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30. Vita appesa ad un filo


Francis


André e Rhod avevano appena ammesso che facevano l'amore, il che era quel genere di informazione imbarazzante che non ero sicuro di voler sapere. Cioè, era davvero favoloso come avevo affermato qualche minuto fa, perché questo rendeva la nostra avventura molto più facile da affrontare, sempre ammesso che l'erborista quei poteri sapesse usarli... E poi, come ci aveva spiegato Rhod, la magia aveva sempre un prezzo. Io conoscevo il segreto che gravava sulle spalle del biondo. Poteva permettersi di usare quelle nuove abilità?

In ogni caso, ero felice che si fossero avvicinati e fossero tanto affiatati. Solo, una volta saputa quell'informazione... Un po' finivo ad immaginarli insieme. E ben presto le loro facce si sostituivano con la mia e quella di Cyran insieme, sul Dirigibile, la prima ed unica volta che avevamo fatto... Meglio non completare il pensiero. Perché se mi ci soffermavo troppo, rischiavo mi venisse in mente anche quello che era successo a Wicarema.

E comunque, non era esattamente il momento giusto per lasciarsi andare a stupide fantasie. Scilla e Cariddi incombevano, Rhod non aveva pronto l'incantesimo e tutti mi guardavano in attesa che spiegassi il mio brillante piano B. Che non era affatto brillante e si basava su una serie di ipotesi campate in aria. Strinsi i pugni, determinato a restare vivo. Ormai eravamo vicini ai Regni del Caos. Non mi sarei lasciato abbattere da un paio di enormi, monumentali mostri leggendari.

«Va bene.» Mi rimboccai le maniche della camicia e presi un profondo respiro. «ROTTA VERSO CARIDDI!» urlai ai marinai, in particolar modo verso il timoniere, prima di voltarmi in direzione di Cyran. «Vai sulla punta della poppa, affacciati dalla nave, lontano dalla portata delle vele. Poi caccia fuori tutte le fiamme che sei in grado di generare!»

Il bel corvino aggrottò la fronte, confuso. «Cioè? Perché dovrei dar fuoco al vento?»

«Cyran! Non abbiamo tempo per queste stupide domande!» rimbrottai, affrontando invece André e Rhod, lo sguardo del secondo sembrava luccicare di consapevolezza, come se avesse già capito. «Insieme potete far volare la nave senza che nessuno dei due ci rimetta?» Mi umettai le labbra. «Io non so come funziona ma... Sarebbe come dividersi lo sforzo, no?» guardai il mago, implorante, sperando che mi desse ragione.

«N-non a-abbiamo a-a-altra scelta...» mi assecondò, prendendo la mano dell'erborista, di quello che era ormai diventato un mio prezioso amico. Dopo ciò che mi aveva raccontato di lui mi sentivo quasi responsabile... Volevo proteggerlo e volevo evitargli di sfidare la sorte scatenando poteri nuovi di zecca che non si sapeva che conseguenze avrebbero potuto avere. Ma non avevamo scelta per davvero.

«Ma quindi, io devo davvero mettermi a fare fuoco...?» chiese il mercenario, ancora tentennante, mentre io cercavo di spintonarlo con una mano sulla schiena verso la poppa della nave.

«Sì! Sbrigati e vai!» esclamai, agitando i pugni, rosso in viso per l'agitazione e l'urgenza: non avevamo molto tempo. E se non funzionava, se avevo preso un granchio, eravamo tutti spacciati. Corsi verso il timoniere, aggrappandomi ad una cima per non scivolare sulle assi umide. «Mi serve la massima velocità!»

«Ne siete sicuro?» chiese lui, lanciando un'occhiata particolarmente apprensiva verso Cariddi. Il gorgo, un'immensa voragine che si apriva e si chiudeva nel bel mezzo del mare, con tutti i suoi denti acuminati simili a quelli di uno squalo, si avvicinava ad una velocità pericolosamente elevata. Emisi un verso spazientito, stanco che mi mettessero in discussione proprio in un momento simile.

Certo che non ne ero sicuro. Ma era l'unica opzione, a meno che non volessimo scegliere Scilla e sacrificare un numero abbondante di marinai di Wicarema, come se Sybil Bourgeois non avesse già abbastanza gatte da pelare. «Fate come vi ho detto. Andrà tutto bene.» rassicurai, stropicciando le labbra in un debole sorriso. Cyran diceva che parlare era una cosa che mi riusciva bene, perciò sperai che fossi abbastanza convincente.

Mi congedai senza dire un'altra parola, facendo il percorso a ritroso per esclamare di sfuggita, mentre proseguivo velocemente: «Iniziate, ORA!» verso André e Rhod, senza fermarmi, diretto all'altro capo della nave. A poppa. Lì dove Cyran stava aggrappato alla ringhiera di legno della nave, affacciato a guardare verso il mare, con la fronte aggrottata. La mia invece era imperlata di sudore, agitato e trafelato insieme.

«Principino, io non sono tanto convinto di questa cosa...» sfiatò un brusco sospiro dalle narici, stringendo i pugni tanto forte sul corrimano da farsi sbiancare le nocche. Feci scivolare una mano sulla sua, accarezzandogli proprio i punti in tensione.

«Mi fido di te, Cyran.» Gli rivolsi un sorriso sincero, genuino. «E tu ti fidi di me, spero, perciò per favore...» Evidentemente scorse nei miei occhi quel qualcosa che aveva bisogno di trovare e, finalmente, annuì con un colpo secco del capo. Allungo le braccia in avanti, oltre la balconata che affacciava sul mare, verso l'orizzonte che ci lasciavamo alle spalle. «Quando te lo dico io.»

Mi girai verso la prua: Rhod e André erano seduti a gambe incrociate, l'uno di fronte all'altro, tenendosi per mano a formare un cerchio. Occhi chiusi, mormoravano qualcosa fra le labbra, ma erano troppo lontani perché potessi sentirlo. Pian piano, sentii tutto il peso della nave spostarsi e il contatto fra lo scafo e l'acqua sparire. Il veliero iniziò ad alzarsi dal pelo del mare.

«Cyran, adesso!» gridai. Lui strinse forte gli occhi per non guardare. Io invece li tenni ben aperti, mentre abbracciavo uno dei pioli della ringhiera e gli urlavo «TIENITIII!» Troppo tardi. Le fiamme esplosero violente dai palmi del mercenario, scintillando d'arancio come i suoi occhi. Ebbero proprio la forza di propulsione che mi ero immaginato: il modo in cui il fuoco schizzò fuori dalle mani di Cyran diede la spinta alla nave per spiccare il volo.

Rapida come una scheggia, però.

Cyran non si stava tenendo a nulla. Era lui la forza di spinta della nave, la cui prua puntava verso il cielo come la testa di un uccello che spicca il volo ad una velocità supersonica. E proprio perché non si stava tenendo a nulla, venne sbalzato all'indietro, schiena contro l'albero di mezzana. Il contraccolpo lo mise fuori gioco e le fiamme si spensero. Il veliero perse quota.

E io persi la presa.

Per un attimo gravitai in cielo più in alto della nave stessa, che volteggiava a decine e decine di metri sopra al mare. Agitai confusamente le braccia in cerca di un appiglio, artigliando l'aria. A parecchia distanza, sotto di me, potevo vedere il pavimento ad assi o André e Rhod che restavano magicamente incollati a gambe incrociate al veliero, anche se quello era inclinato quasi totalmente in verticale.

Ma ora si stava stabilizzando. E quando raggiunse una stabilità, volando in orizzontale, parallelamente alle acque, la gravità ebbe la meglio su di me ed iniziai a precipitare verso morte certa contro le punte degli alberi maestri. Ululando, mi attorcigliai su me stesso cercando di cadere di lato: rimbalzai sulle vele, sentii le sartie frustarmi la pelle e le cime attorcigliarsi alle mie gambe. Nel mio cadere e nel mio cercare di afferrare qualcosa scivolai peggio di prima e rotolai oltre le pieghe delle vele, che mi sbalzarono fuori dal nostro mezzo di volo.

Cominciai a precipitare, una caduta libera dritto dritto verso la bocca di Cariddi. «AIUTO!» urlai, agitando le braccia, mentre i denti trituratori della voragine si facevano sempre più vicino. Sempre più vicino. A pochi metri. Dieci. Cinque. Tre, due... Strizzai gli occhi e la vita mi passò velocemente davanti agli occhi: le mie due sorelline. I miei genitori. Cyran. Potevo aver fallito così miseramente? Potevo essere partito e arrivato fino in capo al mondo per fare quella fine orribile?

Uno strattone alla caviglia mi risvegliò dal mio terrorizzato, adrenalinico torpore. Ad occhi chiusi e con qualche flutto d'acqua che mi spruzzava in faccia, mi resi conto che non era successo niente. Riaprii le palpebre con cautela.

«Oh cazzo!» A qualche centimetro dalla mia testa, i denti di Cariddi roteavano nell'acqua come una tagliola pronta a scattare. E sì, avevo appena detto la prima parolaccia della mia vita, ma visto che ero quasi morto, tanto valeva togliersi quel piccolo sfizio. Poi, dubitavo che gli Dei non mi riservassero un posto fra le loro paradisiache praterie solo per quello. O almeno speravo.

Piegai il collo verso l'alto, cercando di capire cosa mi avesse salvato: una cima mi si era avvinghiata allo stivale sinistro e mi teneva a dondolare dalla nave come una pendola. Una sola corda era ciò che mi teneva appeso - letteralmente - fra la vita e la morte. «Aiuto!» gridai. «AIUTO! AIUTATEMI!» Sentii i tendini del collo tirare per quanto stavo gridando. Ma non aveva importanza.

Ero troppo lontano perché mi sentissero. Cyran molto probabilmente era ancora svenuto, mentre l'erborista e il mago erano come in trance per via dell'incantesimo. Mentre mi arrovellavo su come farmi salvare, sentii il piede iniziare a scivolare da dentro allo stivale. Che era l'unica cosa che mi manteneva vivo.

«Oh no! Nononono!» Feci forza sugli addominali, pentendomi di non essermi mai allenato granché al castello e diventando tutto rosso per la fatica, finché piegandomi su me stesso non riuscii ad afferrare la sartia  allacciata alla caviglia. Quello era il primo step. Restava solo da arrampicarsi su una corda sospesa nel vuoto, sopra la bocca di un enorme mostro, per più di una quarantina di metri.

Ma se non potevano venire a salvarmi, stavolta, avrei dovuto imparare a salvarmi da solo. Perciò afferrai la cima ed iniziai a salire. Dopo il primo metro le mie mani persero l'appiglio e caddi, dondolando di nuovo con un tuffo angosciante verso la bocca di Cariddi. La corda mi salvò ancora, ma il mio piede scivolava più di prima oltre lo stivale. Un altro strattone e avrei perso la scarpa, quindi avrei perso la vita.

«Forza, Francis...» fiatai a denti stretti, ricominciando la scalata. Un centimetro dopo l'altro, sembrava che la corda non finisse mai. Dopo il decimo metro avevo le braccia di burro. Tremavano terribilmente: persi la forza ma cercai di non mollare la cima. Strisciai lungo la corda ruvida e quella emise fumo per la velocità con cui cadevo, mentre mi scorticava orribilmente i palmi.

Poi però la strizzai con forza fra le dita escoriate e il mio tracollo si bloccò. Presi un profondo respiro, sentendo le dita appiccicose di sangue contro la sartia: incrociai le caviglie tenendo le gambe serrate al cordone e ricominciai. Le braccia dolevano, sentivo i muscoli bollenti per lo stress al quale li stavo sottoponendo. Ma non avrei di certo mollato.

«AIUTO!» urlai, arrivato a trenta metri, col sangue che mi gocciolava dalle mani e le lacrime che mi rigavano le guance. Finalmente qualcuno mi sentì: un gruppo di marinai si sporse oltre il corrimano della nave e insieme mi tirarono su. Rimasi per un attimo steso sulle assi, di schiena, a riprendere fiato. Poi mi misi a ridere, asciugandomi le lacrime con le dita insanguinate.

Ce l'avevo fatta. Ero vivo. Meglio ancora: ce l'avevamo fatta. Cariddi era stata superata.

❧❧

Pian piano avevamo planato sull'acqua, fino a ritornare alla normale navigazione. Cyran si era svegliato durante l'atterraggio massaggiandosi la testa, convinto che fosse stata la sbronza più estrema della sua vita, finché non si era ricordato che aveva aiutato un veliero a volare e quel dettaglio lo aveva riportato alla nostra bizzarra realtà. Perché più le cose si rendevano strane, più rientrava nella norma.

Era come se il Regno del Caos ci chiamasse, rendendo caotiche le situazioni intorno a noi. Più ci avvicinavamo, più il caos infuriava.

Ad incantesimo concluso, una cima si era animata e aveva cercato di strangolare Rhod, che si era salvato grazie ad un colpo di spadone del mercenario. André invece aveva vomitato sangue ed era così spaventosamente bianco che lui e il mago si erano ritirati in cabina per rimettersi in sesto. Intanto, io, il corvino e il resto dei marinai avevamo avvolto nei lenzuoli i corpi di chi non ce l'aveva fatta durante il combattimento contro il Kraken. Avevo detto qualche parola di commiato, avevo pregato che gli Dei li accogliessero fra le loro braccia e, infine, li avevamo gettati in mare.

Non potevamo permetterci che i cadaveri si decomponessero a bordo diventando veicolo di malattie. Certo, qualcosa fra le acque infestate del Mare dei Mostri avrebbe potuto interpretare il gesto come un pranzo servito ed inseguirci, ma scegliemmo di correre il rischio.

Ritirati in cabina, Cyran mi stava aiutando a fasciare le mani. Seduti l'uno di fronte all'altro, con le sue ginocchia aperte e io quasi nel mezzo, talmente eravamo vicini, continuavo a sentire le garze attorcigliarsi a fagotto intorno ai miei palmi. Non era molto bravo nella medicazione, ma era comunque una sensazione piacevole, se fatta di lui.

«Cinquanta metri di corda...» ripeté quanto i marinai gli avevano raccontato. Una risata bassa e sensuale riverberò nel profondo della sua gola, mentre scuoteva la testa quasi non ci credesse. «Il principino che ho conosciuto io si sarebbe lamentato solo per un'unghia spezzata.» Per un momento, il mio sguardo si soffermò sulle sue labbra carnose, abbozzate in un sorriso, e su quella cicatrice al lato, che scendeva fino al mento. Sembrava essere messa lì apposta per attirare l'attenzione.

«Non ero mica così snob...» borbottai, rifilandogli un leggero buffetto alla gamba col ginocchio, parti del nostro corpo che erano a contatto. «E vorrei ricordarti di tutti i morsi che mi sono subito per colpa tua, quando mi lasciasti a fare il bagno in un lago infestato solo per fare l'eroe della situazione!» brontolai, cercando di muovere le dita imbaccuccate dalle fasciature. Era passata una vita dall'inizio del nostro viaggio. O almeno, così sembrava.

«Neanche io sono più il mercenario che hai conosciuto.» rispose, l'espressione divertita da sbruffone che si addolcì, mentre mi scandagliava con una tale intensità da farmi arrossire. Si schiarì la voce. «Ora sono una versione più brillante, più sveglia, più intelligente. E ovviamente più bella.» Ritornò in sé molto velocemente, mentre io alzavo gli occhi al cielo con un risolino.

Poi divenne silenzioso. Almeno, per secondi che parvero interminabili. Finché non proseguì: «E una versione che non vuole più perdere gli ultimi istanti che ci rimangono.» Spostai l'attenzione dalle garze, facendo saettare lo sguardo grigio plumbeo su di lui. «Perché presto arriveremo nel Regno del Caos. E anche se imparare definitivamente a leggere potrebbe essere stuzzicante» alzò le spalle «credo di avere un'idea diversa di "ultimi istanti" insieme.»

«Non essere catastrofista, Cyran...» sospirai, anche se il mostro dell'angoscia stava iniziando a divorarmi lo stomaco. In realtà aveva ragione. Chi lo sapeva cosa poteva succederci? Proprio quello stesso giorno ero stato ad un passo dalla morte. Ad un singolo passo! Mi azzannai il labbro inferiore.

«Quindi... A meno che tu non voglia trastullarti sui libri...» Allungò le braccia con la giusta lentezza perché io potessi rendermi conto di ciò che stava per fare ed eventualmente scostarmi, però restai fermo. Lasciai che mi afferrasse per la vita e mi attirasse sopra di lui, seduto sul suo grembo a cavalcioni. Gli appoggiai una mano sul petto, arrossendo.

«Ma che stai facendo...» bisbigliai, la voce che si era fatta più bassa di un'ottava come se quello stare così vicini fosse di per sé un segreto. Deglutii.

Quello stesso giorno stavo per morire. Le ultime persone a cui avevo pensato erano le mie sorelline, Rosalinde e Clarisse. I miei genitori, Re e Regina di Gilerines. E poi avevo pensato a lui. A Cyran, non alla principessa di Akra. In quel momento, mentre la mia vita era appesa ad una corda, avevo velocemente capito che cosa ritenessi importante, anche se stavo rischiando il tutto per tutto salvando Aeline. Era grazie a questo viaggio che avevo incontrato il mercenario. Avrei mentito nel dire che non avesse il mio cuore, ormai.

Così, in un impeto di improvviso coraggio, appoggiai i palmi infagottati sulle sue guance e premetti le mie labbra sulle sue. Erano morbide e calde, ed il contatto generò un dolce fremito nelle mie membra. Per un attimo si scostò a guardarmi, con la fronte aggrottata, sorpreso.

«Da dove viene questa intraprendenza?!» Sbatté le palpebre, prima di increspare le labbra in un sorrisetto. «Perché mi piace! Continua.» ridacchiò, disegnando carezzevoli cerchi contro il mio fianco con la punta del pollice. «Continua pure...»

«Non te ne approfittare.» mormorai, rosso fino alla punta dei capelli, che essendo dello stesso colore del mio imbarazzo sembravano un tutt'uno con la mia pelle.

«Sono il migliore ad approfittarsi di tutto.» rispose divertito, allungando il viso per seminare una pioggia di baci nella curva della mia gola. Brividi bollenti mi si abbarbicarono all'epidermide e mentre contorcevo il collo e le dita dei piedi serrai la presa sulla sua casacca. Iniziò a slacciare le stringhe che mi chiudevano il farsetto sul petto ed io mi irrigidii appena.

«Aspetta... Cyran...» sospirai, mentre le sue dita ruvide scivolavano dentro ai lembi dell'indumento per arrivare alla pelle nuda. «Sono ancora...» deglutii, mentre lui alzava gli occhi dal mio corpo al mio sguardo. «I segni... Lo sai.» Le cicatrici di ciò che mi era successo a Wicarema non erano del tutto guarite. Sulla schiena avevo ancora un lungo taglio, mentre sul retro della spalla e su una natica era rimasto il marchio di un morso. Non volevo che lo vedesse. Non volevo che mi sentisse... sporco come mi sentivo io.

All'improvviso mi parve tutto sbagliato. Mi divincolai, ma lui mi strinse per i polsi costringendomi a guardarlo. «Ehi.» Tenni gli occhi bassi, puntati su una porzione imprecisata di pavimento. «Francis.» Li alzai timidamente. «Sei tu il padrone del tuo corpo. Decidi tu quanto le cicatrici hanno potere su di te.» Attirandomi per le braccia, mi ritrovai avvolto fra le sue, petto contro petto. «E io dico: che vadano a farsi fottere!»

«Cyran...» soffiai, arreso. E non per la volgarità che aveva detto, ma perché aveva ragione. Non volevo che quel maledetto vincesse. Anche se ci aveva ferito profondamente, quasi uccidendo Cyran, io non avevo firmato il suo stupido trattato. Perciò ero stato io a vincere. Non avevo ceduto.

«Un po' come io voglio fottere te...»

«Cyran!» Ecco, stavolta era per la volgarità.

Sghignazzò. «Rieccoti qui.» Mi schioccò un rumoroso bacio sulle labbra. «Dov'eravamo rimasti?» La domanda retorica si perse nel suono delle nostre bocche che si fondevano ancora, mentre mi liberava dal farsetto e lo lasciava cadere a terra. Arrestò il suo vagare di mani su di me per togliersi la casacca da sopra alla testa. Mi sentii attorcigliare lo stomaco davanti alla vista da capogiro dei suoi muscoli bruciati dal sole.

Torace che pareva scolpito nel bronzo e addominali rigonfi che scivolavano fin dentro all'orlo basso dei pantaloni. La lingua mi si appiccicò al palato. «Approvi la visuale, eh?» Mi accompagnò le dita libere dalle garze fino al bottone che gli chiudeva i pantaloni e i miei pensieri si aggrovigliarono fino a diventar incapace di dargli una risposta di senso compiuto.

Sentivo la durezza che spingeva contro i suoi calzoni, mentre glieli aprivo con le dita tremanti, non per la paura. Forse un misto di soggezione, ansia ed eccitazione. Alzò i fianchi per liberarsi dell'ultimo indumento che lo copriva calciandolo appena. Le fasciature intime che usava a malapena celavano la virilità turgida come il resto del suo corpo.

Mi accarezzò una guancia, prima di premere il pollice sul mio labbro inferiore, punzecchiandolo. «Che ne pensi di fare qualcosa per me?» Sfarfallai le ciglia, fra l'interrogativo e l'ipnotizzato da quegli occhi scintillanti come fuoco. Che abbassò verso la sua durezza, prima di tornare a guardarmi. «Usa quella tua bella bocca per...» Un cenno della testa verso il basso.

Mi ci volle un lunghissimo istante per capire. Poi strabuzzai le palpebre e le mie guance diventarono porpora. «Non c'è modo che tu possa convincermi a fare qualcosa di tanto imbarazzante!» sbottai, mentre le sue labbra si piegavano in un'espressione maliziosa.

«Io però l'ho fatto per te...» Inclinò la testa di lato. «Sei così maleducato da non ricambiare il favore?» Rimasi a bocca aperta, mentre il rossore mi ruggiva in faccia. Il suo indice passò a contornarmi il labbro superiore. «Allora?» Sentii il cuore accelerare e il respiro farsi di conseguenza più pesante.

Come a rallentatore, mi spostai da sopra alle sue gambe per piazzarmici nel mezzo: le aveva allargate abbastanza da permettermi di avere spazio. In ginocchio, con le mani arpionate sulle sue cosce muscolose, gli gettai uno sguardo dal basso. Lui ridacchiò con quella sua voce sensuale e arrogante. «Che non si dica che i mercenari non possono avere principi ai loro piedi!»

«Ma stai zitto...» brontolai, perdendo la mia verve quando fece scivolare una mano fra le mie ciocche color caramello. Sospirai. Mi guardava con divertimento e una malcelata impazienza. Perciò iniziai a liberarlo dalle garze con la frenesia con cui si scarta un pacco regalo. L'erezione, finalmente libera, scattò a molla verso di me picchiettandomi la guancia.

Avvampando, gli presi il membro fra due mani: la prima volta, sul Dirigibile, non gliel'avevo toccato direttamente. Aveva fatto tutto Cyran, conducendo le danze perché sapeva esattamente cosa fare. Io non ne avevo la più pallida idea e mi sentivo vergognoso ed impacciato ad ogni minimo contatto, sotto al suo sguardo rovente, che analizzava ogni mio gesto e ogni mia espressione.

Sotto alle mie dita, il suo pene era caldo eppure duro. E pulsava leggermente, quasi rispondendo alle mie sollecitazioni. «Ti sei bloccato?» soffiò, accarezzandomi i capelli per togliermi i riccioli rossi dalla fronte. Scossi forte la testa e, incapace di trattenermi ancora a quello strano richiamo, avvolsi la punta fra le labbra e leccai.

«Cazzo.» esclamò il corvino, mentre io borbottavo un verso di diniego e gli lanciavo uno sguardo eloquente dal basso. Sorrise, mentre sentivo il suo corpo in tensione sotto di me e una mano che si stringeva a pugno contro i miei capelli. Indurì la linea ben cesellata della mascella. «Solo la vista potrebbe farmi venire proprio in questo momento.» Sospirò con forza dalle narici dilatate. «Non ti fermare proprio ora, principino.»

Mosse i fianchi spingendo l'erezione di qualche centimetro dentro la mia bocca, che era stirata attorno alla sua punta e non avrebbe mai potuto farcela entrare tutta. Imbarazzato eppure coinvolto abbastanza da voler continuare, chiusi gli occhi e mi dedicai completamente a quel compito. «Attento ai denti...» sospirò Cyran, mentre io mi abituavo a quel sapore di salinità maschile e al fatto che lo sentissi pulsare contro la mia lingua.

«Mphf-» abbandonai un sospiro soffocato, cercando di spingermi un po' più in basso, sentendo l'adrenalina scorrermi sottopelle abbastanza da non pensare a quello che stavo facendo ed andare avanti. Il fatto che Cyran avesse quelle reazioni per causa mia era specie di magia. Una magia eccitante e bollente e... Provavo un doloroso formicolio al cavallo dei pantaloni, lì dove la mia intimità era soffocata dal tessuto.

Avvolto da una patina di sudore e col corpo in perfetta tensione, il mercenario mi tirò i capelli allontanandomi in un sol colpo dal suo membro. Un filo di saliva mi collegò alla sua estremità e lo spezzai pulendomi le labbra col dorso della mano, ebbro e ancora stordito. «P-perché...?» Stavo andando così male?

«Voglio starti dentro. Adesso.» pronunciò, la voce roca dall'impazienza. Avvampai violentemente, rialzandomi sulle gambe instabili, mentre lui si destreggiava fra bottoni e lacci a tutta velocità per spogliarmi completamente. Mentre mi sospingeva contro il muro, con le dita umide di saliva penetrò la mia apertura, lasciandomi a boccheggiare senza fiato.

Le sentii avanzare fino alle nocche, spingendosi con ritmicità martellante dentro di me per prepararmi al suo ingresso. Gemetti, incapace di parlare, inchiodato dal suo sguardo vorace e bramoso. Poi mi sollevò per le cosce e creò un incastro perfetto, con le mie gambe avvinghiate intorno ai suoi fianchi e le unghie a premere contro una scapola e quel tatuaggio a forma di fiamma che portava su una spalla.

«Francis... Dei!» ansimò, sostituendosi velocemente alle dita per entrarmi dentro in un solo movimento di anche. Urlai un gemito di piacere inaspettato, piantando le unghie nella sua carne. Era meglio della prima volta, persino più intenso. Forse perché questa poteva essere l'ultima.

«Aah-» mugolai, intrecciando le caviglie sul suo fondoschiena di marmo, mentre lo sentivo spingere e spingere, ancora e ancora. Riusciva a toccare zone dentro di me - che nemmeno sapevo di avere - in grado di scatenare una tale libidine da farmi perdere qualche battito. Ad ogni singolo colpo la mia schiena sbatteva contro al muro in una serie di tonfi che speravo non attirassero l'attenzione di nessuno... Anche se, in quel momento, il mondo esterno era completamente lontano.

Esistavamo solo io e Cyran. Le sue labbra mi succhiavano un lobo mentre le sue mani frizionavano la mia asta al punto che percepivo l'apice del piacere farsi sempre più vicino... Pericolosamente vicino. «Non... non smettere-» ansimai, ad occhi chiusi, non riconoscendo nemmeno la mia voce. Non smise affatto. Invece, aumentò la velocità: ero bollente sotto alle sue dita e la mia testa si era spenta.

Tutto quello che riuscivo a fare era chiamare, pregare, implorare il suo nome invocandolo come fosse quello di un Dio lussurioso, finché finalmente non raggiunsi l'orgasmo con un'ondata di elettricità che mi crepitò in corpo e mi fece tremare dalla testa ai piedi. Venne qualche attimo dopo di me e, ancora con le membra intrecciate, scivolammo ansanti sul pavimento.

Senza fiato, sudato e sensuale, Cyran respirò sul mio collo per sussurrare: «E' stato intenso...» Sbatacchiai le palpebre, gli occhi ancora ottenebrati dal piacere, cercando di mettere insieme una risposta. Poi degli schiamazzi sulle nostre teste, dal ponte della nave, arrestarono i miei blandi tentativi. «Non ci si può mai godere del sacrosanto dopo-sesso!» sbraitò il mercenario, scivolando fuori dal mio corpo per poi rimetterci entrambi in piedi.

Quella frase sancì la fine di quel momento d'intimità e diede il bentornato alle nostre rocambolesche disavventure. Chissà se quella potesse essere considerata davvero come la nostra ultima volta.    

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