32. Just the two of us
Cyran
Mi ci volle un bel po' di tempo per realizzare la portata dell'enorme vaffanculo che mi stava salendo da dentro.
All'inizio, ero solo convinto di essere in taverna.
E questa sì che era la più grande sbronza del secolo. Non dovevo aver bevuto solo qualche boccale di birra, né mischiato con un po' di idromele, che dopotutto non faceva mai male. Dovevo aver come minimo svuotato le totali riserve di alcol di una città intera ed essere finito a sventolare i miei calzoni in aria, in equilibrio precario su un tavolo, leccando sudore dalle tette di una cameriera.
Cosa che era già successa una volta, appunto durante una delle mie peggiori sbronze. Bizzarro che riuscissi ancora a ricordarlo!
Insomma, quando mi ubriacavo fino al punto da dimenticare che anche un tipo come me aveva una dignità, succedevano strane cose. Iniziavo a vivere dentro a fantasie talmente colorite che non riuscivo nemmeno a raccontarle. Perciò, tutto quello che era appena successo doveva essere per forza un trip, di cui l'ebbrezza era la prima colpevole.
Perché poi pensavo di essere in taverna? Molto semplice.
Quella cacchio di musica non la finiva un attimo con la lagna. Avrei volentieri strangolato il menestrello appendendolo per le mutande solo per costringerlo a cambiare canzone. Ma poi, dove diavolo era il menestrello?
Mi guardai intorno e vidi solo una calca di gente sudata e vestita in modo strano che saltava, si sbracciava e si strusciava come se ne andasse della loro vita. Niente palco. Niente stronzetto col suo liuto da spezzare in due. E comunque, era davvero un liuto quello che stava suonando? Parevano strumenti mai uditi prima. Ecco perché dovevo essere ubriaco.
E avevo altri ottimi motivi. Per esempio: quel bastardo del maghetto aveva provato ad ammazzarmi. Me lo ero sognato? Poteva essere mai possibile?
Ma soprattutto, perché quel dannato con la mia faccia si faceva vedere proprio adesso? Fra tutti i momenti, aveva selezionato il più inopportuno. Aveva senso che fosse lì, nei Regni del Caos, lo sapevo bene. Eppure una parte di me non voleva accettarlo. Non poteva aver finto di essere Marshall per tutto quel tempo ed avermi ingannato così abilmente. Non poteva essere lui. Perciò, si trattava per forza del peggiore svarione mentale di tutti i tempi.
Dovevo ricordarmi di non andarci giù pesante col rum, per la miseria! Le mie botte pazzesche venivano soprattutto dal rum. Dannato rum.
Sfortunatamente, capii che si trattava della realtà quando il fioraio mi vomitò sugli stivali. «Ma porcaccia...!» bestemmiai. «Fra tutte le scarpe qui presenti dovevi scegliere proprio le mie?!» ringhiai, mentre il biondo stava chino a terra, i pugni stretti, la saliva alla bocca e il naso che continuava a sanguinare copiosamente. Era talmente bianco - grigio, quasi - che ebbi l'impressione stesse per tirare le cuoia nel giro di un paio di minuti.
Ebbi abbastanza pietà di lui da non infierire, limitandomi a scrollare il vomito dalle scarpe con qualche calcetto schifato, mentre il principino già strepitava fra di noi per controllarci.
«Siete tutti interi?!» esclamò, esaminandoci come una mammina apprensiva, a cominciare da me: mi stava tastando le braccia, il petto, i muscoli con le dita come in cerca di ferite. Gli feci l'occhiolino.
«Perché non sposti le mani un po' più in basso? Sicuramente c'è qualcosa lì sotto che ha bisogno di un controllino...» gongolai, pizzicandogli un fianco. Lo vidi infiammarsi e poi lanciarmi un'occhiataccia.
«Non è il momento, Cyran!» Lo sapevo perfettamente, ma era il mio modo per cercare di razionalizzare l'assurdità appena capitata. Quel bastardo bugiardo - che non era mai stato un mago - ci aveva catapultati chissà dove, lontani dalla nostra meta. E perché, poi? Non volevo pensarci.
«Peccato.» Feci spallucce, mentre il rosso si spostava verso André, che aveva smesso di rimettere bile e aveva iniziato a rigettare sangue. Carponi accanto a lui, con una mano sulla schiena del biondo e gli occhi pieni di lacrime, c'era il maghetto. Avevo sottovalutato quel piccolo stronzo.
«Oh miei Dei. Dei... No no... André!» Si voltò a guardare Francis in cerca di aiuto, implorazioni o forse solidarietà. Sapevo che non era il momento, ma diamine, il vaffanculo ora si era risvegliato. Finalmente.
Non solo avevo incontrato il Bastardo sulle sponde dei Regni del Caos, ma Bidibi-bodibi aveva cercato di uccidermi. Perciò lo afferrai per il bavero della casacca e lo sollevai da terra con una mano, strattonandolo furiosamente per il collo come una bambolina di pezza.
«Cosa cazzo pensavi di fare, minacciandomi?» gli ringhiai contro, in un sibilo basso sputato dritto in faccia. «Ridefiniamo un po' le cose, Rhod. Tu cerca di ammazzarmi ancora una volta e vediamo chi è che finisce per primo il lavoro.» continuavo a strattonarlo per il bavero e sapevo che molto presto avrebbe fatto ricorso ai suoi poteri, mentre un piccolo cerchio di persone ci circondava e bisbigliava con preoccupazione, fissandoci.
«Una rissa?» sussurrò qualcuno. «Avranno fatto lite?» proseguirono. «Oddio! Lui è così grosso, non può picchiare un ragazzino! Razza di bullo, dovrebbe prendersela con qualcuno della sua taglia...» Fulminai la direzione da cui avevo sentito le voci. «Ma hai visto cosa indossano? Cosplayer?» Non avevo idea di cosa parlassero. «Forse è tutta una recita! Ma non vedi come sta male quell'altro? Dovremmo chiamare un'ambulanza?»
A quel punto, Abracadabra aveva fatto combaciare i palmi delle sue manine assassine. Mi preparai a mandare in fiamme qualcosa, aspettando di percepire il ruggito del potere che crepitava dentro di me. Eppure, non successe niente.
Né da me, né da Rhod. Niente di niente.
«Basta! Finitela!» sbraitò Francis, tendendo un braccio in mezzo a noi per cercare di separarci con la forza, distaccando le mie mani dagli indumenti del maghetto con uno strattone. Mi lasciai convincere, più che altro stordito dal fatto che non fosse successo nulla.
C'era qualcosa che non andava.
«Che cazzo...» sussurrai, confuso. Un gesto di misericordia da Rhod? Ptf. I miei poteri si erano inceppati? Ptfff. Stavano succedendo tante cose troppo strane tutte nello stesso momento, per essere considerate delle casualità. E ancora non sapevamo dove eravamo finiti.
Mi guardai finalmente intorno. Di una cosa ero sicuro: quella non era una taverna. O almeno, non come le conoscevo io. La sala era ampia, tutta illuminata da vistosi fasci di luce - niente candele a vista, però - che si mostravano più come dei lampi colorati. Apparivano e scomparivano ancora e ancora, facendomi venire il voltastomaco quasi quanto galoppare su un cavallo pazzo.
Dal soffitto pendeva una grossa palla ricoperta di specchi che lanciava bagliori tanto forti da accecare. C'era una pista da ballo e noi eravamo apparsi proprio al suo centro ad attirare l'attenzione. Sotto di noi il pavimento a scacchi si illuminava ad intermittenza, probabilmente per causa di qualche magia.
Solo una piccola folla si era accalcata intorno a noi, colpiti dalla nostra apparizione improvvisa, mentre tutti gli altri continuavano a ballare accalcati l'uno sull'altro in maniera molto più lasciva della peggiore bettola di depravati in cui avessi mai messo piede. Molte donne indossavano gonne così corte - chiunque le avesse inventate doveva essere santificato - che mostravano impunemente caviglie, ginocchia e cosce. Sì, proprio le cosce.
Saltavano con in mano bottiglie verdi piene di alcolici, immaginai, e poi bastoncini colorati che brillavano al buio e non avevano l'aria di essere bacchette magiche, nonostante la loro stranezza. I fianchi ondeggiavano squisitamente fra quella gioventù di audaci in cui, in un altro momento, mi sarei senz'altro mescolato. Seguivano il ritmo della canzone che non si era mai fermata un attimo e che andava a ripetizione anche se i minuti passavano.
"Just the two of us, we can make it if we try, just the two of us"
Quella dannata musichetta mi stava facendo impazzire. Scuotendo la testa, aiutai il fioraio a rimettersi in piedi, non perché volessi aiutare Rhod, che non sapevo fosse più scioccato dal fatto che i suoi poteri non funzionassero o dal fatto che André stesse per crepare davanti a tutti noi. Forse. Quella era l'impressione.
Lo aiutai perché non volevo che quella gente strana ci stesse ancora fra i piedi. Le gambe gli tremavano, probabilmente aveva ancora i geloni ai piedi, ma le dita stavano riassumendo colore, almeno. Era una fortuna che i cambiamenti climatici non influissero su di me: io stavo benissimo, al contrario degli altri. Sia il principe che il maghetto ancora tremavano, Francis era quasi svenuto per colpa dello sbalzo improvviso fra il gelo e il caldo torrido.
«Pare ci sia un bancone lì in fondo, magari possono darci dell'acqua e zucchero per tirarlo su.» consigliò il fulvo e tutti e tre trasportammo l'erborista lontano dalla folla di curiosi, trascinandolo di peso mentre sbatacchiava le palpebre, debole e non del tutto cosciente. «André?» lo richiamò il principe, accarezzandogli lentamente il capo. «Pensi che vada bene dell'acqua e zucchero? Cosa potresti prendere per non vomitare? Me lo devi dire tu.»
«Zenzero...» biascicò, con la voce roca, raschiata dall'aver vomitato le budella e anche l'anima.
Lo sistemammo su uno sgabello di metallo rivestito in stramba pelle argentata. Per non parlare del bancone: liscio, di vetro nero, sembrava fatto d'ossidiana. Dietro di esso si aggirava una barista ricoperta di tatuaggi, con i capelli tinti di fucsia rasati ad un lato e una gomma da masticare che scoppiava in bolle e puzzava maledettamente di fragola. Un odore che sapeva di finto. Alle sue spalle, lunghi scaffali di vetro ostentavano file e file di bottiglie d'alcolici, le etichette così sapientemente scritte da essere perfette.
Quando ci vide alzò un sopracciglio, masticando forte con aria di sufficienza. «Cos'è, un ritrovo di Dungeons and Dragons proprio l'ultimo dell'anno?» Gonfiò la gomma in un palloncino rosa che le scoppiò sulle guance e lasciò appiccicato sulle labbra, mentre continuava. «Certo che siete strani, voi nerd.»
Io e Francis ci rivolgemmo uno sguardo confuso, prima che lui rispondesse in tono educato ma fermo: «Acqua e zucchero per favore.»
La barista alzò le spalle, disinteressata, e versò quanto detto in un bicchiere di uno strano materiale molle e trasparente. Non mi fidavo molto, ma dato che non dovevo bere io... «Di che si è fatto quello?» riprese la ragazza, accennando con un colpo del mento al biondo, che stava con la fronte poggiata sul bancone, mentre il maghetto cercava di farlo bere con un po' di difficoltà. «Non lo voglio qua, se mi vomita sul bancone sono cazzi. Spostatevi sui divanetti.»
Schioccò la lingua e ci indicò con la testa la zona che costeggiava la pista da ballo: divani bassi e pouf argentati ospitavano alcuni ragazzi che chiacchieravano mentre si scolavano il loro drink. «Va bene, ora ci spostiamo. Mi darebbe anche un infuso di zenzero?» chiese il principe, diplomatico anche in una situazione tanto assurda.
«Mi hai preso per la casa della nonna?» sbuffò la barista, sarcastica, prima di appoggiare un paio di pillole sul bancone. «Fagli prendere un'aspirina e poi levatevi di torno. Fate cattiva pubblicità.» borbottò, accennando ad una coppia di ragazze in minigonna che si erano avvicinate per ordinare qualcosa ma si tenevano a distanza, temendo che André vomitasse vicino a loro da un momento all'altro.
Afferrai l'erbacoso per le spalle e, mentre Francis reggeva il bicchiere e le pillole, Rhod mi aiutò a stenderlo su un divanetto, sistemandogli la testa sulle sue ginocchia. Con gentilezza spinse i medicinali con le dita fino in fondo alla gola e lo costrinse a bere, tenendogli chiusa la bocca.
«A-andré... s-starai me-meglio...» mormorò con voce triste, accarezzandogli la fronte.
«A me non sembra proprio.» constatai, allungando le braccia muscolose sulla spalliera del divano di fronte al loro, le gambe larghe, tutto sbracato e scocciato. «E qualcuno mi spiega che cazzo sta succedendo?»
Francis si raddrizzò sul pouf: era tutto scompigliato, lo spazio fra naso e bocca era tinto di sangue rappreso e aveva gli abiti ancora sporchi della sabbia cinerea che proveniva dalle rive del Regno del Caos. «Giusto. Cerchiamo di fare il punto della situazione.»
Proprio mentre concluse la frase, dalla folla si levò un coro indemoniato di voci che sovrastò la musica e pronunciò insieme: «DIECI, NOVE, OTTO...»
«Perché stanno facendo un conto alla rovescia?» domandò il principino ad occhi sgranati, allarmato, guardandoci come in cerca di una risposta rapida ma esaustiva.
«SETTE, SEI...»
«N-n-non lo s-so...» balbettò il mago, agitato tanto quanto lui, stringendo le mani su André, che riposava respirando molto piano.
«CINQUE, QUATTRO...»
«Non voglio essere impreparato quando lo scopriremo.» Allungai una mano sull'elsa dello spadone che mi ero tolto dalla schiena per stare comodo e ora poggiava contro la gamba destra. Premetti il pollice sul pomolo bronzeo, le sopracciglia tese verso il basso in un'espressione determinata.
«TRE...» Rhod unì i palmi delle mani, forse in procinto di creare qualche protezione magica che però non apparve. «DUE...» Francis sfiorò il fodero del suo spadino, prendendo un profondo respiro. «UNO...» Scattai in piedi, brandendo lo spadone davanti a me.
«BUON 2022!» grida di giubilo esplosero mentre tubi spara-coriandoli scoppiarono con botti tanto assordanti che per poco non uscii dalla mia pelle per la sorpresa. Francis si accasciò per il sollievo contro al pouf, mentre io abbassavo velocemente la spada, fortunato che nessuno mi avesse visto.
Coriandoli luccicanti ci piovvero addosso in un turbine di luccichii colorati. Rhod intanto si stava fissando i palmi delle mani, istupidito e sbigottito da una consapevolezza che io avevo raggiunto parecchi minuti fa. «P-p-perché i miei po-poteri..?» biascicò, spaventato.
«Già, non funzionano. Ovunque siamo... Dev'essere una terra senza magia.» presupposi, tornando seduto con una smorfia dipinta sul viso.
«Ma avete sentito l'anno?» riprese Francis, che come al solito aveva intuito molto piu di noi dalla situazione circostante. «L'ostessa ha detto che fosse l'ultimo giorno dell'anno. E' evidente che stiano tutti festeggiando l'anno nuovo. Ma...» Gli occhi grigi luccicarono come un cielo screziato dai primi lampi di un temporale. «... Un anno a quattro cifre? Duemilaventidue?» Arricciò il nasino lentigginoso. «E' assurdo.»
«Quello che io trovo assurdo, è che siamo bloccati qui, senza magia e senza alcun riferimento a quello che conosciamo. Come facciamo ad andarcene?!» sbraitai, picchiando il pugno contro il ginocchio.
«Riflettiamo.» Il principino si massaggiò le tempie, come se così potesse sollecitare i propri pensieri. «Per capire come tornare indietro, dobbiamo prima capire chi è l'individuo misterioso che ci ha spediti qui.» Due paia di occhi, plumbei e blu, si fermarono sopra di me. Irrigidii le spalle.
«Che c'è?»
«Cyran...» sospirò il fulvo. «Il falso Marshall ti somigliava molto.»
«D-d-davvero m-molto!» aggiunse il brunetto. Le cose si stavano mettendo male, lo sapevo, perciò mi affrettai a cambiare argomento.
«Sentite, non è colpa mia se divento una specie di icona da cui prendere spunto!» Alzai le mani in segno di resa. «La gente è strana. Cerca dei bei ragazzoni a cui ispirarsi e poi... Toh. Mi copiano.»
«Quindi non sai chi sia?» domandò Francis, guardandomi interdetto. Quella piccola volpe non era convinta e sapevo che non fosse un bene.
«Ma no, figuriamoci se conosco tutti i miei fan! Prima di vederlo su quelle rive, ero convinto come voi che fosse Marshall!» mi affrettai a rispondere, sbuffando sorrisi arroganti, come se fosse addirittura scontato. Il principe e il mago si scambiarono uno sguardo sospettoso, davanti al quale sbuffai rumorosamente.
«Rhod, secondo te quello lì era un mago? Magari era veramente Marshall, che per qualche ragione ha preso l'aspetto di Cyran con un incantesimo?» Francis ci stava pensando tanto attentamente che potevo vedere gli ingranaggi nella sua testolina acuta girare.
«N-no. Se-secondo me... N-n-non lo è. Un ma-mago.» farfugliò, giocherellando con la treccina che gli dondolava vicino alla guancia. «Q-quei po-poteri... so-sono s-strani... C-come quelli di-di Cyran...» Di nuovo sguardi indagatori nella mia direzione. Mi strinsi nella schiena.
«Sì, okay.» Tagliai corto, alzando gli occhi al cielo. «Voi continuate a fare le vostre teorie fra amichetti, io vado in giro a cercare informazioni su come andarcene da qui.» Mi alzai in piedi, sistemandomi lo spadone sul solito fodero morbido che portavo a tracolla. «Cazzo, questa musica mi sta facendo uscire di capoccia...» borbottai mentre mi allontanavo, ignorando i richiami che mi lasciavo alle spalle.
I hear the crystal raindrops fall, on the window down the hall, continuava intanto quello stupido menestrello, ovunque si nascondesse. Ma non aveva altro nel suo ripetitivo repertorio?
Mi mescolai in tutta fretta fra la folla ballerina: non potevo scappare per sempre da quelle domande, ma oggi ero sicuro che ci sarei riuscito. Almeno finché non sentii la presa delicata di mani ancora fasciate intorno ai polsi, per via della sua ultima impresa con il sartiame. Mi voltai a guardare il principino, fermo in mezzo alla calca saltellante, che mi osservava con occhi così grigi da sembrare il metallo di un'arma appena forgiata.
«Ehi, Cyran... Non correre via.» sussurrò e lo compresi dal labiale, visto che la musica era tanto alta da sovrastarlo. Si avvicinò e non ebbi il coraggio o la bastardaggine che un tempo mi avrebbe consentito di sciogliermi da quella presa ed allontanarmi da lui.
Invece, finii per mettergli le mani intorno alla vita. Le sue si posarono sulle mie spalle e, ad un ritmo diverso rispetto a quello di tutti gli altri, ci trovammo a ballare un lento guardandoci negli occhi. Aveva lo sguardo di qualcuno che cercava di decifrare i miei segreti attraverso la semplice vista.
«Tu lo conosci, vero?» Batté lentamente le ciglia rosse, spostando le mani per intrecciarle sulla mia nuca. «Il finto Marshall, quando gli hai chiesto chi fosse, ha detto che proprio tu avresti dovuto saperlo meglio di tutti.» Aprii le labbra per fornire una risposta che risultasse sensata senza mettermi troppo sulla difensiva, ma lui continuò. «Ti ha chiamato piccolo Cyran.»
"Just the two of us, we can make it if we try, just the two of us..." continuò il cantore.
«Siamo solo noi due. Sai che a me puoi parlarne.» ripetè Francis, senza rendersi conto di aver appena citato un verso di quello stupido testo. Mi corrucciai, accorgendomi all'improvviso di una cosa.
«Hai notato che la musica non cambia, anche se è passata un'ora ormai?» La gente continuava a sculettare e a spintonarsi a colpi di ridicoli passi di danza, senza scocciarsi mai di quella perpetua litania. Io l'avevo trovata irritante sin dal primo momento, figuriamoci sentirla per un'ora filata.
«Stai cambiando argomento...» snocciolò, incupendosi. Ma non lo stavo facendo apposta, stavolta.
«No, dico sul serio! E' strano. Sempre la stessa musica in un posto dove si beve e balla?» Esalai un sospiro spazientito. «Per la miseria, principino! Una volta tanto che ho un'intuizione, cerca di seguirmi!»
Scrollò le spalle e si arrese. «Hai ragione. Andiamo a parlare con l'ostessa?» Annuii e ci allontanammo dalla pista a scacchi luminosi per tornare verso il bancone. La barista ci vide avanzare verso di lei e roteò gli occhi al cielo con aria seccata, masticando più forte la gomma per palesare il suo malcontento. Ma che ne sapeva lei? Non ero contento nemmeno io.
«Dì un po', dove lo troviamo il menestrello?» esclamai, spiaccicando una mano contro il piano lucido. La ragazza abbassò le palpebre per rivolgermi uno sguardo a metà fra l'infastidito e l'ilare.
«Perché non la piantate con questo teatrino?» Sputò la gomma dentro ad un tovagliolo che appallottolò e si ficcò in tasca. «Come lo chiamate voi fricchettoni? Gioco di ruolo? Bah!» Francis iniziò ad accigliarsi, un vero esempio di principe calmo e controllato. A me saltarono i nervi. Era già abbastanza frustrante essere arrivati alla meta e poi scacciati come moscerini per finire nel mondo del chissà dove.
«Senti, non so di che diamine parli e non mi piace proprio essere chiamato fricchettone.» brontolai, alzando l'indice minaccioso mentre lei si infilava una nuova gomma in bocca. «Perciò ora mi dici dove accidenti si trova chi sta cantando quest'infernale canzone e non dirò al mio amico di riempirti di vomito il bancone. Ci siamo capiti, mastichina?»
Tanto per la cronaca, il mastichino era una specie molto particolare di criceto selvatico che infestava le zone boschive poco dopo Akra. Il peculiare nome era dovuto all'attività prolungata di masticare qualsiasi cosa capitasse sotto le loro zampette ignobili: avevo perso chissà quanti calzini e stivali, per colpa loro. L'ostessa, con tutto quel masticare, me li ricordava proprio. Fra lei e la Topa Matta, si capiva che fra me e i roditori c'era un certo trascorso.
«Sì, ma stai calmo, amico.» La ragazza mi guardò come fossi un pazzo da tenerle lontano, nonostante la mia avvenenza. «Non c'è nessun cantante. Non hai visto il jukebox?» Esibii un'evidente smorfia di disappunto. Lei indicò con lo sguardo uno stranissimo aggeggio che assomigliava ad un armadio. Finsi per il bene di tutti di non udire il suo "Idioti..." mentre ci allontanavamo. Non mi andava sul serio di scomodare il fioraio per la faccenda del vomito. Forse.
«Impressionante.» sussurrò Francis, ora vicino al jukebox, l'orecchio che si protendeva in direzione della canzone. «E' uno strumento musicale magico! Suona e canta da solo. Niente di mai visto prima.» Le dita sottili accarezzarono la sommità ad arco dello strumento, che brillava di luci arcobaleno.
«E se lo distruggessimo?» dissi, di botto. Il principino si voltò di scatto a guardarmi, come se lo avessi appena minacciato di distruggere il suo giocattolo preferito. «Se questo viaggio mi ha insegnato qualcosa, è di non sottovalutare i segnali strani. E il fatto che questa canzone continui ad andare a ripetizione, per me è un indizio.»
«Come i cappelli rossi?» mi ricordò l'altro, mettendosi le mani sui fianchi. «Che succede se ti sbagli, rompiamo il loro strumento magico e loro ce la fanno pagare?»
«In quel caso, dovremmo solo scampare da un'altra folla inferocita!» Era una cosa semplice, in fondo: l'avevamo già fatto. Il fulvo scosse la testa, esasperato ma anche arreso. Curvai le labbra in un affascinante sorriso colmo di trionfo, mentre estraevo lo spadone e ne stringevo l'elsa fra due mani.
«Speriamo che il tuo non sia un errore...» sussurrò Francis, mentre io caricavo il colpo e scagliavo con tutta la mia potenza la lama, che impattò violenta verso il jukebox. Emanò scintille, il legno si crepò, la musica però non si era ancora fermata. Lanciai un'occhiata al più piccolo, che mi rivolse un cenno d'incoraggiamento.
Ripresi a colpire. La canzone iniziò a rallentare: la voce del cantore si stava trasformando in un'eco distorta simile al vocione grave di un mostro. «EHI, che state facendo?!» gridò qualcuno alle nostre spalle.
«Forza!» strepitò il principe, estraendo l'arma per darmi una mano. Mentre menava fendenti a denti stretti, ne rimasi per un attimo affascinato. Eccolo lì: un nobile educato che commetteva un atto di vandalismo in un altro mondo al mio fianco. Lo stavo proprio portando sulla cattiva strada... In senso positivo, ovviamente.
«Rhod!» continuò lui. Il maghetto, con l'erbacoso al seguito, si era avvicinato perché le cose si stavano facendo strane. Il mondo intorno a noi vacillava, la sala girava su se stessa come avrebbe potuto fare la testa dopo uno sfrenato volteggiare sulla pista da ballo.
Il jukebox gracchiò le sue ultime note: "Juuoost the twuoo of uooss.." La palla a specchi piroettava così velocemente da emanare luce, che divenne sempre più accecante, sempre più bianca, finché non ci trovammo costretti a serrare le palpebre ferite da tutto quel bagliore.
Non servì riaprire gli occhi per capire che ci trovavamo in un altro posto. L'aria era bollente, rarefatta, irrespirabile. Almeno, per loro: io ci stavo una pacchia nel caldo. Sentivo però la mollezza della sabbia umida sotto ai piedi.
«Il Regno del Caos.» sussurrò Francis, guardando intorno a sé i relitti delle navi sfracellate e le carcasse degli animali morti che le onde lambivano appena, quando si scontravano sulla riva. Il puzzo di carne rancida faceva venire le lacrime agli occhi. «Avevi ragione, Cyran!» esclamò, rivolgendomi uno dei suoi limpidi sorrisi principeschi.
«Già, ultimamente ce l'ho spesso, non trovi?» sorrisi, tracotante e soddisfatto. Notai subito che del falso Marshall non si vedeva neppure l'ombra. Per fortuna.
«Il che è preoccupante...» aggiunse sottovoce l'erbacoso, che si era svegliato e aveva riassunto un pochino di colore, forse grazie alla pillola che la mastichina ci aveva dato.
«Mi stavi più simpatico quando mi vomitavi sulle scarpe.» sbuffai, scuotendo la testa. Non era il momento di mettermi a bisticciare con lui, anche perché era come colpire il muro con una palla e vedersela tornare indietro. Ormai l'avevo capito. «Ripulitevi dal sangue e sbarazzatevi dei vestiti che si sono sporcati. Questo è un posto di predatori e non dobbiamo attirare la loro attenzione.» mi feci subito serio, aiutando il principino a sciacquarsi la faccia con l'acqua salata.
Consigliai a tutti di strofinarsi addosso la sabbia di cenere, che avrebbe parzialmente nascosto il nostro odore, benché la maggior parte di quelle schifose creature avessero un naso troppo sopraffino per essere ingannate così. Lanciai un'occhiata all'intera spiaggia, cercando di notare mostruosità in avvicinamento, ma non si vedevano altro che oggetti rotti, sperduti, sporchi. Il Regno del Caos era la discarica del mondo intero.
Anche se per me questo postaccio aveva un significato diverso.
Notai la fine della spiaggia come l'inizio della foresta, tutta alberi nodosi e contorti che creavano una complessa e articolata rete di rami muschiosi. La foschia fitta come un manto grigio rendeva impossibile vedere all'interno del bosco, ma potevo guardare cosa c'era sopra. Montagne aguzze a più livelli, zolle di terra galleggianti, vulcani sfrigolanti e fortezze diroccate troppo remote per riuscire a scorgerle bene attraverso la nebbia.
«Muoviamoci. Non restiamo qui allo scoperto.» Feci qualche cenno verso il bosco: sorvolarlo sarebbe stata una pessima idea. Vedevo stormi di mostri alati in lontananza, pronti ad attaccare e sventrare con i loro becchi d'acciaio tutto ciò che avevano sotto mira. «Rhod, prendi il fermaglio della principessa. Si inizia la ricerca.»
Il mago annuì, estraendo la camelia di vetro soffiato dalla tasca della sacca che portava a tracolla, stringendo fra le mani il delicato accessorio. Spostò la punta del fermaglio avanti a sé, muovendosi a destra e sinistra, un po' come l'ago di una bussola. Poi si fermò in una particolare direzione del bosco. «D-da que-questa pa-parte.»
Sapevo che, una volta entrati, non avremmo potuto più voltarci per tornare alla nave. Così come sentivo che lì dentro ci avrebbe aspettato qualcosa di particolarmente brutto. Ma nessuno si tirò indietro: era troppo tardi per farlo. In silenzio, lo seguimmo ed imboccammo l'ingresso del bosco.
Avevamo appena fatto un paio di passi, che la foschia grigiastra ci avvolse, nascondendo la spiaggia alle nostre spalle. All'interno, il bosco era cupo e ammantato da un banco di nebbia così fitta che era impossibile vedere il sole: nel Regno del Caos non esisteva niente del genere. Il giorno era semplicemente contraddistinto da quella luce plumbea e spettrale. Il silenzio era gelido, talmente impenetrabile che non esistevano fruscii, versi animali, neanche il rumore delle foglie scosse dal vento. Anche perché, non tirava un filo d'aria. Il caldo e l'umidità erano asfissianti e lo notavo soprattutto per via di come il resto del gruppo fosse già grondante di sudore, con gli abiti appiccicati addosso al corpo.
L'unico suono percepibile era quello del loro affanno, ad ogni respiro. L'aria era rarefatta e anche se io non incontravo problemi, gli altri gonfiavano instancabilmente il petto e boccheggiavano. André peggio di tutti quanti.
«Ahi!» sussultò il principino, che aveva appena sfiorato con le dita un ramo basso per sollevarlo e passarci sotto. La pelle si era riempita di bolle in pochi secondi.
«Non toccate gli alberi. Il muschio che li ricopre è urticante.» avvisai il resto del gruppo con un sussurro, anche se la mia voce riecheggiò ugualmente, come un sassolino buttato giù da una vallata.
Ci fu un cenno d'assenso generale, mentre proseguivamo col maghetto che faceva da timoniere per la spedizione, tutti molto vicini l'uno all'altro come un gruppo compatto. Non erano passati nemmeno venti minuti di cammino, che vidi qualcosa muoversi nella caligine di fronte a noi, nel fondo della foresta.
Fui il primo ad accorgermene, perché ero quello più vigile e pronto rispetto a tutti gli altri. Affilai le palpebre, notando la sagoma oblunga che guizzava a quattro zampe arrampicandosi fra gli alberi e poi strisciando a terra, ginocchia e gomiti appuntiti quasi fosse un ragno. Ma non lo era, perché ad un certo punto si alzò su due gambe e proseguì camminando, esattamente come un essere umano. Non era neanche quello.
«Rasenti agli alberi, veloci.» sfiatai, non osando estrarre lo spadone, mentre indietreggiavo e appoggiavo la schiena coperta dalla casacca contro una corteccia, restando fermo. «Restate immobili.»
Tutti obbedirono all'istante, con gli occhi sgranati che si esaminavano a vicenda per capire cosa stesse succedendo. Il mostro uscì fuori dalla nebbia, nello stesso istante in cui io mi portavo l'indice alle labbra per far capire agli altri di non dire una parola, un verso, un urlo. Dovevano stare zitti.
Francis per poco non emise un grido strozzato quando vide quella cosa, per fortuna si tappò le labbra in tempo. Sapevo che cos'era quell'essere, che avrebbe popolato gli incubi di qualsiasi persona, perfino le più coraggiose. Lo sapevo, non solo perché l'avevo visto nel bestiario del maghetto, ma perché l'avevo già incontrato.
Il Wendigo era alto due metri e mezzo, dotato di uno scheletrico corpo umano dalla pelle grigia e avizzita e di un muso d'alce scarnificato, un teschio più che altro, con un'imponente impalcatura di corna e due globi bianchi e lattiginosi al posto degli occhi. Era cieco, ma aveva udito e olfatto sopraffino. Nonché una velocità strabiliante e degli artigli lunghi e affilati come i coltelli di un macellaio. Eppure, potevamo ingannarlo, se nessuno si muoveva o faceva cose stupide.
Mi soffermai a guardare gli altri. André era come pietrificato, di ghiaccio, fermo come se si fosse trasformato in una statua: l'impressione era che l'avesse già fatto mille altre volte. Restare immobile in quel modo per non essere notato da un predatore, fino a diventare invisibile.
Rhod aveva gli occhi sgranati e si stava mordendo il labbro inferiore, continuando a far scattare gli occhi verso l'erborista e poi verso di me, come per cercare di capire se fosse il caso di usare i nostri poteri o meno. "N-O" mimai col labiale. Era una pessima idea.
Francis invece si teneva le labbra tappate con una mano e strizzava le palpebre per non guardare, mentre tratteneva il fiato. Tutti si erano ripuliti dal sangue, André aveva cancellato i residui di vomito e gli abiti sporchi erano stati cambiati, tinti dalla cenere della spiaggia, che olezzava di pesce e carcasse come tutto il resto. Per un attimo pensai davvero, mentre il Wendigo snudava le zanne annusando lo spazio intorno a noi, che l'avremmo scampata.
Poi il muso del mostro si girò in direzione del principe. Avevamo preso tutte le precauzioni del caso, senza ricordarci che aveva i palmi fasciati. Si era consumato le mani salendo sulla corda, fino ad aprirsi piaghe sanguinanti. Anche se erano passati giorni, le ferite erano ancora in via di guarigione. Ancora profumavano di sangue, per una bestia simile, anche attraverso le garze, che dovevano essere anch'esse macchiate.
Il fulvo vide nella fenditura fra le palpebre che la creatura si stava avvicinando. Lo stava annusando. Lo stava puntando. Fece un passo indietro, la sua schiena cozzò contro un albero e il suo stivale spezzò un ramo che fece un ultimo, lamentoso crack. Fine dei giochi.
«DIVIDIAMOCI!» urlai, così forte da coprire altri suoni e far riecheggiare la mia voce tutt'intorno. Il Wendigo si girò verso di me, facendo scattare le fauci. «Vieni a prendermi, stronzo!»
Poi mi voltai ed iniziai a correre, nello stesso momento in cui i miei compagni di viaggio si giravano dalle parti opposte, prendendo tutti direzioni diverse. La nebbia ci avvolse e, in un attimo, ognuno di noi si ritrovò solo in mezzo al Caos.
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