Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

22. Tragédie d'amour


Sei ore dopo



«Le senti vero, erbacoso?» sospirò Cyran Rouge raccogliendo la mano di André Sion dal fianco, proprio come se l'arto altrui fosse un fiore, con lo stesso trasporto, portandosi le nocche alle labbra per stampare un bacio su ognuna di esse. Mentre l'altro lo osservava al massimo della sua apatia. «Sono le campane dell'amore!»

«...» Il biondo si limitò a schiudere le labbra.

«Non hai il davanzale di una bella donna...» Iniziò ad elencare, fissandogli il petto. «Non hai quel culetto a forma di pesca del principino...» Abbassò lo sguardo, ruotando gli occhi come se potesse guardargli il didietro pur standogli di fronte, senza accennare a lasciargli la mano. «E sei anche malaticcio e tremendamente noioso!» esclamò, con una mano sul petto e un'espressione ammirata, come se non fossero che le qualità immancabili per il miglior amante di sempre. «Ma i miei occhi guardano solo te!»

«Mi stai facendo perdere tempo.» sibilò l'erborista, assottigliando lo sguardo verde. «Devo raggiungere il mio unico amore.»

«Sono IO il tuo amore! Ti amo!» A quel punto, gli afferrò il viso con entrambe le mani e si slanciò in un tentato bacio passionale che finì nell'istante in cui un grido risuonò nelle loro orecchie.

«CYRAN, NOOOOOO!!»

Ci fu un luccichio bluastro che crepitò nell'aria, un rumore simile ad uno schiaffo, poi l'infelice coppia si separò così violentemente che si schiantarono entrambi schiena contro i muri opposti. Rhod aveva le mani giunte, i palmi stretti fra loro e le dita che parevano fumare, per quanta pericolosa magia trattenesse a stento.

Marshall accorse velocemente dall'erborista, con un cipiglio preoccupato che non tradiva altre intenzioni. «Sion, stai bene? Riesci a vedere qualcosa?» André sollevò la testa con uno scatto inaspettato, animato da qualcosa che sentiva dentro. Qualcosa di forte.

«Sì, te. E sei la cosa più bella che abbia mai visto.» mormorò, accarezzando la guancia dell'uomo con un volto così espressivo che faceva impressione. Quasi gli si potesse leggere la gioia e un pizzico di follia negli occhi.

Ma Francis non sentii lo stesso sentimento: il mercenario si era schiantato contro un quadro appeso alla parete, il cui vetro rifletteva la sua principesca immagine fino a pochi minuti prima. Adesso, ne raccoglieva i pezzi stringendoli così forte da farsi sanguinare le mani. «Che avete fatto...» Tremò, sconvolto, cercando di ricomporre i vetri sparpagliati per terra. «Che avete fatto!» Pianse, afferrando i lembi della giacca del mercenario per scuoterlo. La tristezza si trasformò in furia. «Non ti rendi conto di quello che hai fatto, farabutto?!»

«TU! Stronzetto odioso!» ringhiò il mago, incredibilmente lo stesso balbettante ragazzino di sempre, con i pugni stretti che brillavano pericolosamente e lo sguardo puntato sul rossiccio. Uno sguardo folle e spiritato. «Stai lontano da Cyran...» minacciò, caricando una palla d'energia nella mano.«Lui è MIO!»

E dopo ci fu un'altra esplosione.


❧❧

André


«Moriranno tutti!» esclamò la voce concitata di uno spettatore, in un tono assolutamente impressionato, come se non vedesse l'ora di guardar scorrere un fiume di sangue, capace di donare il brio macabro ad uno spettacolo che, in tal caso, non avrebbe potuto annoiare nemmeno il cittadino più disattento. 

L'uomo al suo fianco però agitò lentamente una mano per aria, con il volto distorto dall'insoddisfazione, rispondendo in fretta con lo sguardo esperto di chi se ne intendeva o, avendo fatto da pubblico alle gare degli anni precedenti, di chi sapeva come funzionavano le cose.

«Probabilmente no, ma è difficile dirlo.» Si accarezzò la barba da gnomo affilando lo sguardo verso il punto d'interesse di tutti: il cuore dell'arena. «Roba insidiosa, la magia. Non si sa mai quando o come sarà il risultato.» parlò con un cipiglio corrucciato, come se il potere fosse una funzione corporea difficile da controllare. O forse solo perché era seccato che nessuno morisse in fretta, come sperava.

Non ero il mercenario e non potevo usare il fuoco tanto facilmente come faceva lui, ma ero sicuro che se fossi rimasto ad ascoltare tutto quello che urlavano gli spettatori per un altro minuto ancora, avrei dato fuoco agli spalti. Anche se la mia espressione faceva pensare che mi stessi annoiando a morte. Nel mio caso, il sangue serviva soltanto a riempirmi di paura. Afferrai gli occhialetti dal taschino e li inforcai sulla radice del naso, cercando di vedere al meglio la scena su cui tutti gli spettatori s'affacciavano, godendo di una visuale quasi perfetta, se non fosse stato per il primo degli ostacoli: il bosco artificiale.

Ma la gara non era iniziata, difatti mi era ancora possibile guardare Rhod: legato, bendato, forse impossibilitato a sentire cosa accadeva intorno a lui. O lontano da lui. Ci sarebbero state grida e tumulti, ed era anche possibile che le persone suggerissero – in modo corretto o errato – la locazione degli ostacoli. Ero sicuro che chiunque avesse organizzato la gara, avesse considerato tutti gli imprevisti del caso, o una buona parte; il che andava contro la mia speranza di supervisionarlo e proteggerlo da una gara potenzialmente mortale. Dovevo considerare la sua dipartita come qualcosa di futile, dal momento che la morte non sopraggiungeva davvero, nel suo caso?

La risposta era no. Non avrei permesso che morisse in nessun caso. Non volevo perdere più nessuno fra le poche persone che amavo... E lui era l'unico, ormai.

Mi permisi di distogliere l'attenzione dal castano un solo momento, per scrutare il Flatterio e restarne sinceramente impressionato: sentivo che c'era qualcosa di strano, in quella specie di monolito, perfino io che non avevo magia nel sangue. Quando ritornai alla gara, erano già tutti in fila, uno accanto all'altro, spalla a spalla, le gambe molleggianti e piccoli saltelli sul posto, per prepararsi a scattare al momento giusto. Io, invece, provai un particolare attimo di panico: probabilmente qualcuno più alto di lui mi copriva la visuale, perché lo persi fra i partecipanti.

La mia vista era abbastanza rovinata e il mio posto – piuttosto economico data la mancanza di denaro – abbastanza lontano da non permettermi di riuscire a vedere le facce bendate. Avrei voluto gridare a chi di comando di fermare il conto alla rovescia, ma i gong si susseguivano in fretta, finché il terzo non ne annunciò fatalmente l'inizio.

«VIA!»

Un lungo brivido mi percorse la spina dorsale, spingendomi a scattare in piedi, sporgendomi per poter vedere ancora di più. Ma non servì. Capii subito due cose. Due cose fondamentali e problematiche. Capii chi era Rhod. Capii chi c'era al suo fianco.

Quando tutti si lanciarono con uno scatto fulmineo in avanti, iniziando a correre, due figure incespicarono nell'attimo in cui quella più alta si prese il disturbo di fare lo sgambetto all'altra. Rhod cadde a terra e, con le mani dietro alla schiena, gli fu impossibile proteggersi in qualche modo. Anche se ero lontanissimo, immaginai di sentire un crack e un lampo di dolore alla tempia su cui era appena atterrato, mentre il colpevole aveva già iniziato la corsa con un maledetto sorriso sulle labbra. Quello lo vidi.

«BUUU! MASCALZONE!» iniziò ad urlare il principe, sventolando il suo biglietto non molto vincente con il rischio di farselo sfuggire fra le dita. Quanto al mercenario, giurai di averlo appena visto sospirare con aria cupa, fra una pausa e l'altra che si era concesso mentre la tizia accanto a lui civettava allegramente strizzandogli il bicipite destro.

A terra, la pozza di sangue iniziava pian piano ad allargarsi, mentre il maghetto non si muoveva di un millimetro. Sapevo di non avere alcuna fedeltà verso gli Dei perché quando ero piccolo non avevano mai ascoltato le mie preghiere, ma inevitabilmente mi ritrovai ad intrecciare le dita fra di loro, mani giunte, nocche premute in quello spazio fra naso e labbra, forte. E pregai, dopo tanto tempo. Pregai perché si rialzasse confermando che non era morto, che si sarebbe risvegliato, che mi avrebbe guardato e avremmo ricominciato a parlare ancora, come prima del rituale, prima di scambiarci i corpi, quando i nostri baci erano tremuli alla luce del fuoco d'accampamento.

Per una volta gli Dei mi ascoltarono.

Il suo viso scattò verso l'alto, come se si fosse appena ridestato, inalando un profondo respiro. Poi il corpo ruotò per tornare dritto e, con un guizzo delle ginocchia, si rimise in piedi. Finalmente, incominciò a correre.

«Avanti... Avanti.» strinsi le mani ancora più forte, tanto da farmi male con le mie stesse unghie. Rhod era parecchio indietro rispetto agli altri, eppure, al primo ostacolo in molti si erano fermati. Il boschetto era alto e fitto, irto di rami verdastri che rendevano impossibile agli spettatori sapere che razza di stranezze accadevano all'interno. Potevamo soltanto restare a fissare movimenti e scossoni innaturali fra le cime dei pini, ascoltando passivamente le urla che ne scaturivano.

Un numero minore di sfidanti emergeva dal folto, graffiati e feriti, stravolti, gli arti talvolta conficcati dai ramoscelli come spiedini; per di più spolverati da nuvole di piume grigiastre. Il bastardo che aveva fatto male al mio mago, invece, aveva superato il bosco con successo e un paio di graffi superficiali sulle braccia.

Ero innervosito e preoccupato all'idea che il moro dovesse infilarsi là dentro, senza che io potessi vedere nulla. Eppure, ricordavo come si era comportato con i briganti all'inizio del viaggio ed ero consapevole che non fosse uno sprovveduto, come in molti pensavano. Sapevo che ce l'avrebbe fatta, nonostante un filo di sangue secco gli fosse sceso sulla fronte, imbrattando un lato della benda. Anzi, ne ero sicuro: correva come se avesse i demoni alle calcagna, tanto che raggiunse il bosco in fretta.

Sparì dalla visuale per lasciarmi solo con me stesso e l'ansia che mi attanagliava lo stomaco, che mi faceva ruggire il cuore nelle orecchie. Sentivo in sottofondo le urla del pubblico, le lusinghe civettuole della ragazza al fianco del mercenario e i raffinati tentativi di tifare del principe senza sembrare uno sboccato popolano; ma tutti loro parevano lontani ed ovattati. L'unica cosa su cui mi concentravo erano le cime verdi che si muovevano in scossoni, frullare di piume, volteggiare di rami, in una serie di minuti che mi sembrarono ore ed ore infinite.

Poi, finalmente, una chioma color cioccolato spuntò dall'altra parte, con un dondolare vivace di treccine; piena di piume e che ancora si scuoteva, come nel tentativo di liberarsi da qualcosa. Rhod aveva una guancia profondamente graffiata e la bocca cosparsa di sangue. Pensai che si fosse ferito, invece capii subito che non si trattava di quello, quando chinò la testa e sputò qualcosa di piumato e sanguinante, che sembrava aver morso o dilaniato con i denti. Il principe strizzò le labbra in un moto di disgusto, mentre io esalai un impercettibile sospiro di sollievo.

Un sollievo che fu solo un fugace assaggio, velocemente cancellato dall'ostacolo che gli si parava davanti, incombendo affilato con l'aspetto di due enormi asce orizzontali che si aprivano a ventaglio dondolando ad intermittenza, scattando di lato i secondi necessari a creare un passaggio centrale, per poi richiudersi affettando l'aria quando il metallo s'incontrava stridendo.

Ero stato così concentrato sul mago che non mi ero reso conto di cosa succedeva agli altri partecipanti: le lame luccicavano di rosso e una pozza di sangue si era formata a terra, proprio in quel punto.

Francis corse a coprirsi gli occhi, esclamano un versetto inorridito, mentre il mercenario piegava la testa di lato come uno di quei cagnoloni stupidi che non capiscono quando è l'ora di stare a cuccia.

«Oh-oh, forza abracadabra.» Battè la mano sulle spalle della civetta al suo fianco. «Non avere paura bambolina, ti proteggo io.» Non colsi l'occhiataccia che il principe lanciò verso di lui, piccato, visto che i miei occhi appiccicati alla figura del ragazzo bendato, giù nell'arena. Era incredibile come Cyran Rouge riuscisse a ricavare dei profitti dalle sventure di Rhod, ma in quel momento non m'interessò minimamente.

Con la mente ero insieme a lui. Contavo ogni suo passo e sussultavo man mano che la distanza con l'ostacolo diminuiva. Il problema, però, era evidente: non si stava fermando. Continuava a correre imperterrito, senza far caso al fatto che due lame taglientissime aspettassero di tranciarlo in due come un vitello imbandito a corte. Non poteva nemmeno vederlo. L'intera gara era un'esibizione assurda di violenza: perché avevo concesso che partecipasse? Perché avevo detto di sì all'idea del principe?

Ero stato uno stupido incosciente. E avevo paura.

Strinsi un pugno, mordendomi le nocche sotto ai denti, lasciando nuovi segni in una mappatura di cicatrici, di storie e di brutti ricordi. E dentro di me sperai che si fermasse in tempo, anche se non lo stava facendo: un passo ancora, e ancora uno. Ancora uno. E poi... Mentre incombeva verso le asce, un altro partecipante lo superò, scattò davanti a lui e, senza notarlo nemmeno, rimase in trappola. O meglio, rimase... Spezzato. Il sangue schizzò sulla faccia del maghetto rendendogli la pelle maculata in chiazze bianco-rosse.

Il corpo mutilato giaceva a terra, il corpo che sarebbe stato di Rhod se quel partecipante non l'avesse superato proprio nel momento giusto. Il mio cuore fece una capriola, riconoscendo in me il vecchio e abituale sentore dell'angoscia. Per fortuna, quella morte cruenta era stato il segnale che serviva a Rhod per rendersi conto dell'ostacolo. Si fermò immediatamente, girando la testa di lato. Fui certo stesse controllando lo stridore delle asce, che gli avrebbero segnalato quando le lame s'incontravano al centro, in modo da calcolare il tempo giusto per passare. Aspettò qualche secondo, ripulendosi parzialmente gli schizzi di sangue strofinandosi una guancia sulla spalla. Poi, avvertito il momento giusto, ripartì a tutta birra.

Un altro sospiro di gioia per aver superato l'ostacolo tutto intero. Iniziai a capire che avrei rischiato di svenire ad ogni punto del percorso, così provai a prendere lunghi respiri per restare calmo. Non potevo permettermi di agitare troppo l'animo, con il mio fisico cagionevole. Purtroppo, la cosa non passò inosservata allo stupido mercenario, che colse l'occasione per infastidirmi.

«Che c'è, fioraio? Ti vedo sudare sin da qui!» Ed ecco l'occhiolino di derisione alla dama al suo fianco. Il principe, dagli squisiti modi cortesi, gli rifilò un ceffone da parte mia.

«Adesso basta. Un nostro amico sta rischiando la vita! Stai in silenzio e prega gli Dei con noi!» rimproverò, con le guance tutte rosse dall'indignazione, cosa che suscitò un risolino nell'altro, ed immediatamente dopo un'espressione infastidita accorgendosi che nessuno – nemmeno la stupida dama – stava ridendo con lui. La situazione era tremendamente seria e altrettanto drammatica.

Tornai a concentrarmi sulla gara. Rhod superò un paio di ostacoli innocui come qualche staccionata da saltare – inciampando – e un tappeto di carboni ardenti che con le scarpe procuravano poco danno. Poi fu la volta di una secchiata d'acqua in testa, o almeno ipotizzai lo fosse visto che nessuno sussultava in preda alle urla. Non era acido insomma.

Poi mi pentii di aver pensato subito alla soluzione più semplice. Poco più in là, delle piccole botole nel percorso si aprivano rilasciando delle enormi fiammate che schizzavano verso l'alto per qualche secondo. Uno dei partecipanti infradiciati era stato colpito da una di quelle e, inaspettatamente, prese fuoco come un fiammifero, tutto d'un colpo. L'odore dolciastro e nauseabondo della carne bruciata arrivò sino agli spalti.

Quello doveva essere alcol. Una sola sfuggente fiammata sarebbe stata letale. Ricordai quando il mago morì per la prima volta e tutti pensarono che non ci fosse niente da fare. La pira silenziosa e un sommesso funerale. Poi, un corpo che si contorceva sulla legna in fiamme. Doveva essere stato particolarmente brutto, quella volta, e non avevo intenzione di fargli riprovare la cosa.

Gridai come gridavano gli altri, seppur non mosso dalla stessa smania di violenza. Ancora una volta, si salvò grazie all'odore di bruciato e proseguì con la massima cautela. Lo vidi tendere lentamente i piedi sul terreno, in attesa di sentire sotto alle suole degli stivali qualcosa di diverso dalla sabbia che ricopriva tutta l'arena su cui gareggiavano per la gloria e per i soldi. In fretta fu in salvo anche da quella situazione e, pian piano, si stava anche asciugando dall'alcol.

Ero così incentrato su di lui che non mi accorsi ne erano rimasti pochissimi. Si potevano vedere i partecipanti caduti soltanto spostando lo sguardo sugli ostacoli precedenti. Potevano essere quattro, massimo cinque. Rhod era fra quelli, insieme al farabutto che l'aveva fatto cadere.

L'avrei ucciso.

Ma poco dopo scoprì che non avrei avuto alcun bisogno di farlo. Il percorso si stava restringendo pericolosamente man mano che gli ultimi gareggianti si avvicinavano al traguardo, dove il flatterio li attendeva, ai lati della strada vi era soltanto un baratro profondo. Alcuni non se ne accorsero e precipitarono lasciando le loro urla a riecheggiare fra gli spalti. Ed ecco l'ultimo ostacolo: un buco enorme fra la terra e la linea di traguardo. La vittoria sarebbe stata di chiunque fosse riuscito a compiere il salto.

Il bastardo che aveva preso di mira Rhod si fermò appena in tempo, le punte dei suoi stivali sporgevano pericolosamente nel vuoto, ma non cadde. Gli successe però un'altra sventura: Rhod, dietro di lui, stava continuando a correre. Si scontrò faccia a faccia con la sua schiena facendolo inesorabilmente cadere dentro al fosso. Non era un baratro, perché vidi il sangue dell'uomo schizzare sui bordi della buca, segno che non doveva essere molto profonda e sicuramente ospitava qualcosa di letale. Spunzoni affilati, probabilmente.

Il maghetto si fermò sul ciglio, forse consapevole di ciò che aveva fatto. O forse no. Ma almeno si era preso la sua vendetta. Infine, si girò di qualche passo per prendere la rincorsa, ma saltò troppo presto.

Mi si mozzò il fiato dentro ai polmoni quando vidi le sue gambe mancare la terra dall'altro lato, cadere nel vuoto, precipitare. Pensai di aver appena gridato il suo nome con tutte le forze che erano rimaste nel mio stanco corpo, e lo pensai perché mi fischiavano le orecchie e non ero in grado di sentire nulla al di fuori del battito furioso e spaventato del mio cuore.

Una mano si sorresse al bordo, poi anche una seconda. Due braccia si allungarono sulla sabbia, mentre le unghie graffiavano e i gomiti si issavano per spostare tutto il corpo fuori, per uscire dalla fossa. In ginocchio, strisciò fino alla linea del traguardo e poi lo superò.

Aveva vinto. Rhod aveva vinto ed era anche l'unico rimasto.

Mi precipitai giù dagli spalti, feci il percorso a ritroso verso i camerini dei partecipanti, che feriti o morti, erano tutti stati trasferiti in una struttura per essere medicati o ricuciti a dovere. Ero l'unico ad essere lì e lo aspettavo, ascoltando silenzioso i ruggiti estasiati della folla. Stavano gridando il suo nome. Anche il mio cuore lo stava facendo, riempito di un sollievo così puro e liberatorio che le gambe mi cedettero e cascai su una sedia, sconvolto. Mi tolsi in fretta gli occhialetti, riponendoli dentro la solita tasca della camicia.

Poi, lui arrivò dentro ai camerini scortato da uno degli organizzatori, che si complimentava con Rhod, ora con una fascia di vincitore e ben due mazzi di fiori fra le braccia. Stavano parlottando del compenso quando il più piccolo si accorse di me.

«...» Schiusi le labbra, alzandomi di corsa in piedi senza mostrare nulla di ciò che pensavo dall'espressione. Criptico come uno scrigno di legno semplice che all'interno potrebbe contenere tesori inenarrabili oppure il nulla. Il bruno accettò in fretta l'enorme mazzo di denaro e poi venne verso di me, a testa bassa insieme agli occhi.

«Ho v-vi-vinto..» balbettò, con un velo di imbarazzo che gli impastava la voce e le guance. Il terrore di perderlo mi aveva fatto aprire gli occhi: se non potevo raccontargli il mio passato, se non volevo dirgli cosa mi aveva afflitto un tempo, almeno avrei potuto essere sincero su ciò che sentivo per lui.

Così mi avvicinai abbastanza da far combaciare la punta delle nostre scarpe, da sentir premere il suo mazzo di fiordalisi contro il mio petto. Sollevai una mano premendo le dita sulla sua nuca, il pollice sulla guancia morbida, ancora sporca di alcol e sangue. Anche le sue labbra lo erano, ma non m'importava nulla, a parte lui, la sua salvezza.

«Mi dispiace.» esordii, la testa inclinata per fissare quegli occhioni blu, che mi avevano conquistato dalla prima volta che l'avevo visto. «Mi dispiace» ripetei «di non averti detto cosa mi ha ferito, cosa ha deturpato il mio corpo.» Socchiusi le palpebre, facendo una piccola pausa. «Ma non sono ancora pronto per farlo. Ti prego di perdonarmi e di essere paziente. Ti dirò tutto, un giorno.» Inclinai il capo di lato, con uno sguardo che scintillava di mestizia.

Non sembrava arrabbiato. Non s'irritò. Al contrario, abbassò gli occhi con un'aria pentita, ma mai compassionevole. Era il rispetto ciò che provava nei miei confronti. Non era la pietà quello che lo muoveva, ma la tristezza di non potermi consolare. «A-aspetterò.» biascicò, ma non aspettai altra parola e lo avvolsi in un caldo abbraccio.

«Non avrei dovuto permetterti di partecipare. Ho avuto davvero paura.»

Alzò timidamente lo sguardo, senza allontanarsi. «Pe-perché...?»

La risposta era così semplice che, anche se non gliel'avevo mai detto prima, non ebbi motivo di esitare. «Perché mi piaci.» E poi lo baciai.

Quel bacio sapeva di sangue e magia, di vittoria e di sentimento,e ricostruì velocemente tutto quello che si era rotto, ancor più saldamente di prima.



❧❧


Cyran


Bidibi-bodibi aveva spaccato. Sinceramente, all'inizio la sua non era stata una buona parformans – o come si dice, non potevo di certo imparare a memoria tutto quello che sputava il principe – ma mentre andava avanti migliorava, e alla fine è riuscito a portarsi a casa la mazzetta. Un'ottima cosa. Dato che un esserino mingherlino come lui aveva vinto, come minimo avrei dovuto superarlo.

Cosa che infatti feci senza il minimo problema. Diciamoci, la gara per me era davvero una bazzecola: niente spade o duelli all'ultimo sangue, bastava il naturale potere dei pugni a dettare legge fra vittoria o perdita, e il nastro rosso che delimitava la sezione di terra dover poter combattere era l'unica regola.

Per il resto, bastava spaccare uno o due nasi, far sputare quattro o cinque denti e far gonfiare una decina di occhi. Non perché i miei sfidanti ne avessero dieci, ma perché appunto erano in dieci a sfidarsi a vicenda. Avevo in fretta scalato la classifica, fino ad arrivare all'ultimo bruto da combattere.

Bruto nel senso che si chiamava davvero così, ma era anche molto brutto. Non c'era ragione perché le donzelle dovessero tifare per lui: lo stuolo di dame nelle vicinanze del ring agitavano i fazzoletti gridando il mio nome, estasiate, ed io sorridevo con il mio solito fascino da mercenario, facendo più attenzione al fatto che nessuno distogliesse lo sguardo dai miei amabili pettorali, compreso il principino.

In effetti, non fu un caso quello di essermi tolto la cotta di maglia proprio mentre lui mi stava guardando, fingendo di aver bisogno di più mobilità. Fili di sudore mi scendevano lenti sui muscoli facendo scintillare la pelle bronzea, e ad ogni punto nello stomaco di Bruto-brutto esultavano e gridavano il mio nome.

Poi fu tutto finito. Facilissimo, no? Quando si era come me c'era poco da fare. Perfino quando tentò di pugnalarmi alle spalle con un pugnale nascosto nei pantaloni – chissà dove poi... – io lo ridicolizzai torcendogli il braccio dietro alla schiena, in modo che lasciasse andare l'arma.

Scesi con un salto dal ring e salutai tutti con un cenno della mano, facendomi dare fascia e fiori, compresi i soldi e i biglietti omaggio per il Grande Dirigibile d'Argento. Le dame mi si avvicinavano allungandosi a lasciarmi caldi baci sulle guance, ed io le lasciai fare anche se con la coda dell'occhio non perdevo Francis nemmeno per un secondo, sebbene lui guardasse da un altra parte. C'era una cosa che proprio non mi andava a genio.

Non mi guardava tanto spesso come faceva la moltitudine di dame e questo mi irritava non poco. Perciò scacciai rapidamente le donne che mi ronzavano intorno come uno sciame d'api e mi avvicinai a lui, allungandogli un braccio sulla schiena per premerlo contro di me.

«Mbe', non mi fai i complimenti?» Aspettai, con un ghigno perverso stampato sulla faccia. Il ricordo del suo corpo sotto il mio, sottile ed esile come lo stelo di un fiore, mezzo nudo e appena picchiettato da qualche lentiggine, che giaceva sul letto delle stanzette della taverna, mi colpì con un tozzo in testa. Dovevo avere uno sguardo particolarmente vorace, perché mi lanciò un'occhiata storta e si liberò dalla mia presa con uno strattone che avrei osato definire educato, scappando via.

«Ehi, principino!» Lo rincorsi, mentre andava a ritirare i soldi delle fruttuose scommesse che aveva fatto su di noi. Ah, quanto era difficile quel ragazzino! Forse era per questo che mi piaceva, o forse perché fosse vergine. O magari perché fingeva di non badare a me quando arrossiva per qualsiasi cosa io gli dicessi o facessi.

Comunque, mentre il maghetto e l'erbacoso si guardavano come se volessero saltarsi addosso, chissà per quale motivo al mondo, ci addentrammo dentro alla prima taverna che ci capitò a tiro per riposarci. Il cielo si era adombrato con i toni cupi della sera e una buona parte dei partecipanti si erano ritirati in ogni tipo di locale per festeggiare le vittorie o per bere a fiumi in cerca di consolazione a causa dei propri fallimenti.

C'erano cantanti e ballerini, c'erano cameriere con le scollature abbondanti e boccali che sgocciolavano, pieni fino all'orlo. E poi c'eravamo noi, una banda di quattro avventurieri mal assortiti che in qualche modo avevano raccolto un gruzzolo più grosso di quanto avessi racimolato in una vita intera. Accidenti, avrei dovuto scoprire questo postaccio molto tempo fa, un vero peccato per i miei affari.

Ci accomodammo su un tavolo centrale, lo scelsi così che tutti potessero vedere che eravamo dei vincitori e ci offrissero da bere. In effetti accadde, ma dall'ultima persona che ci aspettassimo.

«Ma guarda un po' se non incontro di nuovo i miei amici!» esclamò una voce alquanto melodiosa, seppur la faccia fosse rozza e rubiconda e i capelli un intrico di rasta biondiccio sporco legati sulla cima della testa come un cactus. Era proprio lui.

«Brutto bastardo!» gridai, acciuffandolo per il collo della camicia sozza per sbatterlo con violenza contro il muro più vicino, senza controllare la mia forza nemmeno un po'. Marshall, il cantante della taverna che ci aveva rubato fino all'ultimo spicciolo e portato via le mappe dei Regni del Caos, per poi cancellare la memoria a tutti gli avventori così che sembrassimo dei pazzi. Oh, se l'avrei riempito di botte...

«Ehi, aspettate, aspettate!!» strillò, mentre la folla ci guardava incuriosita e i miei tre compagni di viaggio si erano avvicinati con un certo sospetto, senza nemmeno fermarmi. Per una volta eravamo tutti d'accordo a dare una bella lezione al tipo. Ma poi Francis, il solito principino dall'animo puro, mi appoggio una mano sul polso che stritolava la camicia di Marshall.

«Lascialo parlare.» disse, e aveva un luccichio strano negli occhi. Allentai la presa. «Ora ci dirai dove hai messo le nostre cose, se non vuoi pagarne le conseguenze.» Forse non era così tanto puro. Del resto, aveva i capelli rossi come il pelo di una volpe. Apprezzavo anche questo suo lato.

«Non so di cosa parlate!» Alzò le braccia in segno di resa, guardandoci atterrito. «Davvero, non ho idea di dove siano le vostre cose.» Ci guardò attentamente, confuso. «Me ne sono andato perché ho avuto dei problemi con l'oste, e visto che potevo ho anche ripulito un po' la memoria di tutti!» alzò le spalle come se fosse una bazzecola far dimenticare la sua esistenza ad una ventina di persone. Be', forse lo era come per me con i pugni.

Solo che non mi fidavo, così lo riacciuffai per strattonarlo malamente al muro, di nuovo. «E-ehm.. Di-dice l-la.. v-v-verità!» Alzai un sopracciglio verso abracadabra. «Lo se-sento.» E poi alzai gli occhi al cielo, lasciando andare il tizio, insoddisfatto. Non c'era niente che mi mettesse di buon umore come una scazzottata in taverna. A parte un po' di attività fra le lenzuola.

«Sei sicuro?» chiese il fioraio, guardandolo con un'aria seria e al contempo accondiscendente, come se potesse bersi ogni cavolata dalla bocca dell'altro. Che annuì con la testa. A quel punto, si sedettero entrambi e io fui costretto a fare lo stesso, accettando di avere accanto l'inaffidabile mago-cantore.

«Grazie di esservi fidati di me.» Si schiarì la voce.

«No che non ci fidiamo di te.» commentai, torvo. Chi mi fregava i soldi, anche se solo sospettato, non la passava liscia.

«Ma dovreste, perché...» Prima che potesse aggiungere altro, una cameriera arrivò velocemente al nostro tavolo inclinandosi proprio accanto a me, come se avesse voluto regalarmi una vista in prima classe sulla sua scollatura, distribuendo calici di vetro ricolmi di una bevanda azzurra che quasi scintillava.

«Offerto dalla casa per i vincitori.» disse, facendomi l'occhiolino prima di dileguarsi in fretta. C'erano solo quattro bicchieri, così qualcuno dovette fare a meno di bere. E sapevamo tutti chi fosse. Per una volta, perfino quel puritano di André decise di assaggiarne un sorso: brindammo rumorosamente e io scolai soddisfatto tutto in una volta, sentendo quella bevanda fresca scivolarmi in gola con una facilità e una naturalezza incredibile. Quasi sembrava acqua, e non fui molto soddisfatto dell'effetto alcolico praticamente inesistente.

«Mba', avrei preferito un bel boccale di idrome...» Non finii la frase. Per qualche strana ragione, gli occhi iniziarono a lampeggiare, a vere bianco a tratti.

«Non... Mi sento... Molto..» mormorò il rosso prendendosi la testa fra le mani, sfinito. E poi seguì la volta del maghetto e di André, che sbatterono la testa contro il tavolo privi di senso.

«Ma..arsh...» pronunciai il suo nome, allungando una mano verso di lui come se avessi voluto spiaccicarlo di nuovo al muro, senza accorgermi che ci fissava a bocca aperta, sconvolto. Poi persi i sensi, almeno per qualche secondo.

Fu facile riprendersi subito. Sbattei la spalla dell'erborista seduto al mio fianco e poi mi voltai a guardarlo, come a chiedermi cosa fosse successo. E all'improvviso me ne accorsi. Non ci avevo fatto caso in tutti questi giorni, mai, eppure era sempre stato così chiaro e lampante che mi sentii un povero sciocco nel realizzarlo. André Sion era incantevole. Dalla pelle bianca piena di cicatrici, a quello sguardo verde da serpente velenoso. Da quei capelli biondi-grigi come quelli di un anziano, all'espressione immutabile come una il seno terribilmente piatto di una donna.

Come potevo non essermi mai accorto che lo amavo immensamente?

Era bello in ogni centimetro della sua inutilità. Bello in ogni secondo in cui sminuzzava le sue erbette da drogato pensando che non lo notassi. Nel cuore sentii cantare gli uccellini e mi alzai rapidamente in piedi, pronto ad afferrargli una mano come se fosse l'unico arto di cui valesse la pena al mondo. Avrei volentieri mutilato gli altri avventori perché non avevano un dito in meno come ce l'aveva lui.

In tutta la meraviglia che mi suscitava il fioraio, non feci caso a quel Francis Levou che si rimirava dentro al riflesso del bicchiere sospirando, né a Rhod che mi fissava molto meno impaurito del solito, oppure a quel Marshall che si chiedeva cosa stesse succedendo.

Non importava più nulla. Lo trascinai lontano dal tavolo, in piedi per dichiarargli il mio profondissimo sentimento, con il principe che continuava a spostarsi da un quadro all'altro per baciare il proprio riflesso sui vetri. Sentii Rhod urlare e, con brutalità, venni scaraventato lontanissimo rispetto al mio amore, André, che adesso stava facendo fatica a rimettersi in piedi.

E si rivolgeva a quel Marshall con fare sospettoso...

Li avrei ammazzati.

Se non potevo averlo io, non lo avrebbe avuto nessuno. Così estrassi furioso lo spadone e caricai come un tornado furioso contro quel maledetto, ritrovandomi di nuovo scagliato lontano per colpa del mago, che non ci voleva vedere insieme. «COME TI PERMETTI!» Urlai, caricando contro di lui, che fermò la mia spada con una barriera, guardandomi negli occhi implorante.

«T-ti prego.. Cyran! I-io... Ti amo!» Ridicolo, non avrei mai amato nessuno all'infuori di André.

Cercai di farglielo capire sbattendo più volte la spada contro quella barriera, che andava a creparsi velocemente. Intanto, non mi accorsi che ci eravamo spostati e Francis era dietro di me: finii per colpirlo con l'elsa alla testa, mentre caricavo un colpo. Aveva ancora le mani sporche di sangue per aver stretto forte un pezzo di specchio rotto, mentre si accasciava a terra.

Che fosse dannato, qualsiasi ostacolo si frapponesse fra me e l'erborista doveva morire. Intanto, nella taverna si era diffuso il caos. Alcuni erano fuggiti, altri avevano iniziato a picchiarsi o ad assistere alle risse gridando animosi commenti. Sarebbero morti anche loro, comunque, se avessero interferito.

«ASPETTA, MARSHALL!» Sentii l'urlo di André dalle porte delle cucine e lasciai perdere Rhod catapultandomi verso la sua voce, disperato e bisognoso di lui, pronto però ad ammazzare quell'altro maledetto. Quando spalancai le porte, trovai il mio amore avvinghiato alla schiena di quel brutto mago, tentando di baciargli le guance mentre lui gli dava gomitate e cercava di colpire una donna – ma era la cameriera che ci aveva servito? - a colpi di padellate.

«TU!» Lo puntai con la spada e un'espressione che mi scintillava di furia, negli occhi il calore del fuoco che aspettava fremente di sprigionarsi dalle mie mani per carbonizzare il mio avversario. Ma volevo sentire il suo sangue sulle mani, così mi limitai a sollevare la spada, con il sottofondo delle urla della cameriera. Sollevai e sollevai, e quando iniziai a calare... L'arma mi cadde rovinosamente a terra.

La donna giaceva a terra lì vicino, con la testa spaccata dalla padella e il sangue che si spargeva sul pavimento, senza dubbio morta. Il malore che mi aveva attanagliato la testa sparì in fretta, così come quell'orrida sensazione di... Di... Amare André Sion?! Dovevo essere nei miei peggiori incubi. Mi massaggiai la testa fra le mani, confuso e arrabbiato.

«Che diavolo è appena successo?» guardai il fioraio come se fosse la cosa più ripugnante al mondo.

«Siete stati avvelenati da una strega, a quanto pare.» Marshall indicò il cadavere della donna a terra. «Tragédie d'amour. Non è una pozione molto facile da preparare, davvero potente. Fa impazzire d'amore chi la beve... E si finisce con un bagno di sangue.» Ne sapeva davvero tante il tizio e per un attimo fui grato di averci salvato. «L'unico modo per liberarvi era uccidere la poveretta, purtroppo.» Non capii se fosse ironico o serio, ma non importò.

Non mi importò nemmeno di capire che l'aveva fatto perché era stata una mia avventura fra le tante che avevo piantato in asso chissà dove e chissà come. La stavo riconoscendo solo ora. Ehi, ne era passata di acqua sotto ai ponti, era già tanto essermi ricordato di lei!

Però lasciai perdere tutto e corsi verso la sala della taverna, raccogliendo dal pavimento il principe, che era ancora privo di sensi. Sperai di non averlo ucciso, pregai di non averlo fatto. Il colpo poteva essergli stato fatale ed io, accecato da una stupida pozione...

No. Non poteva essere.

Gli premetti la testa sul cuore, ma ero un incapace e non riuscivo a sentire nulla attraverso i vestiti. Sentii una sensazione orribile premere alla bocca dello stomaco, trascinandomi la bile in bocca.

«No, no... Principino... Francis!» gridai il suo nome e lui, fra le macerie di una taverna distrutta da botte e magia, con le mani insanguinate e il viso pallido, aprì i suoi splendidi occhi grigio tempesta.

«Che... mh.. successo?» strizzò gli occhi e cercò di mettersi più dritto, di guardarsi intorno. Poi mi fissò, meravigliato. «Hai.. gli occhi lucidi.» Cosa? Non capivo di cosa stesse parlando. Mi alzai velocemente in piedi aiutandolo a fare lo stesso e mi schiarii la voce.

«Niente, solo una maledettissima strega. Dovrei scegliere meglio chi frequentare.» mi accorsi di averlo detto di fronte a lui, e si incupì di nuovo, andando verso il mago disorientato per spiegargli la faccenda.

Dopo, fummo costretti a pagare una piccola somma a Marshall perché cancellasse la memoria di quanto accaduto in quella taverna e non fu facile, visto che in molti erano scappati. Ce ne sfuggì anche qualcuno, ma ormai non importava: all'alba ci saremmo imbarcati sul Grande Dirigibile D'Argento e la nostra avventura sarebbe proseguita senza intoppi.

Ma dato che gli avventurieri eravamo noi, ovviamente qualche guaio sarebbe successo.









❧❧

NDA - L'angolo molto estivo di un'autrice molto cattiva

Hola!
Mbe', che dire? Appellatemi qualsiasi insulto, IO me lo merito TANTO! Se magari non posto i capitoli di questa storia due volte all'anno, forse... Sarei più contenta pure io xD questa storia si merita di più di una monella come me! Sigh-
Ma vabbe', spero che sia piaciuto a voi questo capitolo. Perdonatemi. 
Plisss. 

Alla prossima <3 






Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro