido che non capii se fosse per agonia o terrore. Ed io rimasi lì a fare da spettatore, semplicemente accanto alla scena, mentre lui e la ragazza stavano l'uno dinnanzi all'altro.

Ma poi successe qualcosa di agghiacciante: la cosa girò la testa e si voltò verso di me. E fui certo che, attraverso quella fitta foschia di farfalle e mosche nere, mi guardasse dritto negli occhi.

«Ciao, mago.» disse, ed io mi sentii trapassare da un intensissimo dolore, dalla punta dei piedi a quella dei capelli.

Urlai.

***

Cyran


Quello che successe mi lasciò perplesso per un lungo minuto. Osservai il mago girare per la stanza con un'espressione inquieta sul viso e poi sedersi sul materasso. Per una questione di secondi fissò il vuoto, con gli occhi spalancati e persi nel nulla. Poi lanciò un urlo devastante e sobbalzò dal letto, saltando in piedi.

«Dei maledetti, vorresti avvisare prima di urlare come una ragazzina senza motivo?!» inveii, scoccandogli un'occhiata in tralice, mettendomi una mano sull'orecchio destro. Ma lui dette segno di non avermi neppure sentito.

«Mosche... era... la ragazza...» farfugliò, mettendosi le mani fra i capelli.

«Rhod Hywel, calmati!» intervenne Francis, mettendogli le mani sulle spalle. Visti così, si poteva dire che fossero alti più o meno in modo uguale. O meglio, bassi, più o meno in modo uguale. L'altro però, invece che calmarsi, gli afferrò le braccia e lo guardò con occhi sgranati.

«Com'è?! Com'è Lei?!»

«Lei chi?» Sulla fronte del principino si disegnò una linea dovuta alla confusione.

«La principessa!»

Il rosso sbatacchiò le palpebre, come se avesse ricevuto un pugno che non s'aspettava. «Ha lunghi capelli... azzurri, quasi verde acqua. E occhi dello stesso colore.»

Sentite quelle parole, il mago strinse la mascella e si sedette nuovamente sul letto, senza dire nulla. Poi spostò lo sguardo verso la finestra e, dopo lunghi attimi di silenzio, parlò. «Sono stanco. Ho bisogno di dormire.» Prese un respiro e si infilò al sicuro sotto le coperte, dinnanzi ai nostri occhi, mentre noi, in piedi, circondavamo il suo letto. «Dimenticate la faccenda.» E si voltò dall'altra parte, infilandosi sotto quell'improvvisato scudo di lanetta grezza.

Spostai lo sguardo verso gli altri, ma l'erborista si era già seduto a terra, come se la questione si fosse semplicemente risolta. Invece, il principe ricambiò il mio sguardo, perplesso quanto me, e ci ponemmo insieme una muta domanda. Che accidenti era successo?

La mattina seguente, fu come se nulla fosse accaduto. Il mago teneva la testa incassata fra le spalle e lo sguardo basso. Non disse una parola su ciò che era successo il giorno prima, né su ciò che era accaduto con i briganti. Stessa cosa valeva per il fioraio, che aveva la solita faccia da rincitrullito impassibile. Sembrava espressivo come uno dei manichini di legno nelle sartorie del regno di Akra. Davvero una persona divertente.

Scesi le scale, un gradino più lentamente dell'altro, mentre sbadigliavo ed entravo nella sala lercia della locanda. «Mi è mancato questo odore.» dissi, con un sorrisetto, al puzzo di legno marcio, sudore e birra stantia anche di prima mattina.

«Oh, a quanto pare i nostri deliziosi ospiti si sono svegliati!» disse la locandiera, meglio identificabile come la Topa Matta. Stava strofinando furiosamente il bancone con uno straccio già unto, quindi il lavoro le risultava piuttosto inutile. Eppure, sembrava non accorgersene mentre continuava a pulire, indossando un grande cappello rosso che le copriva il volto segnato dalle rughe. «Forza, venite a fare colazione, sarete affamati!»

Seduto ad uno sgabello c'era un vecchio, che dormicchiava davanti ad un boccale di birra quasi vuoto. La punta della tesa floscia del suo cappello rosso ricadeva nel grosso bicchiere, facendolo sembrare ancora più assurdo di quanto già non fosse. L'ultimo avventore sopravvissuto alla notte, era un tizio stravaccato a terra, pancia all'aria, probabilmente reduce da una sbronza assurda. Ed io potevo capirle, le sbronze assurde. In ogni caso, dal russare incessante sembrava dormire, ma il cappello rosso lo copriva fino al mento, impedendo a noi di guardare il suo splendore di faccia.

«E' un'impressione mia o...»

«... la gente di questo villaggio ha un orrido senso della moda?» continuò Francis, concludendo la frase per me. Trattenni a stento una risata.

«No, tutti portano quei cappelli rossi.» sussurrai, indicando le teste dei tre tipi.

«No, non è un'impressione tua.» rispose il fioraio, mentre prendeva posto su uno sgabello. Davvero una risposta illuminante, peccato non conoscesse il significato dell'ironia. Aprii la bocca, ma poi la richiusi, affranto. Il biondo sembrava fare di tutto pur di farmi scendere il latte alle ginocchia. E ci riusciva alla grande.

«Perché torturarsi in quel modo?» chiese l'adorabile rosso, più a se stesso che agli altri. «Perché decidere di indossare qualcosa di così... così...»

«Il punto è che ieri non portavano niente.» osservò il fior... erborista. Forse dovevo iniziare a chiamarlo così, altrimenti mi sarei abituato al "fioraio" e l'avrei usato per l'eternità. Non che fosse una cosa brutta, anzi. Quindi rifacciamo la frase: osservò il fioraio.

«E cosa vuoi dire con questo, fioraio?» domandai.

«Erborista.» puntualizzò lui, l'espressione assurdamente piatta. «Il fioraio è un altro mestiere.» Aveva un tono pacato e monotono, come se stesse parlando con un moccioso e si stesse anche annoiando a morte nel farlo. Lo guardai con un ghigno stampato sulla faccia.

«Fioraio.» continuai. Avrebbe davvero mantenuto quell'espressione impassibile per sempre?

«Ripeto: erborista.» Non si scompose.

«Ripeto: fio-ra-io.» scandii le parole, allargando il ghigno.

«S...s..s..» Il mago si mise fra lo sgabello del biondo e me. «S..m..ettetela!»

«Accidenti, lui sì che è persuasivo!» osservai, mettendomi le mani sui fianchi.

«Rhod ha ragione.» parlò il principino. Poi spostò lo sguardo sul mago ed anche sul... fioraio. «Voi prendete la colazione. Noi intanto facciamo una passeggiata fuori.» E mi prese per il bavero della giacca, trascinandomi verso l'uscita della locanda.

«Prima mi mandi a fare un bagno con un mostro, poi ti metti a litigare con un compagno di viaggio...» Il principe poggiò le spalle contro la porta della locanda, incrociando le braccia. «Sei terribile.» E mi guardò scuotendo la testa, come se stesse rimproverando una delle sue sorelline. Un sorrisetto mi salì sulle labbra.

«Non è detto che sia una cosa negativa.» dissi, arrotolandomi una delle sue ciocche color caramello attorno all'indice, mentre mi avvicinavo verso di lui e lo inchiodavo contro il muro.

«Buongiorno!» sentii una voce alle mie spalle. Alzai gli occhi al cielo e mi voltai. Se c'era una cosa che odiavo, era essere interrotto mentre corteggiavo qualcuno. O lo infastidivo, fa lo stesso. Una paesana scuoteva una mano verso di noi, mentre con l'altra si reggeva il grande cappello rosso. Lanciai un'occhiata furtiva a Francis, che fece la stessa cosa.

«Buongiorno!» rispose lui, con tono cortese e un sorriso dolce sulla faccia. Mi rifilò una leggera gomitata nel fianco, ed io scossi la mano verso la tipa, con un sorriso fintissimo sul viso. Poi spostai lo sguardo sulle altre persone del villaggio. C'era chi passeggiava, chi lavorava nei propri giardini, chi giocherellava col cappello, chi badava alle pecore... Un momento.

«Perché tutti indossano quel maledetto cappello?!» sussurrai fra i denti, inclinandomi verso il rosso.

«Non lo so, credi che lo sappiano? Insomma, non è normale...» mentre Francis concludeva la frase, una coppia di contadini si avvicinò a noi, sorridendoci.

«Stasera organizzeremo un party rigenerativo nel tempio del villaggio.» Il cappello rosso sembrava afflosciarsi di più ad ogni parola. «La vostra presenza ci farebbe molto piacere!» E l'uomo che le stava accanto annuì, scuotendo la faccia da ebete.

«Party rigenerativo...» sussurrai fra me e me. Chi non vorrebbe essere invitato ad un "party rigenerativo?". Non vedevo l'ora. Peccato non sapessi cosa fosse.

«Ci saremo!» rispose il principe, un sorriso a trentadue denti mentre agitava la sua manina leggiadra in segno di saluto e mi trascinava nuovamente all'interno della locanda. «Dobbiamo capire che cosa c'è che non va.» disse, richiudendosi la porta alle spalle.

Seduto sul letto nella camera della locanda, tirai un morso al pane e formaggio che ci aveva dato Topa Matta, mentre il mago ci piazzava davanti una montagna di quelli che lui definiva "tomi magici".

«Q..q...qui c..ci s..s..arà qualc..c..osa.» provò a parlare, mentre indicava i libri.

«Solo io non ho capito una parola?» dissi, mentre afferravo un volume dalla copertina nera, con la pelle levigata e rifiniture in metallo. L'erborista mi scoccò una tremenda occhiata impassibile. Alzai le braccia in segno di resa, ridacchiando, per poi riposare gli occhi sul libro per iniziare a sfogliarlo.

«Quindi, cosa dobbiamo cercare, esattamente?» chiese il principe, rubandomi le parole di bocca.

«Qu...qu..qu..»

«Parla piano.» lo interruppe il biondo. Mi sembrava uno di quei soldatini disposti ad insegnare qualsiasi mossa al proprio amico stupido. «Con calma.»

«Qualcosa...» Il mago prese un respiro «...che abbia a che fare con cappelli rossi.» continuò, mentre fissava le pagine con insistenza, quasi volesse farci capire chiaramente che non voleva alzare lo sguardo su di noi. «Ho già sentito parlare di cose del genere.»

«Quindi cerchiamo e basta.» sintetizzai, riprendendo a sfogliare le pagine. Gli altri mi seguirono a ruota e continuarono in silenzio.

Inutile dire che non capivo una parola. Non perché fosse una lingua arcana, o perché il linguaggio fosse eccessivamente forbito. Nulla di tutto questo. Semplicemente perché non sapevo leggere. Non era colpa mia se non avevo mai avuto un insegnamento, o cose del genere. Quindi feci finta di comprendere tutto alla perfezione, annuendo e continuando a sfogliare le pagine.

Ogni illustrazione era più brutta dell'altra: tipi con delle corna tortuose sulla testa, mostri con sette occhi, esseri senza alcun volto, persone con decine di braccia e lingue biforcute, creature con bocche piene di zanne e cappelli rossi, demoni con la faccia blu e grandi pus neri e purulento... Mi bloccai, tornando alla pagina precedente.

«Li ho trovati!» esclamai, mostrando la pagina aperta davanti a tutti. Francis mi strappò il libro di mano.

«Creature con fittizie sembianze umane, sono dotate di oltre cinquanta zanne per divo...» si fermò per deglutire. «... per divorare le vittime. Indossano cappelli rossi che simboleggiano l'adorazione del demone Dişet. Una volta a settimana, sono tenuti a compiere sacrifici umani per il loro padrone.» Il principino sbiancò ma continuò a parlare, aumentando la velocità della lettura, come se non vedesse l'ora di smettere. «smembrando le vittime e spargendole sull'altare del demone.... E vi prego, andiamocene! SUBITO!» concluse, gettando il libro a terra. «Ci hanno invitato nel loro tempio, a quell'orribile party rigenerativo, stasera!»

Fra di noi calò un brutto silenzio, carico di tensione. Poi, diversi minuti dopo, parlai.

«Non possiamo andarcene. Capiranno che sospettiamo qualcosa e agiranno di conseguenza.» Ad ogni parola che dicevo, la sicurezza prendeva piede dentro di me, velocemente. «Andremo al tempio. E poi li ucciderò.» conclusi, stringendo un pugno. Insomma, ero pur sempre un mercenario, ci sapevo fare in queste situazioni.

***


Quella sera, scendendo dalla stanza della locanda, lanciai un'occhiata furtiva a Topa Matta. Accennò ad un saluto con la mano, muovendo le dita in un modo che doveva sembrare malizioso, ma che le riusciva pessimo. Dopo, non contenta, mi rivolse l'ennesimo occhiolino. Mi lasciai andare ad un sorrisino nervoso e agitai la mano verso di lei.

«Orrenda.» commentai, voltando la faccia dalla parte opposta, in modo che non potesse leggere il labiale.

«Andate al tempio?» esordì a voce eccessivamente alta, vedendoci sulla porta.

«Purtroppo.» sussurrai.

«Certamente!» esclamò Francis, con un tono di voce stridulo, scattando sul posto. L'erborista non sembrava affatto preoccupato dalla situazione, anzi, pareva fregarsene altamente, come se l'eventualità di finire smembrato su un altare non fosse così sgradevole come dicevano i libri. Poi uscimmo e, sfortunatamente, trovammo la stessa coppia di quella mattina ad aspettarci, con grandi sorrisi sui volti, metà coperti dalla tesa del cappello di paglia.

Forse avremmo dovuto fuggire prima. Ma ormai, era troppo tardi.

«Seguiteci cari, il tempio è qui vicino.» dissero, voltandosi per farci strada, mentre noi ci scambiavamo occhiate fugaci. Il mago teneva lo sguardo a terra, come un cane con le orecchie basse e la coda fra le gambe. Però non sembrava tanto spaventato da loro. Più... da qualcos'altro. Ripensai alla sera precedente. Chissà che cosa accidenti gli era preso.

Non ci pensai più di tanto, perché il tempietto ci fu subito davanti. Non era vicino: era praticamente a quattro passi. L'edificio era una semplice struttura di pietra e legno, senza alcuna decorazione eccessiva, ma una salda costruzione fatta in modo che non crollasse. Nulla di troppo complicato, qualcosa di sobrio. Di certo non c'erano cadaveri che penzolavano sulla grande porta d'ingresso.

Non appena venne aperta, la prima cosa che vidi fu una lunga fila di cappelli rossi. La seconda, una lunga fila di panche. La terza, una lunga fila di candele. Molte file, insomma.

«Non accettiamo armi nel tempio.» mi dissero, sempre molto sorridenti, guardando il mio spadone. Il principe al mio fianco parve agitarsi.

«Lo rivoglio.» sibilai, gettandolo accanto alla porta d'ingresso controvoglia. A quel punto, ucciderli sarebbe stato certamente più complesso.

Dopo ci fecero entrare, richiudendoci il grande portone alle spalle per rimanere solo con la luce cupa delle candele a mostrare la scena. I paesani rimasero per un po' a fissarci. Poi, si voltarono verso una sacerdotessa, che brandiva un'enorme scure in mano. Sentii il suono che produsse la gola di Francis mentre deglutiva.

«Non sono pronto ad essere smembrato!» sussurrò, fissando la scena con gli occhi sgranati. «Non sono pronto!»

«Portate il sacrificio.» pronunziò la sacerdotessa, con voce solenne, guardando verso di noi. All'improvviso, il mago urlò.

«Non avrai proprio nessun sacrificio!» gridò, congiungendo le mani. Fece qualcosa di strano con le dita, avvolgendo gli indici fra di loro per poi formare una croce, mentre sussurrava parole fra i denti. E poi la sacerdotessa cadde a terra, inchiodata al suolo da una forza invisibile. I paesani, fino a qualche secondo prima seduti sulle panche, scattarono in piedi per fissare la scena con gli occhi fuori dalle orbite. Iniziarono ad urlare. «ZITTI, MOSTRI!» gridò Rhod, chiudendo le mani a pugno, facendo esplodere simultaneamente i vetri di tutte le finestre dentro la stanza.

In quello stesso istante, la porta dietro di noi si aprì per far entrare quattro paesani che sorreggevano fra le mani un piccolo tronco d'albero, addobbato con fiori, foglie e grappoli d'uva.

«Che accidenti.. ?» mormorai, cercando di decifrare la scena.

«Il sacrificio non siamo noi! E' quell'accirderbolina di tronco!» urlò il principe, indicando i paesani che lo portavano e, allibiti da tutta la scena, indietreggiavano.

«Oh, oh.» dissi, sottovoce, mentre il mago si fermava giusto un attimo prima di scatenare l'inferno. Una folla inferocita di paesani innocenti si voltò a fissarci, con sguardi molto, molto arrabbiati. Be', ora sembravano assolutamente umani. «Direi di prendere le nostre cose dalla locanda e...» indietreggiai, mentre i paesani iniziavano ad avvicinarsi, minacciosi. «Fuggire!» conclusi.

Poi, me la diedi a gambe levate insieme a tutti gli altri. E dire che il viaggio era solo all'inizio. 




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Un angolo prima dell'alba ~

Non è mai troppo tardi per aggiornare! E quando dico tardi, non mi riferisco all'increscioso ritardo, ma all'orario. c:
Stendiamo un velo pietoso e torniamo a noi. Scusate il ritardo! Diciamo che ero in vacanza (?)
Poi, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ci stavo lavorando da giorni, ma avevo così tanto da fare! E per qualche ragione non mi sento soddisfatta xD
Ho notato: 1 k! Grazie mille a tutti quelli che si stanno appassionando alla storia! State certi che preparerò qualcosa di interessante... (sul mago e l'erborista. Sugli altri due c'è già tanta roba, visto che feci una challenge su di loro!)

E basta ora! Ci vediamo al prossimo capitolo! ^^

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