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34. Giù le maschere


André



Il peso dell'uccisione di Rhod mi colpì a fondo.

Non ero riuscito a fare niente: era già difficile sopportare ogni volta la vista della sua morte. Ma lasciare che fossero le mie mani a finirlo... Non ne ero stato in grado. Non avrei potuto sopportare l'onta orribile di quel gesto e il principe, il coraggioso e gentile Francis, aveva posto fine alla vita del ragazzo che amavo macchiandosi le mani di sangue per la prima volta. Il sangue di un suo amico.

Eppure, dentro ai suoi occhi non trovai il peso insostenibile del senso di colpa. Lo sguardo grigio temporale del futuro regnante di Akra brillava di determinazione, come se, perduta definitivamente l'innocenza, qualcosa dentro di lui si fosse risvegliato.

«Cazzo... Dobbiamo muoverci.» esclamò Cyran, mentre osservava l'inquietante magia compiersi sotto i nostri occhi: le ipotesi del principe erano parzialmente giuste. Il corpo di Rhod, dopo la morte, non guariva semplicemente. Era come se tornasse al suo stato originale.

Dalla fanghiglia delle sabbie mobili iniziarono ad emergere brandelli di carne, che volavano a tutta velocità verso le gambe recise di Rhod e si appiccicavano ai moncherini, iniziando a ricostruire gli arti centimetro dopo centimetro, in un processo piuttosto lento.

Altri ululati risuonarono feroci fra il folto, squarciando l'aria. Il mercenario sfoderò lo spadone, puntandolo davanti a sé con un'espressione tesa, come se immaginasse già tutte le mostruosità che ci avrebbero attaccato molto presto. Non potevamo ancora andarcene, non finché il corpo del mio mago non si rimetteva in sesto.

Francis rimestò dentro al suo zaino con le dita macchiate di sangue - il sangue di Rhod - alla ricerca di qualcosa, che si rivelò essere poi una bussola. Lo sentii farfugliare una preghiera agli Dei, mentre roteava su se stesso alla ricerca del nord, aspettando che l'ago si calibrasse. Invece, quello iniziò a girare come una trottola, senza virare su nessun punto cardinale. L'ago era impazzito, come se la bussola si fosse smagnetizzata. Ma il problema era il Caos che avevamo intorno.

Mettendo via l'oggetto, il principe s'inginocchiò al mio fianco e poi tolse il fermaglio a forma di camelia della principessa dalle dita rigide del brunetto, porgendomelo. «André, guardami, ti prego. Abbiamo bisogno di te, adesso

Presi un profondo respiro e voltai la testa nella sua direzione, guardandolo attraverso la vista offuscata e mezza cieca con una faccia atona, priva di inflessioni, di paura o disperazione. Solo distante.

Mi mise il fermaglio fra le mani. «Credi di poter usare lo stesso incantesimo di localizzazione di Rhod?» Non risposi, almeno non subito. «Pensi di... di potercela fare?» Mi guardò dritto negli occhi, sapendo bene che usare ancora la magia mi avrebbe indebolito ancora più di quanto fossi. Mi trascinavo a stento.

«Sbrigatevi! Stanno arrivando!» sibilò Cyran, davanti a noi per farci scudo. Le gambe di Rhod erano guarite fino ai talloni. Mancava solo metà del piede. Il bosco tutt'intorno a noi sussultava e ondeggiava, come se un'intera orda stesse arrivando e già a distanza facesse vibrare fauci e artigli.

Presi il fermaglio dalle dita del principe. «Posso provarci. Intanto, puliscigli la ferita sul collo.» Lo squarcio sulla gola sgozzata di Rhod si era quasi completamente richiuso e la maggior parte del sangue si era riassorbito dentro alla pelle, ma ne restava ancora un bel po' incollato vicino al colletto della casacca che indossava.

Mentre il fulvo se ne occupava io strinsi fra le dita il fermaglio, aspettano di sentire qualcosa, ma non successe niente. Come aveva fatto Rhod? Durante l'assemblea nel castello di Akra, prima della partenza, aveva semplicemente toccato quell'oggetto e stabilito che sentiva di poter arrivare alla principessa. Aveva recitato qualche formula nella mente? Si era focalizzato su una sensazione in particolare?

Aveva anni di esperienza magica alle spalle, mentre io avevo acquisito i miei poteri soltanto da poco e a malapena potevo usarli, visto che non volevo restarci secco prima di trovare la Lingua di Drago. E a proposito di quello: non avevo perso di vista l'obiettivo. Ma fino ad ora non avevo visto niente che somigliasse a quel caratteristico fiore dorato, dalla forma molto simile ad una stella alpina.

Distolsi quel pensiero dalla mente e tornai a concentrarmi sulla camelia di vetro soffiato. Era difficile riflettere quando gli ululati dei mostri risuonavano intorno a noi, Cyran imprecava rumorosamente e il cadavere di Rhod si faceva ricrescere le gambe, ma chiusi gli occhi e mi costrinsi ad allontanare ogni suono.

La principessa era l'obiettivo. Trovarla. Arrivare a lei.

Forse la chiave era proprio questa. Pensare che dovevamo semplicemente arrivare a lei. Immaginare un percorso nella mente, figurarmelo e crederci fino in fondo. Possiamo trovarla. Serrai con forza i lembi del fermaglio. Conducimi da lei.

Un nastro di luce azzurra si srotolò dalla camelia e serpeggiò nel sentiero punteggiato dagli alberi dietro di noi, perdendosi nella nebbia. Schiusi le labbra, sorpreso. In quell'istante, i piedi di Rhod si formarono fino alla punta dell'alluce. «E' guarito! Andiamo!»

Cyran si voltò, caricandosi sulle spalle il corpo senza vita del mago, mentre Francis estraeva lo spadino che non aveva pulito del tutto dal sangue e restava schizzato di rosso. «Seguitemi.» dissi, issandomi lo zaino in spalla per poi fare strada.

L'atmosfera era carica di tensione, di ansia malcelata, mentre sia il principe che il mercenario si guardavano intorno, uno a destra e l'altro a sinistra, sorvegliando la situazione.

«Ce la fate a correre?» chiese il corvino, che anche se aveva sulle spalle Rhod e in una mano lo spadone pesante, sembrava nel pieno delle sue forze. Francis respirava male, quasi quanto me, costantemente puntellato da un dolore profondo nelle membra e nella testa. L'unico occhio con cui riuscivo a guardare qualcosa si stava offuscando, ma non osavo perdere la concentrazione e rischiare che quel nastro di luce scomparisse.

Senza di me, eravamo persi in mezzo al Caos.

«Sì!» esclamò Francis, mentre io annuivo ed insieme affrettavamo il passo, stando attenti ad evitare tane, nidi, fossi e sabbie mobili. Un passo dopo l'altro, il sudore mi colava copiosamente lungo la schiena e mi incollava i vestiti al corpo. Un refolo di vento bollente strisciò sulla mia nuca e mi fece rabbrividire, mentre il dolore aumentava e io lasciavo che diventasse il prezzo della magia che stavo usando.

«Ce la fai?» sussurrò il principe, sorreggendomi quando si rese conto che le ginocchia mi stavano cedendo. Inghiottii a vuoto e continuai a camminare, senza rispondere, seguendo il nastro di magia mentre sfarfallavo le palpebre. Non cedere. Non ancora. Difficile dire quanto tempo fosse passato, il cielo sembrava non subire alcun cambiamento, grigiastro come se macchiato perennemente dal temporale, ma senza nuvole, un'unica lastra senza colore.

Forse erano passate un paio d'ore. Forse quattro. Mi facevano male le gambe, ma l'agonia era abitudinaria, una perenne compagna di viaggio. Potevo ancora farcela. Non osavo diventare un peso per nessuno, né potevo permettermi di distrarmi dai miei obiettivi principali: seguire il percorso magico, cercare con la coda dell'occhio la Lingua di Drago. Una parte di me continuava a gettare occhiate a Rhod, però, ma dalla schiena di Cyran non arrivava nessun cenno. Restava a ciondolare privo di vita.

«Non di qua!» esclamò il mercenario, ad un certo punto, proprio mentre prendevo un sentiero di rami bassi, col muschio sugli alberi che virava dal verde al viola. Ci fermammo di colpo.

«Perché?» chiese il principe, aggrottando la fronte, pur lieto di potersi fermare un attimo a riprendere fiato e rilassare le gambe. Cyran strinse le labbra in una smorfia, alzando le spalle dopo qualche secondo.

«Sesto senso...» borbottò alla fine, svogliatamente, come se fosse tutto qui il problema.

«La strada è questa. Non mi interessa il tuo sesto senso.» esclamai, il tono imperturbabile quanto perentorio. Mi strinse una mano sulla spalla, indirizzandomi uno sguardo eloquente.

«Ho detto non, questa, strada. Mi capisci o no?» scandì. «Ne troveremo un'altra.» tagliò corto, continuando a camminare per conto suo, evitando la zona dove puntava il filo di luce che partiva dal fermaglio e che potevo vedere soltanto io.

Cyran stava nascondendo qualcosa. Era evidente. Francis mi lanciò uno sguardo perplesso, chiedendomi tacitamente se avessi intuito cos'era preso al corvino. Io mi limitai a scuotere la testa e seguire la grande schiena dell'uomo, dove ciondolava il corpo di Rhod.

Dopo diversi metri, il percorso indicato dal nastro magico sembrò riformularsi, puntando verso una nuova direzione, come se, a seconda della nuova strada intrapresa, cambiassero anche le indicazioni di quella magia. Pur puntando sempre verso la stessa meta: la principessa, ovunque si trovasse.

Questo strano episodio si verificò altre due volte: io cercavo di prendere una strada, Cyran dissentiva e cambiava direzione. Quasi come se conoscesse il Regno del Caos. Poi, dopo interminabili ore di cammino passate ad evitare lo scontro diretto con i mostri, con i vestiti ormai zuppi di sudore e la testa che girava, successe qualcosa.

Il cielo divenne nero in un istante. Fu come se fossero state spente tutte le candele in una stanza con le finestre chiuse, in un sol colpo di vento, gettando le tenebre più assolute intorno a noi. Non c'era la luna, né le stelle: era un buio fitto e claustrofobico, come ritrovarsi chiusi in un barattolo, non certo come trovarsi di notte in mezzo al bosco.

«Tutti vicini a me, veloce!» esclamò il mercenario, mentre mi stringevo di schiena contro di lui.

«Cyran! Non ti trovo!» ansimò Francis, brancolando nel buio intorno a noi.

«Segui il suono della mia voce, sono proprio qui! Avanti!» continuò Cyran, mentre anche io tendevo le mani artigliando l'oscurità nella speranza di acciuffare Francis. Esalò un sospiro di sollievo quando immaginai avesse raggiunto Cyran: lo sentii contro la mia spalla. Eravamo tutti appiccicati fra di noi e la mia mano sudata incontro quella del principe, tenendola stretta, mentre lui a sua volta teneva il mercenario.

«Che sta succedendo?» domandai, camminando a piccoli passi, tutti insieme come un unico corpo.

«E' calata la notte.» sussurrò Cyran, la voce profonda che diventava più bassa per non inquinare il silenzio tombale che era tornato a gravare intorno a noi. «Possiamo accamparci per un poco, purché sia un tempo breve. Come noi siamo ciechi, lo saranno anche i mostri, ma possono ancora fiutarci. E cose ben peggiori si aggirano nel buio...»

«E tu come lo sai?» chiesi di nuovo, atono, eppure traspariva una nota di insinuazione bassa, appena percettibile. Sospetto, quasi. Come faceva a sapere cose simili?

Sbuffò. «Non è normale pensarlo? Anche dalle nostre parti, di notte, si aggirano i predatori peggiori.» Suonava come una scusa, ma ero troppo stanco e spossato per discuterne.

Uniti l'uno all'altro ci lasciammo cadere al suolo, appoggiati intorno al tronco nodoso di un albero: Cyran ci teneva la mano. «Cazzo, stare mano nella mano col fioraio... Speravo non accadesse mai.» borbottò, ma lo ignorai. Il solo fatto di potermi sedere fu un sollievo. Posai il fermaglio sulle ginocchia e, con la mano libera, cercai e tastai all'interno dello zaino, finché non trovai della carne secca, che masticai lentamente per assorbirne tutti i nutrienti.

«Dormite un po'. Resto io di guardia, se sento qualcosa vi stringo la mano.» avvisò il mercenario. Non me lo feci ripetere due volte, lasciando perdere Francis, che si stava ostinatamente impuntando per voler essere lui a fare la guardia, affinché Cyran potesse riposare. Mi bastò qualche secondo per cadere addormentato.

Al mio risveglio, la luce era tornata e il cielo era di nuovo grigio, segno che eravamo rimasti fermi molto più del previsto. «Rhod...?» chiamai, schiarendomi la voce impastata dal sonno, ma il maghetto era ancora rigido e privo di vita, accasciato vicino a Francis, che si stava stropicciando gli occhi.

Pochi minuti dopo eravamo di nuovo in marcia. Cyran aveva energia da vendere e non si fermava un attimo, ma il principe si massaggiava le gambe e respirava affannosamente, asciugandosi costantemente la fronte che grondava sudore. A differenza dei nostri viaggi nel bosco del Continente Meridionale, dove avevamo i cavalli e potevamo fare spesso piccole soste, accampati o nei villaggi, qui nei Regni del Caos le pause erano rare. E, anche in quei momenti, il riposo era sempre un pericolo.

«Non ce la faccio...» mugugnò Francis, dopo altre ore di cammino. A muovermi era la semplice forza di volontà, ormai. «Le anche... Non riesco a muovere le gambe.» ansimò, con la voce disperata, come se odiasse i limiti del suo corpo.

«Posso prendere in braccio anche te.» propose il mercenario, come se fosse instancabile, anche se non lo avevo visto né riposare, né bere o mangiare ancora. Il fulvo scosse la testa.

«No. Non voglio toglierti spazio di manovra, se dovessero attaccarci all'improvviso.» disse, senza poter nascondere la tensione, mentre si guardava intorno. La nebbia continuava ad essere fitta, una costante minaccia. Sarebbe bastato allontanarci di qualche passo l'uno dall'altro per perderci, e chissà cosa si nascondeva a pochi metri da noi. Il Caos giocava a nascondino con i nostri nervi. «Posso farcela.»

Presi un profondo respiro, che sibilò fra i denti digrignati, scacciando il dolore che mi punse i polmoni e si espanse nel petto, sulle spalle, lungo la spina dorsale. Potevo farcela anch'io, se tenevo duro. Non potevo mollare proprio adesso.

«Come va?» mi chiese poco dopo il principe, camminando a passi stentati e sofferenti al mio fianco. Mi limitai ad uno sbrigativo cenno del capo, come se anche parlare fosse una sofferenza, cercando di liquidare quella domanda scomoda. Non andava bene, ma finché Rhod non si risvegliava, tutta la missione dipendeva da me. Non mi sarei permesso di perdere i sensi: fermarci in mezzo alla selva ci avrebbe messo in pericolo. Ma soprattutto, non volevo perdere di vista il mondo circostante, da qualche parte si nascondeva la Lingua di Drago.

Non osavo cedere all'idea che per tutti questi anni avessi creduto ad una semplice leggenda. Significava aver sperato invano in un'idea stupida, in una fantasia per bambini. No, quel fiore mitologico esisteva davvero ed era da qualche parte nei Regni del Caos. Doveva essere così.

Passarono altri giorni: brevissime soste, pasti frugali e percorsi interrotti dai consigli di Cyran. Tutto si susseguì con lentezza, mentre io e il principe rallentavamo notevolmente il passo, provati dall'aria torrida e rarefatta e stremati dalla fatica. Insetti invisibili ci punzecchiavano diffondendo la pelle di bolle e a volte il vento sembrava diventare tossico, perciò correvamo al riparo e riprendevamo il percorso tracciato dal nastro magico che si srotolava dal fermaglio.

Sembrava un nuovo tipo di Inferno: un viaggio al limite della sopportazione, destinato a non finire mai.

Poi, però, Rhod iniziò a dare segni di vita. Impossibile definire quanto tempo fosse passato, eppure iniziò a mugugnare qualcosa su farfalle e mosche, prima di aprire gli occhi di scatto e drizzarsi dalla schiena di Cyran. Francis lo travolse in un abbraccio pieno di commozione, sollevato dal fatto di non averlo ucciso in via definitiva e il mio maghetto si lasciò travolgere, ancora stordito, mentre io lo fissavo con uno sguardo che pareva assente ma che, in verità, era pieno di amore e di sollievo.

Il mercenario gli stropicciò i capelli in una manata svogliata, borbottando qualcosa sul fatto che finalmente non dovesse più portarselo sulla schiena, mentre io mi avvicinavo a lui. Mi prese le mani e io gliele strinsi con ritrovata forza.

«Mi dispiace.» sussurrai, con un fil di voce. «Di non essere riuscito a porre fine alle tue sofferenze.» Dovevo essere io a farlo, non Francis. Mi ero comportato da codardo, ma l'idea di uccidere il ragazzo che amavo con le mie stesse mani mi faceva rivoltare lo stomaco almeno quanto il ricordo di mio padre - un uomo che si supponeva dovesse amarmi - che mi torturava per anni.

Rhod scosse dolcemente la testa, appoggiando la guancia sul mio petto, l'orecchio vicino al cuore. Non disse niente, non servì. Seppi semplicemente che a lui non importava: gli avevo stretto la mano mentre aveva spirato, non lasciandolo solo al momento della morte. Era quello che voleva, quello che si aspettava da me.

Si alzò in punta di piedi, sfiorandomi le labbra con un bacio gentile, i grandi occhi blu che luccicavano di magia maltrattenuta e le sue due treccine che mi solleticavano la mascella. Curvai il viso verso il basso, in modo da far aderire meglio le nostre bocche, mentre il dolore arretrava lasciando il posto all'emozione che mi saliva dentro al petto.

«Okay, tutto molto bello e commovente, ma diamoci una mossa.» sbuffò Cyran, grattandosi una chiappa che gli era appena stata punta da un insetto, mentre Francis ci osservava di sottecchi con un leggero rossore sulle guance.

«S-s-stai be-bene?» balbettò il mago, prendendo il fermaglio dalle mie mani per sollevarmi dall'incarico oneroso di fare da bussola al posto suo.

«Ora sì.» ammisi con serietà, accarezzandogli il volto con la punta delle dita per un breve istante, prima di raddrizzarmi, sistemarmi meglio lo zaino sulle spalle e tirare dritto verso il percorso, tenendolo mano nella mano.

Sebbene fosse Rhod a guidarci, adesso riuscivo a vedere anche io quella scia magica. Man mano che andavamo avanti, percepivo nel ragazzo al mio fianco l'angoscia che saliva. Gli strinsi le dita, cercando di essere rassicurante, benché fossi incapace di reggermi in piedi: ero l'ultimo che poteva offrire rassicurazioni a qualcuno, sembravo poter crollare da un momento all'altro. Eppure, il mago ricambiò la stretta, che tremò leggermente contro la mia pelle.

«Oh cielo...» esclamò Francis, poco dopo, quando gli alberi si diradarono per far spazio ad un paesaggio bianco, immenso, che scendeva fino a valle e poi risaliva verso il lontano ingresso di una caverna.

Sembrava neve, ma ad un'occhiata più attenta ci si rendeva conto che la valle era fatta di ossa. Ossa lucide e candide, come se qualcuno le avesse spolpate e leccate fino a farle risplendere. Un brivido acuto mi salì dalla punta dei piedi a quella dei capelli, tramutandosi rapidamente in repulsione. Tutto il mio essere mi diceva che non dovevo essere lì. Che sarebbe successo qualcosa di brutto.

«N-n-non m-mi pia-piace.» balbettò Rhod, mentre Francis si strofinava le braccia per scacciare i brividi che anche lui doveva aver avuto. Cyran, invece, guardava l'orizzonte con un'espressione impietosa e determinata. Fissando intensamente la caverna a centinaia di metri di distanza. Speravo potessimo aggirarla, piuttosto che entrarci.

«Rhod, dobbiamo proseguire, vero?» chiese il mercenario, lanciando un'occhiata al fermaglio della principessa. L'interpellato tremò un momento prima di annuire, con gli occhi bassi.

L'aria era diventata ancor più irrespirabile rispetto a prima: dovevamo inalare a bocca spalancata, molto lentamente oppure molto in fretta, cercando di pompare abbastanza ossigeno. Era sfiancante e i banchi di nebbia coprivano ogni cosa a parte la grotta, un unico punto di riferimento. Ogni passo contro al tappeto d'ossa scricchiolava in maniera sinistra e il suono dei teschi e dei femori che si spezzavano sotto agli stivali rimbombavano nell'eco.

Avevamo fatto parecchi metri, quando scelsi di intervenire. «Dobbiamo aggirare la caverna! Non sappiamo se abbia un'uscita dall'altro lato ed è meglio proseguire nella foresta.»

«No.» sussurrò Cyran, alle pendici della grotta. «E' un cancello magico, come Scilla e Cariddi. Anche se cerchiamo di girarci attorno, ce lo ritroveremo sempre davanti. Divide la parte sud dalla parte nord dell'isola. Non possiamo evitarlo.» rispose, mentre negli occhi dei compagni di viaggio intorno a noi si affollavano le domande.

«Come fai a saperlo? Dove hai letto queste cose?» espirò rumorosamente Francis al posto mio.

«Immagino che lo scoprirete presto.» replicò l'altro, criptico, prima di fare qualche passo e solcare l'ingresso buio della caverna. Ci guardammo l'un l'altro con confusione, prima di seguirlo in tutta fretta quando un'enorme pietra cominciò a rotolare per chiudere l'accesso. Quando fummo tutti dentro, l'entrata si sigillò alle nostre spalle, togliendoci la possibilità di ritornare indietro.


❧❧

Rhod


«Ma che razza di grottesca caverna è questa?» ansimò Francis, girando su se stesso per guardarsi intorno. 

L'impressione era di ritrovarsi all'interno di un cranio gigantesco, estremamente inquietante e realistico. Le pareti di osso bianco, simile ad avorio, erano incise con graffiti e bassorilievi che raffiguravano scene cruente di rituali e sacrifici.

Mi avvicinai per studiare meglio un'incisione. Con una perfezione inquietante, era stato disegnato un bellissimo uomo su un trono. Nella scena successiva, quello stesso sovrano spalancava la bocca e la mascella si tendeva fino a toccare il pavimento, inghiottendo in un sol boccone le persone incatenate in fila davanti a lui.

Inghiottii a vuoto, indietreggiando spaventato. Chiunque fosse vissuto nel Regno del Caos, chissà quanti secoli - o millenni - prima, doveva aver passato le pene dell'Inferno.

«Li sentite anche voi?» sussurrò André, assottigliando gli occhi verdi. Ci feci caso solo in quel momento: la grotta era piena di bisbiglii e sibili inquietanti, come se qualcosa mormorasse parole in una lingua sconosciuta da dentro all'oscurità. Annuii, con una stretta allo stomaco dovuta all'inquietudine. Avrei preferito tapparmi le orecchie.

«Ah, ecco l'uscita!» Francis indicò l'altro lato della caverna, dove un arco roccioso si spalancava per mostrare l'altro capo della foresta. Fra noi e l'uscita si spalancava un grosso crepaccio, largo metri, troppi per poterli saltare con un balzo prendendo la rincorsa. «Possiamo volare dall'altro lato, no?»

Troppo facile. Ci avevo pensato già, al volo, ma sembrava davvero troppo facile.

Cyran stava fermo sull'orlo del baratro e guardava giù, nell'abisso buio, con le iridi arancio che vorticavano come fiamme vive. Mi avvicinai a lui, a passo lento, ma gli occhi fissi sull'altro lato della grotta. Mi resi conto soltanto adesso che, nella parete appena sopra l'uscita, vi era incisa un'epigrafe a lettere cubitali.

"Per superare la morte bisogna aprire il proprio cuore"

Mi morsi il labbro inferiore. «Che significa?» sussurrò Francis, notando anche lui la scritta, meditabondo.

«Sapete che, secondo alcune leggende, questo crepaccio è una porta per l'Oltretomba?» sussurrò il mercenario, ad un certo punto, smuovendo qualche detrito di terra sul ciglio dell'abisso. Un sassolino cadde nel buio, precipitò, si fece inglobare dall'oscurità e non si sentì il rumore della caduta. Nella fitta oscurità in fondo, ebbi l'impressione di vedere qualcosa muoversi, un volto agitarsi, lamentarsi, urlare. Indietreggiai di colpo, agghiacciato.

Di nuovo, Cyran raccolse un sasso dal pavimento e cercò di lanciarlo dall'altro lato della grotta, verso l'uscita. Eppure, mentre la pietra faceva il suo percorso ad arco per raggiungere l'altro lato, semplicemente venne attratta da un'invisibile forza magnetica verso il basso. Giù, dritto nel baratro.

«Ecco cosa ci accadrebbe se cercassimo di sorvolare l'abisso. Non raggiungeremmo l'altro lato. Verremmo semplicemente risucchiati dentro al baratro.» ammise, incrociando le braccia sul petto villoso. Deglutii il groppo che mi si era annodato in gola.

«Quindi che dobbiamo fare?» chiese André, pragmatico come al solito.

«Per superare la morte...» Cyran indicò l'abisso, il presunto ingresso dell'Oltretomba, come aveva raccontato. «... bisogna aprire il proprio cuore.» Aveva appena citato l'iscrizione sull'uscita, mi resi conto.

«E' una metafora un po' strana.» sentenziò Francis, facendo un passo avanti. «Aprire il cuore a qualcuno non significa forse confidarsi? Non vedo come la cosa possa esserci d'aiuto.»

«Esatto. Questa è la Grotta dei Segreti. Se vogliamo andare avanti, è arrivato il momento di svelare tutto quello che ci teniamo dentro, una volta per tutte.» Storse le labbra, scompigliando la chioma corvina con una manata per ingarbugliarla più del solito. «Non piace neanche a me.»

«P-perché... di-di-dire i n-n-nostri se-segreti può fa-farci a-a-arrivare-re da-dal-l'altro la-lato?» biascicai, fingendomi perplesso mentre l'angoscia e l'agitazione mi sopraffacevano all'improvviso, facendomi balbettare più del solito. Forse avevano scoperto cosa nascondevo loro? Era un escamotage per farmelo dire ad alta voce? Perché ammettessi quello che sapevo sulla principessa?

No, non era possibile.

«Più siamo sinceri, più alte sono le probabilità di arrivare dall'altro lato.» continuò Cyran, guardandoci negli occhi per cercare di essere convincente. «Vi prego, per una volta tanto, fidatevi di me.»

«E' da quando è apparso il finto Marshall che stai nascondendo qualcosa.» intervenne Francis, con il tono piccato e i pugni stretti. Sentivo di essermi perso qualcosa di fondamentale mentre ero morto, ma ricordavo le reazioni evasive del mercenario quando eravamo in quello strano mondo parallelo. Il modo che aveva di nascondere qualcosa risultava perfino più impacciato del mio.

Io, almeno, zittivo i miei segreti fino a farli scomparire perfino dentro alla mia testa. Se ci credevo fino in fondo, diventavano assurdi perfino per me, assumendo la semplice connotazione di sogni strani. Sì, soltanto sogni, erano soltanto sogni. Non segreti.

«Quindi non chiedermi di fidarmi di te, Cyran, perché mi sta risultando molto difficile.» continuò il principe, in un sibilo testardo, fissando l'altro. Era davvero assurdo vedere quell'omaccione altissimo farsi piccolo, mentre stringeva le spalle e assottigliava le labbra come se avesse ingoiato un rospo.

«Però, se diciamo la verità... Arriveremo dall'altro lato?» intervenne André, che aveva riflettuto in silenzio fino ad ora. La sua espressione non rivelava nessuna angoscia, nessuna reticenza. Era illeggibile come sempre, sebbene avessi la strana impressione che fosse calata sul suo volto una calma sorprendente. Una pace, quasi. Come se aspettasse questo momento da molto.

«In teoria, sì.» mormorò il corvino, avvicinandosi al principe per prendergli una mano, con lo sguardo di chi pretendeva di essere perdonato per tutti quei segreti silenziosi.

«Allora inizio i-» riprese il mio bell'erborista.

«No!» interruppe Francis, facendo un passo avanti. «Voglio dire...» Si mordicchiò il labbro inferiore, mentre un pizzico di rossore gli pungeva le gote. Fra André e il principe passarò un'intera conversazione silenziosa, fatta di sguardi, di cose che sapevano solo loro, di cose in cui io non ero compreso. Sentii la morsa gelida della gelosia avvinghiarmi il cuore, mentre ritornavano alla memoria tutti i momenti fra quei due.

Quando avevano condiviso i corpi, per esempio. Si erano appartati e non avevo mai saputo cosa si fossero detti. Oppure, quando Cyran era stato pugnalato e il principe aggredito. Chissà quante altre volte avevano parlato, mentre io ero svenuto, ero morto... Deglutii, cercando di calmare quella collera oscura che ribolliva nei recessi della mia anima e aspettava davvero poco per scattare.

Non farlo. Non scattare, mi dissi.

«Voglio dire! Posso iniziare io!» trillò Francis, tutto rosso per l'agitazione, ma André scosse il capo, gli occhi socchiusi e una mano tesa per farlo stare buono. Cosa dovevano rivelare? Qual era il loro mistero condiviso? Avevano forse una relazione segreta di cui io non sapevo niente?

Stai calmo, stai calmo, stai calmo.

«No. Va bene così.» sussurrò l'erborista.

«Ma André... Non devi esserne costretto...» supplicò il principe, mentre il mio nervosismo si accentuava.

«E' tempo di togliersi la maschera e dire la verità a tutti.» chiuse la questione e serrò le palpebre. «Soprattutto a Rhod.» Squittii un verso di paura, ma non osai interromperlo. A malapena respiravo, ma tutta la mia attenzione era concentrata sull'uomo che amavo. «Non ho mai conosciuto i miei genitori. Sono stato in un orfanotrofio dalla mia nascita e poi sono stato adottato. Mio padre era un medico.» Aprì gli occhi di scatto e mi fissò. «Aveva adottato molti altri bambini per costruire una grande famiglia in una fattoria.»

Non capivo dove volesse arrivare, ma continuai ad ascoltare. In fondo, non mi aveva mai raccontato la sua storia ed ero lieto di poterla sapere, finalmente. «Non era un bravo genitore, né una brava persona. Era malvagio. Faceva esperimenti sui bambini.» Sui suoi begli occhi verdi passò un'ombra oscura, un dolore latente che se gli altri potevano non aver scorto, a me fu chiaro come la luna. «E' stato lui a fare del mio corpo tutto ciò che vedi, Rhod.»

Aggrottai la fronte, cercando di trattenere il dolore, le lacrime o la furia. Se avessi mai incontrato quell'uomo, gli avrei restituito ciò che aveva fatto ad André per cento volte. Anzi, per mille.

«Però sono riuscito a scappare da lui. E' morto.» Scoprirlo fu una delusione e una soddisfazione al contempo: avrei voluto farlo a pezzi con le mie mani, ma se era morto, almeno non avrebbe più potuto fare del male a nessuno e André non avrebbe vissuto nella paura di rivederlo. «Ma, nella mia fuga, ho ucciso tutti i miei fratelli. Tutti quanti. Non è sopravvissuto nessuno... Ed è colpa mia.»

Cyran era a bocca aperta, come sconvolto dal fatto che lui e il biondo avessero così tanto in comune. Francis fissava a terra, tristemente. André era inflessibile e granitico come una statua. «Hai fa-fatto que-quello c-c-che do-dovevi.» mi limitai a dire. Non l'avrei mai incolpato per com'erano andate le cose. Io avrei fatto di peggio, in realtà.

Il mercenario si voltò verso l'abisso, alzando un sopracciglio. «Non sta succedendo niente. C'è qualcos'altro.» Qualcosa che André non aveva ancora detto, qualcosa che stava volutamente tacendo. Francis si agitò visibilmente. Mi agitai anche io, giocherellando con le dita delle mani in cerca di una pace che non avrei trovato, non oggi.

«La verità è che, qualsiasi cosa io abbia fatto a mio padre, è troppo tardi.» soffiò André. Inaspettatamente, sembrò che gli mancasse la voce, che il suo leggendario autocontrollo venisse meno. Guardava con fissità il baratro e il suo volto si fece vuoto, vacuo, come il guscio di un'ostrica senza frutto né perla.

«Che vuol dire...?» Sentivo che il mio mondo stava per precipitare. Che qualsiasi cosa avesse detto dopo, avrebbe potuto farmi morire. André scosse la testa, stringendo le labbra. «Dimmelo.» ansimai, pieno di paura. Paura e gelo. Oscurità e ansia.

«Che sono pieno di veleno. Prima di partire, ho fatto molte visite mediche. Tutti i dottori hanno detto che mi restavano circa sei mesi di vita.» Il mio cuore perse qualche battito. La terra sotto ai piedi vacillò, mentre la testa faceva i calcoli e realizzava che... «Sei mesi sono già passati, però. Potrei morire in qualsiasi momento, anche domani.»

Il mondo iniziò a vorticare, o forse era la mia anima che era appena stata scossa come un terremoto. Strappata e poi rimessa violentemente al suo posto. Crollai ginocchia a terra, soffocando a stento un singhiozzo.

Potrei morire in qualsiasi momento.

Anche domani.

«Non è vero...» sussurrai, stringendomi una mano sul petto, lì dove il cuore faceva male. «Non è vero, dimmi che non è vero!» Non mi accorsi nemmeno che stavo piangendo, che stavo supplicando. Il dolore stava aumentando. Forse sarei morto di crepacuore. Non mi era mai accaduto prima d'ora, ma lo credevo possibile, per la prima volta.

Anche domani.

André non rispondeva. «DIMMI CHE NON E' VERO!» gridai, con le vene sul collo che si tendevano fino allo spasmo e la magia che scoppiettava intorno a me, man mano che quella consapevolezza continuava, si ingigantiva, mi sopraffaceva. André sarebbe morto. L'unica persona di cui mi importava qualcosa al mondo. «Dimmelo... Dimmelo, per favore...» singhiozzai, nascondendo la faccia fra le mani, mentre sentivo delle braccia avvolgermi e stringermi.

Picchiai i pugni contro il suo petto, arrabbiato e disperato. «Ma forse c'è ancora una speranza.» sussurrò, vicino al mio orecchio, in un tono basso e gentile. Drizzai la testa per guardarlo negli occhi. Stava piangendo anche lui. «La Lingua di Drago, la panacea di tutti i mali. E' solo una leggenda, sì, ma si dice che quel fiore cresca nei Regno del Caos. E' per questo che mi sono unito alla ricerca della principessa, era l'unico modo.» Tirai su col naso, senza riuscire a calmare i singhiozzi, non del tutto. «Se riuscissi a trovare il fiore, sarei salvo.»

Mi avvinghiai con le braccia intorno alla sua schiena. «Allora lo troveremo. Lo troveremo. Non mi interessa cosa dovremo fare per averlo.» esclamai, appoggiando il viso alla sua spalla.

Sarei rimasto così in eterno, ma quando la caverna tremò su se stessa ci separammo per scattare in piedi. Sotto i nostri occhi sorpresi, una zolla di terra si sollevò dall'abisso creando l'inizio di un ponte roccioso, sospeso nel vuoto. Non era ancora abbastanza per raggiungere l'altro lato, però era già un successo.

«Ha funzionato...» sussurrò André, mentre mi avvolgeva le spalle con un braccio ed io infilavo la testa sotto il suo, circondandogli la vita con le braccia. Non lo avrei lasciato morire. Né domani, né mai.

«D'accordo.» Cyran si schiarì la voce, fingendo un tono scanzonato, come se ora fosse tutto a posto. «Chi è il prossimo ad offrirsi volontario?» domandò, col suo sorrisetto da gradasso, che era tipico di lui. Nella caverna calò il silenzio. Io mi irrigidì contro al corpo dell'erborista, cercando di sparire fra le sue braccia, tremando sia per le forti emozioni provate, sia per l'angoscia di quello che sarei stato costretto a rivelare.

Che parlassero gli altri! Io non avevo intenzione di dire nulla.

«E va bene...» Francis fece un passo avanti, pur tenendo la testa bassa. «Visto che André ha avuto il coraggio di farlo...» Deglutì così forte che si sentì il gulp provocato dalla sua gola.

«Ti ascoltiamo, principino.» incalzò Cyran, appoggiandosi le mani sui fianchi, la posa più rilassata, ritenendo che non potesse essere tanto peggio rispetto a ciò che aveva rivelato l'erborista.

Il fulvo prese un profondo respiro, iniziando a camminare avanti ed indietro nella caverna: i suoi passi rimbombavano rumorosamente nel silenzio. «La verità è che...» Espirò, inspirò. E ancora, e ancora. Si passò le mani fra i morbidi ricci color caramello, si allisciò il farsetto consumato per l'usura, sporco di sangue e terra e si accarezzò i bottoncini di madreperla al centro del petto. «La verità... Ecco...» 

Potei vedere le sue labbra fare il conto alla rovescia. Uno, due, tre. «Che non la voglio trovare.» E poi, le sue parole uscirono come un fiume in piena. «Una parte di me sì, perché so che quello che le è successo è terribile ed ingiusto, ma ho sempre sperato di non trovare mai la principessa. Ogni volta che si verificava un fallimento, ogni volta che le guardie di Akra facevano un buco nell'acqua, sentivo un sollievo enorme.» Gli si fecero gli occhi lucidi. «So che è una cosa orribile da parte mia, perché lei mi amava. Ed è questo il punto. Io non la amo, non la amerò mai. Se la troveremo, anche se sarò felice di aver riavuto indietro un'amica, so che sarò costretto a sposarla.»

Lo stavamo guardando tutti e nessuno osava interromperlo, né lui riusciva più a fermarsi, nemmeno per respirare. «E io non voglio, non posso sposarla. Dei, perfino quando è stata rapita, una piccola parte di me era sollevata! Sono una persona disgustosa... Ma ora più che mai sento di non poterla trovare. Anche se è la cosa giusta da fare.» Si asciugò le lacrime che gli rigavano copiosamente le guance. «Perché adesso...» I suoi occhi si fermarono sul mercenario. «Adesso amo lui. Totalmente. Perdutamente.»

Ma non lo disse con un'espressione felice, piuttosto come se fosse una disgrazia. Io non ne fui sorpreso. A giudicare dalla faccia di André, nemmeno lui lo era. Pareva che l'unico ad essere preso in contropiede fosse proprio il diretto interessato, che aveva un'espressione da pesce lesso. Era logico. Il rozzo e buzzurro Cyran Rouge non ci capiva un accidenti di amore.

Francis sospirò, senza guardarlo in faccia. «Ma troverò Aeline lo stesso. E' il mio dovere come futuro Re di Gilerines ed Akra. Farò sempre quello che devo per la mia famiglia.» A quel punto, un'altra zolla di terra si sollevò dall'abisso, allungando il ponte, che si trovava circa a metà del baratro. Mancavamo solo io e Cyran.

Alla luce di ciò che aveva appena svelato Francis, forse... Forse potevo dire ciò che nascondevo senza che nessuno mi saltasse alla gola. Ma avevo lo stesso una paura matta. Perché non lo avevo detto prima? Credevo che fosse un sogno, o una semplice follia. Forse ero pazzo, forse la magia mi stava facendo brutti scherzi. Avevo paura che quell'orrenda creatura di falene me la facesse pagare.

C'erano molti motivi e, al tempo stesso, nessuno che fosse davvero valido. Ad un certo punto, quella bugia silenziosa si era protratta a lungo e il tempo mi era sfuggito di mano. Una disavventura dopo l'altra, non sembrava mai il momento giusto per parlarne.

«Allooora Abracadabra! Tocca a te!» esclamò Cyran, che si era fatto molto vicino a Francis, non osando dirgli nulla, eppure percependo vividamente il realismo di quella dichiarazione. Gli lanciai uno sguardo torvo.

«P-p-prima tu! Hai t-t-tanto a c-cui ri-rispondere!» balbettai, rigirando la frittata.

«Rhod ha ragione.» fu André a dirlo e io gli rivolsi un adorante sguardo di gratitudine. Francis rimase zitto, ancora profondamente turbato da tutto ciò che ci aveva detto.

«Cazzo...» Cyran sbuffò, schioccò la lingua contro al palato e calciò un altro sasso, che con un rumore assordante balzò sul pavimento roccioso fino a sparire dentro alla voragine che ci separava dall'uscita. «Oh, fanculo. Va bene. Tanto dovrò farlo comunque.» Scrocchiò le dita della mano, una alla volta, alzando gli occhi verso il soffitto per capire da dove incominciare. «Anzi no. Sapete cosa? Non dico niente! A questo gioco del cazzo non ci sto. CAPITO CAOS? NON CI STO!»

Il principe alzò gli occhi al cielo. «Ora tu parli, esattamente come abbiamo fatto io e André!» gli ringhiò contro, strattonandolo per la cotta di maglia che l'altro indossava. Cyran fece di nuovo quell'espressione che esibiva quando veniva messo alle strette.

«Che siano maledetti gli Dei...» sospirò. E imprecò ancora un poco, prima di decidersi a vuotare il sacco. «Non sono umano. Mi sa che lo avete capito tutti questo.» Emise una risatina nervosa. «Ricordi quando ti ho detto che non sapevo cosa fossi?» squadrò Francis, che annuì una sola volta. «Stavo mentendo. Io non sono niente di buono. Perché proprio niente di buono nasce da questo posto del cazzo.»

Battei le palpebre molto lentamente. «Eh?» sussurrò Francis, al mio posto.

«Sono nato nei Regni del Caos.» Silenzio. Ci guardammo, sgomenti. Quello sì che era scioccante... E iniziava a spiegare molte cose. «Ecco perché mi sono unito a quest'impresa. Volevo redimermi per tutte le morti causate in guerra e sapevo che, se c'era un posto dove un vero mostro avrebbe portato la principessa, sarebbe stato il Caos. Che io conosco bene. Non c'era nessun altro migliore di me per l'impresa.»

«Ma... ma che vuol dire che sei nato qui? Tua madre ha partorito su queste coste...?» farfugliò il principe, stravolto dalla sorpresa.

Cyran sbuffò una risata amara. «Francis, io non ho una madre.» Il fulvo aggrottò la fronte, ancora più confuso, mentre i miei sospetti su Cyran diventavano sempre più realistici, sempre più fondati, man mano che svelava la verità. «Sono stato creato. Plasmato dal fuoco. L'avete già incontrato il mio creatore, che si diverte a farsi chiamare padre anche se non lo è affatto.»

«Marshall. Il mago.» intuì André, accarezzandosi la mascella con le dita, un micro movimento che manifestava la sua sorpresa e che potevo capire soltanto io.

«Non è un mago.» borbottò Cyran.

"Ma... se il mercenario non è un mago, allora, che cos'è? Chi è in grado di creare fiamme dal nulla?" Mi aveva chiesto André, dopo essermi ripreso dalla battaglia contro gli orchi, quella in cui Cyran aveva dato fuoco a tutto il villaggio e io avevo salvato gli abitanti ricoprendoli con una barriera protettiva intorno al corpo, simile ad un secondo strato di pelle. Sapevo che quella volta il mercenario aveva generato fiamme dal nulla, violando ogni legge della magia che conoscessi.

"Io... ho qualche idea. Ma... ma spero di sbagliarmi." Avevo risposto. Perché, nel caso in cui non avessi avuto torto, significava che ci doveva essere per forza una ragione... divina.

«E' il Dio del fuoco.» esclamò alla fine il corvino. «Gli Dei sono capricciosi. Fanno quello che cazzo vogliono quando vogliono e lui voleva un successore. Tsk. Mi ha creato qui e mi ha cresciuto in questo posto di merda convinto che potesse servirmi come allenamento. Però poi ho incontrato dei pirati che erano naufragati su queste coste e, aiutandoli a sopravvivere, ho scoperto che esisteva un mondo pieno di persone e non di mostri.» Scrollò le spalle.

«Quindi sono scappato. Mio "padre"» enfatizzò particolarmente sulla parola «mi lasciò andare, convinto che me ne sarei pentito, perché diceva che gli umani erano cosine deboli in confronto a noi. Non lo sapevo mica che continuava a seguirmi segretamente. Ma avrei dovuto immaginarlo. Molte volte mi si avvicinavano tipi strani che sembravano conoscermi... Adesso che ci penso, deve essere sempre stato lui. Probabilmente, giorni fa ci ha scacciato dalle coste del Caos perché era preoccupato. Quell'idiota ci tiene al suo involucro-successore.» sbuffò.

Francis, che si stava trattenendo per tutto il racconto, finalmente parlò. O meglio, urlò: «CYRAN!» Sgranò gli occhi, stringendo i pugni. «Tu sei un SEMIDIO!»

Sentirlo strillare così impunemente, all'improvviso, lasciò nuovamente basiti tutti quanti. Il mercenario scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. «Sono solo definizioni! Sono un mostro, piuttosto! Il suo mostro.» Sviò lo sguardo color lava, così scintillante - così divino e poco umano - e non ricambiò i nostri sguardi, proprio mentre un altro pezzo del ponte si costruiva sopra al baratro buio.

«Tu non sei un mostro.» sussurrò il fulvo, rivolgendo all'uomo che amava un flebile sorriso, sebbene Cyran non ricambiasse lo sguardo.

Ormai mancava solo un ultimo segreto. Mancavo solo io.

Spostai il peso del corpo da uno stivale all'altro, spaventato, stritolando la mano di André che ancora mi stringeva a sé. Forse potevamo ancora saltare: in fondo, fra il ponte che si era creato e l'altro lato del baratro c'era un metro e mezzo di spazio. O forse, durante il salto, i nostri corpi sarebbero stati risucchiati nel vuoto oscuro che bisbigliava e sussurrava come una creatura viva, reclamandoci. Non avevo scelta, lo sapevo anche io.

«Ho c-c-cercato... di... di dirlo...» ciangottai, deglutendo, mentre iniziavo a sudare copiosamente. «M-ma non e-era ma-mai il m-m-momento giu-giusto.»

«Rhod, calmo. Prendi un bel respiro e non preoccuparti. Noi ti ascoltiamo.» mi rassicurò André, accarezzandomi la corta chioma castana, scivolando sulle due treccine che mi cadevano contro le tempie.

Sperai soltanto che non smettesse di guardarmi in quella maniera - come se fossi la cosa migliore della sua vita - dopo aver scoperto la verità.

«E' la p-p-principessa...» ansimai, sentendo lacrime di amarezza e pentimento risalire sugli occhi, affollandomi il campo visivo. Francis drizzò le spalle, Cyran aggrottò la fronte, André inclinò leggermente il capo. «Se le m-m-mie visioni s-sono v-v-vere...» Trattenni il respiro.

«... E'  morta.» Poi chiusi gli occhi e aspettai che la loro furia mi colpisse. 

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