26. Incubo di una notte di mezza estate
Francis
Il palpitare del trambusto che, in seguito, travolse il Dirigibile aveva un sapore diverso rispetto all'inizio. Non c'erano gridolini concitati, niente pettegolezzi su ciò che sarebbe potuto accadere, o su quale fortunato facoltoso le dame avrebbero potuto incontrare. C'era invece una confusione tutta dettata dall'angoscia dell'intero equipaggio sopravvissuto. Miracolosamente, nessuno aveva perso la vita quel giorno. Nessuno tranne Rhod, ovviamente.
Non c'erano parole per esprimere quanto mi sentissi in colpa: sapevo che in Kylar Meiridion ci fosse del marcio. Sentivo che c'era, sin dal primo sguardo di sfida. Ma non avevo fatto abbastanza per fermarlo. Come principe, se non riuscivo ad arginare il comportamento di un brigante, in fin dei conti ero un fallimento.
Il mio umore era ridotto ad un cumulo di cenere su cui soffiar sopra per farlo volare via. I miei sentimenti erano miserabili come un paesaggio bruciato. Non solo mi ero lasciato sopraffare dallo strano potere di quel riprovevole criminale, ma avevo sbagliato anche con Cyran, su tutta la linea. L'ultima cosa che ricordavo era il suo sguardo spaventato, prima che una chiave inglese mi colpisse in testa, cadendo nel buio più totale. Dentro di me bruciava ancora il dolore del tradimento. Ero stato usato e poi gettato, come la biancheria sporca che si lascia ai piedi del letto in attesa che qualche inserviente la infili in una cesta per portarla a lavare. Solo che non sarei più riuscito a strofinare via il sozzume dell'umiliazione subita, che mi restava appiccicata addosso come il fango secco.
Avrei dovuto conservare la mia purezza per la prima notte di nozze, com'era educazione fare. Avrei dovuto preservarmi per Aeline, che stavo andando a cercare in modo da coronare il volere dei nostri genitori. Quasi mi sentivo mancare all'idea che la mia famiglia venisse a sapere di ciò che avevo fatto. Mi sarei portato quel segreto fin dentro alla tomba, pensai, mentre i nostri cavalli trottavano quieti lungo gli incantevoli fiordi che troneggiavano sul paesaggio, padroni assoluti della natura. Uno strapiombo sul mare.
Ma com'eravamo arrivati ad ottenere dei cavalli, galoppando nelle lande incontaminate di Wicarema?
Era stato più semplice del previsto, un volere degli Dei, un pagamento per il fato avverso che stavo subendo, ci avrei scommesso. Come se la nostra sventura all'improvviso avesse contribuito ad una favorevole svolta degli eventi. Appena atterrati, Rhod aveva perso i sensi e, con essi, la vita. Era stato uno sforzo tanto grande che in qualche modo era imploso, com'era successo durante l'attacco degli orchi, per fermare l'esplosione di Cyran. E mentre André si occupava di lui con la devozione totale di un fratello, io li assistevo facendo ogni cosa per evitare il mercenario. I suoi approcci, la sua voce, anche solo i suoi occhi. Non riuscivo nemmeno a guardarlo in faccia, dentro di me qualcosa diceva che, se lo avessi fatto, sarei morto: di crepacuore o di vergogna, non faceva differenza.
Intanto, le guardie di sicurezza del Dirigibile d'Argento si erano occupate di Kylar Meiridion - non prima che Cyran gli tappasse la bocca e legasse come un salame la ragazza lupo che gli faceva da spalla. Si era scoperto che fosse un famoso pirata che, oltre a depredare navi, si dilettava nel rubare agli ospiti delle osterie rivendendo i loro averi al mercato nero. Un vero bifolco.
La direzione invece, aveva risarcito ogni singolo passeggero, assicurandosi che avessero un calesse, una carrozza o una cavalcatura con cui arrivare alla città più vicina mentre loro riparavano il guasto, pronti a ripartire una volta tornati operativi. Sempre che qualcuno fosse ancora disposto a correre il rischio di tornare su un pallone volante potenzialmente mortale.
Secondo l'opinione da scroccone del mercenario, grazie al risarcimento ci avevamo guadagnato ulteriormente, visto che avevamo ottenuto gratuitamente un posto sul dirigibile, vincendo i biglietti alle gare sportive. Comunque, il piano non era cambiato: raggiungere il litorale per comprare una nave ed imbarcarci verso i Regni del Caos. In effetti, Wicarema era una città costiera: una bellezza selvaggia di strapiombi in roccia nera, spiagge di ciottoli scuri e sabbia bianchissima. Praterie che si perdevano a vista d'occhio e profumo di muschio, con un'atmosfera magica e nebbiosa nell'aria. Dalle alture, le navi attraccate non erano che puntini bianchi in lontananza, fruscianti come fazzoletti di seta.
Avremmo potuto alloggiare in un costoso albergo, ma io avevo altri piani. Conoscevo i regnanti di quel popolo pieno di musica e superstizione che faceva tutto il suo affidamento sulle tratte mercantili, il commercio e la pesca. Quando avevano consolidato l'embargo per reprimere i contatti con il Continente Magico, la loro economia aveva subito duri colpi, ma era stata una mossa che tutti i regni del Continente Meridionale avevano apprezzato e la loro reputazione ne aveva senz'altro giovato. Perciò, un rapporto di amicizia e alleanza legava il mio regno al loro: erano venuti in visita almeno un paio di volte alle grandi feste invernali organizzate dai miei genitori, dove spesso a Gilerines c'era un tempo afoso pari all'estate, che i nobili adoravano per trascorrere le vacanze.
Purtroppo, sapevo che un paio d'anni prima la loro regina era venuta a mancare, perciò il Re si era tuffato nelle imprese mercantili e il principe restava solo nella proprietà, ad occuparsi degli affari di Wicarema. Speravo proprio in quello, mentre una cavalla pezzata dagli occhi dolci trottava lungo la collina, conducendomi verso il castello imponente che torreggiava in cima. L'erborista portava il mago sopra al proprio cavallo, dinnanzi a lui, il capo ciondolante dolcemente posato sulla sua spalla, come avrebbe fatto un cavaliere con la sua dama dentro ad un poema romantico. Mi morsi le labbra per non sospirare deluso, ignorando il suono degli zoccoli che ticchettavano sullo sdrucciolato mentre Cyran si spostava verso il mio fianco.
Raddrizzai istantaneamente la postura, sollevai il mento e strinsi le briglie tanto forte da sentir male alle mani. Costringermi a non guardarlo aumentava il desiderio di perdermi nei suoi occhi lavici, ma riuscivo comunque a studiarlo con la coda dell'occhio: le bocca carnosa da baciare, con quella cicatrice che scendeva dal labbro inferiore al mento; il naso dritto dal profilo greco; la pelle color caramello con cui il sole amoreggiava; e poi... E poi quel modo non studiato ma assolutamente perfetto che avevano i suoi ricci color pece di andarsene da tutte le parti. Per non parlare delle spalle larghe, della perfezione di quei muscoli torniti di cui s'intravedevano le forme sotto alla cotta di maglia e della lunghezza delle gambe le cui cosce stringevano possenti il busto del suo cavallo. Aveva quel modo di muoversi, di parlare... Sempre così padrone di se stesso, così consapevole della sua bellezza che riusciva a far gravitare il mondo intorno a lui diventandone il centro perfetto.
Mi lasciava senza fiato, come se avessi ingoiato un sasso e quello si fosse fermato da qualche parte ignota per tapparmi i polmoni. Come se, al tempo stesso, ci fossero farfalle a svolazzarmi nello stomaco, a farmi venire le vertigini e i brividi caldi alle gambe. Era così deprimente, sapere di essere totalmente perso per una persona tanto sbagliata, che dovetti concentrarmi su ogni aspetto negativo: era un bifolco maleducato, un cafone, un donnaiolo, un venale approfittatore attaccato ai soldi. Era un soldato, per cui aveva ucciso della gente. Ma non lo biasimavo per ciò che mi aveva raccontato, anzi, quei momenti, quella sensibilità... Ciò che aveva scelto di dirmi. Rendevano la sua immagine perfino migliore.
No, no, concentrati sugli aspetti negativi. Sboccato. Buzzurro. Promiscuo. Perdigiorno cialtrone.
«Allora, principino... Pensi che il tuo amichetto nobile ci darà una bella nave?» disse lui, la voce potente come se avesse riempito una grotta e ci fosse l'eco. Sensuale come se mi avesse strofinato una piuma d'oca sulla schiena nuda.
Deglutii, aggrottai le sopracciglia e mi imposi di ignorarlo ostinatamente.
«Oh andiamo, principessino! Non puoi ignorarmi per sempre!» cantilenò, con un'aria per nulla afflitta, anzi sogghignava sotto un broncio falso come un mercante che vende "perle di fiume". Di solito non sono mai di fiume, ma sempre d'oceano e valgono molto meno! Ma questa era solo una mia inutile digressione. «Non credi?» incalzò, il tono morbido come velluto, come se si aspettasse di vedermi cedere da un momento all'altro. Anzi, come se fosse assolutamente certo che l'avrei fatto e non potessi resistere al suo fascino.
Aveva ragione, era impossibile farlo. Specialmente così vicini, sentivo la sua gamba sfiorare la mia, il suo sguardo cesellarmi il profilo. «Su, carotino, se mi diresti una parola ne sarei tanto felice...»
«Se mi dicessi!» esclamai, con un sospiro costernato. La sua calda risata riverberò lungo tutta la costa, facendomi sussultare il cuore, che mi batté violentemente nel petto quando senza pensarci, girai il viso verso la sua figura.
«Sapevo ci saresti cascato. Sei prevedibile come le gambe aperte di una prostituta!» disse, allegramente, prima di rendersi effettivamente conto di ciò che aveva pronunciato. Prima esalai un verso scioccato, poi diventai così rosso e furioso che con una sterzata di briglie partii al galoppo lasciandomelo dietro, senza un'altra parola.
Uno schifoso, buzzurro svergognato. Ecco cos'era. Avrei tanto voluto tirargli un ceffone e lasciargli il segno pulsante della mano sulla guancia, ma sapevo che la violenza non era mai la risposta. Preferii raggiungere le porte della fortezza in tutta fretta, spingendo il batacchio contro al legno massiccio in attesa di una risposta. Gli Dei furono dalla mia parte: prima che Cyran mi raggiungesse tempestandomi con altre sconvenienti frasi, l'uscio venne spalancato da un maggiordomo in uniforme scura, quasi quanto la tonalità della sua pelle, del colore del caffè amaro. Notevoli pitture facciali decoravano il suo viso, aprendogli due margherite bianche intorno agli occhi, di cui i bulbi oculari erano il pistillo.
«I signori desiderano?» domandò, con un candelabro d'oro massiccio nella mano, acceso anche se era ancora il primo pomeriggio.
«Sono Francis Levou, principe di Gilerines.» mostrai lo stemma del regno e una lettera di raccomandazione che attestava ai nostri alleati chi fosse la mia famiglia, un mezzo che finalmente tornava utile. «Siamo qui per chiedere asilo al principe Bourgeois.» conclusi la presentazione, col mio solito tono di voce posato e postura elegante, dritta dentro al mio farsetto. Era un bene che avessimo fatto shopping prima di partire sul Dirigibile: non avrei sopportato di vedere i miei compagni di viaggio avvolti da abiti sciatti dentro ad una corte reale, pur una piccola come questa.
«Attendete, prego.» Il servitore sparì dietro alla porta socchiusa e, mentre smontavo dalla giumenta, lasciai scorrere lo sguardo oltre il piccolo villaggio rurale che scendeva lungo il pendio seguendo il corso dei fiordi, dal versante opposto del colle rispetto a dove eravamo arrivati. Anche da questa distanza, si vedeva quanto brulicasse di vita. Due minuti dopo, l'ingresso si aprì.
«Francis? Siete proprio voi, mio vecchio amico?!» esclamò un uomo che a stento riconobbi.
«Sybil Bourgeois!» esclamai, con un sorriso a trentadue denti. Non sembrava vero che fosse proprio lui, era completamente diverso rispetto a quattro anni prima, l'ultima volta che lo avevo incontrato, in una ricorrenza a Gilerines.
Era più alto e decisamente più massiccio: le spalle si erano allargate notevolmente e quella camicia a sbuffo, aperta di parecchi bottoni sul petto, lasciava intravedere muscoli scolpiti come l'ardesia. La pelle scurissima faceva spiccare il suo sorriso - quello era come lo ricordavo - fra le labbra carnose, ancor più di quelle di Cyran. Gli occhi di un magnetico nocciola erano diventati più maturi, meno giocosi rispetto a un tempo. Come in passato, indossava gli abiti tradizionali del posto, un kilt verde bosco a scacchi e righe nere e gialle, sopra ad un paio di stivali che non nascondevano le ginocchia muscolose, segnate da vecchie cicatrici dovute ai giochi d'infanzia finiti male.
Ci stringemmo la mano, ma alla fine lui cedette ad un abbraccio, dandomi qualche colpetto nostalgico sulla spalla. Incrociai per un paio di secondi gli occhi del mercenario da sopra alla spalla dell'uomo, che mi sembrava scettico, ma distolsi in fretta lo sguardo. «Venite, accomodatevi. Gli amici di Francis sono i miei!»
Volevo specificare che alcuni di loro - uno in particolare - non erano esattamente miei amici, ma decisi fosse meglio evitare equivoci e arginare la possibilità che Cyran intervenisse dicendo qualcosa di cui mi sarei pentito. Fischiò per richiamare l'attenzione di uno scudiere che raccolse le redini dei nostri cavalli, accompagnandoli verso le stalle e poi chiese educatamente ad André se avesse bisogno di aiuto a scortare Rhod, avendo l'accortezza di non fare domande, se non quella sul chiamare un medico. Il biondo rifiutò entrambe le proposte, preferendo occuparsi di tutto da solo, ma dietro la patina d'indifferenza capii che sembrava lieto di essere finito in un posto così confortevole, dove sarebbe stato facile trovare aiuto in caso di problemi, diversamente da un albergo. Ne fui fiero: almeno una cosa giusta l'avevo fatta.
Oltrepassato l'ingresso, mi presi del tempo per esaminare il castello: altissime volte di pietra, arazzi colorati, armature dorate accatastate contro il muro. Era un'allegra commistione di rustico e di carnevalesco, eccentrico ma non spiacevole.
Alcuni membri della corte oziavano su divani di tutte le forme e motivi, ognuno di loro con la pelle in varie gradazioni di cacao e il kilt, che se non veniva indossato intorno alla vita era almeno drappeggiato su una spalla o usato come copricapo o fazzoletto. Così come da tradizione.
«Ma hai visto?! Uomini che indossano il gonnellino!» sussurrò il corvino, sghignazzandomi all'orecchio con un tono d'ilarità che mi diede sui nervi. «E non copre nemmeno le caviglie! Non è una specie di doppia violazione del decoro??» Dal modo in cui rideva, intuii che si stava divertendo un mondo.
Mi stavo già per lanciare in un lungo sermone sull'educazione che doveva tenere in quanto ospite nei confronti del padrone di casa - un principe in questo caso! -, sul rispetto della cultura altrui e sulla sregolatezza del suo divertimento completamente offensivo, ma non volevo farmi sentire. E poi, era tutto inutile, non volevo sprecare parole. Perciò mi limitai a sibilare: «Taci, per piacere!» proprio un attimo prima che Sybil arrestasse il passo.
«Per una lieta coincidenza del caso, attualmente non siete gli unici ospiti che risiedono nel castello, perciò fra qualche ora terremo un banchetto. A me e alla mia corte farebbe davvero piacere la vostra presenza.» spiegò, mentre i nobili intorno ci guardavano curiosi. «Ora, immagino che siate arrivati col Dirigibile che ha avuto l'incidente qui vicino, mi è giunta voce...» Lanciò uno sguardo al maggiordomo. «Riposatevi pure, Cinèad vi mostrerà le vostre stanze.» Allungò una mano verso di me, toccando la mia con una stretta leggera. «Sentitevi liberi di restare fin quando vorrete.»
E dopo quelle parole, si congedò lasciandoci alle mani del maggiordomo, che fu di parola: sistemò Rhod e André in una stanza singola ma confortevole, in modo che l'erborista potesse occuparsi del suo amico. Immediatamente dopo, in ossequioso silenzio, ci scortò verso due stanze separate che erano distanti almeno di due porte. Ne fui davvero sollevato.
«Noi non abbiamo una stanza insieme?» si meravigliò Cyran. Dovetti nascondere un mio sorriso compiaciuto: sì, siamo lontani, dannato bifolco! E' proprio quello che ti meriti! Non proferii parola però, mi limitai a pensare soltanto quelle frasi.
«Accompagnatemi alla mia, per favore, sono molto stanco.» lanciai uno sguardo di supplica al maggiordomo, che colse immediatamente la mia preghiera, aprendo con uno scatto di chiave la porta di fronte a me, prima di consegnarmela.
«La ringrazio.» conclusi.
«Oh ma dai, principino!» risuonò la voce cavernosa dietro di me.
Mi chiusi frettolosamente la porta alle spalle, appoggiando la schiena contro al legno fresco, ad occhi serrati, con un lungo sospiro. Nell'ora che seguì, godendomi la privacy dopo moltissimo tempo, mi rilassai dedicandomi a tutte quelle abitudini che a causa del viaggio avevo trascurato. Nella mia stanza non mancavano i prodotti per la cura della persona: mi applicai una maschera sul viso, mi rinfrescai e profumai il corpo e mi limai le unghie in modo che fossero corte e lineari. Forse il popolo non si rendeva conto dell'aspetto di un principe, ma i nobili facevano sempre caso ai dettagli e, se volevo tenere alta l'opinione di Gilerines, quella sera avrei dovuto sistemare ogni centimetro della mia persona.
Prima di un pisolino ristoratore per calmare la mente e risposare il corpo, utilizzai una buona mezz'oretta per pregare. Era da tempo che non lo facevo, per cui sperai che onorare gli Dei servisse a riportare il nostro cammino sotto ad una buona stella. E no, non chiesi minimamente consiglio al Dio dell'amore, affatto! Soffocai qualsiasi altra incertezza nel mio pisolino e, in orario per il banchetto, riaprii gli occhi ed incominciai a prepararmi, rovistando nei bagagli che Cinèad aveva gentilmente portato. Scelsi per l'occasione un farsetto di un bel tessuto setoso e leggero, verde bosco con gli orli e i polsini rifiniti a filo d'oro, con un cinturino di cuoio da chiudere in vita. Un paio di pantaloni aderenti neri e un paio di stivaletti di pelle color castagna alti al polpaccio, sempre con rifiniture dorate.
Morbide onde rosse pettinate sul capo e qualche accenno di polvere dorata su guance e sul dorso delle mani: avevo un aspetto perfettamente regale. Ne fui davvero soddisfatto. Uscii dalla mia camera allo stesso tempo dello scampanellio che risuonò lungo i corridoi, annunciando agli ospiti l'inizio della festa. Cercai di affrettarmi prima degli altri per evitare in ogni modo incontri spiacevoli con Cyran e ci riuscii con successo.
La sala da ballo era sormontata da una maestosa scalinata di pietra, di cui io scesi i gradini con calma misurata, mentre una musica ritmica e carnevalesca fatta di trombe, tromboni, piatti e tamburi rendeva l'atmosfera quasi sfrenata. In molti avevano trucchi sfarzosi dipinti sul viso: fiori colorati, volti animali, spesso teschi e creature grottesche. Sostenevano che vestire i loro panni equivalesse a farsi amici il maligno, proteggendosi da esso. Mi aveva sempre affascinato la loro cultura, così diversa da quella di Akra o Gilerines: variopinta e al tempo stesso cupa, mistero e oscurità; adoravano la Dea della morte in maniera particolare. Il fatto che la Regina fosse ormai deceduta, probabilmente rendeva la loro devozione al culto ancora più forte.
Salutai alcuni membri della corte che piroettavano, sventolavano mani o si inchinavano al mio passaggio, sorridendo imbarazzato davanti a reazioni così espansive, poi sfilai lungo l'imponente tavolata a ridosso della pista da ballo e dalla parte opposta rispetto all'orchestra, in modo che il suono fosse un po' più ovattato, favorendo le conversazioni: l'acustica del castello, con le volte alte di pietra, faceva disperdere il suono in modo che non diventasse una cacofonia confusa. Dopo qualche passo, il principe Sybil mi venne incontro: si era dipinto su una guancia un giglio bianco e su una palpebra una farfalla tanto blu da sembrare fluorescente, i muscoli risaltavano dietro ad un mantello di seta viola, mostrando però buona parte del petto nudo, col kilt che infine gli circondava la vita. Era così appariscente che dovetti frenarmi dall'arrossire. Era un mio amico d'infanzia, non avrei mai potuto fare strani pensieri!
Oh, questa era tutta colpa dell'influsso perverso di quel mercenario!
O forse, non del tutto, perché il principe pensò bene di posarmi un bacio sulla guancia e tenermi la mano mentre mi accompagnava sino al posto contrassegnato a tavola. Sono solo un popolo espansivo! cercai di ricordare, lottando contro l'imbarazzo crescente, mentre lui stesso mi scostava la sedia per invitarmi ad accomodarmi.
«Sybil, non dovete prendervi tanto disturbo...» mormorai, con la musica che sovrastava la mia voce, ora sistemandomi composto alla sinistra del posto a capotavola, che spettava di diritto al principe. Sinistra? Era strano. Avrei dovuto essere il secondo esponente più importante nella magione dopo il padrone di casa, avrei dovuto trovarmi alla sua destra. Poi mi ricordai che aveva parlato di un altro ospite, quando ci aveva invitato al banchetto. Un paio di occhi grigi mi guardarono da dentro al piatto d'argento lucido, ed io scrutai per qualche secondo il mio riflesso prima di sollevare lo sguardo e scoprire chi fosse l'uomo sedutomi di fronte, nel posto che avrebbe dovuto spettarmi di diritto.
Mi chiesi come avessi fatto a non notarlo appena entrato nella sala.
Quello, probabilmente, era l'uomo più bello che avessi mai visto in vita mia dopo Cyran stesso. Alto e muscoloso, ma in una maniera sinuosa e slanciata, aveva la pelle candida ed intonsa come la neve, zigomi alti intagliati nel marmo e labbra carnose quel tanto che bastava a suggerire baci di velluto. Un naso dalla misura perfetta, dritto e perfettamente proporzionato col resto, e poi gli occhi: iridi gialle come l'oro e una pupilla affilata da alligatore, il tutto circondato da lunghe ciglia nero pece, come la chioma scura, legata sulla nuca da un minuscolo codino. Pareva una pantera nascosta sotto alla carne di un uomo. Forse i mutaforma delle leggende esistono davvero?
«Francis, vi presento il Marchese Ellis.» esclamò Sybil, ora che si era seduto, sistemandosi per bene il mantello dietro alle spalle. A quel punto l'uomo focalizzò l'attenzione su di me ed io dovetti reprimere un sussulto e lottare per restare immobile sulla sedia. Mi sentii punto nel vivo, dalla testa ai piedi, mentre gli occhi dorati di quello sconosciuto mi analizzavano e soppesavano, con lo sguardo di chi conosce ogni tuo più piccolo segreto, come se sapesse tutto ciò che io e Cyran avevamo fatto, ogni carezza, ogni morso, ogni bacio. Arricciai le dita dei piedi sotto al tavolo, soffocando un singulto.
Quell'uomo era bellissimo, ma aveva anche qualcosa di terrificante. Come un predatore che ti scruta a fondo per capire qual è il punto più morbido da azzannare. Mi sentivo un agnello pronto al macello e, mentre i miei palmi iniziavano a sudare e le mani a tremare, lo vidi alzarsi dal suo posto e girare intorno al tavolo per venire dritto verso di me. Deglutii un groppo, indeciso se sentirmi più terrorizzato o eccitato dal fatto che quell'uomo si avvicinasse, scioccato dalle mie stesse reazioni.
«Principe Levou...» si incurvò verso la mia sedia e mi prese la mano, che tenevo nascosta sotto alla tovaglia. Avvampai violentemente nel rendermi conto che tremava leggermente contro alle sue dita fredde e stranamente ruvide per essere quelle di un nobile. «... In nome della corte di Darlan, siamo onorati di fare la vostra conoscenza.» esclamò, sfiorandomi le nocche con le labbra, un gesto che mi gettò brividi elettrici lungo tutto il braccio. Restai lì, seduto ed imbambolato, mentre l'uomo ritornava al suo posto senza battere ciglio davanti alle mie reazioni parecchio ritardatarie.
«Ehm... Sì.. Anch'io lo sono..» biascicai. Mi accorsi, con considerevole lentezza, ciò che aveva detto. La corte di Darlan?! Lanciai uno sguardo scioccato verso Sybil, chiedendogli tacitamente perché un alto esponente del pericoloso Continente Magico fosse un ospite d'onore alla sua tavola. Stranamente, il principe distolse lo sguardo. Ed in quel momento sentii una voce estremamente familiare proprio al mio fianco, che si esibiva in uno dei suoi abituali momenti di inciviltà.
«Ohi. Questo posto è mio. Levati.» borbottò ad un membro della corte, che si sollevò dalla sedia lanciandogli un'occhiata storta senza fare storie, liberando proprio il posto al mio fianco. Oh no. Non poteva essere...
Sollevai lo sguardo ed i miei occhi incrociarono, dopo tutto il tempo che avevo passato ad evitarlo, quelli del mercenario. Mi ero sbagliato se credevo che il Marchese Ellis fosse l'uomo più bello che avessi mai visto. Cyran era semplicemente impossibile da descrivere, con quella pelle abbronzata e gli occhi color lava, il corpo possente con qualsiasi cosa indossasse, i ricci indomabili. Ecco. L'avevo visto negli occhi: adesso sarei morto. Vergogna, umiliazione o rabbia: non sapevo cosa avrebbe potuto uccidermi prima.
«E così, ti fai baciare sulla guancia e tenere per mano. E accetti pure che ti facciano il baciamano, come una vera damina! Mmhh...» mugugnò a bassa voce, con un'espressione imperscrutabile, mentre strappava a mani nude una coscia di tacchino dal piatto di portata e se la portava alle labbra, sbranandola senza pietà. «... il principino è diventato intraprendente.»
Spalancai le labbra, costernato, con le gote rosse quanto i miei capelli. «Proprio tu non hai alcun diritto di giudicarmi. Non ho fatto niente di male!» Non capii perché stavo correndo a mettermi sulla difensiva. Non aveva alcun senso. «Siete voi il rozzo villano promiscuo, che usa le persone per trastullarsi e.. e.. le getta via!» sibilai, senza rendermi conto che avevo alzato un po' troppo la voce.
Il Marchese mi stava osservando, l'espressione imperscrutabile e le labbra seminascoste dietro ad un calice di vino rosso, che giurai fossero incurvate in uno strano sorriso. Mi si seccò la lingua contro al palato.
«Io non...» Cyran si infilò una mano fra i capelli, sistemandoseli all'indietro e scrollandosi un po' i ricci, in un gesto che mi avrebbe comunemente ipnotizzato come un passerotto davanti ad una pagnotta appena sfornata. «.. E' più complicato di così.. Merda..»
«Ti ho detto mille volte di non impreca- Oh?» Sentii un tocco caldo appoggiarsi sulla mia spalla, cosa che mi fece voltare per scrutare alle mie spalle. Era Sybil, che si era alzato e ora, con la mano tesa, mi invitava a ballare.
«Ammetto che non mi sono mai sentito tanto compiaciuto nell'interrompere qualcuno.» esordì, una battuta che in un primo momento mi confuse. «Francis, mi fareste il piacere di accettare un ballo?» la grande mano calda e scura sembrava un ottimo modo per fuggire da quella situazione. Ma allora perché morivo dalla voglia di restare lì, seduto, a parlare con Cyran? A perdermi nella sua voce, nei suoi occhi? Se solo mi avesse toccato, ancora un'ultima volta...
Poi però mi ricordai di averlo visto spuntare dalla porta di quella donna, proprio il giorno dopo che aveva giaciuto insieme a me, che eravamo diventati un tutt'uno. Ricordai la sua espressione, il sorrisetto di fronte a lei ancora scompigliata, dopo qualsiasi cosa avessero fatto. Ricordai, e il cuore mi ripiombò sotto alle scarpe.
«Non vedi che ha già da fare con me?» ringhiò il mercenario, stringendomi un polso. Mi aveva toccato, finalmente. Nel punto in cui sentivo le sue dita a contatto con la pelle, la carne mi stava andando a fuoco, un bollore che presto si sarebbe espanso lungo tutto il corpo, dalla spalla al petto, dal petto all'inguine, verso quello che avevo fra le gambe e... No! Sfilai velocemente il polso dalla sua presa, stringendomi la mano contro al petto, il viso paonazzo pur avendo un'espressione che tradiva la ferita profonda dentro al petto.
«E' evidente che abbiate già finito.» rispose il mio amico, con un'espressione ironica che non mi sembrava di avergli mai visto in faccia, mentre mi tirava via, attraendomi verso la folla, sulla pista da ballo. Eppure, mentre mi trascinava con sé, col volto ancora guardavo Cyran, che ci fissava con un'aria stranamente collerica. Poi però scosse la testa e si alzò dal tavolo. Lo persi di vista quando Sybil mi attirò vicino a sé, un gesto che mi fece spontaneamente virare lo sguardo su di lui. Caspita, da vicino il suo sorriso era accecante.
«Sembrate turbato, amico mio..» sussurrò, avvolgendomi la vita fra le braccia muscolose, muovendosi in circolo come in un valzer, ma molto più intimo e lento, una danza che sarebbe stata inaudita ad Akra. I movimenti che si addicevano bene al cambio di musica: trombe basse e note vibranti e cupe di violoncello. «Il villico che vi accompagna vi ha arrecato un'offesa, vero?»
Arrossii violentemente. «Non lo chiamate villico!» mi accigliai, senza rispondere alla domanda, mentre i miei piedi incespicavano un po', ma solo per l'imbarazzo. Ero portato per le arti: il canto, il ballo. Mi piaceva disegnare e dipingere, adoravo suonare il clavicembalo. Doveva essere un gioco da ragazzi adeguarsi al passo dell'altro, adesso, ma mi sentivo strano, come se mi trovassi nel posto sbagliato. Mi guardai intorno, cercando fra la folla Cyran, che individuai con fatica seduto su un divanetto, con un ragazzetto dalla pelle nocciola seduto sulle gambe. Fu come inghiottire un intero cubetto di ghiaccio tutto insieme.
Alla fine, io ero stato solo uno dei tanti. Non importava quanto mi avesse guardato, accarezzato o corteggiato. Non importava che mi avesse rivelato i suoi segreti, raccontato le sue confidenze.
«Vi siete fatto più bello dall'ultima volta che vi ho visto.» esclamò, facendomi scivolare una mano sul mento, un gesto che ancora una volta mi spinse a spostare gli occhi da quell'uomo che mi aveva rubato il cuore, verso un vecchio amico a cui stavo facendo un grave sgarbo. Mi aveva accolto in casa sua e nemmeno gli prestavo la dovuta attenzione? Finalmente lo fronteggiai e, quando accadde, mi accorsi con imbarazzo che la sua faccia era pericolosamente vicina alla mia e che le sue labbra erano ad un soffio dalle mie.
«Che cosa state facendo!?» sussultai, scartando leggermente indietro, il volto ora in fiamme per la sorpresa.
«Catturavo la vostra attenzione. Vedo che ci sono riuscito.» Un sorriso caldo gli piegò le labbra e una mano mi delineò la guancia in una carezza leggera. Non lo ricordavo affatto così. Sybil, un tempo, era un ragazzino solare ed un po' iperattivo che si imponeva per giocare a palla con me e Aeline; soffriva facilmente il caldo, per cui lo si ritrovava a sguazzare in una delle tante fontane pubbliche di Gilerines. Quello di fronte a me, invece, era un uomo in tutto e per tutto. «Lo so che siete preoccupato: i vostri amici non stanno bene, il vostro terzo accompagnatore non è collaborativo» ... Oh, non sapeva quanto fosse diversa e complicata la realtà. «E la vostra promessa è ancora dispersa.»
Mettere i miei problemi tutti insieme, così, uno a fianco all'altro, fu davvero una brutta mossa. Mi adombrai, abbassando gli occhi che da grigi sembravano all'improvviso plumbei, quasi un nero chiaro, come il cielo prima di un brutto temporale. E fu allora che lui mi abbracciò, tenendomi stretto contro di sé per un momento sufficientemente lungo da chiedermi se la sua intenzione fosse consolarmi, oppure fondere i nostri odori isieme.
«Non resterete solo in questa storia. Vi prometto che se non troverete Aeline, cosa che non vi auguro, chiederò al Re di Gilerines la vostra mano.»
«Che cosa?!» esclamai, sgranando gli occhi, le gote all'improvviso arrossate.
«Mi auguro che la troviate, ovviamente.» continuò, mentre con una mano mi faceva piroettare sul posto e, subito dopo, in un intrico di braccia, premeva la mia schiena contro il suo petto, il viso incastrato nell'incavo del mio collo. «Ma se non dovesse accadere... Per favore, tenetemi in conto.» sussurrò al mio orecchio, mentre trasalivo per la vicinanza. Era una profferta scioccante!
«Piuttosto.» mi schiarii la voce, cercando di snodarmi e srotolarmi da quell'intreccio, di nuovo di fronte a lui. «Perché un membro della nobiltà di Darlan è qui?! Che ne è dell'embargo?» mi affrettai a sussurrare, anche se la musica era alta e quell'uomo splendido e terrorizzante era ancora seduto al tavolo a conversare con altri uomini, parecchio distanti. «Sono nostri nemici!» continuai a bisbigliare, con la paura che per qualche motivo impossibile potesse sentirmi.
Stavolta fu lui ad adombrarsi. «Posso spiegare... Posso spiegarvi tutto.»
«Vi ascolto.» il mio non era un tono arrabbiato, piuttosto allarmato, preoccupato. C'era qualcosa di veramente spiacevole in quell'uomo dagli occhi d'oro, qualcosa che non mi sapevo spiegare...
«Mio padre stava lavorando ad un enorme carico, di estrema importanza, diretto verso il Regno di Akra e i territori circostanti. Se l'affare fosse andato a buon fine avrebbe risolto i nostri problemi economici, invece è naufragato.» La fronte si increspò in un'espressione addolorata e, quella musica in sottofondo, all'improvviso sembrò sbagliata, grottesca. «Mio padre è scomparso e la perdita della merce ha causato un duro colpo alle casse del regno.» Strizzò le labbra in una smorfia. «Siamo in bancarotta.» Avevo letteralmente gli occhi fuori dalle orbite. E, ormai, i nostri passi si erano arrestati e ce ne stavamo fermi in mezzo alla calca di nobili presi dal balletto.
«Oh, Sybil... Mi dispiace tanto per tuo padre.» dissi, abbandonando le formalità, con una mano che gli accarezzava gentilmente il braccio. «E mi dispiace molto anche per il regno di Wicarema. Ma, Sybil, se ti piegherai a trattare con loro porterai nel baratro insieme a te tutto il Continente Meridionale. Te ne rendi conto?»
«Non è mia intenzione. Non voglio rompere l'embargo, ma potrei permettere loro di comprare le navi che desiderano per costruirsi una flotta da guerra e tornarsene indisturbati nel posto da cui provengono.» rispose, con una smorfia contrita a rendere sbilenco il giglio bianco dipinto sulla pelle nera.
«No! Per carità... Te le comprerò io. Sono venuto qui proprio perché avevo bisogno di una nave per imbarcarmi verso i territori del caos. Ho abbastanza denaro da comprarne di più. E poi il regno di Gilerines sarà ben felice di fare affari con Wicarema.» ribattei in fretta. Mi rasserenò il cuore vedere un po' delle ombre sul viso del mio amico dissiparsi. Quindi mi sciolsi dal semi-abbraccio dovuto al "valzer" e mi allisciai il farsetto. «Rifletterò sul resto...» arrossii appena, schiarendomi poi la voce. «Per oggi, penso che mi ritirerò nelle mie stanze. Grazie per il ballo, buonanotte.»
Mi congedai così, ancora in pensiero. Ero preoccupato per Rhod, lui e André non si erano fatti vedere per tutta la serata, perciò mi assicurai che Cinèad avesse portato del cibo nella loro stanza; ero agitato per Cyran, che era sparito dalla circolazione, nonostante l'avessi cercato tanto in mezzo alla folla; ero spaventato per il Marchese Ellis, che tuttavia sembrava essersi dimenticato della mia esistenza e stava bevendo un alcolico di qualche tipo davanti al camino insieme ad altri signori, che sperai non fossero così poco furbi da essere raggirati. Ero anche un po' in pena per Sybil: con la morte di sua madre e la sparizione di suo padre era rimasto solo, ed io alla sola idea di perdere qualcuno della mia famiglia stavo male. Era bastato che perdessi Aeline.
«Uuuff.» esalai un lungo sospiro, chiudendo a chiave la porta della stanza per poi iniziare a spogliarmi: abbandonai il farsetto sulla sedia e mi liberai degli stivali, che sistemai composti ai piedi del letto. Stavo per sbottonarmi i pantaloni, quando sentii battere alla porta. E fu quello il mio errore. Ero così speranzoso all'idea che potesse trattarsi del mercenario, che non ci pensai due volte prima di correre verso l'uscio e spalancarlo.
«Cyran!»
Ma non era lui. Non avrebbe mai bussato, in fondo. Come avevo fatto a non capirlo? Il volto bellissimo dell'uomo dagli occhi d'oro spuntò dal corridoio e la mia primissima, istintiva reazione, fu quella di chiudergli la porta in faccia. Prima che riuscissi a farlo, però, il suo stivale si infilò fra lo stipite e la porta, bloccando il mio tentativo di lasciarlo fuori.
«Dovrei essere profondamente offeso da questo affronto.» esordì il marchese, infilando una mano nel piccolo spiraglio per aprirlo con la forza, operazione che gli riuscì, in verità, senza nessuna fatica. Quando finalmente mise piede dentro alla stanza e si richiuse la porta alle spalle, capii che tutto il mio destino avrebbe potuto definirsi in quella serata. «Ma in realtà mi compiaccio. Vi giudicavo più stupido, principe.» Il tono della sua voce era talmente glaciale che avevo la pelle d'oca su tutte le braccia.
«Che cosa volete da me?» esclamai, sollevando il mento per cacciare fuori un minuscolo briciolo di coraggio che mi ero accorto di possedere anch'io, nel corso di questa avventura. Eppure indietreggiai, con le mani nascoste dietro alla schiena, in preda ad un tremito convulso. La presenza di quell'uomo era talmente ingombrante che quasi facevo fatica a respirare: sembrava che la sua volontà si imponesse su di me come una mano che mi schiacciava la testa.
«Una semplice firma.» sentenziò, aprendo la pergamena che aveva tenuto in una tasca interna del panciotto fino ad allora. «Accettate, in quanto principe ereditario di Gilerines e Akra, di allearvi col Re di Darlan nella guerra espansionistica che verrà.» incalzò, facendo un passo avanti, mentre io invece indietreggiai ancora, andando a sbattere contro il tavolinetto a muro dietro di me.
«Guerra? Quale guerra?!» il mio tono era stridulo e spaventato, ma non c'era modo di migliorarlo. «Siete un illuso se pensate di poter coinvolgere il Continente Meridionale!»
La gelida risata che seguì mi fece accapponare la pelle. «Siete già coinvolti. Credete davvero che il Re si fermerà davanti ad una ridicola linea demarcata su una vecchia cartina?» Mi sentii all'improvviso piccolo e stupido: avevo studiato bene la storia, quel sovrano era potente e spaventoso e tutte le guerre che aveva causato erano sempre state vittorie per lui e massacri per gli altri. «Siete davvero così acerbo nella vita politica... Vi sto facendo un favore, principe Levou.»
Non aveva affatto l'aria di esserlo.
«Quando la guerra arriverà, essere dalla parte giusta sarà di importanza vitale.» la sua lingua era come quella di un serpente, sinuosa e letale, mi strisciava nelle orecchie come un invito, una canzone, una preghiera. Ma io, invece, ne sapevo abbastanza di politica da sapere che un'alleanza con loro ci avrebbe reso degli assassini. E forse avrebbe contribuito al nostro stesso annientamento, soggiogamento. L'immagine delle mie sorelline morte, oppure costrette in spose a qualche brutale soldato del Continente Magico, mi fece sentire male.
«Io non firmo.» sussurrai, con un filo di voce nella gola chiusa. «Non firmo niente.» ripetei, stavolta più forte. Un altro passo e l'uomo fu tanto vicino da potermi sovrastare. Premetti i palmi contro l'orlo del tavolino dietro di me, sperando di guadagnare qualche centimetro di spazio, anche in punta di piedi, invece nulla. Mi ritrovai ingabbiato sotto all'altro, leggermente incurvato per cercare di sfuggirgli. E poi accadde: mosse il braccio verso di me tanto in fretta che io mi ritirai ancor più indietro, convinto che volesse darmi un ceffone. Invece sentii uno scatto metallico tagliare l'aria e mi ritrovai ad osservare un pugnale celato sotto alla manica dell'altro, la lama affilatissima ad un minimo soffio dalla mia gola.
Se mi fossi spostato un attimo più tardi, mi sarei ritrovato la gola tagliata da un orecchio all'altro.
«Firmate.» sibilò, tanto gelido che avrebbero potuto formarsi stalattiti sul soffitto, con la punta acuminata dell'arma a premere sulla mia pelle, pallida per quanto ero sbiancato. Forse sono questi i veri attimi che ti definiscono. Che fanno la differenza fra un uomo devoto a coloro che ama o al proprio egoismo. Al bene oppure al male.
Se avessi firmato, avrei messo in ginocchio tutta la mia famiglia, tutto il mio Regno, perfino il padre di Aeline. Forse io mi sarei salvato, ma che ne sarebbe stato di tutti gli altri, costretti a scendere in una guerra che non aveva nulla a che fare con loro, sotto allo stendardo di un nemico?
Meglio morire.
«Avete sentito.» mormorai, con le ginocchia tremanti e i denti che strinsi per non battere. «Io. Non. Firmo.»
Mi aspettai di sentire il morso metallico della lama, il sapore acre del sangue che mi affogava il respiro, il dolore pulsante della morte... E forse sarebbe stato meglio. Invece l'uomo mi afferrò i capelli in un pugno e con quella presa mi scaraventò sul letto, proprio a qualche passo dal tavolino. Atterrai a pancia in giù, con un cigolio lamentoso di molle, che parevano piangere di compassione e dispiacere verso di me. O almeno, quello fu ciò che la mia mente metabolizzò in quel preciso secondo di panico e terrore.
In un attimo mi fu addosso, le sue ginocchia direttamente premute sopra le mie cosce in modo da bloccarle con la forza e una mano che mi teneva i polsi stretti dietro alla schiena. Girai il volto sopra una spalla, con l'istinto di urlare, o quanto meno gridargli di lasciarmi andare, ma il pugno che mi fiondò sul viso fu talmente forte da spezzarmi il fiato e stordirmi per un lungo momento: occhi affuscati, sangue dal naso, dolore. L'impatto stesso aveva iniziato a farmi lacrimare gli occhi.
«Se per costringervi a firmare dovrò stuprarvi a sangue, allora sarà esattamente ciò che farò.» sibilò, incurvato sopra di me, mentre mi legava i polsi con la sua cintura, tanto stretti da sentire la circolazione fermarsi e le mani perdere sensibilità. Quell'annuncio suscitò in me un disarticolato mugolio d'orrore, a cui seguì un secondo ceffone. Poi mi schiacciò la testa sul cuscino tenendomi i capelli tirati dentro ad un pugno, e con la mano armata seguì a stracciarmi la camicia, senza alcuna remora nel tagliarmi o meno la pelle insieme alla stoffa.
Gridai, col volto inzuppato di lacrime, livido ed insanguinato, per un attimo immobile, un peso morto sopra al letto. Mentre realizzavo. Rhod era fuori gioco ed André era troppo impegnato ad occuparsi di lui. Sybil era ancora alla festa ad intrattenere gli ospiti. Cyran si era sicuramente imboscato da qualche parte insieme ad una nuova conquista. Nessuno mi avrebbe salvato. Ero solo, io e un uomo tremendamente forte, rapido e letale.
«Chi... sei... tu?» biascicai in un singhiozzo soffocato dal cuscino, appena percettibile. Quello non era un Marchese, ma nemmeno un uomo normale. Quello era un demonio. Lo sentì ringhiare una risata bassa e raggelante.
«Alcuni mi conoscono come il Re degli Assassini.»
Alla sua rivelazione seguì il dolore lancinante: denti in una spalla, un morso profondo seguito da un risucchio che mi avrebbe lasciato un segno violaceo sulla pelle. Con uno strattone mi tirò giù i pantaloni, lasciandomi nudo ed inerme sotto di lui.
«Basta! Per favore... Lasciami!» piagnucolai, mentre un altro morso mi azzannava il fianco, ed un altro mi segnava la natica destra. Divincolai i fianchi in cerca di qualcosa, uno spiraglio, un cedimento, fosse anche un miracolo. Non avevo pregato abbastanza gli Dei? Perché mi stava succedendo tutto quello? «Per favore... Ti prego..» Era un incubo, un incubo orribile da cui non riuscivo a svegliarmi. «Qualcuno... mi aiuti...» mugugnai disperato, singhiozzando. Qualcuno...
«Che piccolo, patetico essere... Hai convinto il tuo amico a ritirarsi dalle trattative. Chissà cosa penserà la città, lasciata a stecchetto, davanti alla sua bella festa..» sibilò, il tono glaciale, senza il minimo scrupolo, senza un briciolo di pietà. Urlai ancora contro il cuscino quando sentii le sue dita forzarsi dentro di me, a secco, con spinte tutt'altro che lievi. Ero sicuro che stessi sanguinando, dal modo in cui sentissi bruciare quella parte del mio corpo ad ogni movimento del suo polso. Mi veniva da vomitare.
Mi chiesi soltanto quale altro Dio dovessi pregare perché tutto si fermasse. Stavo ancora implorando e piangendo, la mia voce soffocata contro al cuscino. E poi lo sentii ed il mio cuore si riempì di gioia.
«Be', se credevi di potermi evitare lasciando la porta aperta, hai proprio fallito, principi-»
«CYRAN AIUTAMI!!» il mio fu un urlo viscerale. Scattai con la testa lontano dal cuscino, ora che la presa del corvino si era fatta più leggera a causa della sorpresa. Riuscii a guardarlo soltanto da un occhio, perché l'altro era tanto gonfio da coprirmi quasi del tutto la visuale.
Pensavo di averle viste tutte, le sue espressioni. Pensavo di averlo conosciuto abbastanza. Invece la faccia che mostrò fu diversa da tutte le altre: sbarrò gli occhi, sbiancò e poi iniziò ad urlare.
«TI AMMAZZO, PEZZO DI MERDA!» gridò, con la voce talmente stravolta dalla collera che a stento la riconobbi. Caricò senza pensarci due volte, fiondandosi con i pugni stretti sopra al "marchese".
«Attento!» cercai di avvisarlo, ma con una terribile paura alla bocca dello stomaco, mi resi conto che era troppo tardi. L'uomo si era mosso così in fretta che praticamente non l'avevo visto. Era scartato di lato per evitare un pugno e, con un movimento fluido ed elegante, lo aveva pugnalato proprio alle spalle. L'estremità del pugnale gli fuoriusciva dal busto, trapassandolo da parte a parte.
E poi Cyran iniziò a cadere, in sincrono con il mio grido.
In quell'istante, una pietra volò dall'esterno e fracassò la finestra della stanza con un tintinnio di vetri rotti, rimbalzando poi sul pavimento a qualche passo dalle scarpe del Re degli Assassini. Che sorrise. «Oh, i cittadini di Wicarema. Puntualissimi.» Si pulì il pugnale dal mio sangue e da quello del mercenario, in tutta calma, mentre un certo trambusto iniziò ad esplodere dal piano inferiore del castello. «Per me è tempo di andare. Peccato per quella firma.» disse, rivolgendomi un sorriso raggelante, prima di uscire dalla stanza.
Aveva avvisato i cittadini circa le reali condizioni economiche del regno. Aveva devastato il mio corpo. Aveva pugnalato Cyran. Caddi a terra al suo fianco, cercando di premergli la ferita con una mano mentre gridavo aiuto.
Era un incubo. Quello, era davvero un terribile incubo.
❧❧❧❧
*L'angolo di una persona orrrribbbbile che ha tanto da farsi perdonare!*
Hola a tutti!
Lo so. Lo so, non aggiornavo la storia da un anno. Sììì, so di essere pessima, ma avevo proprio un blocco su questa storia, un blocco totale. Sapevo perfettamente quello che sarebbe successo in questo capitolo, ma quando aprivo la pagina di scrittura... Niente, cervello fermo. Scrivere la metà iniziale di questo capitolo è stato un parto gemellare che è andato avanti per mesi e mesi... Poi in questi giorni qualcosa si è sbloccato e fra ieri e oggi ho scritto il resto, tutto di getto!
Per chiunque conosca l'altra mia storia, sono sicura che questo cross-over vi abbia lasciato stupiti, ed è stato un vero piacere! Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, volevo un ambient fra la Scozia e il New Orleans, la cosa mi intrigava! ... E spero che un pochetto mi sia fatta perdonare per l'increscioso ritardo. Forse? Un pochino? O magari vista la carica di sadismo ho solo peggiorato le cose? Mmmhhh lo scopriremo nelle prossime puntate! Ndo-
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro