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7. Cervello fra i capelli

André 

Tutti i sensi scattarono sull'attenti, ma il mio corpo rimase perfettamente immobile. Solo i miei occhi corsero verso Rhod, le pupille che saettavano sulla sua figura, cercando di escogitare un piano silenzioso insieme a lui. Eppure, il mago non ricambiava la mia occhiata: il suo sguardo era incollato sui quattro uomini. Fu in quel momento assurdo, mentre i briganti ci fissavano, pronti ad attaccare, che l'osservai attentamente. Portava i capelli color castagna molto corti ma, ai lati del viso, all'altezza delle tempie, due treccine sottili gli contornavano il volto, lunghe fino al petto; aveva gli occhi sottili, sembrava quasi che provenisse da qualche zone dell'oriente, eppure le iridi erano di un blu oltremare così intenso che pareva quasi che la magia potesse schizzargli fuori dallo sguardo in qualsiasi momento.

Ed effettivamente era così. Sulla punta dei suoi capelli iniziarono a formarsi delle scintille blu, simili a scoppiettii piccoli e luminosi, dimostrando quanto fosse pronto ad usare un qualche incantesimo letale; le labbra strette e a forma di cuore erano tirate in un'espressione contrita e colma di tensione; gli occhi assottigliati guardavano i nuovi arrivati, torvi. Il mago sembrava una molla pronta a scattare.

E nello stesso istante in cui lui si preparava a far combaciare i palmi delle mani, i briganti compresero.

«E' UN MAGO! Presto, allontanategli le mani!» E tutti si gettarono simultaneamente sul corpo gracile del bruno. Non fece in tempo ad unire i palmi che un uomo lo scaraventò al suolo, bloccandogli il braccio sinistro, ed un altro si occupò di quello destro. Mentre gli tappavano la bocca, lui sputò una serie di insulti molto coloriti e li fissò con uno sguardo furente. Non balbettava più.

Mi alzai in piedi, pronto a correre per dargli una mano, ma subito, quello che mi sembrò il capo dei briganti, mi puntò il pugnale sulla gola.

«Non ti muovere.» mi intimò, puntellandomi il collo con la lama. Abbassai gli occhi prima sull'arma, poi sul viso del brigante. Il suo era uno di quei classici volti dall'età indefinibile: avrebbe potuto avere una trentina d'anni come una sessantina; la barba era ispida ed incolta e l'espressione stupida tradiva un accenno di furbizia. In ogni caso, la sua minaccia non mi faceva né caldo né freddo. Lo guardai come guardavo ogni altra persona e rimasi in silenzio. Lui si voltò verso i suoi sgherri e mi indicò con un cenno del capo. «Legatelo e prendete tutto quello che hanno.»

Due scagnozzi si mossero simultaneamente come fossero una persona sola, dirigendosi verso le borse e i cavalli con dei sorrisoni in volto, sfregandosi le mani. Uno mi legò le braccia dietro la schiena, stringendomi i lacci intorno ai polsi talmente forte che probabilmente riuscì a fermarmi la circolazione. Non ci feci caso, avevo subito cose peggiori, per cui non mi scalfivano neppure. Invece, spostai lo sguardo sul mago, che aveva gli occhi iniettati di furore.

Lo studiai per qualche minuto, stranito. Quando i briganti si erano gettati in massa su di lui mi ero sentito inquietato, quasi... spaventato. Possibile? Io, che non sentivo il morso di quella paura disperata e angosciante da anni, mi ero sentito spaventato nel vedere quel corpicino piccolo, sopraffatto dalla brutalità dei briganti. Quasi mi venne da ridere. Quasi.

E allora rimasi a guardarlo, senza capire quelle mie sensazioni.

Avevano legato le mani anche a lui, ma alle estremità opposte di un lungo ramo d'albero, in modo che le mani restassero cautamente lontane fra di loro. Questo perché le leggende dicevano che i maghi potessero usare i propri poteri solo unendo i palmi delle mani. Pensavo fossero solo delle dicerie stravaganti, anche perché non conoscevo alcun mago, ma in quel momento ne ebbi la conferma. Dal modo in cui Rhod li guardava, mi chiesi che cosa avrebbe mai potuto fare, se fosse stato libero.

All'improvviso, i due scagnozzi, che si erano recati a saccheggiare i nostri averi, si resero conto di un piccolo dettaglio.

«Capo, i cavalli sono quattro!» disse uno dei due, un tizio calvo dall'aria particolarmente stupida. Il bruno si grattò la barba con il lato non tagliente del pugnale, accorgendosi solo in quel momento della presenza di quattro coperte intorno al fuoco. Poi spostò lo sguardo su di me, con aria indispettita, e inclinò la testa.

«Questi stronzi non saranno soli.» commentò, riponendo il pugnale in un fodero sul fianco. «Prendete tutto ciò che riuscite a prendere. Anche i cavalli.» Indugiò con lo sguardo in modo particolare su Rhod. «E anche loro.»

Gli sgherri si appropriarono di un paio di cavalli a testa, trascinandoli per le briglie, e poi ci si piazzarono alle spalle, bloccandoci le vie di fuga. Invece, il terzo uomo e il capo guidavano la fila, facendo strada attraverso la boscaglia fitta.

Non provai a scappare e il pensiero non mi sfiorò neppure. Sarebbe stato solo un modo stupido per farsi uccidere. Tante volte avevo lottato per la mia vita. Tante volte avevo rischiato di morire. Sapevo come cavarmela in certe situazioni e, con gente come loro, bisognava aspettare solo il momento giusto per darsi alla fuga.

Nella migliore delle ipotesi, se il mercenario fosse stato davvero un soldato competente, avrebbe seguito le tracce lasciate dai briganti. Sì, dovevo solo aspettare. Ma c'era un dettaglio che non avevo considerato e che era di grande importanza: questa volta non c'ero solo io a rischiare.

Tenni la testa drizzata verso i briganti che mi stavano davanti ma, con la coda dell'occhio, continuai a sorvegliare il brunetto. Aveva lo sguardo rivolto al suolo e stringeva i denti. Sembrava che tenere le braccia nella posizione in cui gliele avevano legate fosse un po' doloroso. E probabilmente doveva esserlo ancora più, dal momento che non smetteva di muovere i polsi nello spasmodico tentativo di liberarsi.

Camminammo ancora per diversi minuti, imprigionati e con le spalle indolenzite a causa dei legacci, arrancando fra il terriccio pieno di sassi e la coltre di buio che rendeva grandi ed insidiose le figure degli alberi. Nessuno parlava. Rhod era ancora silenzioso ma collerico e, nonostante il buio, riuscivo a notare come i suoi polsi stessero diventando viola, tanto le corde erano strette. Fui sul punto di sussurrargli di smetterla di agitarli contro il ramo ruvito, perché la sua pelle si sarebbe scorticata ancora di più.

Ma poi gli alberi si aprirono a ventaglio e rivelarono un grosso campo illuminato da una serie di torce e popolato da una dozzina di uomini. Fantastico, l'accampamento dei briganti.

Non ero poi molto stupito dal fatto che la base di un gruppo di criminali si trovasse tanto vicino alle mura di Minartias. Anzi, probabilmente si erano insediati lì per tendere trappole ai mercanti che partivano dalla capitale per estendere la vendita delle merci. Doveva essere un gioco da ragazzi: nascondersi fra gli alberi, ucciderli, depredare il bottino. Ma io non accettavo di essere incluso fra la lista delle loro vittime.

Con le braccia ancora incurvate dietro alla schiena, guardai con attenzione uno dei briganti, ovvero il pelatone dall'aria tonta, legare Rhod ad un albero, un braccio ad un ramo sulla destra, l'altro ad un ramo sulla sinistra. Il tipo, per quanto potesse sembrare stupido, stava sempre molto attento a non lasciare che le mani del mago entrassero in contatto fra loro.

Una volta finito di stringere i nodi, si allontanò e si riunì al gruppo di uomini che stavano svuotando frettolosamente ogni sacca. Controllavano il contenuto con dei grandi sorrisi, soddisfatti delle loro conquiste.

«Capo, guardate quanti soldi!» sentii esclamare, non appena la sacca stracolma di monete d'oro, che il re di Akra ci aveva donato per agevolarci il viaggio, si rovesciò sul terreno in un cumulo di scintillii metallici. Feci una grande fatica per non scompormi, non appena vidi che uno dei miei libri di erbologia e botanica veniva gettato a terra, considerato come robaccia inutile.

Il barbuto lanciò un'occhiata prima alle monete, poi a Rhod.

«Un mago...» Spostò lo sguardo su di me. «E tu chi cazzo sei? Un principe?» domandò, con tono derisorio. Poi mi si avvicinò e mi tirò un calcio in faccia, che mi colpì la mascella e mi fece ruzzolare contro un albero. Non emisi neanche un mugolio di dolore. «Mah, chi se ne fotte.» Tirò uno sputo sul terreno. «Tanto ti ammazzerò comunque.»

Forse avevo sprecato l'occasione per scappare. Sarebbe stato meglio approfittare di quel momento morto, mentre ci portavano verso l'accampamento, col favore del buio e del riparo fra gli alberi. Adesso invece, c'erano almeno una dozzina di briganti, tutti armati, e il fuoco illuminava bene ogni angolo dell'accampamento.

«E-ehi, pezzo di merda! Non provare a toccarlo!» gridò Rhod, dall'albero contro cui era legato. Aveva la rabbia stampata in volto, i suoi occhi blu guardavano il capo dei briganti con un'ira così accesa che avrebbe potuto ucciderlo solo fissandolo, se ne fosse stato capace. «Vieni ad ammazzare me, piuttosto!» gridò, talmente forte che le vene sul collo si erano fatte evidenti. «Brutto s-stronzo!» aggiunse, non contento.

In quel momento, ancora una volta, mi stupii: ne rimasi affascinato. Rhod si presentava come un ragazzo dall'aria introversa e timida, quasi impaurita, come un cagnolino con la coda fra le gambe e le orecchie basse. Ma quella furia negli occhi lo rendeva in qualche modo vibrante di vita. Il suo animo presentava delle sfaccettature che non credevo potessero appartenergli. Probabilmente lo avevo sottovalutato e mi pentii per questo.

Il barbuto si voltò verso di lui e si diede ad una risata leggera, per poi estrarre il pugnale.

«Bene.» Si avviò verso l'albero, mentre il mago lo squadrava con un accenno di sfida negli occhi e i denti digrignati dalla collera. Una volta che il capo dei briganti gli fu di fronte, gli scostò una treccina con la punta dell'arma, accarezzandogli il viso con il lato non tagliente della lama. Rhod irrigidì la mascella. «Cosa c'è, ti preoccupi per il tuo amichetto?» Gli strinse le guance così forte che le sue labbra si arricciarono come il muso di un pesce, indirizzandogli il volto verso di me. «E' importante per te? Cosa farai se lo ammazzo?» Il tono cantilentante del malvivente, che sorrise, sembrava perfetto per farlo innervosire. «O magari potrei violentarti davanti a lui.»

Avvertii il mio stomaco contrarsi. Ancora stingendolo nella sua presa, gli leccò lascivamente una guancia. «Se le leggende dicono il vero, allora fare sesso con un mago significa condividere una parte dei suoi poteri...» Iniziò a far vagare le mani sul corpicino del mago. E lui gli sputò in faccia.

«S-s-stammi lontano, verme schifoso!» L'uomo rise, pulendosi con il dorso della mano.

Fu come se mi avessero rovesciato una secchiata d'acqua gelida sulla testa. All'improvviso, capii quanto la situazione stesse degenerando. Avevo sottovalutato il pericolo.

Feci pressione sui lacci. Erano legati stretti, molto stretti, ma mi ero esercitato a fuggire da nodi certamente più complicati. Con movimenti impercettibili, mi accostai alla parete dell'albero contro cui avevo sbattuto, sfiorando la corteccia ruvida con i polsi. Sembrava abbastanza per riuscire a consumare i nodi. Così iniziai a strofinare le corde contro il tronco, con movimenti rapidi e veloci.

Le mani del brigante scesero verso il bottone dei pantaloni di Rhod e la sua bocca si mosse sul suo orecchio, sussurrandogli qualcosa che io non capii, ma che mandò in bestia il mago. Strofinai più forte, sperando che il resto dei briganti, occupato a frugare fra i nostri averi, non si accorgesse dei miei movimenti.

Il mago morse un orecchio al barbuto e quello gli mollò di rimando un sonoro schiaffo, abbastanza forte da fargli scattare la faccia di lato. Mossi le corde su e giù, su e giù, sempre più velocemente. Poi l'uomo cominciò ad abbassargli i pantaloni, mentre lui si dimenava e gli urlava insulti di tutti i tipi.

Forza. Forza. Forza.

Il capo dei malviventi si slacciò la cintura e cominciò a sbottonarsi i pantaloni. Poi, i miei lacci si spezzarono e in contemporanea la mano sinistra di Rhod si sfilò dalla morsa della corda, congiungendosi con l'altra con uno schiocco che risuonò per l'intera radura.
Quello che successe in seguito, fu descrivibile solo come un bagno di sangue.

Dalle sue mani vennero fuori scintille di un blu accecante e, in quello stesso, singolo attimo, le teste dei briganti esplosero. Come un melone che viene gettato da un balcone, o uno di quei palloni di stoffa gonfiati fino all'estremo: la testa del capo dei briganti scoppiò davanti al viso di Rhod, ricoprendolo di sangue e di resti organici.

La stessa sorte toccò al gruppo dei briganti vicino a me, e il loro sangue mi ricoprii dalla testa ai piedi. Dopo, rimasi immobile.

Sull'accampamento era calato il silenzio. Di quella dozzina di briganti ne rimanevano solo i corpi decapitati, riversi sul terreno e grondanti di sangue. Senza fiato per parlare, rivolsi lo sguardo al mago. Con i pantaloni ancora calati, osservava la scena con occhi sgranati, persi nel vuoto, e l'ombra di un sorriso sinistro sulle labbra. Poi, le sue ginocchia cedettero e lui cadde a terra come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.

Al contrario, io mi alzai, aggrappandomi alla corteccia dell'albero, e andai verso di lui, massaggiandomi i polsi doloranti. Una volta che fu ai miei piedi, mi inginocchiai, ponendo il mio viso dinnanzi al suo. Aveva la faccia rivolta al terreno e lo fissava con gli occhi persi nel vuoto. Rimasi per qualche minuto in silenzio, a scrutare il suo capo chino. Aveva pezzettini di cervello fra i capelli.

«Rhod» dissi, pronunciando per la prima volta il suo nome. Non rispose. «Rhod, guardami.» mormorai, ma lui non diede segno d'avermi sentito. Gli presi il volto fra le mani, incurante del sangue che ci imbrattava, e lo alzai verso il mio. «Guardami.» ripetei e allora, i suoi occhi blu, questa volta ancora più elettrici del solito, si immersero nei miei. Sulle sue labbra tremolò un sorriso.

«Li ho uccisi.» Quel sorriso si tramutò in una risata isterica. «Li ho uccisi tutti!» E dopo, proruppe in un pianto fragoroso. Gli occhi gli caddero inevitabilmente sul corpo senza testa del brigante, che gli giaceva proprio accanto. Si scostò le mie mani di dosso e vomitò. E, quando ebbe finito, mi avvicinai nuovamente a lui, strisciando sul terreno.

«E' finito.» bisbigliai, avvolgendolo fra le mie braccia e accogliendo il suo tremore. Il sangue sul suo e sul mio corpo si mescolò, ma non me ne curai. Gli posai una mano sul capo e lo strinsi contro il mio petto. «E' tutto finito.»

***

Francis 

Uno sfavillio giallo baluginò nelle profondità del lago ed io non ebbi neppure il tempo di urlare che qualcosa mi avviluppò la gamba e mi trascinò giù. Tentacoli viscidi mi salirono sui polpacci e poi sulle cosce, mentre un dolore bruciante cominciava ad espandersi su ogni centimetro di pelle. L'acqua mi risucchiò del tutto ed io iniziai a sprofondare, osservando la forma indefinita della luna attraverso la superficie del lago.

Un urlo di terrore mi salì dalla gola e si trasformò in un turbine di bolle. Sentii un peso sul petto, la forza del mio panico che cresceva e veniva alimentata dal senso di oppressione. Io amavo l'acqua, era il mio elemento, era ciò che circondava il mio regno, era ciò con cui ero cresciuto sin da bambino. Ma in quel momento, mi sentii come disorientato.

Non potevo morire in acqua, non potevo annegare, non nell'elemento che mi ricordava casa.

E allora soccombei al terrore e mi mossi, scalciai, mi divincolai, senza alcun costrutto, pur di cercare un modo per risalire, per raggiungere l'aria. Niente.

Spalancai la bocca e, lottando per respirare, alzai le braccia verso l'alto, sperando di uscire per mano di qualche magia sconosciuta. Ma non accadde niente, e la vista cominciò a riempirsi di pallini. Scalciai con forza, stringendo i denti, aggrappandomi con le mani ai tentacoli che mi stavano affogando, infilzando con le unghie quell'essere molle che non accennava a lasciarmi andare.

I polmoni urlarono i loro ultimi secondi disperati. Mi portai le mani sulla gola, sentendo il bisogno disperato di ossigeno, bramandolo con un'intensità tale da far male. E poi, quando smisi di reclamarlo, quando la vista iniziò a farsi nera e quando cessai di combattere e mi abbandonai all'acqua, due braccia forti mi circondarono la vita e mi tirarono su, verso la salvezza.

Nonostante fossi fuori, annaspai, senza riuscire ad usufruire di tutta l'aria che riempiva il bosco e circondava quel lago traditore. Rimasi fermo sul ciglio del cerchio d'acqua, con le mani a colpirmi il petto e la vista sfocata. Poi una bocca calda, bollente, si posò sulla mia. Due dita mi strinsero il naso. Il mondo mi sembrava confuso, le forme degli alberi indistinte e fioche. Qualcosa di forte mi batté contro le costole.

E poi un guizzo d'acqua saltò fuori dai miei polmoni, ed iniziai a tossire convulsamente.

Aria.

Non mi era mai sembrata così perfetta, così importante, così necessaria. Me ne nutrii a sazietà, respirando con foga e ansimando senza avere più fiato.

«Respirate piano, di aria ce n'è in abbondanza.» disse una voce al mio fianco. Sbattei più volte le palpebre e, finalmente, la vista mi si fece chiara.

Il mercenario era steso accanto a me: non portava più lo spadone a tracolla, né la maglia metallica strappata e neanche gli stivali. Se ne stava a torso nudo, con i pantaloni bagnati e le gocce che circumnavigavano i suoi muscoli perfetti. Un sorriso da birbante gli curvava le labbra carnose, mentre i suoi occhi arancio, abbaglianti come un meraviglioso tramonto estivo, mi scrutavano intensamente. I suoi indomabili capelli corvini avevano ceduto al potere dell'acqua, che li aveva tirati indietro. In quel modo, sembrava quasi un elegante testimonial per qualche sartoria d'alta classe. Con la lingua si leccò la cicatrice verticale sul labbro inferiore.

«Tu...» bisbigliai, la voce ancora ansante. «Mi hai salvato.» Il suo sorriso si ampliò.

«Sì, direi proprio di sì.» disse, appoggiando la guancia su una mano. Nessuno dei due sembrava minimamente intenzionato a volersi alzare dal terreno che circondava il lago, coperto di muschio verde così morbido da sembrare velluto.

«Grazie.» mormorai, sinceramente grato. Nonostante pensassi che Cyran Rouge fosse un personaggio poco raccomandabile, mi aveva salvato la vita. Lui emise una bassa risata, leggermente roca, che gli conferiva qualcosa di molto sensuale.

«Non c'è bisogno di ringraziarmi. Vedervi nudo è sufficiente.» esclamò, un sorriso malizioso a campeggiare sul viso affascinante.

«Che cosa?!» Abbassai lo sguardo sul mio corpo e, ripresa la consapevolezza di essermi fatto un bagno nel lago giusto qualche minuto prima, mi ricordai di essere privo di qualsiasi indumento. Completamente, vergognosamente nudo.

Sobbalzai in piedi, coprendomi l'intimità con le guance roventi. Ma poi la testa iniziò a girare vorticosamente, e dovetti nuovamente accasciarmi al suolo. Comunque, nascosi come meglio potevo le mie grazie, senza riuscire a smettere di fumare dalle orecchie, tanto mi sentivo in imbarazzo.

«Smettila di guardarmi!» lo rimproverai, cercando di calmare la sfumatura rossastra-violacea che si stava diffondendo su tutto il viso, tanta era la vergogna che provavo. «Avresti potuto dirmelo prima!»

«Ve l'ho detto ora.» rispose lui, un'espressione di puro piacere stampato in volto. Doveva divertirsi proprio nel vedermi così in imbarazzo.

«Ti prego, ti prego, ti prego, smettila di guardarmi.» mi affrettai a dire. Mi sarei coperto il volto con le mani, se quelle non fossero già state impegnate a coprire altro. E lui, invece di distogliere lo sguardo, si fece più vicino. «A..allontanati!» La sfumatura della mia voce si era fatta stridula.

«Non credo che lo farò.» disse, mentre mi sollevava per le braccia. In qualche strano ed inspiegabile modo, mi ritrovai disteso sopra di lui, schiacciato contro il suo corpo. Fece scorrere le mani sulla mia schiena, impedendomi di rotolare via.

«Lasciami andare, zoticon...» Mi bloccai, sentendo le sue mani abbassarsi sulle mie natiche per palparle in tutta calma. «Do-dove tocchi?!» balbettai, ancora una volta con un tono stridulo, pieno di incredulità.

«Dovreste pur ringraziarmi in qualche modo, no?» disse, aprendo le labbra in uno dei suoi migliori sorrisi maliziosi.

«Ti ho già detto grazie!» ribattei, sentendomi andare perfino le orecchie in fiamme. E lui, che per disgrazia aveva una gamba fra le mie, l'alzò appena. In quel momento, provai una strana sensazione in mezzo al basso ventre.

«Ngh..

«Cosa ho appena sentito?» domandò Cyran, guardandomi con piacevole sorpresa e allo stesso tempo con un sorriso vagamente depravato. Per tutti gli dei. Non volevo crederci, ma ero stato proprio io.

«Niente!» lo rimbeccai, cercando di divincolarmi per allontanarmi dalla sua possente figura. Frapposi una mano fra me e lui, sul suo petto. Era liscio e abbronzato, e sotto il tatto i suoi muscoli sembravano fatti di marmo. Lui mosse nuovamente la gamba.

«Ah!» gemetti, senza riuscire a trattenermi. Il mercenario mi fissò nello stesso modo in cui si fissa qualcosa di molto buono sulla tavola e sorrise mettendo in mostra i denti.

«Allora è per questo.» Spostò appena la gamba. Gemetti un'altra volta.

«Smettila di muoverti e lasciami andare, farabutto!» sbottai, indignato, e soprattutto sul punto di morire per la vergogna.

«Dovrei lasciarvi a fare il bagno più spesso con dei mostri, se questo è il risultato.» esclamò, con un sorriso stampato su quel viso pieno di fascino e di malizia.

Un momento.

«Cosa significa?» iniziai. Riflettei meglio sulle sue parole. "Lasciarvi a fare il bagno con dei mostri". All'improvviso, capii l'inganno. «Tu sapevi che c'era un mostro sul fondo del lago?! Da prima che io entrassi in acqua?!» strillai, ma non mi servì alcuna risposta per capire che avevo ragione. Lui mi sorrise, abbassando le palpebre in un'occhiata colpevole e trionfante. «Razza di mascalzone! Si può sapere perché non me l'hai detto?!» Ancora sotto di me, alzò le spalle.

«Be', salvare un fanciullo in pericolo è più divertente che prevenire il pericolo stesso.» Rimasi a bocca spalancata e poi scossi la testa, allibito.

«Sei davvero... davvero...» Al castello mi avevano educato a non dire le parolacce, quindi mi contenni. «... una persona cattiva ed inqualificabile!» E mi alzai, perché questa volta fu lui a lasciarmi andare. Tuttavia, non appena mi rimisi in piedi, provai un dolore pulsante.

«Mi fanno male le gambe.» bofonchiai, abbassando lo sguardo su di esse. Quello che vidi mi lasciò di stucco: i polpacci erano costellati da tanti piccoli cerchi sanguinanti, molto simili a morsi, o segni di ventose.

«Per tutti gli dei... Quel dannato mostro.» Il mercenario si alzò in piedi e venne verso di me, sollevandomi per le braccia in modo da aiutandomi a reggermi in piedi. Mi infilai velocemente la camicia, che in parte riusciva a coprirmi le nudità e, nonostante la rabbia, mi lasciai sorreggere da Cyran. «Meglio se ritorniamo dagli altri.» disse, aiutandomi a camminare.

Sebbene zoppicassi, il tragitto verso il nostro improvvisato accampamento non fu lungo, anzi, sperai invano che durasse di più per cancellare dal viso le tracce dell'ultima umiliazione provata. Ma non appena arrivammo, un'altra visione ci lasciò di stucco: l'erborista e il mago che uscivano da un gruppo di alberi, trascinandosi dietro i nostri quattro cavalli.

Ed erano completamente, interamente, ricoperti di sangue.









  ❧❧ ❧❧❧❧ 

Un angolo allegramente compleannoso (?) 

Ciaone gente! 

Vi state chiedendo il perché del "compleannoso"? Be', oggi è il compleanno di mia sorella xD (non frega a nessuno, Char). 

Torniamo alle faccende serie. Solo una delle prime avversità è stata superata, siamo solo all'inizio *ridacchia strofinandosi le mani e dicendo con vocetta sinistra "e adagio adagio diventai malvaaaagio"*. I primi accenni dell'animo vagamente yandere del mago si fanno vedere... Che bella cosa c:

E basta, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Alla prossima! ^^

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