29. Superpoteri sparsi a caso
Rhod
Dopo che ci eravamo detti ti amo, il nostro rapporto era mutato ancora. Sembrava che non finisse mai di diventare più speciale, più dolce e, man mano che passavano i giorni, scoprivo nuove minuscole espressioni di André. Lo trovavo così bello da mozzare il fiato, da credere incredibile che stesse con uno come me. Sembrava un principe di quelli di cui leggevo le prodezze nei vecchi libri della biblioteca del mio villaggio, quando ero piccolo. Facevo scorrere le dita sulle pagine e trattenevo il respiro, sperando che il personaggio venisse fuori dalla storia e mi portasse con sé. In un posto dove sentirmi voluto, un posto che non mi avrebbe giudicato come una creatura maledetta e sfortunata.
E poi era arrivato. Gli occhi verde chiarissimo, i lunghi capelli biondi screziati di bianco che raccoglievano la luce del sole. Era il mio principe. Ogni volta che mi perdevo a guardarlo, anche in momenti perfettamente banali fra una conversazione e l'altra, sentivo il cuore perdere i suoi battiti.
Nonostante ciò, avevo notato qualcosa di spiacevole. Fra tutte le sue espressioni, ce n'era una che mi saltava particolarmente all'occhio, perché era ricorrente, tornava spesso, sembrava mi perseguitasse. Un'espressione che mi faceva sentire irrequieto. Ma non nel senso buono del termine. Me la stava mostrando anche adesso. Cercai di non farci caso, mentre faceva scorrere le labbra sulle mie, passandole poi sul collo, ed io avvampavo per la timidezza ma anche per la voglia di averne ancora.
Feci scorrere le mani sul suo torace, sopra le grinze della camicia, sul suo bassoventre. Seduto a cavalcioni sopra di lui, semi-coperti dalle lenzuola, senza pantaloni, ci strusciavano l'uno contro all'altro continuando a pungolarci in maniera sensuale, concentrata e distratta insieme. Ossimorica. Perché mentre il nostro corpo e i nostri sguardi convergevano l'uno sull'altro, eravamo distratti dai pensieri, dalle fantasie, da tutto quello che avremmo potuto mettere in atto di lì a poco.
André era davvero silenzioso, mentre ci spalmavamo sul letto come il burro sul pane caldo e morbido, godendo di ogni carezza, di ogni sospiro protratto nell'orecchio dell'altro il cui tepore restava ad annidarsi nella curva del nostro collo. Era tutto quello di cui avevo bisogno. Ma allora perché mi sentivo così angustiato, davanti a quello strano sguardo?
Sospirai, quando le sue dita mi sfiorarono il sesso turgido, arricciando le dita dei piedi e strizzando le palpebre, le labbra semi aperte sulla sua spalla e i denti che la mordicchiavano un po'. La camicia da notte semi slacciata pendeva verso sinistra e gli scopriva una porzione di quelle spalle larghe, dove lembi di vecchie cicatrici s'intravedevano appena, fondendosi con le ciocche della sua lunga chioma. «André...» invocai il suo nome, con le sopracciglia inarcate in un senso di piacevole sofferenza.
Inseguii con le dita il suo membro, eretto contro di me, sentendo i polpastrelli fremere dalla voglia di serrarlo contro il palmo e vedere il suo viso riempirsi di un desiderio sempre più sincero e sempre meno nascosto.
Dal canto mio, non potevo essere più autentico di così: completamente circonfuso dalla concupiscenza come lo ero del profumo di brezza marina dopo che ero stato sul ponte a prendere aria. Gli occhi di fuoco, le pupille dilatate dalla brama e la bocca gonfia di baci. Perfino l'avventura e il salvataggio della principessa avevano perso di significato, ora che lo avevo trovato. Per la prima volta nella mia vita, sentivo di appartenere a qualcosa, a qualcuno. Era come se la mia esistenza avesse assunto finalmente un senso.
«Rilassati... Lascia che ti metta dentro le dita. Non voglio farti del male.» soffiò il biondo, mentre si ungeva le dita allungando il braccio verso la ciotolina di olio profumato sistemata sul comodino accanto al letto. Essere un erborista significava saper preparare anche quel genere di unguento, immaginai. E arrossii violentemente, allargando meglio le cosce sopra di lui.
Feci come mi aveva detto e rilassai i muscoli, circondandogli il collo fra le braccia ed inalando il suo profumo di erbe e spezie, nonostante tenessi gli occhi bassi, pieno di vergogna. «Sei così bello, Rho...»
Curvai la schiena in avanti, contro di lui, la fronte appoggiata alla sua guancia, le labbra sul suo collo, un ansimo soffocato dalle labbra morse tanto forte che avrebbero potuto sanguinare, se solo avessi aumentato di poco la pressione degli incisivi. Sentii due dita entrare dentro di me, avanzare, muoversi finché non sentii le nocche premere contro alle natiche. «Non ti trattenere.» mormorò. «Non hai bisogno di vergognarti di me.»
Tremai fra le sue braccia, ma era un piccolo tremito di gioia, mentre il mio fisico si preparava ad accoglierlo. Aggiunse un terzo dito e a quel punto gemetti, gettando la testa all'indietro, con le mani che si reggevano alla sua nuca e il naso che premeva fra i suoi capelli.
«Per favore... André..» implorai, indurendo i muscoli delle cosce tanto da fare male, mentre i miei fianchi si muovevano sopra le sue dita, ma non mi bastavano. Volevo lui, nient'altro che lui. E finalmente, quando sentii la sua rovente durezza sostituirsi alle dita, potei osservare l'incresparsi della sua espressione, il sudore che gli imperlava la fronte e i denti stretti mentre mi scivolava dentro.
«Rhod, dammi...» completamente dentro di me, riprese fiato, inalando ed espirando piano, il metto che si gonfiava contro il mio e la camicia da notte che si inumidiva. Avrei voluto che se la sfilasse via, non m'importavano le cicatrici: sarebbe stato bellissimo sentire il mio corpo combaciare completamente contro il suo. Pelle contro pelle, quasi cuciti insieme. Per me era perfetto in qualsiasi modo, ma rispettai il suo volere e restai a mia volta coperto dallo strato di lenzuola che mi si posava sulle spalle come un mantello.
«... dammi una mano.» riprese fiato, le sue mani sopra i miei fianchi che stringevano la pelle. Non riusciva adeguatamente a muovermi sopra di lui o a muoversi sotto di me. Ed ecco di nuovo quell'espressione. Contrita, con un pizzico di disagio e di mestizia. Era perché non riusciva a metterci l'energia che avrebbe voluto? Si sentiva debole, questo lo avevo capito, ma per me non lo era affatto. Che differenza avrebbe fatto, se mi fossi mosso io sopra di lui?
Certo, era imbarazzante, ma se era André potevo superare ogni timidezza. Specialmente se mostrava quel viso: volevo cancellargli quella luce di dispiacere dagli occhi e tornare a sostituirla col desiderio. Perciò iniziai a muovermi su di lui, facendo perno sulle ginocchia che poggiavano sul materasso, ai rispettivi lati dei fianchi dell'erborista. Dondolandomi leggermente, spostare il peso del corpo da quella posizione non era difficile: troneggiavo su di lui e il biondo mi guardava con la testa sospinta all'indietro. I suoi occhi verde acceso erano tornati brillanti come prima.
«Aahhn... André..» mugolai, infilandogli le dita fra i capelli, ciocche bionde strette nei punti e occhi chiusi, totalmente abbandonato al suo corpo e al piacere che ne derivava. Ecco cos'era fare l'amore: quell'unione perfetta di sensi, quell'equilibrio in cui il mio respiro e il mio cuore si fondevano in un unico suono per poi andare ad unirsi all'orchestra di emozioni che venivano dal biondo. Non capivo dove finivo io ed iniziava lui, i contorni dei nostri corpi erano confusi, deliziosamente intrecciati.
«E' così bello..» sospirai, mentre le sue dita si avviluppavano con ritrovata forza intorno al mio bacino, aiutandomi appena un poco a scivolare sopra di lui, facendolo continuamente entrare e poi uscire. Ancora ed ancora. Finché il fuoco che si consumava non diventò cenere, ed allora irrigidii ogni muscolo del corpo, compresi quelli del viso, strizzando gli occhi ed aggrottando la fronte. «AH!» Venni, sporcandogli inevitabilmente la camicia da notte, mentre lui scivolava fuori di me e veniva contro al suo palmo per evitare di insozzare il letto.
Mi coprii la faccia fra le mani, pieno di vergogna. «S-s-scu-scusa!!!» esclamai, guardando mortificato il lino bianco dell'indumento che lo copriva. Le labbra sottili si tesero in un sorriso paziente, addolcito.
«Non c'è problema.» rispose, accarezzandomi i capelli con la mano pulita, scendendo con le dita per indugiare sulla mia guancia tonda. Restai lì ancora per un po', prima di scavallare le gambe e scivolargli gentilmente al fianco, ancora intontito dal piacere. Tanto che sbattei le palpebre per riacquistare lucidità, premendo la guancia sul cuscino.
Mentre io rimanevo aggrovigliato fra le coperte lui si alzò e si ripulì con l'ausilio di una tinozza piena d'acqua fresca, che proveniva dalle numerose botti conservate nella stiva. Il sovrano di Wicarema non ci aveva fatto mancare nulla, quando avevamo deciso di andarcene: era il suo modo per scusarsi di tutto quello che era successo. Si era fidato dell'ospite sbagliato, aveva aperto le porte al nemico e i suoi amici ne avevano pesantemente pagato il prezzo.
Cyran era ancora privo di sensi, allora, e Francis era traumatizzato da quello che gli avevano fatto, così come da non essere riuscito ad evitare che il mercenario rimanesse ferito. Io avevo timidamente aiutato i servi del castello a distribuire razioni di cibo agli abitati furibondi del regno, perché il segreto della difficile situazione finanziaria di Wicarema era venuto a galla, sempre per colpa di quella serpe del marchese nemico. André invece si era occupato di pagare lautamente per la migliore fra le navi del regno, con gli uomini più valenti per costituire un equipaggio coraggioso, che ci avrebbe aiutato a raggiungere i Regni del Caos.
Avevamo ringraziato Sybil Bourgeois e lui si era scusato ancora, mortificato e addolorato, ed eravamo partiti. Ormai erano passate settimane da allora, il mercenario si era risvegliato e, grazie al suo influsso benefico - lo ritenevo incredibile -, anche il principe era ritornato in sé.
Il viaggio andava a gonfie vele, se non fosse che stavamo raggiungendo una principessa probabilmente morta. Quella verità enorme e spaventosa rischiò di trascinarmi nell'oblio dell'angoscia e preferii lasciarmi distrarre dal suono stropicciato di vestiti, quando André appoggiò la camicia da notte sporca al bordo di un paravento e nascosto si cambiò d'abito. Era mattina inoltrata, per cui avrei dovuto darmi una mossa anche io. I nostri due compagni d'avventura ci aspettavano per la colazione, ma preferivo restare nascosto sotto alle lenzuola piuttosto che affrontare l'idea di rivelare quell'oscuro segreto.
«Dai, voltati.» sussurrò l'erborista, con un leggero sorriso, ora seduto al bordo del letto, al mio lato, con un panno bagnato in mano. Ruotai su me stesso, mettendomi a pancia in su. Mi tirò via le coperte ed io piegai le ginocchia, tirandomele un poco contro il petto per nascondermi il pube, tutto rosso. Non c'era niente che lui non avesse già visto, ma adesso che ero l'unico nudo era tutto più imbarazzante. Mi fissò intensamente, accarezzandomi le gambe, un gesto paziente che mi spinse ad abbassarle lentamente.
Mi ripulì il ventre dal seme e, quel singolo gesto, minacciò di farmi eccitare di nuovo. Ma poi, proprio mentre mi osservava con attenzione e mi asciugava con delicatezza - così tanta che sembrava avesse paura di rompermi - quell'espressione tornò a campeggiargli sul viso. E ne ebbi abbastanza. Mi tirai a sedere, aggrottando la fronte, sentendo l'agitazione crescere mentre mi torturavo le dita.
«C-cosa c-c'è che no-non va? Perché mi-mi guardi sempre c-con quegli occhi?» balbettai, mordicchiandomi il labbro inferiore in preda all'ansia. André ritrasse la mano armata di asciugamano, sospirando leggermente dalle narici, mentre muoveva il mento e guardava un punto imprecisato della parete. Sembrava stesse cercando di esprimere qualcosa di inesprimibile.
«Sappiamo entrambi qual è il problema.» Caddi dalle nuvole, mostrandogli tutta la mia confusione con la fronte arricciata come una fisarmonica. «Guardami. Sono pallido, malato, rovinato. Non ho avuto nemmeno la forza necessaria per...» Strinse leggermente le labbra. Per fare l'amore, era quello che intendeva. «Ti meriti molto di più, Rhod.»
«Io non-»
«Quale futuro pensi che ti aspetti? Cosa mai potresti avere insieme ad un debole?» mi interruppe, voltandosi finalmente a guardarmi. Il volto inespressivo, monocromatico, era quello di sempre. Eppure si era fatto all'improvviso distante.
«Tutto.» risposi solennemente, stringendo i pugni sulle lenzuola. Mi osservò cautamente mentre strisciavo sul letto per avvicinarmi meglio a lui. «L-lo sai.. N-non sono b-bravo a spie-spiegare le c-cose.» proseguii, le gote appena imporporate. «Pe-penso che tu abbia.. Uno splendido sorriso... E.. e mi piacciono davvero i t-tuoi occhi... M-mi piace che s-siano così luminosi. E i tuoi capelli... E la tua voce...» Ma era riduttivo. Sembrava che mi importasse solo del suo aspetto, invece non era affatto così.
Lui sorrise debolmente, ma restò immobile. Allungai la mano e toccai la sua guancia liscia. «Mi piace tutto ciò che pensi ti renda debole.» soffiai, senza balbettare, facendo scorrere le dita fra i suoi capelli, illuminati da quelle ciocche argentee fra il biondo.
André, di riflesso, mi imitò, attorcigliandosi intorno all'indice la singola treccina che mi scendeva dalla tempia sinistra. «Ho paura di guastare tutto ciò su cui poso le mani.» rivelò, con quel luccichio addolorato nello sguardo, che sperai di cancellare con l'intensità dei miei sentimenti.
«E io... Io non ho paura di essere guastato.» dichiarai. E finalmente mi mostrò quel raro sorriso che io amavo tanto.
«Rhod...» mormorò, facendomi sprofondare in un abbraccio caldo contro il suo petto, su cui posai il viso, l'orecchio vicino al suo cuore, che batteva lentamente, più di come avrebbe fatto qualsiasi altro cuore. Uniti in quell'intersecarsi di braccia, sentii all'improvviso l'urgente bisogno di svelare anche quello che preoccupava me. Non potevo accettare di tenergli segreta una cosa così grossa. La sola idea di mentirgli mi faceva sentire male.
Ma come potevo rivelarlo dopo che era passato così tanto tempo? Avrei dovuto raccontare anche dei sogni più vecchi. Avrei dovuto spiegare che avevo già incontrato la principessa di Akra. Non sapevo neanche da dove incominciare a parlarne. Ma in qualche modo dovevo provarci.
«A-a-asc-c-olta.. A-andré...» bofonchiai, alzando lentamente la testa dalla sua camicia per affrontarlo. Sapevo che mi avrebbe capito. Sentivo che mi avrebbe aiutato a sistemare la faccenda anche col resto del gruppo. Sì, potevo ancora sistemare le cose! «De-devo dirti..»
Toc toc.
«Ragazzi!! Abbiamo un appuntamento per colazione nella cabina del comandante di rotta! Ve ne siete dimenticati??» la vocetta squillante del principe Levou arrivava con forza anche attraverso la porta chiusa. Sgusciai lontano dalle braccia dell'erborista per nascondermi sotto strati di lenzuola, appallottolandomi fino a diventare un cumulo di coperte.
«Arriviamo subito.» rispose il biondo. «Voi incominciate ad andare.»
«Fate in fretta, le brioche si freddano!» Poi sentimmo lo scalpiccio dei suoi passi allontanarsi, mentre canticchiava un motivetto sotto voce. Cacciai fuori dal bozzolo di coperte la testa, come una lumaca che si sporge timidamente fuori dalla sua conchiglia.
«Cosa stavi dicendo?»
Deglutii. «... Niente.» Dovevamo fare in fretta, comunque. No? Uscii dal letto e mi vestii rapidamente, pronto ad abbandonare la quiete della nostra cabina per immergermi in una nuova giornata di viaggio.
Mezz'ora dopo eravamo tutti seduti intorno al tavolo del capitano di rotta, osservando carte e mappe srotolate in file e sezioni ordinate, appunti, compassi, bussole, e il tutto si fondeva a libri e vassoi stracolmi di brioche ormai fredde. Era di quelle situazioni normalissime come non ne vedevamo da tempo: sembravamo sul serio un banale quartetto di amici che facevano semplicemente colazione insieme. Ma quante ne avevamo passate! Il ragazzino che si nascondeva per paura di morire non aveva mai sperimentato tutte le avventure che avevamo passato negli ultimi mesi.
L'aggressione dei briganti, il villaggio dei paesani coi cappelli rossi scambiati per demoni, gli adoratori fanatici del Dio del sonno che avevano rapito Francis, l'attacco degli orchi a Kijani, lo scambio di corpi per colpa di un monile maledetto, il furto dei nostri averi, la gara ad ostacoli magica, il filtro d'amore che ci aveva scombussolati tutti, il Dirigibile d'Argento che precipitava, un nemico che feriva gravemente Cyran e il principe... Ed eccoci qui, adesso. Ancora insieme, ancora speranzosi di portare a termine una sfida impossibile.
Eppure, davanti alle mappe che costruivano la rotta verso i Regni del Caos, a loro sembrava ancora fattibile. A me un po' meno. Ma mi guardai bene dal dirlo. Ed in fondo, c'era ancora una domanda che mi assillava, mentre osservavo il fermaglio con la camelia di vetro soffiato rosa che un tempo era appartenuto alla principessa Aeline. Riuscivo ancora a sentire una traccia, la sensazione crescente dell'incantesimo che mi portava da lei. Era possibile una cosa del genere, se fosse morta? L'incanto non si sarebbe semplicemente spezzato? O forse mi stava solo conducendo ad un cadavere?
Impossibile affermarlo con certezza. L'avrei saputo solo una volta trovata la fanciulla per cui tutti i nostri guai erano cominciati. Ma anche tutte le nostre fortune. Non avrei mai incontrato André, altrimenti, anche se il mio lavoro e il mio operato al castello di Akra era ad un bacio di distanza dal suo. Separati solo da una stanza. E nessuno dei due l'aveva mai saputo, perché eravamo troppo impegnati a nasconderci dal resto del mondo. Ora avevamo un motivo per sperare che andasse a finire tutto bene.
Trovare la principessa. Viva o... morta.
«Ehi! A cosa stai pensando tanto intensamente, Rhod?» Il viso del principe mi spuntò davanti, con un sorriso affastellato di lentiggini. Sobbalzai, scivolando più in basso sulla poltrona, sperando che il bordo del tavolo mi nascondesse l'espressione. «Dai, prendi una pasta.» Allungò gentilmente il vassoio di dolci e, arrossendo, ne acciuffai uno iniziando a sbocconcellarlo.
«Recapitoliamo.» riprese il principe, raddrizzandosi al suo posto, pulendosi le dita coperte di zucchero prima di farle scorrere sulle carte posate di fronte a lui, sul tavolo. «Secondo i calcoli del cartografo, non manca molto all'arrivo.» Si portò alle labbra una tazza di tè bordata d'oro, riflettendo attentamente. «Approssimativamente un paio di settimane, se non ci saranno tempeste o eventuali intoppi.» Increspò la fronte. «Prima però dobbiamo superare il Triangolo delle Bermuda.» L'indice seguitò a tracciare un percorso invisibile dal punto di mare in cui ipoteticamente ci trovavamo, fino ad un triangolo gravemente tracciato sulla carta, dov'erano disegnati anche mostruosità marine per rendere l'idea.
Il mercenario emise un fischio, incrociando le braccia muscolose dietro alla testa, mentre si spaparanzava contro alla sedia imbottita. «Il Mare dei Mostri? Tsk, non vedo l'ora.» Volgarmente chiamato tale, avevo letto anch'io qualcosa su quel fazzoletto di mare infestato e maledetto fino all'ultima goccia salata.
«C-c-con... Scilla e C-cariddi..» biascicai, sperando che gli altri sapessero di cosa stavo parlando. Il principe annuì vigorosamente.
«Di che parlate?» chiese il mio André, pur non avendo affatto un'espressione interrogativa.
«L'ingresso del Triangolo è sorvegliato da due mostri, Scilla e Cariddi appunto.» riprese Francis, col dito che si era irrigidito intorno al manico della tazza. Trovai davvero ammirabile che lo sapesse, ma ancor più sconcertante che anche per Cyran fosse così, visto che annuiva convinto. O forse faceva solo finta per non sentirsi estromesso dalla conversazione. «Dobbiamo adottare una strategia.» Appoggiò il recipiente di porcellana sull'apposito piattino, assumendo un'aria seria. «Da quello che ho letto in molte testimonianze della marina, è come un cancello magico. Non puoi aggirarlo: ti comparirà sempre davanti. Bisogna per forza attraversarlo scegliendo chi affrontare delle due creature, o tornare indietro.»
«Perché non affrontiamo Scilla?» propose il mercenario, confermandomi che ne sapeva realmente qualcosa. «Ho sentito che il Re dei pirati del Continente Magico ha dato in pasto un buon numero dei membri del suo equipaggio alla bestia, così mentre la nave andava avanti, Scilla spolpava i pirati e lui se ne stava con gli uomini risparmiati a girarsi i pollici sotto coperta.» sogghignò, fiero della propria proposta, finché Francis non lo freddò con un'occhiataccia.
«Non daremo i marinai di Wicarema in pasto a Scilla, Cyran!» rimproverò severamente, storcendo le labbra, mentre il corvino borbottava sottovoce qualcosa di simile a "ma che ci frega" e "a me sembrava un'idea intelligente". «Potremmo provare a combatterla...» sussurrò il rosso, con la fronte corrugata, perché non sembrava convinto neanche lui. Scossi la testa. André mi lanciò uno sguardo.
«S-scegliamo Cariddi.» dissi. Cyran smise di leccare oscenamente l'interno di una brioche per ascoltarmi, con un sopracciglio alzato.
«Perché?» fu Francis a chiederlo.
«E' un g-g-gorgo.. C-che risucchia le na-navi nelle p-p-profondità marine. E... E le di-distrugge. » deglutii, continuando. «Po-potrei.. Ecco.. sì.. Preparare un incantesimo che.. Che fa-faccia v-volare la n-nave. S-sorvole..remmo l'acqua.» Sentii la mano del biondo raggiungere la mia sotto al tavolo. Eravamo seduti accanto, perciò non gli fu difficile compiere quell'operazione. Arrossii.
«Per sorreggere tutto il peso del Dirigibile sei morto per lo sforzo. Sei sicuro di poter fare una cosa del genere?» domando e, al di là della sua espressione impassibile, riuscii a vedere tutta la preoccupazione che provava.
«Mh-mh. Con u-un incantesimo preparato per t-tempo.. Andrà tu-tutto b-b-bene.» lo rassicurai, sapendo che me la sarei cavata: quando avevo la possibilità di organizzare con calma un incantesimo, senza dover operare sulle emergenze o i guai che causava il mercenario, ero consapevole di farcela. Ero bravo nel mio lavoro di mago.
«Cariddi, allora. E' deciso.» concluse il principe, sancendo la conclusione di quell'assemblea-colazione. La prima di tante, che erano venute ma soprattutto che sarebbero state organizzate ancora. «Ti conviene iniziare il prima possibile: stiamo per raggiungere il Triangolo.»
Annuii e inghiottii l'ultimo pezzo della mia pasta. Poi lasciai la stanza, seguito a ruota da André, pronti entrambi a lavorare sull'incantesimo.
❧❧
Cyran
Prima di pranzo, io Francis ci ritrovammo nello studio del Capitano, seduti dietro alla scrivania l'uno accanto all'altro. Dal momento che il principino era pur sempre un principino, nonché grande amico del Re di Wicarema, da cui proveniva la nave, aveva accesso ad ogni cabina e il permesso di disporne come meglio credeva. Io non ero molto entusiasta di come ne stavamo disponendo adesso, in verità.
Insomma, le scrivanie erano fatte apposta per buttare i libri sul pavimento e stendercisi, portandoci sopra la conquista del momento, spalmata su di sé a darci dentro in maniere che... «Concentrati!» grugnii un verso infelice, tornando a guardare la pagina con le sopracciglia aggrottate.
Il pennino nella mia mano sembrava minuscolo quanto uno stuzzicadenti e il modo truce in cui fissavo una "C" tremolante, tracciata sul foglio, faceva ben capire quanto sarei durato. Ma poi Francis avvolse la sua mano intorno alla mia, accompagnandola mentre tracciavo lettere sul foglio, aggiustando i miei movimenti, e all'improvviso i muscoli tesi del braccio si rilassarono.
«Non c'è bisogno di stringere la penna in quel modo... Scrivere è anche un lavoro di polso!» esclamò, chino su di me, il suo buon profumo di sapone alla lavanda che mi avvolgeva come un mantello. Da quella vicinanza, potevo comodamente mettermi a contare tutte le sue lentiggini.
«Ceeerto.» parlai, guardando tutt'altro che le lettere che mi stavo sforzando di disegnare, col volto proteso verso il suo e le labbra che si avvicinavano pericolosamente a quelle gemelle lì vicino. Il pel di carota, troppo concentrato nel suo ruolo di insegnante, non se ne accorse nemmeno, ritraendosi per tornare al proprio posto, con le mie labbra arricciate che galleggiava nell'aria con la stessa espressività del culo di una gallina.
«Allora, provaci!» mi incoraggiò, facendomi un occhiolino. Man mano che i giorni erano passati, Francis era tornato in sé, forse anche meglio di prima. I segni di lividi sul bel faccino erano scomparsi e sul suo corpo color burro non erano rimaste che cicatrici. Voglioso di ricominciare ad affrontare al meglio il viaggio, alla fine mi aveva avanzato una proposta che, in quel momento, mi era sembrata tutta un guadagno: insegnargli come tirare di spada - avevo anche sperato fosse un doppio senso, ma così non era - mentre lui avrebbe cancellato il mio analfabetismo facendomi imparare a leggere e scrivere.
Alla trecentesima C tracciata mi ero amaramente pentito di tutto. «Mmphf... Ci provo...» brontolai, aggrottando la fronte, rimboccandomi le mani ed indirizzando all'indietro sulla testa la mia seducente chioma scura. Poi ricominciai: la sfida era riuscire a scrivere decentemente il mio nome. C... y... r... Strinsi forte il pennino, raggiunta la a, più lontano rispetto a dove fossi mai riuscito ad arrivare da quando avevamo cominciato le lezioni. Poi, iniziando a tracciare la n, un'enorme macchia di inchiostro scivolò fuori dal pennino travolgendo il resto del mio nome, vanificando così i miei sforzi.
Ringhiai, lanciando dall'altro lato della stanza il pennino, che schizzò d'inchiostro le candide pareti prima di picchiare contro la porta chiusa e rovinare sul tappeto. Macchiando anche quello, ovviamente. «Mi arrendo! Non ho voglia di imparare questa robaccia! Sono un mercenario, non un intelligentone!»
Il rosso sfarfallò le palpebre, arricciando le labbra in una smorfietta prima di alzarsi ed andare a recuperare il bastoncino d'argento che giaceva sul pavimento. «Non spazientirti, Cyran... Per imparare certe cose ci vuole tempo.» mi consolò, sfiorandomi il volto con le dita delicate. Voltai la faccia per andare con le labbra incontro al suo tocco, posando un leggero bacio che lo fece arrossire come un peperone e ritrarre rapidamente il braccio. «Ri... ricomincia!» riprese, squillante.
Diverse ore dopo un pranzo rapido e fatto di alimenti solidi, che avrebbero impedito a tutti quelli che soffrivano il mal di mare di rimettere in continuazione, io e Francis ci ritrovammo sul ponte. Il cielo si stava man mano scurendo e il sole si era ridotto ad una screziatura color caramello all'orizzonte.
Evitavamo di allenarci nelle ore più calde perché, mentre il colore bronzeo dei miei muscoli invidiabili avrebbe goduto dei raggi solari, il principino invece si sarebbe arrostito come un peperone su una griglia, avrebbe preso un colpo di calore e sarebbe rimasto a letto per il giorno seguente.
E poi, al tramonto c'era qualcosa di magico nell'atmosfera che si diffondeva per la nave: si alzava una brezza fresca che profumava di salsedine, una bruma leggera avvolgeva le vele bianche e venivano accese tante lanterne di ferro battuto da poter illuminare per bene tutto il ponte, lanterne che erano lasciate appese al sartiame e alle porte che conducevano sotto coperta. Dondolavano dolcemente, creando giochi di luce sulle assi di legno.
Era ufficialmente il mio turno come insegnante, perciò potevo vendicarmi quanto volevo della natura puntigliosa e perfettina del principe quando mi insegnava a leggere. Però non serviva: bastava vederlo arrossire quando io mi avvicinavo, lo avvolgevo alle spalle e gli sistemavo la spada fra le mani, aggiustandogli la postura.
«Te la puoi cavare, principino.» gli sussurrai nell'orecchio, la voce bassa e roca come una promessa seducente, facendo vagare il mio respiro caldo sul suo collo. «In fondo con gli orchi non sei stato così terribile...» Gli accarezzai i fianchi, prima di tirarmi indietro, aggirandolo per pormi di fronte a lui. «Ma ne hai ancora di strada da fare!» E caricai un colpo di spadone contro di lui: cercò di parare sollevando la lama all'altezza del viso, ma l'arma gli volò dalle mani e cadde a terra con un fragore metallico.
«Ma tu sei troppo forte! Come posso combattere contro di te?» mugugnò, atteggiando le labbra in un adorabile broncio, mentre si abbassava a raccogliere la spada. Gonfiai il petto come un gallo, gonfio d'orgoglio davanti a quel complimento.
«Ho visto avversari molto più piccoli combattere contro nemici grandi il doppio!» esclamai, abbassando lo spadone che conficcai dentro ad un'asse per piantarmi le mani sui fianchi, pronto a sfoderare una delle mie rare perle di saggezza. «Non importa la grandezza della stazza. Importa come ti muovi!» Sogghignai. «Un po' come il caz-»
Per poco non mi morsi la lingua, interrompendo il mio brillante intervento quando la nave s'inclinò improvvisamente verso destra, un movimento preceduto da un orribile suono che proveniva dallo scafo del veliero. Una specie di schianto. Qualcosa aveva colpito la nave, anche se il suono era più simile ad uno schiaffeggiare, come se una grande mano si fosse spiaccicata contro le pareti laterali di legno massiccio del nostro mezzo di trasporto.
«Che sta succedendo..?» domandò Francis, reggendosi al mio braccio, mentre io gli ruotavo attorno e gli facevo scudo con le braccia, coprendolo con la schiena.
«Niente di buono.» borbottai, affilando le palpebre mentre osservavo la luce del sole scomparire del tutto, lasciando che il cielo diventasse blu scuro come l'inchiostro che avevo schizzato nello studio del Capitano. Ormai avevo imparato che nulla, in questa avventura, andava per il verso giusto. Avevo smesso di aspettarmi che fosse un viaggio tranquillo.
Poi, l'ombra di grossi tentacoli scivolò sinuosa dal basso e si sollevò per incombere sulla nave, avvinghiandosi alla polena e subito dopo avvolgendosi in spire piene di ventose all'albero di trinchetto. Il principe emise un gridolino soffocato, indietreggiando, proprio mentre uno stuolo di marinai emergeva da sotto coperta, armati fino ai denti.
«IL KRAKEN!»
Chiunque l'avesse urlato, sembrò averlo involontariamente evocato, perché un enorme tentacolo schioccò in mezzo al ponte, spaccando la ringhiera della nave e spezzando due pennoni dell'albero maestro: le schegge di legno volarono ovunque e non persi tempo a fare da scudo al rosso, premendolo contro al mio petto mentre mi voltavo di schiena rispetto all'avvento del Kraken.
«Vai sotto coperta! Quassù si scatenerà l'Inferno!» affermai, sicuro al cento per cento di quello che stavo dicendo, tanto più che un secondo tentacolo si era sollevato, coprendo la luce della luna, per prepararsi a calare sul ponte e colpire qualcuno dei marinai che stavano osservando la situazione impietriti.
«Cyran! Stai attento!» urlò il fanciullo fra le mie braccia, tirandomi per la camicia facendomi fare un passo indietro, un attimo prima che il tentacolo ci colpisse. Ma a quel punto ebbi una sensazione - come un formicolio nell'aria, l'elettricità crepitante della pioggia - e poi vidi lo stesso tentacolo cadere a terra, reciso, dibattendosi sulle assi di legno come un pesce fuor d'acqua, prima di perdere energia e accasciarsi.
«Rhod!» urlammo all'unisono, girandoci verso la porta di sotto coperta: sulla soglia, Bidibi-bodibi e il fioriaio fissavano spietati la bestia all'orizzonte.
«Mettiamoci al lavoro.» esclamò il biondo, slacciandosi l'accetta dalla cintola per brandirla con decisione. Gli andai accanto, continuando a tenere sotto braccio il principe.
«Mi piace quest'indole guerriera, da dove l'hai cacciata fuori?» sogghignai, puntellandolo col gomito, anche se non era la prima volta che il nostro fioraio dimostrava di saperci fare in questi frangenti. Mi scoccò un'occhiata eloquente sebbene impassibile, prima di farsi avanti, tagliando una spire piena di ventose che si era attorcigliata intorno ad un marinaio, prima che il Kraken lo trascinasse oltre la nave per papparselo. Schiena a schiena col maghetto, si coprivano le spalle a vicenda, mentre il più piccolo disegnava intrecci con le mani unite facendo danzare le dita: l'aria si comprimeva intorno a lui e fruste di vento duellavano apertamente contro la Bestia.
«E tu pensi che vi lascerei qui a combattere e me ne starei come un codardo al sicuro?» brontolò il principe, che aveva visto tutto quel che avevo guardato io, registrando il modo in cui André e Rhod coperavano abilmente. «Lasciami mettere a frutto quello che ho imparato in questi giorni!»
«Ma se non hai imparato niente!» brontolai, ma lui si era già svincolato dalle mie braccia e caricava i tentacoli dell'enorme polipo senza paura. Come aveva fatto con gli orchi: non si era mai tirato indietro, a differenza di un'enormità di nobili per cui avevo lavorato. Sospirai. «Allora facciamogli il culo a fette!» scesi a questa conclusione e, urlando, mi lanciai nel combattimento, lo spadone sollevato sopra la testa e i piedi che saltavano sul pavimento per evitare manciate di tentacoli disposi sulle assi che aspettavano di essere calpestati per avviluppare le caviglie delle vittime e trascinarle fuori dal veliero.
Come accadde ad alcuni. Francis gridò, mentre il marinaio che combatteva vicino a lui fu attorcigliato dalle spire e poi stritolato fino a sentire un sinistro rumore di ossa spezzate. «Come si uccide questo abominevole essere?!» strillò, scioccato. «Cyran! Non puoi fare qualcosa con le tue fiamme??» Avevo proprio voglia di polpo arrosto per cena. Ma...
«Potrei dare fuoco all'intera nave!» E quel "potrei" era messo lì solo per rendere la frase meno spaventosa, benché fosse inutile, visto che incendiare il veliero sarebbe stata una conseguenza certa.
«Ragazzi, idee??» esclamò, voltandosi verso i due, e...
«AARRGHH!» Rhod era stato afferrato. Spire massicce lo tenevano sollevato per la vita, avviluppato così saldamente che aveva le braccia bloccate e separate, dritte lungo i fianchi, irrigidite perché la stretta dei tentacoli si stava aggravando. Ululò di dolore, agitando le gambe nel vano tentativo di essere liberato. «LASCIAMIII!»
Era sollevato troppo in alto per riuscire a recidere l'arto della piovra, anche se André tento di farlo lo stesso, lanciando l'ascia: la direzione era giusta, ma il tentacolo si sollevò giusto in tempo, così che l'arma si conficcasse in un pennone di legno lì dietro.
«AIUUUTO!» continuò ad implorare il maghetto, mentre il principe cercò di imitare il gesto dell'erborista ma finì per perdere la spada metri e metri più avanti, sul ponte. Il colorito del maghetto si stava facendo rosso, cercando di resistere alla pressione che il mostro stava esercitando intorno al suo corpo. Morire stritolati non è mai una bella fine. Perciò sospirai e feci un passo avanti, preparandomi ad usare i miei poteri, anche se quello significava mandare in fiamme le vele e gli alberi della nave. Avremmo trovato una soluzione!
Ma poi accade qualcosa di stupefacente. André emise una specie di ringhio, protese le braccia in avanti con i pollici che si toccavano e dalle mani esplose una raffica d'aria tagliente che fece a fettine i tentacoli lungo il suo raggio d'azione, fino a metri e metri più avanti, aiutando i marinai in difficoltà.
Rhod, ora libero, cadde verso le assi, ma io lo acciuffai al volo, impedendogli di spaccarsi la testa sul pavimento. Il tutto, mentre André si fissava le mani sgomento, ad occhi sgranati, scioccato perfino piu di noi.
«Ma da quando i superpoteri vengono sparsi a caso?!» esclamai, rimettendo in piedi il piccolo Abracadabra, che corse verso il fioraio per toccargli le mani, gli occhi che luccicavano in preda ad una smania febbrile e la sorpresa stampata nelle cortine degli occhi.
«Come... com'è possibile?» soffiò il biondo, guardando Rhod, una volta tanto senza quell'espressione da baccalà sulla faccia. «Io non sono un mago...»
«L'ho detto, superpoteri sparsi a caso!» esclamai, alzando le spalle, mentre il principe cinguettava a bassa voce "stupefacente, stupefacente!".
«Le.. Le leggende! Sono vere!» Rhod sgranò gli occhi, tenendo le mani al biondo. «Ricordi quello che ci ha detto il brigante, all'inizio del nostro viaggio?» Non avevo idea di cosa parlassero. Poi ricordai che erano stati attaccati da dei criminali fuori dalle mura di Minartias mentre il principe andava a farsi un bagnetto nel lago infestato dal mostro. Una cosa che io gli avevo permesso per far sì che notasse il mio gesto "eroico" di salvarlo. Che babbeo che ero stato, davvero.
«Che fare l'amore con un mago...» Gli occhi dell'erborista si accesero di comprensione. «... offre una parte dei suoi poteri.» A saperlo, mi sarei fatto un mago tanto tempo fa. Solo che quelli erano conosciuti più come vecchiacci barbuti.
«Ragazzi! Ma è favoloso! Ora abbiamo una possibilità in più per cavarcela nei Regni del Caos!» Fu il principino ad intervenire, un attimo prima che il Kraken mollasse la sua presa dalla nave e fuggisse, forse messo in guardia dall'attacco di André. Ma mi sembrava troppo bello per essere vero.
«Non vorrei rovinare l'entusiasmo generale...» iniziai, quando le nuvole si diradarono e la luce della luna illuminò all'orizzonte quello che ci aspettava. «... Ma credo che ci siamo.»
L'ingresso del Mare dei Mostri. Scilla e Cariddi che nella loro immensità - un gorgo enorme a sinistra che schiumava acqua e sembrava avesse i denti, e uno scoglio mastodontico sulla destra che pareva avere gli occhi - stavano lì e ci aspettavano.
«L'incantesimo??» chiese Francis, volgendosi al maghetto, che scosse la testa con aria affranta. Non era ancora pronto, a quanto pare. Prese un bel respiro, guardò i due nuovi maghi del gruppo, ma lanciò uno sguardo anche a me. «Allora prepariamoci al piano B.»
Qualsiasi piano B fosse, mi augurai che ci salvasse le chiappe. Altrimenti eravamo tutti fritti.
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