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13. Quando mai qualcosa va?


Francis


«E così, si tratta di una maledizione.» sintetizzai, dopo le sbrigative notizie che il mago ci aveva raccontato il giorno seguente alla sua cerimonia funebre mai conclusa. In effetti, ci eravamo svegliati da poco, ma il cieco ci aveva rifornito di cibo e di informazioni, portandoci perfino al centro del villaggio, in modo che ogni paesano potesse ringraziarci.

Ne ero stato piacevolmente stupito. Insomma, io non avevo fatto proprio nulla a parte farmi rapire, o stendere il Sacerdote di Somnus con un pugno. Tuttavia, mi ero impegnato nel rispondere ai loro ringraziamenti, nello stringere loro le mani, nell'elargire sorrisi. D'altra parte, se io ero quello che rispondeva al popolo, Cyran invece si rivolgeva alla parte femminile, gettando occhiolini e sorrisini a destra e a manca, premurandosi di scambiare maggiori attenzioni alle più... prosperose. Invece, il mago e l'erborista erano semplicemente rimasti indietro, a guardarci mentre noi ci prendevamo tutto il merito. Ma a loro non sembrava importare.

Mezz'ora dopo, saltammo in groppa ai nostri cavalli, gonfi di tutti i ringraziamenti ma ancora più stanchi di prima, assolutamente consapevoli del fatto che fossimo solo all'inizio del nostro viaggio, solo all'inizio di tutti i nostri guai. Gli zoccoli dei cavalli producevano un rumoreggiare lento e attutito, a contatto con la terra. Ed io cavalcavo accanto a Cyran, dietro ai nostri due accompagnatori. Ogni tanto rimpiangevo il fatto che il re non ci avesse fornito un'adeguata scorta, ma sapevo che era meglio così. Salvare la principessa era una cosa che dovevo fare io. Una cosa che dovevamo fare noi.

Mi fermai dinnanzi all'uscita del villaggio, voltai appena il busto indietro, intravedendo oltre le mie spalle le figure del mago e dell'erborista e, dietro di loro, i paesani che ci salutavano con le mani alzate. Sorrisi, ricambiai il cenno con la mano e dopo, da una delle sacche di cuoio che i cavalli trasportavano, presi la mappa dei territori a sud del Continente Meridionale. La srotolai, facendo attenzione a non rompere la carta ingiallita, per poi rivolgere un attento sguardo ai nomi d'inchiostro che costellavano la mappa, tanto minuscoli da lasciar capire da sé l'impegno che il disegnatore doveva averci profuso.

«Abbiamo due possibilità.» esordii, tracciando con un dito le strade possibili, dal villaggio fino al prossimo luogo nel quale fare sosta. «Potremmo seguire i piccoli villaggi limitrofi, oppure fermarci un po' di più nella metropoli di Kijani.»

«E incontrare altri svitati fanatici?» sbottò il mercenario, stringendo con una mano la briglia e con l'altra facendo un cenno di diniego. «Non ho mai frequentato alcuna ragazza di Kijani... sarà ora di farlo?» sghignazzò fra sé, pur platealmente, come se sbandierare ai quattro venti tutte le sue avventure fosse interessante. Alzai gli occhi al cielo.

«Penso che riposarci sia una motivazione più... consona alla situazione.» replicai, senza riuscire a nascondere una traccia di stizza e di... qualcos'altro. Non avevo dimenticato ciò che era successo tempo prima al lago, così come non avevo dimenticato che mi aveva salvato. Non sapevo cosa pensare del mercenario: bello da far paura, feroce quasi, ma volgare e rozzo in un modo che mi faceva arricciare il naso tutte le volte che parlava.

«Vada per Kijani.» André liquidò così quel principio di battibecco, mentre il mercenario si chiedeva sottovoce cosa volesse dire "consona". Io invece, rimasi in silenzio davanti alla seccata impassibilità dell'erborista. Così aprii la sacca per mettere al suo posto la mappa dei territori a sud, e mi accorsi con terrore che invece, quella del Continente Sconosciuto, alias Regni del Caos, mancava.

«Oh no...» mormorai. «Dov'è la mappa del Continente Sconosciuto?!» mi bloccai.

«Ce-ce... l'ho io.» balbettò alle mie spalle il mago, la testa china, poiché evidentemente temeva che lo rimproverassi. Invece, mi limitai a buttare fuori un sospiro di sollievo.

«Date così tanta importanza ad un pezzo di carta, principino?» domandò Cyran, col suo solito sottotono di strafottenza e le labbra carnose piegate in un ghigno sardonico. Per un momento rimasi solamente in silenzio, ad avvertire il rumoreggiare degli zoccoli contro il sentiero che percorrevamo, le labbra strette in una linea sottile.

«Non è semplice carta. È ciò che ci porterà ad un passo dalla principessa.» Sospirai. «E poi non hai idea della fatica, del pericolo che hanno corso i creatori di quella mappa.» conclusi, irritato.

«E chi ti dice che non ne ho idea?» domandò, guardando la strada davanti a sé con un'espressione per una volta seria, imperscrutabile quasi, e non sarcastica come al solito. Rimasi in silenzio. Per una volta aveva ragione, non potevo sapere che genere di pericolo avesse affrontato nella sua vita. A giudicare dal modo in cui combatteva, uno piuttosto grande e pieno di guai. Ma, in fondo, io non sapevo proprio nulla di lui.

«Quanto ne sapete, voi, dei Regni del Caos?» chiesi, rivolgendomi a tutti i miei compagni di viaggio, pur di dimenticare ciò che stavo realmente pensando. Per quel che riguardava me, quei territori mi erano familiari solo per le leggende che circolavano su di essi, per le storie di paura che mi raccontavano le balie per tenermici lontano. Non che fosse complicato, data l'estrema difficoltà nell'arrivarci.

«So che lì esistono oltre cinquecento specie di piante diverse.» rispose l'erborista, neanche con quell'eccitazione che avrebbe potuto avere uno con la sua passione, o col suo lavoro. Semplicemente come se fosse un dato di fatto. «Lo dicono in tutti i libri di botanica.» continuò, asciutto.

«I libri... i libri di ma-magia... dicono qualche... qualche.. c-cosa.» il balbettio del mago, ancora una volta, non mi sorprese per niente. Tuttavia, da Cyran non ebbi alcuna risposta.

«E tu, mercenario?» chiesi, sentendo il suo silenzio farsi quasi pesante.

«Non ne so nulla.» rispose, alzando le spalle e guardando davanti a sé. Quella sua noncuranza mi fece tanto insospettire che non fu difficile capire che stava mentendo spudoratamente. Aprii la bocca, pronto a ribattere e a cercare di indagare in qualche modo. Ma non ne ebbi il tempo, perché dal fondo della foresta che costeggiava il sentiero, si innalzò un rumore abbastanza forte da raggiungerci. Per un attimo rimanemmo in silenzio a guardarci a vicenda, come per accertarci d'averlo sentito tutti. E quando un secondo rumore, un suono simile a legno che si spezza, a radici che si sradicano, fu tanto forte da scuotere un gruppo di alberi non troppo lontano da noi, finalmente, parlai.

«Avete visto?» sussurrai, avendo paura di alzare la voce, paura di rompere quel silenzio. Deglutii.

«Proseguite, piano.» disse l'erborista, il tono di voce incredibilmente basso e, per una volta, guardingo.

«Io invece dico di velocizzare il passo.» sibilò il mercenario, stringendo le briglie fra le mani e guardando di continuo la foresta, il punto in cui il rumore era nato e scomparso.

«Sono vissuto per anni nella foresta, so quando una preda è stata puntata e so quando...» André non ebbe il tempo di finire la frase, che uno scossone maggiore mosse un intero gruppo di alberi, molto vicino a noi, facendoli prima tremare, poi cadere. E non riuscimmo ad intravedere fra la boscaglia cosa provocò quella reazione, ma bastò per farci zittire.

«Kijani non è molto lontana da qui.» mormorai, a bassissima voce, finché un altro scossone fra gli alberi non fece nitrire i cavalli per la paura. Fu allora che l'erborista intervenne.

«Non c'è tempo per riflettere.» sibilò. «Al galoppo. Ora.» E partimmo, con furiosi colpi di redini, alla velocità del vento.


***


Erano passate un paio d'ore, forse di più, ma qualsiasi cosa ci avesse inseguito, adesso aveva smesso di farlo. Appena in tempo, perché pareva che i cavalli non riuscissero a correre ancora, non così velocemente. Man mano che proseguivamo, il galoppo si faceva più trascinato, trasformandosi in un trotto affaticato. Non importava: qualche metro più avanti, le grandi porte collegate a cinta murarie annunciavano la metropoli. Non che fosse poi così grande, a quanto diceva la mappa. Ma eravamo arrivati in poco tempo a destinazione, ed era quello che contava.

Raddrizzai la postura, tirai le briglie, rallentai.

«Siamo arrivati piuttosto in fretta.» commentai, mentre già riuscivamo a vedere le massicce porte di legno spalancate, e un gran viavai di cittadini e di truppe armate che entravano ed uscivano, uscivano ed entravano. Alcuni cittadini si precipitavano di corsa dentro, altri invece avevano chiuso in un sacco i loro possedimenti più preziosi, l'avevano caricato in spalla o in piccoli carretti, e si preparavano ad andare via. Le truppe invece facevano avanti ed indietro, come se non sapessero bene dove fermarsi. «C'è un gran fermento.» commentai. Bambini che piangevano, uomini che sbraitavano ordini, donne che iniziavano a sbarrare le porte. «Forse troppo.» aggiunsi dopo, sottovoce. «C'è qualcosa che non va.»

«Andiamo, quando mai qualcosa va?» sbraitò Cyran, sbattendosi un pugno sulla coscia, mentre i nostri quattro cavalli si avvicinavano alle porte. Una volta sotto di esse, la guardia delle mura, un uomo basso e tarchiato, coperto da così tanti pezzi d'armatura da sparire sotto di essa, si avvicinò.

«Mi auguro siate di passaggio.» commentò. «Vi consiglio di andarvene subito, potreste fare ancora in tempo.» ci avvisò, gli occhi che si intravedevano dall'elmetto non sembravano determinati, tradivano una grande preoccupazione ed una ancor più grande paura.

«Cosa sta succedendo?» chiese l'erborista, il tono tanto piatto che pareva non gli interessasse neanche un po'. La guardia indicò la fortezza di pietra molto, molto più avanti.

«Se avete intenzione di restare, andate alla Fortezza. Vi spiegheranno tutto. Altrimenti...» guardò davanti a sé, fuori dalle mura, verso il fondo della foresta.«... andatevene subito.» e si voltò a parlare con un gruppo di guardie, senza più prestarci alcuna attenzione. Restammo per un momento in silenzio, in groppa ai nostri cavalli, osservando come il paesello davanti a noi continuava a muoversi, in continuo fermento.

«Bene, io voto per andarcene!» esordì Cyran, con un sorriso falsamente affabulatore, battendosi i palmi delle mani e guardando verso i gruppi di cittadini che schiamazzavano e si muovevano avanti ed indietro.

«Non ti facevo così codardo, mercenario.» esclamò André, con il solito tono per nulla interessato, eppure c'era un filo di sarcasmo che traspariva, appena lieve, quel tanto perché venisse avvertito. Ma il corvino fece una risata bassa, cavernosa, senza scomporsi.

«Abbiamo una missione. Non vedo perché dovremmo perdere tempo qui.» rispose lui, la voce colma di infastidita ironia e un sopracciglio alzato. E forse aveva ragione ma, qualsiasi cosa stesse succedendo, non potevo andarmene con indifferenza. Non sarebbe stato da futuro re. Non sarebbe stato da me.

«Fate quel che vi giova di più.» mi infilai nella loro discussione, guardando i miei tre compagni di viaggio. «Io vado.» E superai le porte della città, diretto alla fortezza di pietra più avanti, senza controllare che loro mi seguissero o meno.


***


Cinque minuti dopo ero già lì, smontando da cavallo per agganciarlo all'esterno della fortezza, ancora con le mappe e con il denaro all'interno delle sacche che penzolavano dai cavalli, incustoditi, ma non ne diedi importanza.

Le porte erano aperte e, nonostante fossi un personaggio di spicco, ora non davo affatto nell'occhio, perché metà della città non faceva che andare avanti ed indietro all'interno della fortezza.

Varcai il portone che, aprendosi su una scalinata in legno, offriva uno scorcio dell'enorme stanza gremita di persone: al centro, un grosso tavolo sulla quale una donna era china, studiando la mappa della città; ai lati frotte di guardie, ed inoltre tantissimi civili che portavano armi da dentro a fuori, allineandole attorno alla fortezza e fra le case. Pareva quasi che invogliassero tutti, uomini e donne, grandi e piccoli, ad armarsi.

Scesi velocemente le scale, quasi a due a due, catapultandomi verso il tavolo a grandi passi, guardando la donna, l'unica che si distingueva dal gruppo di soldati per la fattura del vestito, per la determinazione nello sguardo. Immaginai che fosse lei la signora del castello, colei che governava la città per conto del re di Akra. Del resto, il sistema di governo funzionava in quel modo: ogni importante città del regno veniva governata da un signore o una signora, nobili, scelti direttamente dal re.

«Sono Francis Levou, principe di Gilerines!» esclamai, alzando il mento e rendendo la postura ancor più dritta, al cospetto della donna, che non mi prestava minimamente attenzione. Eppure, a quelle parole, alzò di scatto la testa e sbatté le palpebre, come richiamata alla realtà. In fondo, stava parlando con il suo futuro re. Tutti, nel regno, sapevano che la principessa di Akra e il principe di Gilerines erano promessi a nozze sin dalla nascita.

«Mi dispiace, Vostra Altezza, ma non abbiamo tempo per gli incontri diplomatici.» fu la sua unica risposta.

«Sono giunto al vostro cospetto per richiedere umilmente un riparo dove riposare.» esclamai, senza scomporre la mia postura ma puntando i piedi a terra, come se volessi mettere in chiaro che non ero certo lì per metterle i bastoni fra le ruote. E così mi presi il tempo per studiarla meglio: doveva avere una trentina d'anni o poco più, i capelli mossi, color castagna erano acconciati in una coda alta, portava una casacca di seta verde, un paio di pantaloni color kaki di taffetà aderente, decorati da un motivo a foglie dorato, ed infine degli stivali di cuoio rigido al ginocchio. Al fianco le penzolava una scimitarra e sulla schiena teneva una balestra. «Ma, date le circostanze, sono pronto ad offrire il mio aiuto. Per favore, mettetemi al corrente della situazione.» la invitai, fremendo per sapere cosa facesse reagire in quel modo l'intera città, cosa ci fosse alla base di quella paura.

«Non è un posto dove restare, vostra altezza.» La donna sospirò. «Questa città verrà distrutta nell'arco di una notte. Questa notte.» I suoi occhi scuri si fissarono su di me. «Forse fate ancora in tempo a scappare.»

«Distrutta?» Scossi la testa, furiosamente, facendo oscillare i riccioli rossi. «Da cosa?»

«Orchi.» rispose una voce alle mie spalle, cavernosa e calda, profonda, alle mie spalle. «Non è così?» il tono di amarezza ed ironia, che non si aspettava una risposta ma sapeva già quanto poteva essere giusta quell'insinuazione.

«Cyran!» esclamai, voltandomi verso il proprietario, per incontrare un paio di occhi color lava bollente, arancio vivo, disumani quasi. Nonostante stesse parlando a lei, non la guardava. Stava fissando me.

«Il vostro amico ha ragione.» rispose la signora del castello. «Gli orchi sono creature spietate. Non hanno un briciolo di intelligenza ma seguono l'odore del sangue.» La donna abbassò lo sguardo nei miei occhi, stringendoli. «Arriveranno prima del tramonto e ci annienteranno tutti.» concluse, il volto serio, le parole funeste, eppure neanche una traccia di paura nello sguardo.

«Posso... posso.. posso dare del tempo.. del tempo in più.» intervenne il mago, che scendeva le scale tanto velocemente da mettere un piede in fallo e, se non fosse stato per l'intervento dell'erborista, spezzarsi il collo. Ma il biondo lo salvò in tempo, e lui arrivò da noi con un librone dei suoi in mano. «Una barriera. Protettiva.»

«E' un mago?» la donna sgranò gli occhi, fissando Rhod nello stesso modo in cui avrebbe fissato una grossa torta al cioccolato, e lui in tutta risposta incassò la testa nelle spalle e arrossì.

«Lo è.» rispose André, il tono piatto e una mano sulla spalla del più piccolo, quasi avesse voluto proteggerlo, con quel gesto, dalle attenzioni della bruna.

«Non... non funzionerà per molto. E... non.. non sulle mura. Troppo grandi. Ma... la fortezza...» balbettò, guardandosi attorno, analizzando le ampie volte di pietra, le colonne di legno, le scale dello stesso materiale, la gente che ci superava, correva, si urlava qualcosa dalle varie parti dell'androne.

«Bene, cercheremo di radunare tutti all'interno.» la donna si morse le labbra. «O almeno, la maggior parte.» Si voltò verso i vari soldati, alzando la voce di diversi toni. «Uomini! Cercate di radunare il popolo qui! Date la precedenza ai bambini!» gridò, cercando di sovrastare il brusio della folla all'interno ma anche fuori dalla fortezza.

«Come possiamo aiutare?» chiesi, ansioso di dare almeno un briciolo del mio aiuto e non sembrare soltanto un inutile peso. La donna posò gli occhi su di noi, riflettendo.

«Andate a chiudere le porte. Dobbiamo rallentarli quanto più possibile.» disse, ed io non aspettai altre parole per schizzare su per le scale di legno, di corsa, senza perdere altro tempo.


***


Sembrava che in quel piccolo lasso di tempo passato all'interno della fortezza, all'esterno della città il clima fosse ancora più teso e frenetico. La gente urlava qualcosa da una casa all'altra. Alcuni ci si barricavano all'interno, altri invece continuavano a fare fagotto per andar via. Diversi soldati battevano contro le case, urlando che non sarebbe stato sicuro lì all'interno, e che la signora di Kijani offriva un buon riparo nella fortezza. Intanto le armi erano state impilate in mucchi, sulla strada, sulla paglia, su bauli: ogni casa che possedeva armi o qualcosa che ci si avvicinasse, esponeva le proprie fuori alla porta, in modo che chiunque potesse servirsene. I pochi fabbri della città erano fuori dalle loro botteghe, continuavano a forgiare armi e a fortificarne tante altre, troppe, e il mucchio non faceva che ingrandirsi. Bambini correvano a destra e a manca per avvisare gli amici che sarebbero andati via, le madri li inseguivano e soldati a loro volta inseguivano l'intera famiglia. Nutriti gruppi in tantissime zone della città si esercitavano, si tirava con l'arco contro mele marce, si duellava con la spada assieme al proprio vicino di casa. Poi c'era chi semplicemente correva a tutta velocità verso la fortezza, con la convinzione che quella sarebbe stata l'unica speranza, ed erano così tanti a farlo che alcuni si spintonavano e cadevano, calpestando gli altri, mentre altri ancora aiutavano a rimettersi in piedi.

In tutto questo, le persone continuavano a darmi spallate, mentre io correvo contro corrente, e i soldati urlavano ordini in ogni dove, tanto forte da farmi dolere le orecchie. Era uno scenario assurdo, apocalittico quasi. Ci si aspettava che, presto o tardi, i mostri sarebbero arrivati. E tutti, nel loro piccolo, si preparavano alla carneficina.

Finalmente raggiunsi le enormi porte della città, che avevo varcato solo un'ora prima, o poco più. Rimasi a fissare il paesaggio oltre, lì dove il sentiero di terriccio chiaro si estendeva lunghissimo, in avanti, e dove il bosco si apriva in una foresta immensa e fittissima, di un verde tanto scuro da sembrare nero. Il mercenario mi raggiunse subito, fermandosi accanto a me, senza dire nulla, ma guardando in fondo.

«Dove sono Rhod e André?» chiesi, senza vederli nei paraggi, mentre i miei occhi svettavano fra la folla in cerca dei nostri due compagni di viaggio.

«Sono rimasti alla fortezza, a preparare l'incantesimo.» mi spiegò, con un tono stranamente teso, che, verso la fine della frase, si incrinò. Alzai il viso verso di lui: molto più alto di me, i capelli corvini e mossi in morbidi boccoli indomabili, gli occhi color arancio che non avevo mai visto su alcun essere umano, la bocca perfettamente carnosa ed invitante, la cicatrice al lato del labbro che mi faceva venir voglia di percorrerla con la punta del dito. Era... preoccupato. Indicò di fronte a sé, verso il paesaggio. Spostai lo sguardo sul fondo della foresta e, con mio sommo orrore, notai che ondeggiava. E che una nube di polvere si innalzava da essa, come se qualcosa, qualcosa di grosso e numeroso, si muovesse in corsa. Verso di noi.

«Sono tanto pericolosi... gli orchi?» sussurrai, sentendomi la voce mancare davanti a quello spettacolo. Ma lui, invece di rispondere alla mia domanda, mi prese per la spalla e mi guardò, profondamente, tanto profondamente che mi diede l'impressione di poter vedere anche attraverso la mia anima. Deglutii.

«Non si può più aspettare.» esclamò, guardando il fondo della foresta, poi me. Il suo sguardo era duro, determinato. Non c'era traccia dello strafottente, rozzo, ed infantile mercenario.

«Di cosa parli?» domandai, sgomento, gettando un rapido sguardo al polverone che si era alzato in lontananza. «C'è ancora tempo!» Per sperare, per prepararsi, per combattere.

«No, c'è ancora tempo per scappare.» mi corresse, quasi mi leggesse nella mente, facendo un lieve cenno del capo, un cenno d'assenso, per far capire che le sue parole erano salde, giuste, sicure. Nonostante fossimo a poca distanza, mi porse il palmo alzato, aspettandosi che io lo prendessi. Era chiaramente un invito a farlo assieme a lui.

«No.» risposi, più in un sospiro che in una sillaba. Lui aggrottò la fronte. «Non posso lasciarli nei guai.» continuai. Ma Cyran rise lievissimo, una risata che si manifestò con uno sbuffo dalla bocca. Si fece ancora più vicino, in un rumore di cinghie prodotto dagli stivali, sovrastandomi con tutta la sua imperiosa altezza. Le sue grandi mani si posarono di nuovo sulle mie spalle, entrambe.

«Bene. Promettetemi che sarete in grado di proteggere voi stesso, prima di tutti.» disse, serio, quasi solenne in quelle parole, tanto che il mio cuore accelerò, appena un poco. Ma non mi scomposi. La mia risposta fu un cenno del capo, secco, deciso. Determinato.

Una guardia ci superò, sporgendosi all'infuori delle mura per gridare con tutto il fiato che aveva in voce.

«Entrate, tutti! PRESTO!» intimò,verso le ultime persone che accorrevano all'interno delle mura: probabilmente chi abitava in campagna e cercava riparo in città, o chi voleva scappare ma poi aveva cambiato idea. Mentre gli ultimi cittadini accorrevano, in lontananza iniziai a scorgere un polverone ancora più grosso, e una serie di piccolissime figure bianche in lontananza. Massicce figure pallide.

«Per gli dei del...» non ebbi il tempo di finire la frase.

«CHIUDETE LE PORTE!» un grido impetuoso da parte di uno dei soldati, ed io e Cyran fummo subito con le mani sulle porte, ad aiutarli a chiudere.

Adesso il clangore delle spade era molto più forte: non c'era più molto tempo per gli allenamenti, era il momento di assegnare le armi. E queste passavano di mano in mano, alcune erano semplicemente adagiate nei bauli e contro le case, in attesa di essere afferrate, altre invece venivano direttamente assegnate nelle mani di chi doveva combattere. E questo gruppo era molto, molto numeroso. Uomini, donne, ragazzi e ragazze. Solo i bambini e gli anziani erano stati esonerati da quella battaglia per la sopravvivenza.

Intanto mi allontanai, aiutando vari soldati e cittadini a distribuire le armi giuste alle persone giuste. Una daga per un ragazzino sui quattordici anni, una claymore per uno sui venti. Poi, qualcuno mi mise una mano sulla spalla, ed io mi voltai, come se già mi aspettassi di incontrare un paio di occhi ardenti. Invece, non era Cyran.

«André!» salutai, sorpreso, fissando un paio d'occhi verde pallido. Aveva le labbra screpolate, secche e pallide, quasi sanguinanti, e un paio di piccoli occhiali rotondi posati sulla radice del naso. «L'incantesimo è pronto?» chiesi, mentre esaminavo una freccia, cercando di capire quanto sarebbe durata se infiammata. Scosse la testa.

«Non ancora.» aveva il fiatone, sembrava quasi che avesse corso. La camiciola bianca non era più infilata precisamente all'interno dei pantaloni, ma se ne stava fuori e dentro, imprecisa. Dalla coda sfuggivano fili di capelli biondi screziati di bianco, che gli incorniciavano il viso. «Non sono qui per questo.» iniziò, senza darmi il tempo di replicare. «Forse sarebbe meglio che voi ve ne andiate.»

«Perché me lo dite tutti?» Scossi la testa, determinato, fino in fondo, su ciò che facevo. Eppure anche confuso. Non capivo il motivo di quell'insistenza. «Io non posso lasciarli morire.»

«Principe Levou.» cominciò, il tono basso, quasi accondiscendente, eppure secco. «Quello che non può morire, siete voi.» Mi guardava negli occhi, l'espressione impassibile che lasciava il posto a qualcos'altro. Una maturità così profonda da farmi pensare che lui sapesse tante cose del mondo, eppure le tenesse silenziosamente per sé, finché non arrivava il momento giusto per rivelarle. Serrai le labbra.

«Puoi anche tornare alla fortezza.» risposi, senza guardarlo, mentre spostavo le frecce dal baule ad una faretra, per tenerle pronte all'uso. E all'improvviso fra le sue mani c'era un oggetto: un fermaglio, una camelia di porcellana e vetro soffiato sui toni del rosa pallido e verde acqua.

«Hai detto che l'avresti salvata.» fu l'unica cosa che disse il biondo, prima di superarmi ed incamminarsi verso la fortezza, lasciandomi con il fermaglio, l'accessorio che avevo dato al mago per localizzare la principessa, ancora fra le mani. Ed io lo guardai, con un senso di vuoto all'altezza dello stomaco, spostando gli occhi grigi su quella camelia.

Pareva che fossi davanti ad una scelta: abbandonare Kijani in balia degli orchi, senza rischiare la vita ma al sicuro, pronto a continuare il mio viaggio per salvare la principessa; oppure fare il mio dovere di futuro re, così come di cittadino, ed aiutare tutti a combattere quella battaglia sanguinosa. La principessa era importante per me. Volevo rivedere il suo sorriso, volevo sentirla cantare, volevo che tornasse ad intrecciarmi i fiori fra i capelli, che tornasse a danzare fino a tarda notte nella sala da ballo, aspettando che la raggiungessi.

Ma non potevo aiutare a distribuire le armi sapendo che le stesse persone che le avevano ricevute sarebbero morte. Non potevo abbandonare una città sull'orlo della distruzione. Non potevo avvicinarmi così tanto alla sua rovina e neanche provare ad impedirla. Non era da me.

Mi infilai il fermaglio in una delle tasche interne del farsetto, riponendolo al sicuro. Poi, mi voltai verso la fortezza ed iniziai a correre.







❧❧❧❧❧❧❧❧

Un angolo di tragici inizi scolastici e sonnolenza~


Hola! 

Eh sì. La scuola è iniziata per tutti e anche per me... e che momento tragico. Torniamo a noi: avevo questo capitolo pronto dal dodici, dovevo solo rileggerlo. MA non mi andava. *si ripara sotto un banco* lo so, lo so, i'm brutta person(??). Sarò sintetica: spero che il capitolo vi sia piaciuto! (oh, penso che per il prossimo aggiornamento non ci metterò secoli, visto che ho già scritto il prossimo punto di vista)

Alla prossima! ^^

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