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10. La prima regola è: non uccidere


Francis


Ricordavo che la luce era dorata e piena di pulviscolo. Profumava di un qualche fiore lasciato da una domestica sul mio comodino, un fiore con un nome che non riuscivo mai a pronunciare.

«Quando tornerai sul sole?» mi chiese, ridendo. Eravamo nella mia camera da letto, stesi a terra, sul pavimento di pietra fredda. I suoi capelli azzurri erano sparsi per il pavimento e la testa premeva contro la mia spalla, mentre gli occhi stavano rivolti al soffitto.

Capitava spesso di stare in quella posizione, le prime ore pomeridiane delle afose giornate estive, dopo uno stancante banchetto in cui i nostri genitori si incontravano.

In quel momento, fasci di luce solare penetravano dalla finestra e colpivano punti indefiniti del muro, sopra ai nostri occhi. Da qualche parte nel castello, qualcuno suonava la lenta melodia di un'arpa, e la sua musica arrivava fin dentro alla mia stanza.

Mi chiesi chi fosse ad avere tanta forza da suonare quella canzone senza morire di caldo. Quando lo dissi, lei rise.

«Mi piace stare con te.» disse. «Ho sempre così tanta voglia di vederti. Magari all'improvviso, mentre il mio maestro di danza mi mostra i passi giusti da eseguire.»

«Anche io ce l'ho, a volte.» Avevo sottolineato "a volte". Ci furono alcuni secondi di silenzio. Il brano all'arpa finì ed iniziò una nuova melodia.

«E' questo il problema con te. Sembra piacerti la mia compagnia, eppure non penso che vorresti stare con me tutto il giorno, dalla mattina alla sera. E non capisco perché.»

«Mmh.» mormorai.

«Non ti senti a tuo agio con me? E' che, quando stiamo insieme, ho l'impressione che l'aria diventi ancora più calda, soffocante. E' come stare sul sole.» disse, mentre le carezzavo piano una lunga ciocca di capelli che mi era finita sul petto.

«Non è che sul sole l'aria sia soffocante.» puntualizzai. «Semplicemente non esiste. Quindi...»

«E' soffocante. E calda.» insisté lei con un tono flebile di voce. Quel tono sommesso per qualche ragione mi turbò. «A volte troppo calda. Ed ho la netta impressione che respiri un'aria diversa dalla mia. Non so come spiegarlo.»

Voltai il capo verso di lei, che lo teneva dolcemente abbandonato sulla mia spalla. Lei scosse la testa. Poi si alzò dal pavimento con un fruscio di gonne, si avvicinò alla grande vetrata che permetteva l'accesso al balcone, e aprì completamente le tende. Dietro ai vetri si vedeva il mare. In alto, giallo come l'oro, galleggiava il sole del primo pomeriggio.

«Vai, tornatene a casa tua.» disse, indicando con un dito il sole.

«Non ti fa caldo?» dissi, arricciando il naso, con un'aria di divertimento mista a confusione.

«Sul sole?»

«No, lì davanti alla finestra! Non hai caldo?» dissi. Era agosto. Ferma accanto alla finestra, il suo volto si accendeva sotto ai raggi bollenti che penetravano nella camera.

Nel sentire le mie parole, sembrò finalmente accorgersi del caldo e tornò in fretta al mio fianco, sul pavimento fresco. Poggiò il viso nell'incavo del collo, avvolgendomi il petto con un braccio. La punta del suo naso premette contro la mia pelle. Era bollente.

«Ti amo.» disse.

Avrei voluto dire qualcosa, ma non trovai le parole. Provavo per lei un grande affetto. Quando ero insieme a lei, come in quei momenti, le ore scorrevano serene. Mi piaceva starle accanto, accarezzarle i capelli. Mi piaceva sentirla respirare dolcemente al mio fianco, al mattino vederla arrivare in carrozza con i suoi genitori e scendere di corsa verso di me, chiacchierare dell'odioso metodo educativo delle nostre governanti, mi piaceva vederle indossare il vestito elegante per le feste più importanti. Però, ora che mi sembrava il momento adatto, non sapevo come esprimere tutto quello in modo sintetico, dato che non riuscivo ad usare le parole "ti amo" o "ti voglio bene".

Cosa avrei potuto dire?

Scelsi di non dire niente. Mi mancavano le parole. Però sentivo che il mio silenzio la feriva. Non cercava di comunicarmelo, ma io lo sentivo. Lo sentivo con chiarezza, mentre le mie dita seguivano il percorso del suoi capelli color cielo. Rimanemmo stesi l'uno accanto all'altro, con le teste una poggiata sull'altra, ad ascoltare una melodia che non conoscevamo, suonata da qualcuno che non conoscevamo. Chiusi gli occhi.


«La principessa!» sussultai fuori dal letto, mentre nello stesso istante in cui quelle due parole mi salivano alle labbra, ricordavo della sua scomparsa e della mia missione, e il mondo mi sembrò un po' più ingiusto.

Mi sedetti sul letto scomodo, che somigliava in qualche modo ad una brandina, e fissai la porta di bronzo con un senso amaro che mi si espandeva sul palato. Ma poi strinsi in un pugno le lenzuola e mi convinsi a scacciare quel peso che ricordava la sconfitta. L'avrei salvata.

Solo dopo qualche minuto, mi accorsi di trovarmi in una cella, e mi tornò alla mente quello che era successo. Quando ero rimasto seduto sulla sella del cavallo, proprio davanti all'erborista, erano stati così veloci che mi avevano tirato giù e steso senza che neanche riuscissi a lanciare un urlo.

Gettai uno sguardo alla prigione: umida e ristretta, col pavimento completamente ricoperto da vecchio pagliericcio e una piccola ma pesante porta bronzea su cui si affacciava una finestrella ben sigillata dalle sbarre, da cui si intravedeva un corridoio altrettanto stretto e mal illuminato dalle torce.

Dopo, mi accorsi dei vestiti che indossavo. Una tunica bianca, di una stoffa che somigliava alla seta, mi fasciava i fianchi e si prolungava fino a metà ginocchio. Non aveva maniche, mi lasciava le braccia scoperte fino alle spalle, e un cinturino dorato mi cingeva la vita. Ai piedi, calzavo dei sandali intrecciati con fili d'oro, ed anche sulla testa i riccioli rossicci erano ornati e intrecciati dagli stessi filamenti dorati.

Mi voltai verso il letto e iniziai a buttare i cuscini all'aria, cercando come un pazzo i miei vecchi vestiti. Non capivo perché mi avevano vestito in quel modo. E chi mi aveva spogliato? Che imbarazzo...

Mentre ero ancora intento a buttare quegli scomodi cuscini all'aria, la pesante porta alle mie spalle si aprì con un rumoroso cigolio. Mi voltai verso l'uomo che aveva appena fatto il suo ingresso. Aveva la pelle molto scura, gli occhi di un pallido azzurro, simile al bianco, e una veste blu con il cappuccio calato sul capo.

«Fammi uscire da qui! Devi essere fuori di senno, straniero!» sbottai, rivolgendogli la mia miglior occhiataccia, mentre stringevo in un pugno l'orlo della veste bianca. Ma lui alzò il palmo della mano verso di me, come per fermare quella mia sfuriata.

«Suvvia, fanciullo... Calma la tua collera e rasserena il tuo animo. Riceverai molti onori.» iniziò, mettendosi le mani dietro alla schiena. L'uomo non era solo, ma scortato da due sgherri vestiti di blu, con quegli orridi cappelli dotati di corna d'antilope. Più viaggiavo, più mi sembrava che la gente peggiorasse, in fatto di moda.

«Ti ascolto. - dissi, alzando il mento e prendendo un respiro. «Continua a parlare.»

«Sei stato scelto per diventare lo sposo di Somnus.» spiegò, con un sorriso compiaciuto. Spalancai la bocca.

«Sposo... di Somnus?!» esclamai, incredulo, mentre mi allontanavo di qualche passo e scuotevo la testa. «Non sono degno di tale onore.» cominciai. «E ho già una promessa sposa!» continuai, mentre il tono della mia voce si faceva più acuto. «Ed è lontano il giorno delle mie nozze.» Iniziai a camminare per la stanza, gesticolando con le braccia, mentre la mia mente iniziava ad entrare in confusione. «Inoltre, sono un uomo! Non potrei donare dei figli al Dio!» Scossi la testa. «Non potrei!» Sapevo che, da qualche parte nel regno, certi maghi assieme a scienziati, si cimentavano in strane scoperte: si diceva che fosse possibile per un uomo entrare in gravidanza. Ma, comunque, come potevo essere lo sposo di un dio? Era troppo perfino per un principe.

«Niente di tutto questo interessa a Somnus.» ribatté l'uomo, mentre l'orlo del suo cappuccio si muoveva impercettibilmente, al senso di diniego che faceva con il capo.

«Non ti credo. Il compagno di un dio deve avere molte virtù.» mi impuntai.

«Dovrai superare una serie di prove contro avversari molto valorosi. Se sopravvivrai, diventerai il degno sposo di Somnus.» parlò, e il suo sorriso si tramutò in una sorta di ghigno gelido. «In caso contrario, verrai sacrificato. -

«No, aspetta un momento.» lo bloccai, spostando lo sguardo da lui al terreno ricoperto di paglia. «Le tue parole sono orripilanti. Perché parli di sopravvivenza e morte?»

«Le prove saranno molto difficili. Ognuna sarà una sfida contro la morte.» disse, e in quel momento lo guardai negli occhi, studiando il suo sguardo. Allora mi si formò un nodo in gola, perché mi accorsi che diceva il vero.

Camminammo silenziosamente per un lungo corridoio di pietra, appena fuori dalla cella, scortati da due guardie. Sporadiche torce illuminavano il nostro cammino, mentre il fruscio dei sandali che indossavamo era l'unico suono nel silenzio tombale.

«Ti aspetta la prima prova.» disse l'uomo dalla pelle scura, rompendo quel silenzio.

«La prima prova?» Voltai lo sguardo dal fondo del corridoio a lui. «Quante ne dovrò affrontare?»

«Quante ne occorrono a Somnus per stimare il tuo valore.» Quella risposta non mi convinse.

«Quindi, se le supererò mi lascerete andare?» chiesi, mentre raggiungevamo la fine di quella lunga camminata. Lui mi rivolse nuovamente un ghigno che non mi piacque affatto.

«Se il nostro signore lo desidera, certo.» rispose, mentre si avvicinava ad una porta. Annuii, mandando giù quel nodo nella gola per aggrapparmi ad un brandello di speranza.

«E sia.» risposi. Allora, la guardia che mi stava accanto sfoderò la spada e me la porse, senza dire una parola. «A cosa serve?» domandai, soppesando l'arma, saggiandone il peso e osservando il colore ferroso della lama.

«Vuoi vincere vero?» Sorrise, mentre metteva una mano sulla maniglia della porta legnosa, per poi aprirla con un cigolio sinistro. Mi avvicinai alla soglia, gettando un rapido sguardo a ciò che si nascondeva oltre. Ma l'uomo mi posò una mano sulla spalla, ed io mi scostai rapidamente, guardandolo con diffidenza. «Devi trovare l'uscita, fanciullo. Due uomini tenteranno di fermarti.» Alzò un dito, come a puntualizzare la cosa. «Devi impedirglielo, ricorda.»

Non dissi nulla. Semplicemente presi un lungo respiro e superai la soglia. La porta si richiuse immediatamente alle mie spalle, e sentii ben presto lo scatto di una chiave.

Strinsi l'elsa di quella spada, talmente forte da farmi sbiancare le nocche. Avanzai guardingo, un passo dopo l'altro, in punta di piedi, girando la testa a destra e a sinistra. Il luogo era un semplice, lunghissimo corridoio, ma tappezzato di teli, tende e veli di un pallido viola. Sembrava una sorta di labirinto fatto di tessuto.

Nel silenzio, l'unico suono che riuscivo a percepire ero lo scalpiccio dei miei passi e il mio respiro leggermente accelerato, lievemente impaurito dallo svolgersi degli eventi. Mi giravo avanti, indietro, a destra e a sinistra, con la paura che qualcuno potesse sbucare da dietro a quelle tende e attaccarmi.

All'improvviso, il rumore di un ringhio fra le labbra catturò la mia attenzione. L'ombra di una guardia camminava dietro ad un telo, proiettando con il suo elmo fatto di corna di antilope strane figure. Con quel cappello e quel ringhio, sembrava una specie di capra. Il pensiero poteva essere buffo, ma in quel momento non lo era affatto.

Mi misi una mano sulla bocca, per non far sentire il rumore del mio respiro affannoso, mentre con l'altra stringevo l'elsa della spada e seguivo il lento spostarsi della guardia, sempre puntando la punta dell'arma contro quell'ombra.

Indietreggiai sempre di più contro la parete alle mie spalle, mentre la mia schiena sfiorava il tessuto violaceo che la ricopriva. A quel punto, udii il rumore di uno strappo alle mie spalle, e balzai appena in tempo per evitare la spada che squarciò il tessuto incombendo verso di me. Parai il colpo con la spada, più un gesto di fortuna che di abilità, ma la mia arma a contatto con l'altra si spezzò in due come un ramoscello.

Ben presto mi ritrovai con un semplice pezzo di ferro rotto in mano. Rimasi imbambolato per qualche attimo a fissarlo, poi lanciai un urlo e iniziai a correre, mentre le ombre delle due guardie svettavano dietro ai teli appesi per il corridoio.

In quel momento di panico, mi ricordai dell'allenamento che mi avevano impartito al castello. "Se i nemici sono tanti, falli combattere fra loro". Odiavo combattere, e così mi avevano insegnato più ad evitare di impugnare le armi, che ad usarle. Forse non era il giusto allenamento per un futuro re, ma non ci riuscivo proprio.

Continuai a correre, zigzagando fra i tessuti che ondeggiavano a causa del vento, proveniente da qualche punto a me ignoto di quel labirintico corridoio. Ogni tanto mi fermavo per accertarmi dove fossero, poi un'idea mi balzò in mente.

Fermai la mia corsa e iniziai a camminare piano, raggiungendo il punto più stretto del corridoio. Tossii, richiamando l'attenzione dei miei due inseguitori e, con il cuore in gola, aspettai che mi si allineassero accanto, uno dietro al telo alla mia destra, l'altro alla mia sinistra. Poi, stringendo con forza l'elsa di quella spada spezzata, attesi per qualche secondo.

«Etchù!» starnutii per finta, poi rotolai velocemente in avanti.

A quel punto, i due uomini balzarono fuori dalle tende colorate a spade tratte, sperando di infilzarmi come uno spiedino, ma ebbero il risultato di trafiggersi a vicenda.

Mi rialzai, prendendo un profondo respiro e guardando con una smorfia i corpi dei due uomini, riversi a terra.

«Bene, casto fanciullo.» Sobbalzai, accorgendomi solo allora dell'uomo dalla pelle scura, il sacerdote di Somnus, che era arrivato alle mie spalle. «Confidavo nel fatto che li avresti uccisi.» Mentre diceva quelle parole, distese la fronte aggrottata. «Ma non l'hai fatto.» Strinsi gli occhi, soppesando le sue parole. Sembrava quasi che volesse che io li uccidessi. «Ora riposati. Somnus esigerà presto un'altra prova.» concluse e, dette quelle parole, mi fece sbattere nuovamente nella mia umida cella da una guardia.

Non è così che si tratta un principe! volevo urlare, ma rimasi in silenzio.

Mi lasciai ricadere sul letto, sfinito, con un senso di delusione crescente. Volevo ritornare dagli altri, continuare il mio viaggio. Ma rimasi steso sull'unica cosa comoda di quella cella, mi raggomitolai ad un lato e chiusi gli occhi.


***


Nei miei sogni, mi ritrovai abbandonato su un grande letto trapuntato in seta, con le pareti rivestite d'oro e teste di leoni in marmo che sputavano acqua. Stringevo una margherita e, con un tono allegro e un po' monotono, dicevo:

«Mi sacrificheranno, non mi sacrificheranno. Mi sacrificheranno, non mi sacrificheranno.»

«Non vi sacrificheranno, principino.» disse una voce bassa e cavernosa, dalla soglia della porta. In quel momento, come se quell'incantesimo si fosse spezzato, smisi di strappare petali dal fiore e alzai lo sguardo verso il nuovo arrivato.

«Cyran!» urlai, balzando giù dal letto, mentre correvo verso il mercenario lanciandomi il fiore alle spalle. Era bello come al solito: i capelli sempre scompigliati ad arte, le labbra carnose piegate in un ghigno, la cicatrice che gli correva ad un lato del mento, gli occhi color arancio che mi scrutavano con divertimento e una punta di malizia. Solo una cosa non tornava: invece di indossare la sua solita armatura logora e arrugginita, se ne stava a torso nudo, mostrando i muscoli torniti.

«Aspettate!» Alzò una mano, fermando la mia corsa. «Non so se posso fidarmi di voi.» Alzai le sopracciglia.

«Non vedo come potrei ingannarti. Sei nel mio sogno, e questo dovrebbe eliminare ogni tuo dubbio!»

«Ditemi qualcosa di voi che ancora non so.» disse, rimanendo sulla soglia della porta per poi mettersi le mani sui fianchi muscolosi, da cui era difficile distogliere lo sguardo. Mi posai i palmi sulle ginocchia, tornando a sedere sul letto.

«Mi stai mettendo alla prova?»

«Somnus conosce i segreti della mia mente. Ditemi qualcosa di voi che non so.» esclamò, con uno sguardo serio in quegli occhi color fuoco che era talmente raro da farmi obbedire. Perciò annuii.

«Lasciami pensare.» Mi morsi il labbro inferiore, mentre riflettevo. «Questo lo sa solo chi è entrato nei miei appartamenti al castello.» Mi scostai una ciocca di capelli rossicci dagli occhi. «Colleziono barattoli pieni di acqua piovana.»

«Che?» sbottò, mutando la sua espressione dalla confusione ad una grossa risata.

«E smettila di ridere! - Gonfiai le guance. «Piuttosto, mettiti qualcosa addosso!» biascicai, arrossendo mentre staccavo gli occhi dal suo torso nudo. Era così scolpito e perfetto che mi pareva la statua di marmo dello scultore degli dei.

«Sì, siete indubbiamente voi.» confermò, ridendo, per poi avvicinarsi al letto. «E comunque, che carino...» Mi si sedette accanto, per poi sfiorarmi una guancia con il dorso delle dita. «Sognarmi mezzo nudo. A quanto pare il mio viaggio onirico e il vostro sogno da piccolo pervertito si sono sovrapposti!»

«Com'è che mi hai chiamato?!» sbottai, allontanandomi dal suo tocco, rosso come un pomodoro maturo. Lui ridacchiò, ma poi la sua espressione divenne lievemente turbata. «Che cos'hai?»

«Ascoltatemi, principino, vogliono che voi uccidiate e dovrete opporvi con tutte le vostre forze.» mi mise in guardia. Aggrottai la fronte.

«Credevo volessero darmi in sposo a Somnus.» sussurrai, a lui, o forse a me stesso.

«Somnus... O meglio, i suoi seguaci, vogliono che voi perdiate la vostra innocenza, per essere immolato come sacrificio in suo onore.»

«Ho già superato una delle sue prove.» Presi un profondo respiro. «I miei avversari erano due, li ho fatti uccidere a vicenda.» Mi mordicchiai un labbro. «E' stato un errore?»

«Non credo, altrimenti vi avrebbero già sacrificato.» rispose, scuotendo la testa. Mi alzai dal letto, puntando i piedi per terra.

«Ho capito!» Mi parai di fronte a lui. «La prima regola è: non uccidere!» Alzai i pugni, soddisfatto. «Mi rimane un'altra possibilità...» dissi, per poi inclinare la testa e inarcare le sopracciglia. «Qual è?!»

«Ho bisogno di tempo. Usate quello che conoscete per difendervi. Il mio viaggio nel mondo dei sogni sta per finire, arriverò da voi.» esclamò, alzandosi in piedi.

«Come farò a sopravvivere prima del tuo arrivo?!» biascicai, finché non mi sentii all'improvviso leggero, finché non udii qualcosa chiamarmi.

«Cosa c'è?» chiese, notando la mia espressione disorientata.

«Non lo so, mi sento strano...» balbettai, e poi mi accorsi che le mie mani stavano svanendo. Mi stavo svegliando.

«Parlare!» intervenne il mercenario, vedendomi svanire velocemente. «E' quello che sapete fare meglio!» Cercò di raggiungermi e trattenermi per un braccio, ma quello che toccò fu soltanto aria. «Usate la vostra mente!»

Qualcosa mi scosse per un braccio.

«Cyran!» urlai, prima di ritrovarmi faccia a faccia con un bruto che indossava corna di antilope sulla testa. Una guardia. Sobbalzai, per poi riprendere fiato.«Non mi è concesso neppure di riposare?» dissi, guardando truce il sacerdote di Somnus che entrava dalla porta della cella.

«Preparati per la prossima prova. Ti avverto, questa non sarà facile come la prima. Non devi avere paura di usare la spada per proteggerti, Somnus non ti biasimerà.» mi spiegò l'uomo, congiungendo le mani dietro alla schiena. Lo guardai stringendo gli occhi.

«Oh, non ne dubito. Servi un dio magnanimo e generoso.» Le mie parole trasudavano sarcasmo. Mi alzai dal letto, calpestando il pagliericcio sparso sul pavimento. "Parlare". «Posso farti una richiesta?» Inclinai la testa, sorridendo con fare docile. «Avrei bisogno di riposare ancora... uno sposo deve essere nel pieno del suo splendore. Ti supplico, lasciami dormire ancora un po', almeno finché non sorge il sole.» Avevo bisogno di guadagnare tempo, dovevo aspettare l'arrivo di Cyran.

«Il tempo non è dalla tua parte.» rispose l'uomo, freddamente. Poi si voltò, dandomi le spalle, per avvicinarsi alla porta. «So che il tuo amico è nel regno di Somnus, i miei guerrieri stanno cercando il suo corpo.» Sentii un tuffo al cuore. Lui, invece, mise una mano sulle sbarre, per poi tornare a guardarmi in viso.«Sarà morto molto prima che possa aiutarti.» disse e sorrise.


***


Il percorso fu lo stesso: di nuovo quel corridoio freddo e umido, di nuovo le torce a rischiarare la camminata, di nuovo il rumore dei sandali a riempire il silenzio. Quando ci fermammo davanti ad una porta, il sacerdote di Somnus non ebbe un attimo di esitazione.

«Uccidi per salvarti. Somnus vuole che superi la prova.» disse, perentorio, e mi porse una spada dall'aria fragile quanto la prima.

«Non ho dubbi.» dissi, ironico, strappando la spada dalle sue mani per superare la soglia della porta. L'uomo me la richiuse semplicemente alle spalle e fece scattare il ferro, sbarrandola.

Questa volta, non era una stanza stretta e lunga come la prima, ma circolare. Imponenti colonne costellavano la sala insieme a cumuli di roccia rossastra e frastagliata, sparsa un po' dappertutto. Densi fischi di vapore sbucavano da fessure nel terreno, dalle rocce, dalle stalattiti sul soffitto, creando frequenti e pericolosi spostamenti d'aria bollente, che da lontano mi scuotevano la veste e i riccioli.

Stringendo la spada, mi avvicinai al centro della sala, dove il pavimento si apriva in un grande buco nel quale ardevano fiamme. O forse era lava. Dovevo fare assoluta attenzione a non caderci dentro.

«Questa non mi servirà.» sussurrai, lanciando al suo interno la spada, vedendola precipitare fra le lingue di fuoco. Ma, unendosi allo sferragliare dell'arma in fondo al buco, sentii il rumore di passi. Due guardie spuntarono da dietro alle rocce.

Girai velocemente intorno al fosso centrale, scappando mentre quelle ridevano non con un'aria ilare, più come se sottolineassero l'inutilità del mio gesto. Ben presto una di loro mi lanciò contro una lancia. La evitai inclinando accucciandomi sulle ginocchia, per poi vedere l'arma conficcarsi dentro ad una roccia dietro di me. Poi, commisi l'errore di mettere il piede sull'orlo di quel precipizio e per poco non caddi.

Mi aggrappai velocemente alla lancia appesa alla roccia e, togliendola, il vapore bollente andò contro all'uomo che mi stava venendo addosso. Si inginocchiò a terra, coprendosi il volto ustionato con le mani, mentre io brandivo la lancia.

La sbattei violentemente a terra, più e più volte, facendo in modo che la punta di ferro si staccasse dall'asta di legno, per poi puntare il semplice bastone contro la seconda guardia, che invece veniva contro di me a spada tratta, mettendomi spalle contro la roccia.

Facendo leva con il bastone, balzai oltre il fosso, distanziandomi un poco dalle guardie.

«Sii astuto... Fa ciò che sai fare...» biascicai, stringendo forte quell'inutile arma. «Di certo non so usare una lancia!» Fissai l'arma. "Ma so parlare!" realizzai, mentre altre due guardie si aggiungevano alla prima, avvicinandosi con fare minaccioso.

«Fermi! Ascoltate quello che ho da dire!» Pensai velocemente alla prima stupidaggine che mi venne in mente. «Io sono solo un fanciullo. E voi siete valorosi guerrieri!» Strinsi più forte il bastone di legno, sentendo le mie flebili parole diventare più sicure. «Combattiamo in modo leale.» Un'idea mi si formò in testa.«Colui che fra di voi risulterà il migliore, sarà il primo a battersi con me!» Li guardai con un sorriso. «Su! Coraggio! Chi di voi è il migliore?» Una guardia ridacchiò e si avvicinò verso di me. «Tu? Davvero? E dovrei fidarmi?» finsi, e lo guardai con fare scettico, mentre un'altra guardia prendeva l'uomo e lo spintonava indietro, per pararsi contro di me. «Bene, allora dimostratelo!»

La prima guardia sbatté la spada contro l'arma dell'alleato, ed inaspettatamente i due iniziarono a bisticciare e combattere fra di loro. Tutto andava secondo i piani.

«Tra non molto sarà il tuo turno!» dissi, con un sorriso smagliante, verso la terza guardia, mentre gli altri due combattevano. Non ci misero molto, perché uno precipitò con un urlo nel fosso, prendendo fuoco. Le ultime due guardie rimaste si fecero più vicine.

«Chissà quale sarà il migliore fra voi due!» dissi, spostando lo sguardo dall'uno all'altro, per poi indietreggiare molto, molto lentamente. La terza guardia, che teneva in mano una rete, fece segno all'altro di combattermi pure, come a riconoscere che l'altro fosse il migliore. Strinsi i denti, capendo che il mio piano non aveva funzionato per due volte di seguito.

Invece, proprio mentre l'uomo si avvicinava a me, la terza guardia alle sue spalle estrasse un pugnale e lo infilzò alle spalle. Restai ad occhi spalancati, mentre l'uomo precipitava a terra. Non ero l'unico a giocare d'astuzia.

La guardia superstite iniziò a sogghignare e, brandendo il pugnale insanguinato, me lo lanciò contro con un guizzo fulmineo. Mi chinai a terra appena in tempo per schivarlo, sentendo ronzare il colpo sulla roccia sopra di me.

Mi rialzai velocemente, ma non tanto da schivare la rete che mi lanciò addosso. Caddi a terra. L'uomo, correndo verso di me, mi prese per le gambe e mi sollevò.

Quando capii che mi stava per gettare nel fosso al centro della stanza, iniziai ad urlare.

«Lasciami! No! NO!» E, proprio mentre stava per lasciarmi cadere, il pugnale che lui stesso aveva conficcato nella roccia, per la pressione del vapore iniziò a tremolare, per poi lanciarsi a tutta velocità contro la schiena della guardia. Caddi nuovamente a terra, questa volta insieme al cadavere della guardia.

«Tu sei più furbo di quanto credessi.» Non appena sentii la voce del sacerdote balzai in piedi, digrignando i denti. «Sei riuscito a scoprire che Somnus vuole che versi del sangue. Hai avuto due opportunità. Nella prossima sfida non avrai scelta. - Lo guardai, basito, mentre riprendevo fiato. «O accetti la vita che ti viene offerta, o perirai.»


***


Nella terza prova, si limitarono a sbattermi in una sorta di celletta rettangolare. All'infuori di essa, mi trovavo in un ampio salone di una particolare pietra azzurra, e tutte le guardie e i sacerdoti del Dio la popolavano, insieme all'altare pieno di candele. In effetti, in ogni punto dove posavo lo sguardo, c'erano fiammelle ad illuminare il luogo.

Al centro della sala celesta c'era la mia cella, fatto di solide sbarre abbastanza larga da permettere a tutti gli altri di vedere ciò che accadeva all'interno, ma non abbastanza da consentirmi di fuggire. Ma la mia gabbia non era affatto chiusa e sigillata: alle estremità c'erano due ostacoli, a loro modo insuperabili. Dietro di me una parete di punte affilate, davanti a me una sola guardia, armata fino ai denti.

Un'altra guardia all'esterno, per mezzo di una manovella, muoveva la parete appuntita che avanzava dietro di me, incitandomi a proseguire verso l'uomo che dovevo uccidere, o che doveva uccidermi.

Mi guardai intorno, a destra, a sinistra, cercando una possibile via di fuga, mentre i sacerdoti e le guardie mi fissavano con un ghigno sul viso. Tutti volevano vedere il sangue. Peccato però che, in qualsiasi caso - sconfitta o vittoria - io sarei morto comunque.

«Cyran!» urlai, sconsolato, sperando che spuntasse dal nulla e mi salvasse da un momento all'altro. «Cyran!» Strinsi i denti, mentre la punte aguzze alle mie spalle mi puntellavano la schiena e mi ordinavano di avanzare, perché altrimenti sarei rimasto infilzato. «Ti prego, fai presto!» urlavo, anche se lui non c'era.

«Dovrai difenderti, astuto fanciullo, se non vuoi che quella lama trafigga il tuo petto.» urlò da qualche parte nella stanza il sacerdote di Somnus. La guardia armata era sempre più vicina, sempre di più, e rimaneva immobile ad aspettarmi. Piantai i piedi per terra, ma sobbalzai quando sentii le punte d'acciaio graffiarmi la schiena. «Prendi la spada!» continuò lui, riferendosi all'arma che c'era in fondo al tunnel, proprio dinnanzi all'uomo armato.

Le punte aguzze alle mie spalle mi facevano avanzare, i sacerdoti mi fissavano, la guardia armata mi aspettava trepidante. Guardai l'enorme porta della sala con un groppo in gola e un senso di disperazione misto a speranza vana. Ti prego, ti prego, ti prego, vieni.

Ma Cyran non arrivò. E così, non mi rimase che prendere la spada. 



❧❧❧❧❧❧

Un angolo di tanta gattosaggine (?)~

Buon pomeriggio mondo!

Lo so, lo so, non mi dite niente. Sono in ritardo. Devo dire che questo capitolo mi ha annoiato un pochino, ecco perché ci ho messo una vita. Nonostante questo, spero lo stesso che vi sia piaciuto :P ! In ogni caso, avevo promesso ad una(?) ragazza che alla sua trentesima(se non di più) morte, avrei postato il capitolo. E sì, sono in ritardo anche con te c:

Detto questo, ci vediamo al prossimo capitolo!

Alla prossima ^^


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