28. Il dolce gusto dell'espiazione
Cyran
«Caaazzo.»
Esalai il mio primo respiro dopo aver creduto di essere quasi schiattato. Era quel quasi che fregava sempre il destino: qualsiasi cataclisma mi coinvolgesse, alla fine non ci riusciva mai, a farmi fuori. Quando mi tirai a sedere, il letto cigolò piano sotto al mio peso.
Mi sentivo peggio dei miei post-sbornia fatti di birra stantia, prostitute con sfoghi in parti strane del corpo e musica fatta da bardi più alticci di me. Quelle erano ubriacature da testa che esplode e stomaco in subbuglio. Anche se, per fortuna, attualmente il mio stomaco stava piuttosto bene... Fin troppo.
Ricordai la sensazione della lama che mi trapassava la carne, che mi tranciava gli organi e lasciava una scia di sangue dietro di sé. «Cazzo.» Abbassai gli occhi, trovandomi mezzo nudo, il torace perfettamente scolpito e perfettamente integro, guarito.
«CAZZO!» All'improvviso ricordai ogni cosa. Prima il signore di Wicarema che ballava troppo vicino a Francis e poi il mio gozzovigliare con i cortigiani e il loro modo assolutamente lascivo di darmi il benvenuto. A me non importava niente di loro, comunque, ma mi sembrava un'ottima ripicca nei confronti del principino per avermi ignorato tutto il tempo. Ma avevo fatto male i miei calcoli.
Lo avevo lasciato solo e quel maledetto figlio di puttana... Se solo ripensavo alle sue mani addosso a Francis mi veniva voglia di far esplodere qualcosa. Calciai via le coperte e saltai giù dal letto. «Lo ammazzo, quel fottuto bastardo..!» ringhiai, con i pugni stretti, guardandomi intorno alla ricerca del mio spadone. Era giusto riprendere dove eravamo rimasti. Lo avrei aperto in due, sbudellato, cazzo! Ero davvero bravo a farla pagare ai bastardi come quello là.
Ondeggiai sul posto, barcollando, ma subito mi appoggiai contro alla parete più vicina, riacquistando l'equilibrio. Nel mio osservare in giro, mi accorsi che non mi trovavo nel palazzo di Wicarema. Un'occhiata rapida dalla finestrella a forma di oblò, oltre cui si vedeva il mare perdersi a vista d'occhio, mi fece immediatamente capire che ero su una nave. Quindi non era la mia testa a vorticare.
In effetti, l'oceano fuori erano in fermento: il cielo grigio, come gli occhi del Pel di carota che conoscevo bene, si fondeva ad onde tanto grandi che parevano travolgere le nuvole affastellate in mucchi neri e uggiosi. Fulmini e lampi chiazzavano la volta cerulea mentre l'intera nave si muoveva su se stessa come in preda ad un ballo infernale. Sembrava che il pessimo tempo patito sul Dirigibile d'Argento fosse tornato. O era semplicemente sfiga? Ottima domanda.
In ogni caso, dovevo uscire e trovare immediatamente il principino. Mi ero fatto battere da quello psicopatico - la sconfitta bruciava maledettamente - e lo avevo lasciato di nuovo da solo, senza protezione: fino a che punto era stato ferito? Stava bene? Era vivo? Le domande mi schiacciavano la testa, quasi la trovassi ficcata fra l'incudine e il martello.
Mi spinsi oltre la porta della cabina abbandonando la mia arma ma senza rivestirmi, sapendo bene che avrei perso tempo prezioso. Così mi avviai, mezzo nudo, scarmigliato e con l'espressione di chi è pronto a fare una strage, pestando i piedi pur senza smettere di sbandare da una parte all'altra dell'angusto corridoio di legno.
Francis, dove sei? Dove sei andato a cacciarti?
Sentivo un insolito, nuovissimo senso d'angoscia che partiva dallo stomaco e mi strizzava il cuore. E che si ingigantiva, man mano che camminavo per i corridoi, bussando alle porte senza avere risposta.
«Principino? Francis?» Ogni volta che il silenzio seguiva alle mie domande avvertivo la rabbia e l'apprensione salire. Che idiota che ero stato. Non ero stato nemmeno capace di proteggerlo... Un coglione completo.
Quando il corridoio si concluse, finalmente raggiunsi una sorta di sala comune, dove colonne di legno si innalzavano dal pavimento a tegole. Parecchie persone erano sedute a terra, sistemate su cuscini e raccolte in piccoli gruppi. Mi fermai ad esaminarli uno per uno, ma il rosso non si vedeva da nessuna parte. Tuttavia, trovai il maghetto e il fioraio seduti vicini, in un angolo. Quei maledetti piccioncini si tenevano le mani e si guardavano come se il resto del mondo non esistesse.
Ovviamente, non ci pensai nemmeno a lasciarli in pace. Credevano di potersi crogiolare ancora per molto nel loro romantico sogno ad ogni aperti? Col cavolo. Era fin troppo strano che nessuno dei due fosse con Francis.
«Dov'è il principe?» fu la prima cosa che esclamai non appena mi trovai davanti a loro. «Che cazzo di fine ha fatto quello stronzo fuori di testa?» fu la seconda, senza nemmeno riprendere fiato. Mi resi conto, in ritardo, che loro potevano anche non sapere affatto di chi parlassi.
André distaccò frettolosamente le mani da quelle del mago, alzando la faccia verso di me. La cosa mi fece guadagnare una timida occhiataccia - non sapevo che si potesse guardar male qualcuno pur essendo insicuri come lo era Bidibibodibi - dal maghetto. «Ti sei svegliato, finalmente.» esclamò il biondo, senza comunque sembrare molto sorpreso. «Il colpevole è sparito dopo averti pugnalato.»
Trattenni a stento il sollievo. Quello significava che Francis si era salvato. In qualche modo ero riuscito a proteggerlo. D'altra parte, ero davvero furioso nel sapere che non avrei rivisto quel maledetto per dargli una lezione che non avrebbe mai dimenticato. La rabbia non sarebbe passata tanto facilmente. «Cazzo...» Strinsi i pugni. Volevo prendermela con qualcuno, scaricare tutta la collera che sentivo dentro, vomitarla fuori. Ma prima dovevo vedere come stava il principe. «Dov'è Francis?» ripetei, accigliato dal fatto che avesse ignorato la mia domanda.
E continuò a farlo, con quella faccia impassibile del cazzo. Gli occhi verdi si spostarono lentamente verso il mago, che ricambiò lo sguardo senza dire una parola, come se si parlassero nella testa o usassero un linguaggio in codice in un dialogo a cui io non ero invitato. Gliel'avrei fatta passare a suon di pugni, quell'espressione.
«Sputa il rospo!» sbraitai, afferrandolo per il bavero della camicia e sollevandolo da terra. Si rimise in piedi, allontanandomi le mani dal colletto con uno sguardo imperturbabile, come se la mia furia non lo scalfisse nemmeno.
«Hai dormito per una settimana. In questo lasso di tempo il principe ha metabolizzato quello che è successo... A modo suo.» Si lisciò l'indumento sul petto, stringendo appena le labbra. «E l'ultima cosa di cui ha bisogno è incontrarti con questo stato d'animo. Hai tanto da farti perdonare. Non peggiorare la situazione.»
Sgranai gli occhi. L'erbacoso mi stava facendo la morale? A me? Era impazzito? Alzai il pugno, caricandolo dritto dritto verso la sua faccia: non chiuse gli occhi, non si protesse il viso fra le braccia, non batté ciglio. Rimase fermo e, a pochi centimetri dal suo naso, le mie nocche si scontrarono con un muro invisibile fatto d'aria. Mi ero anche fatto male! Lanciai uno sguardo di fuoco al maghetto, che ricambiò con la stessa dose di minaccia. Per un attimo - ma solo per un minuscolo attimo, avanti! - i suoi occhi mi fecero paura. Sembravano quelli di uno che mi avrebbe fatto a pezzetti se solo avessi sfiorato André.
Emisi un ringhio basso, che fischiò fra i denti digrignati. «Porca puttana, l'ho protetto con la mia vita! Una persona qualsiasi sarebbe morta!» urlai. Tutte le persone nella sala ormai ci stavano guardando, o fingendo di non essere troppo interessate alla conversazione. Me ne infischiai, che sentissero pure.
Il biondo sospirò appena, il primo accenno di una reazione vagamente umana da parte sua. «Non preoccuparti per me.» sfiorò la spalla del brunetto con un breve movimento di dita, tornando poi a guardarmi. «Nonostante tutto, penso tu sia l'unico in grado di farlo stare meglio.»
Quell'affermazione ebbe il potere di far scemare la mia rabbia. Lentamente scomparve, come il dolore di una scottatura silenziato dallo scorrere dell'acqua ghiacciata sulla pelle. "L'unico in grado di farlo stare meglio". Quella frase mi fece sentire stranamente meglio.
«Dove si trova...?» chiesi, il tono di voce più basso, sforzandomi di essere conciliante.
«E' sul ponte, proprio vicino all'albero maestro.» rispose, con un tono indecifrabile, almeno quanto la sua espressione.
«Che cazzo ci fa lassù con questo tempaccio?!» sbottai, sgranando gli occhi. Visto come la nave sbandava e ondeggiava, sarebbe stato davvero facile venir sbalzati fuori dal ponte e cadere in acqua. Era maledettamente pericoloso. «Perché non l'avete fermato?!»
«N-n-non c-ci s-s-si-siamo riusciti...» balbettò l'altro, stringendosi nelle spalle. Non ascoltai oltre: mi catapultai fuori dalla stanza, seguendo l'istinto per trovare la strada verso il ponte scoperto. L'angoscia non si era acquietata, anzi, stava aumentando. Perché Francis era là fuori? Che era andato a fare?
Dopo aver superato una serie di alloggi e aver svoltato in più di un corridoio, finalmente raggiunsi le scale che salivano verso l'alto. Non avevo con me una giacca, nessun impermeabile, nemmeno qualcosa che mi coprisse il torace. Nonostante fosse piena estate, quando spalancai la porta pioggia e vento mi aggredirono così violentemente che sentii freddo. Ma me ne infischiai: era davvero difficile avanzare, o anche solo vedere qualcosa senza farsi ferire gli occhi dalla tempesta torrenziale in atto.
Il pavimento a tegole era diventato viscido e la nave non faceva che inclinarsi, perciò mi trattenni al sartiame, stringendo le mani alle corde fissate alle vele, che frustavano l'aria violentemente, peggiorando il rumore dovuto ai tuoni.
«Francis?!» urlai sopra il rombo dei fulmini e del diluvio, scacciandomi via i capelli bagnati appiccicati al viso: in pochi istanti fui intriso d'acqua fino alle ossa, ma né quello, né il costante pericolo di venir sballottato oltre il parapetto della nave mi fece desistere dal mio avanzare verso l'albero maestro.
«DOVE SEI?» Non ricevetti risposta, ma non servì, perché finalmente lo vidi. Era così assurdo che rimasi a bocca aperta, ma dovetti chiuderla subito per via della pioggia.
Era legato all'albero maestro, la corda lo avvolgeva da sotto alle braccia fino al bacino, evidentemente per garantirgli la sicurezza di non volare via. Aveva le braccia spalancate, i palmi rivolti verso l'alto e il capo piegato al cielo, con gli occhi chiusi e le labbra impegnate a bisbigliare qualcosa di incomprensibile sopra all'ululato del vento. Riportava ancora le tracce di quello che era successo: il labbro spaccato e un livido diventato giallognolo intorno all'occhio. Nulla che rovinasse davvero quel visetto grazioso.
«Francis, che diavolo stai facendo?!» gridai, aggrappandomi alle corde alla quale era legato, praticamente abbracciando l'albero maestro perché non avevo nient'altro di solido a cui tenermi. Spalancò all'improvviso le palpebre e, pur essendo assurdo in un momento come quello, trovai strabiliante che i suoi occhi fossero esattamente identici al colore del mare e del cielo che ci circondavano.
Sembrò scioccato di vedermi lì, in piedi accanto a lui, come se fossi un miraggio venuto fuori dalla nebbia o un mostro emerso dalle onde tempestose. Qualsiasi cosa stesse per dire, se la rimangiò, perché chiuse le labbra spalancate con uno scatto dei denti, tornando ad alzare il volto al cielo.
«Sto espiando.» disse senza alzare particolarmente la voce - lo sentii a malapena - abbassando di nuovo le palpebre contro alle guance. Voleva ignorarmi come aveva fatto per tutti questi giorni? Stavolta non avrebbe funzionato.
«Ma di che cavolo stai parlando?!» sbottai, cercando di capire in che punto la corda fosse fissata e dove poter iniziare a scioglierla. «Qui è pericoloso, se non ti prenderai un malanno finirai in mare e morirai affogato!» Tastando i metri di corda, trovai l'avvallamento di nodi ben stretti che fissavano i legacci ed iniziai a sciogliere, pentendomi di non essermi portato dietro lo spadone con cui tagliarle in un colpo solo.
«Che fai?! Fermo!» Tornò a guardarmi solo per divincolarsi, muovendo le braccia per scongiurare i miei tentativi di liberarlo.
«Ti porto via di qui, ecco cosa!»
«NO! Fermati! Devo restare qui! Devo espiare le mie colpe e pregare gli dei per essere perdonato!» trillò, stringendo i pugni con cui mi colpì debolmente il petto. Gli afferrai il polso, che era così sottile intorno alla mia presa. Con l'altra mano continuavo a tenermi alle corde, il pavimento troppo viscido ed instabile per arrischiarmi a lasciare l'appiglio.
«Colpe? Tu non hai nessuna colpa!» Mi spazzai via i capelli bagnati dalla faccia, cercando di guardarlo negli occhi, ma faceva di tutto per non incrociare il mio sguardo.
«Sì invece! Cyran, un voto di matrimonio è per sempre! Non si spezza!» Scosse la testa, i riccioli color carota appesantiti dall'acqua intorno alla testa buttarono acqua da tutte le parti, ricevendone altra dalla pioggia incessante. «Quando ho fatto quelle cose con te... Sono diventato empio!» Sgranai gli occhi. Non seppi dire il perché, ma l'idea che fare l'amore con me fosse diventata all'improvviso empietà, mi fece arrabbiare. Ma forse rabbia non era proprio la parola giusta. Faceva male.
Ma non me lo meritavo forse? Gli avevo spezzato il cuore, così aveva detto. Il destino mi stava ripagando con la stessa fottuta moneta. «E tutto quello che è accaduto dopo è stata una punizione!»
«Che cazzo dici, Francis... Merda... Non sei ancora sposato.» sibilai, abbandonando il mio buon proposito di non imprecare davanti a lui. Sentii la mia presa farsi d'acciaio intorno al suo polso e dovetti lasciarglielo andare prima di fargli male senza volerlo.
«Ma sono promesso già a qualcuno, a cui dovrei essere sempre fedele!» Alzò gli occhi verso di me e, finalmente, mi guardò in faccia come non aveva fatto da giorni. I nostri occhi s'incrociarono e l'improvvisa voglia di soffocare quelle assurdità con un bacio mi assalì così forte che scaraventai un pugno contro al legno, inchiodandolo fra me e l'albero maestro. Non che potesse andare da qualche parte, legato com'era.
«Allora è anche colpa mia, perché sono stato io a farti quelle cose.» tuonai, digrignando la mascella. La donna a cui doveva essere fedele, in realtà, avrebbe potuto anche essere già morta. Avremmo potuto non trovarla mai. E nonostante ciò, la sopportavo a malapena. «Perciò devo espiare anch'io.»
«No! Non è... Tu sei fatto così! Non ti riguarda!» esclamò, continuando a divincolarsi, sperando di fermarmi dal mio sciogliere le corde, cosa che mi stava riuscendo sempre meglio. "Tu sei fatto così!" Aveva ragione ed ero un idiota per questo.
«Mi riguarda eccome.» Sciolsi i legacci e senza perdere l'equilibrio lo liberai da un paio di giri di corda, soltanto per potermi legare insieme a lui, al suo fianco. Avevo l'impressione che anche se lo avessi portato via con la forza, sarebbe ritornato qui. Perciò scelsi di restargli accanto, facendo un bel nodo stretto all'altezza del petto.
«No.. Cyran.. Vattene..» girò il viso dall'altro lato in modo che non potessi vederlo, incassandolo fra le spalle, come un uccellino spaventato. Gli fissai insistentemente la nuca, la pelle bianca arrossata dalla pioggia fredda, il segno di un morso che si intravedeva oltre il colletto. Il mio stomaco si contrasse dalla rabbia. Fin dove si era spinto quel bastardo?
Gli afferrai una mano e lo sentii sussultare, ma non si girò nemmeno allora a guardarmi. Intrecciai le mie dita alle sue, così piccole in confronto alle mie. Così fragile. Perché non l'avevo protetto meglio? Se solo non avessi distolto lo sguardo... «Perdonami.» Le mie labbra si mossero da sole. «Scusami, Francis.» Il rombo del vento e il ticchettio incessante della pioggia sulle assi del ponte era violento, ma eravamo tanto vicini che non avrebbe potuto non sentire le mie parole. «Scusami per tutto quanto.»
Finalmente mi prestò attenzione: la sorpresa sul suo viso era tanta quanto il dolore che vidi lampeggiargli negli occhi. La stretta fra le nostre mani divenne più vigorosa, più sentita. «Perdonami se ti ho fatto del male.» Non ero mai stato più sincero di così in vita mia. Cazzo, le spiegazioni e le parole dette con sentimento erano la specialità delle donne. Io facevo pena. Non sapevo nemmeno da che punto iniziare a scusarmi, fra le stronzate che avevo fatto.
«Non volevo spezzarti il cuore.» Non distolse lo sguardo, segno che mi stava ascoltando davvero. «E' che... Hai ragione, tu sei promesso ad una principessa. Perciò era meglio che continuassi con le mie brutte abitudini» Sbuffai. «così potevo essere sicuro di non affezionarmi a te. Ma è troppo tardi ormai.» Merda, l'avevo detto davvero. Era chiaro che qualunque strana cosa ci fosse fra noi due, era destinata a finire male: lui era un principe e io un mercenario. Peggio, un mercenario che era stato esiliato dal regno dove sarebbe diventato re.
«C-che vuol dire... che è troppo tardi?» biascicò, con la faccia rossa e gli occhi d'argento che baluginavano di una luce propria. Maledizione. Era così bello che trattenersi dal baciarlo era davvero, davvero difficile.
«Che ho perso la testa per te, principino.» Serrai la mascella, così forte che mi fecero male i denti. «Al punto che sono diventato un idiota perfino peggiore del solito e non sono riuscito a proteggerti.» Presi un profondo respiro. «E' colpa mia, non tua. Solo mia.»
Non disse nulla, ma fui piuttosto sicuro che l'acqua sul suo viso non fosse soltanto pioggia, ma anche lacrime. Era incantevole anche quando piangeva. Lo era perfino quando era ubriaco. C'erano ancora così tante cose che volevo scoprire di quel principino lentigginoso, che l'idea che qualcuno lo avesse ferito, spezzato, cambiato... Mi faceva inferocire e, al tempo stesso, venir voglia di assicurarmi che non fosse così a suon di baci.
Che problema sarebbe stato baciarlo ancora? Questa volta, a differenza di quella prima dell'attacco degli orchi, non rischiavamo la morte imminente, ma raggiungere i Regni del Caos significava comunque andare incontro ad una fine orribile. Quindi avrei dovuto approfittarne prima che fosse davvero troppo tardi. Qualsiasi desiderio stessi cercando di frenare o di assecondare, le mie riflessioni vennero interrotte dalla sua voce. Lo avevo sentito cantare una volta sola, ma ogni sua frase era melodiosa.
«Sei uno stupido...» Merda. Le mie parole non lo avevano raggiunto? Era stato tutto inutile, o semplicemente ero imperdonabile? «Hai rischiato la tua vita per me. E' ovvio che ti abbia già perdonato.»
«Francis...» Fu troppo. Mi inclinai su un lato, curvando il viso per baciargli la bocca di rosa, che era dolce esattamente come la ricordavo. Mi sarei strappato volentieri le corde di dosso, pur di tirarmelo contro per stringerlo con tanta forza da essere sicuro che nessuno l'avrebbe mai più ferito. Nemmeno io.
Non l'avrei permesso.
❧❧
Francis
Secondo il mio principio di espiazione, il bacio di Cyran avrebbe dovuto creare una catastrofe oltre ogni immaginazione. Perché invece di sottrarmi, rimasi lì, semplicemente fermo, incapace di ricambiare o di distaccarmi, le braccia a penzoloni oltre alle corde, le onde in fermento, i fulmini ad illuminarci i volti e la pioggia a batterci sulla pelle, bagnando le bocche che s'incontravano bruciando i centimetri che ci allontanavano.
Eppure, dopo una manciata di minuti il mare parve acquietarsi all'improvviso. Il cielo era ancora grigio, ma le onde scure e frastagliate che parevano poter inghiottire le nuvole si erano abbassate fino a lambire placidamente lo scafo della nave, rendendo visibile l'orizzonte. Le labbra del mercenario si allontanarono dalle mie, la sua lingua scivolò sul labbro inferiore, vicino alla cicatrice che gli arrivava fino al mento, e quel singolo gesto mi fece arrossire.
«La tempesta è passata.» disse, un avviso che servì a permettergli di liberarmi senza che mi ribellassi, anche se ero ancora restio a lasciarlo fare. Sentivo freddo, la pioggia mi era penetrata fino alle ossa, inzuppandomi ogni strato degli indumenti che indossavo, perciò tremavo irrefrenabilmente, nonostante fosse piena estate. Almeno il vento spirava più leggermente di prima, limitandosi a far frusciare le vele.
Le corde caddero pesantemente a terra con un tonfo e, senza nessun preavviso, mi sollevò dalle assi e mi prese fra le sue braccia. «Cyran, lasciami andare! Mettimi giù!» Gli appoggiai le mani sul petto nudo, esercitando una debole pressione nella speranza che servisse a convincerlo, anche se mi pentii subito di averlo toccato in quel modo. Avvampai.
«Stai scottando, principino.» rispose, accostando la sua fronte contro la mia, gesto che lo portò a stringermi più forte al suo corpo. Nonostante mi agitassi, sembrava non avere la minima intenzione di mettermi a terra e alla fine mi arresi, vedendolo camminare con attenzione per non scivolare sul pavimento viscido. L'aria salmastra e frizzante contro la pelle bagnata mi faceva rabbrividire, ma lui era... Era caldissimo.
Come il tepore del fuoco.
Ricordai all'improvviso quello che era successo mentre André lo medicava. Non avevo mai provato un terrore simile. Aveva perso fiumi di sangue... E poi il contatto con quei tizzoni ardenti, in maniera assolutamente sconvolgente, avevano rimarginato la sua carne come fosse normale. In un modo tutt'altro che umano. Era ovvio che c'entrasse il suo potere e quel poco che mi aveva raccontato su di esso, ma non riuscivo comunque a trovare una spiegazione per quello che avevo visto. Nemmeno Rhod era in grado di fare magie simili. Era una specie di miracolo.
E anche se ero riuscito a nascondere bene la mia meraviglia, ero invaso dal sollievo nel vederlo in piedi. Sembrava stare bene, come se nessuno lo avesse mai ferito a morte, come invece era accaduto soltanto pochi giorni prima.
Nessuno... Strizzai gli occhi bruscamente, obbligandomi ad allontanare il volto di quell'uomo dalla mia testa. Eppure ritornò lo stesso, coi suoi occhi dorati e divoranti, le mani viscide e violente, la pressione dei suoi denti nella mia carne... No. Basta. No! Vai via.
Viaviavia.
Il suono della porticina che venne spalancata mi riportò alla realtà, tanto repentinamente che sussultai. Così mi resi conto che le mani di Cyran mi stringevano troppo, le sentivo premere su una coscia ed intorno alla schiena. All'improvviso mi sentii come braccato, soffocato, invaso.
«Basta... Mettimi giù.» sussurrai, guardandomi intorno: eravamo scesi fin sotto coperta, il corridoio di legno angusto aumentava la sensazione di claustrofobia crescente. Non riuscivo a sopportarlo. «LASCIAMI!» Mi liberai con uno spintone solo grazie all'effetto sorpresa, mettendomi a correre per lasciarlo indietro.
«Francis, aspetta!» Non mi voltai, velocizzando il passo. «Per favore!»
Seminai una scia di gocce sul pavimento, fin quando non raggiunsi la mia cabina, chiudendomi con un botto la porta alle spalle, buttando la chiave a doppia mandata con le mani tremanti. Nessuno sarebbe riuscito a raggiungermi in quel modo. Nessuno mi avrebbe toccato. Ero al sicuro.
Mi lasciai cadere ai piedi della porta chiusa, la schiena contro l'anta, le gambe piegate contro al petto e la faccia nascosta fra le ginocchia. Era vero che avevo perdonato il mercenario, ma non potevo permettere che si avvicinasse ancora.
«Francis! Apri la porta!» Sentii i suoi pugni battere e il vigore di ogni colpo contro al legno mi vibrava fino alla schiena. Deglutii, ficcandomi le unghie nel tessuto del pantalone inzuppato.
«VAI VIA!» urlai, stringendo i denti, sperando che seguisse subito il mio consiglio. L'idea di aprire... L'idea di aprirgli... Ripensai a quando avevo scioccamente spalancato la porta, convinto di vedere dall'altro lato Cyran, mentre quell'uomo era lì e si era infiltrato contro il mio volere. No, per tutti i dei e i diavoli, non avrei aperto. «LASCIAMI IN PACE!»
«No! Non ti lascio solo!» tuonò, con una determinazione tanto ferrea nella voce che mi spinse a sollevare il viso dal nascondiglio fra le ginocchia, girandomi a guardare la porta quasi potessi vederci attraverso. Il cuore aveva preso a battere, un po' per il timore, ma molto più per un sentimento che non riuscivo a decifrare ancora bene.
«Vai... vai via, per favore...» pigolai, sospirando.
«Resterò qui fuori finché non mi aprirai, accettalo!» Poi sentii il suono dei suoi passi, lo spostamento di peso, finché l'ombra sotto alla porta non mi fece intuire che si era seduto anche lui, nella stessa posizione in cui ero io. Eravamo schiena contro schiena, divisi soltanto dalla superficie di legno posta fra di noi.
Non mi azzardai ad aprirgli. Eppure, negli interminabili minuti di silenzio che seguirono, mi resi conto che sapere che lui era lì, sapere che mi avrebbe protetto, era confortante. Mi fece sentire meglio. Socchiusi gli occhi con un sospiro, appoggiando il mento sulle ginocchia, ignorando il fatto che fossi ancora sul pavimento, ancora gocciolante, ancora con gli abiti zuppi incollati al corpo. Ancora a tremare, forse per il freddo, forse per la paura.
Non dormivo da giorni. Ogni volta che chiudevo gli occhi rivedevo il volto di quell'uomo, risentivo le sue mani ignobili e schifose addosso. Ma Cyran era lì dietro e se avessi chiuso le palpebre, solo per un attimo, ero certo che non mi sarebbe capitato nulla di male. Perciò fu quello che feci e, senza nemmeno accorgermene, crollai in un sonno profondo.
Non seppi dire per quanto tempo mi appisolai, ma al mio risveglio la stanza era immersa nel buio e il cielo fuori dall'oblò sopra al letto era diventato nero pece. Ero ancora seduto sul pavimento, con la schiena schiacciata contro alla porta e gli abiti umidi. Solo i capelli si erano asciugati in soffici sbuffi color caramello. Mugugnai un verso disarticolato, stropicciandomi un occhio. Mi tornò in mente, con un po' di ritardo, che Cyran era dietro alla porta.
No, non poteva essere ancora lì. Non dopo tutto questo tempo.
Mi alzai in piedi, ancora dolorante per il sedere schiacciato per ore contro una superficie dura e piatta. Poi misi mano alla chiave, girandola molto lentamente, nella speranza che lo scatto della serratura non facesse rumore. Alla fine, col cuore in gola, aprii l'uscio. Solo un minuscolo spiraglio, da cui entrò un filo di luce, perché qualcuno aveva acceso le candele nei paralumi appesi alla parete del corridoio.
Feci spuntare un solo occhio grigio dal piccolo anfratto aperto, che usai per guardare a destra e poi a sinistra. Sembrava deser... «UAH!» sobbalzai facendo due passi indietro, quando la faccia di Cyran spuntò dal basso, facendo forza col braccio per spalancare la porta. La luce mi invase all'improvviso e dovetti battere le palpebre, ma non mi servii abituarmi, perché la sua ombra tornò a coprirmi.
Si fece bruscamente strada nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, facendo ripiombare la mia cabina nel buio. «STAI INDIETRO!» urlai, arretrando ancora, finché le mie gambe non toccarono i piedi del letto.
«Francis... perché fai così? Sono io... Sono Cyran.» soffiò, avvicinandosi ancora di qualche passo, gesto che mi portò a cadere col sedere sul letto. Strisciai col bacino indietro, cercando di recuperare centimetri di spazio, di tenermelo lontano. «Per favore.» Si avvicinava ancora, anche se mi trovai spalle contro la testiera, senza vie di fuga.
«Non ti avvicinare... Ti prego, stammi lontano..» odiai la mia voce, ma non potei fare nulla per farla smettere di tremare come il mio corpo. Mi attirai di nuovo le ginocchia contro al petto, abbracciandomele per restringermi su se stesso nel tentativo di crearmi intorno un piccolo scudo di gambe e braccia.
Poi chiusi gli occhi, forte, fino a sentire male alla testa. «Non lasciarmi fuori da questa cosa, ti imploro.» disse lui. Il letto cigolò quando si sedette - lo stesso cigolio che aveva emesso quando quell'uomo mi aveva scaraventato sul materasso, prima di abbassarmi a forza i pantaloni - poi una mano che non era la mia si poggiò sul mio volto. Sussultai, tremando ancora più forte di prima. Eppure, quando sentii pollice scivolare sulle mie palpebre, sul mio zigomo, in una carezza leggera, avvertii il suo tepore.
Le mani di quell'uomo erano gelide. «Sono io...» Le mani di Cyran erano calde. Così calde.
Schiusi delicatamente le palpebre, con una certa cautela, senza allontanare il tocco della sua mano. Ci fu un singolo, unico istante, in cui ci guardammo e basta. Il mercenario era ancora bello da fare male: la pelle bronzea, gli occhi di uno strano arancio lavico che sembravano ribollire, i capelli scuri un po' lunghi e scompigliati ma nel modo giusto, la bocca tumida e quella piccola cicatrice che correva dal labbro inferiore al mento. Rasentava la perfezione.
«Cyran...» bisbigliai, con la voce rotta da un pianto inespresso, che mi era rimasto bloccato nel fondo della gola, fermo dietro agli occhi. Non ci fu nessun altro segnale, nessuna parola di troppo. Mi attrasse a sé e mi avvolse in un abbraccio in cui io nascosi il volto, scoppiando finalmente in lacrime. Erano sempre state lì, per tutti questi giorni di inappetenza e queste notti insonni. Stavano soltanto aspettando questo momento.
Gli strinsi il torace muscoloso fra le braccia, le mie mani ferme sulle scapole nude e il mio pianto irrefrenabile che si rovesciava sulla sua pelle scura. «E' stato .. orribile.. Lui voleva... che io firmassi... un accordo.. ma-» annaspai, senza fiato a furia di singhiozzare. «m-ma non volevo.. E allora... Ha fatto.. Ha fatto quelle cose... mi veniva da vomitare.. Volevo.. che la smettesse...»
Si irrigidì intorno a me, il suo abbraccio divenne più pressante, forte. Quando sollevai lo sguardo, potei vedere anche attraverso il velo appannato dalle lacrime la sua espressione. Di nuovo quell'espressione. Gliel'avevo vista quando era entrato nella stanza del palazzo a Wicarema, poco prima di salvarmi e pagarne le conseguenze. Era furia cieca.
Eppure, quando abbassò gli occhi, il suo sguardo cambiò. Si era riempito di una dolcezza che mi fece male al cuore. Da quando il mercenario mi voleva così bene? Da quando sembrava tenere a me tanto da riservarmi quel tipo di sguardo? «Non accadrà mai più. Chiunque cercherà di farti di nuovo del male dovrà passare sul mio cadavere.» Le sue labbra si premettero sulla mia fronte, un tocco che cancellò il mio dolore e il mio terrore. «E anche se dovessi morire, tornerei indietro per proteggerti, finché non sarai al sicuro.»
Un tenue sorriso mi tirò le labbra da un lato all'altro del volto e un pianto colmo di sollievo mi solcò le guance, fino a lasciarmi senza più lacrime da versare. «E' una promessa che rispetterò fin quando non sarai stanco di me, principino. Fin quando non ne potrai più di vedermi appiccicato a te.» Sorrise anche lui, appoggiando la fronte contro alla mia, i nasi che si sfioravano, stretti l'uno all'altro in un abbraccio.
«Va bene.» sussurrai, trovando le sue mani per intrecciarle alle mie, forte. Non l'avevo solo perdonato. Semplicemente, tutto quello che era successo sul Dirigibile d'Argento aveva smesso di avere importanza. Il cuore che credevo mi avesse spezzato si era ricostruito, più saldamente di prima. «Grazie per avermi salvato.»
C'eravamo di nuovo avvicinati e non si trattava di carne, ma di anima. E sentivo che, stavolta, non ci saremmo più allontanati.
❧❧❧❧
*L'angolo di un'autrice quasi morta di caldo*
Hola!
Sono troppo contenta di essere riuscita ad aggiornare prima della mia partenza, è davvero un sollievo! A parte questo, devo ammettere di aver scritto il capitolo in tutte queste notti, quindi spero non ci siano ripetizioni continue o strafalcioni strani (edit: alla fine ho corretto tutto). E spero anche che tutte le emozioni dei personaggi siano arrivate degnamente, nel modo in cui volevo. Credo di esserci riuscita! Insomma, un'altra evoluzione del rapporto fra questi due. Mi auguro che il cap. vi sia piaciuto!
Alla prossima~
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