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35. Tutti per uno


Cyran


[Minartias, capitale di Akra, quasi un anno prima]


E quindi, venne imbandito un banchetto per implorare gli stramaledetti Dei che la ricerca della principessa andasse a buon fine. Un evento che io avevo reso un fiasco totale. Non l'avevo mica fatto apposta, ad appiccare l'incendio che aveva divorato quasi tutta la sala da ballo, rischiando di distruggere l'intero Palazzo Reale. Non era colpa mia se quel nobile deficiente mi aveva scambiato per un musicista e strillava che fossi indegno a stargli seduto di fronte.

La litigata era durata quel tanto che bastava per farmi uscire dai gangheri. I miei occhi avevano lampeggiato, erano partite un paio di scintille, la tovaglia aveva preso fuoco e... E il resto era diventato storia. Il famoso mercenario esiliato, Cyran Rouge, che si era infiltrato alla selezione dei cavalieri predestinati a salvare la principessa e contro ogni previsione aveva vinto, si era fatto riconoscere ancora una volta.

Non lo sapevo proprio che cavolo volesse da me il Re di Akra, ma mentre il fioraio, il mago e il principe occhi-belli avevano ricevuto tutto il tempo per riposare, vista la partenza imminente il giorno dopo, io dovevo sorbirmi la ramanzina. O almeno così credevo.

Mi stavo ancora sistemando il farsetto verde, un po' stretto e odiosamente simile alla divisa dei musicisti, con le mani tinte di fuliggine che spargevano macchie nere sulla stoffa pregiata - me ne fottevo di ridare quella roba indietro agli stilisti di corte - quando il Re di Akra entrò nella Sala delle Strategie, dov'ero stato spintonato mentre imprecavo.

Mi rivolse uno sguardo impietoso e nemmeno uno straccio di saluto. Ma cosa ci si poteva aspettare da un cavolo di nobile? Avevano tutti la puzza sotto il naso. Perfino le nobildonne! La notte prima ti imploravano lascive di passare la notte con te e la mattina dopo ti facevano cacciare dal loro lustrascarpe. Roba da pazzi!

«Quando mi hanno riferito quello che avevi fatto, non riuscivo a crederci.» esordì, mettendosi le mani dietro alla schiena, il mantello lungo che strisciava dietro agli stivali. Avevo voglia di pestarglielo e farlo inciampare, però decisi "saggiamente" di evitare.

«Ma se voi eravate presente!» esclamai, corrucciando la fronte. Il regale vecchiaccio aveva urlato il mio nome ai quattro venti come un ossesso quando gli avevo dato fuoco alla sala da ballo. Il Re mi rivolse un sorriso a metà fra il disgusto e la sufficienza, come si guarda la merda che hai calpestato per strada. Affilai gli occhi.

«Non sto parlando di stasera. Parlo di quello che hai combinato durante la guerra degli Orchi.» sentenziò, raggelante. Mi irrigidii sulla sedia, perdendo ogni voglia di fare sarcasmo o farlo inciampare. Piuttosto, distolsi lo sguardo per puntarlo su una delle tante cartine appese nella stanza.

«E quindi? Dove volete arrivare?» borbottai, cupo, mentre i miei occhi fissavano le mappe dei territori sul Continente Magico e il regno vastissimo di Darlan. Forse avevo fatto una cazzata a tornare ad Akra. Forse era meglio andare in posti come quelli, dove trovare lavoro come mercenario sarebbe stato uno scherzo. E allora sì, che avrei guadagnato gloria!

«E quindi, se non ti ho giustiziato allora, c'è un motivo.» disse, ponendosi non troppo lontano dalla mia sedia, nascondendo col suo corpo la cartina che stavo scrutando.

Sbuffai. «Giustiziato, che brutta parola.» Come se potessi accettare di venir ammazzato da degli umani. Certo.

«Quale provvedimento pensi che si prenda per il pluriomicidio?» Il tono di ghiaccio che usò servì a farmi abbassare la cresta. Pluriomicidio. Quella sì che era una brutta parola. Anche molto, molto vera. Avevo ucciso tanti orchi, ci tenevo a dire.

Ma avevo anche ucciso tutto il battaglione che era venuto al fronte insieme a me, quel giorno. Se non ci fossero stati testimoni a sorvegliare la situazione con un cannocchiale, probabilmente l'avrei scampata. Nessuno avrebbe sospettato che avessi un potere così schiacciante e malefico.

Quindi sì, ero un pluriomicida. Serrai la mascella, abbassando gli occhi. Il Re prese il mio silenzio come un segnale per riprendere a parlare. «Avrei potuto farti impiccare, invece ho scelto di esiliarti da Akra.»

«E il motivo, sarebbe?» ripresi la frase che aveva detto prima.

«Un Dio mi è venuto in sogno.» rispose. Drizzai le spalle improvvisamente. «Un Dio identico a te, mercenario Rouge.» Il mio creatore ci aveva messo lo zampino. E io che pensavo di essermene liberato lasciando i Regni del Caos! «Mi ha detto che se avessi osato ucciderti, avrei arrecato l'ira degli Dei contro di me e tutto il regno.»

Alzai un sopracciglio. «Quindi non mi avete mandato al patibolo per paura?»

Scosse la testa. «Al contrario. Quella divinità ha anche aggiunto che risparmiarti mi sarebbe stato di vitale importanza, più avanti col tempo.» Fece un cenno col capo. «Ed eccoci qui, Cyran Rouge.» Mi mise una mano sul bavero della casacca e mi trascinò a forza in piedi.

Era un uomo vecchio, la metà di me, ma quel gesto aveva una tale potenza enfatica da farmi drizzare subito «Ti sto affidando la ricerca di mia figlia, creatura pericolosa ed incompetente che non sei altro. Hai ancora la possibilità di espiare le tue colpe. Non la sprecare.»

Invece avevo perso la possibilità di espiarle ed era tutta colpa di quel maghetto del cazzo. La mia collera, quando scoprii la verità, fu sensazionale. Gli avevo urlato contro così forte che per poco non avevo causato una frana dentro alla Grotta dei Segreti. Fortunatamente non c'era niente di combustibile intorno a noi, altrimenti sarebbe arso. Poco mancava che anche Rhod prendesse fuoco, mentre si nascondeva dietro alla schiena del fioraio.

A lui, invece, non fregava un accidenti. Gli importava solo della sua Lingua di Drago. Non avevo detto niente, quando l'aveva nominata, semplicemente perché, io che ero nato in questo postaccio, non l'avevo mai sentita. Mai. Il che era piuttosto strano, ma chi ero io - a parte un nativo del Caos e un semidio - per demolire le sue speranze?

Francis, invece, era rimasto profondamente scioccato. Per la prima volta, avevo la sensazione che avrebbe preso a schiaffi Rhod. Forse per non aver detto prima la verità. Forse per essere stato il fautore indiretto dei nostri molteplici casini, che ci saremmo evitati, sapendo che la principessa era schiattata da un pezzo. 

O forse perché Rhod aveva spezzato la speranza di tutta Akra, messo in ginocchio un ragazzo che credeva di poter riavere indietro la sua amica. Per quanto mi riguardava, i molti onori con cui sarei stato ricoperto dalla testa ai piedi per aver salvato la principessa si erano vanificati. Tutti questi sforzi per niente.

E quello stronzetto lo sapeva.

Il principino si era scacciato via una singola lacrima dalla guancia, nascondendo il suo turbamento. Nonostante avesse detto che sperava di non trovarla, sapere che fosse morta doveva averlo scosso nel profondo. Una volta riacquistata lucidità e aver cercato di calmare la mia immensa e soverchiante collera, aveva deciso che, arrivati a questo punto, dovevamo andare avanti. Era giusto riportare il corpo della principessa a casa. Così come era giusto continuare a cercare la Lingua di Drago per il fioraio.

Alla luce delle recenti scoperte, mi avevano chiesto quanto ne sapevo. Mi ero limitato a fare spallucce. Non è che mi facesse felice sapere che André Sion sarebbe crepato da un momento all'altro. Anzi. Quel tipo non se lo meritava proprio: aveva avuto un padre persino peggiore del mio e non volevo certo fargli capire quanta pena mi facesse, benché non riuscissi a nasconderlo.

E quindi, il viaggio era andato avanti, trasformandosi da un salvataggio al recupero di un cadavere. Avevamo superato il ponte magico nella grotta e vagato per ore nella zona nord del territorio del Caos, passando tutto il tempo ad evitare mostruosità. Ben presto, la morfologia del paesaggio aveva subito un netto cambiamento: gli alberi si erano diradati e il bosco era stato sostituito da rupi rocciose che salivano verso l'alto in crepacci sottili e profondissimi, che cadevano nel vuoto.

Il percorso ogni tanto si distaccava in zolle di terra che fluttuavano verso l'alto e, per saltare da un punto all'altro, lasciavamo che Rhod ci spostasse uno alla volta, con attenzione. Non è che mi fidassi proprio di lasciare la mia sicurezza nelle mani di quel piccolo imbroglione con folli manie omicida, ma lo sapevo più di tutti che per la sopravvivenza, per vincere sui Regni del Caos, dovevamo comportarci come un gruppo e fare affidamento l'uno sull'altro.

Quando il percorso galleggiante si era unificato in un sentiero solido ed uniforme, la strada si era fatta ancora più ripida. La salita era un lavoro sfiancante, per gli altri, ma non per me. Bocche di vulcani e pozze di lava sfrigolavano diffondendo calore asfissiante e fumo che si fondeva alla nebbia, creando un'unica cappa grigia e un profondo puzzo di bruciato.

Eppure, per me, la calura vulcanica si attaccava alla pelle, penetrava nella carne e si trasformava in forza. Calore che generava potenza. Mentre André e Rhod restavano indietro di pochi passi, il primo perché arrancava con difficoltà e il secondo perché lo aiutava a proseguire, io mi accostai a Francis, sfiorandogli la spalla col braccio vicino.

Sussultò, scostandosi leggermente mentre io lo fissavo. Il sudore gli evaporava dalla pelle, i morbidi capelli color caramello erano scompigliati in sbuffi esagerati per via dell'umidità e l'unico ricambio che aveva indossato ormai era sporco e annerito. Tuttavia, era comunque grazioso come la prima volta che lo avevo visto, col nasino tempestato di lentiggini e occhi grigi talmente intensi che facevano paura.

Faceva fatica anche lui a continuare, perché il suo corpo aveva superato il limite già da un pezzo, ma non aveva intenzione di mollare. Era tenace, maledettamente testardo e anche se mi offrivo di portarlo in spalla, lui rifiutava perché non osava rilassarsi fino all'arrivo della meta. A quanto diceva Rhod, non mancava molto, ormai. E il principino voleva farcela senza più affidarsi a nessuno.

Da quando aveva appreso che la sua promessa sposa era morta, aveva smesso di parlare granché ed era diventato improvvisamente distaccato, assorbito nel suo mondo. Il che mi faceva sentire irrequieto: volevo veramente capire cosa frullasse in quella testolina color carota. Feci un altro passo laterale, nella sua direzione, tornando a far toccare le nostre braccia.

«Fa caldo!» strepitò, strattonando via il braccio, cosa che mi spinse a circondargli il polso con una mano e tirarlo un po' nella mia direzione.

«Stiamo facendo la cosa giusta, principino.» esclamai, stringendolo contro il mio petto. Forse dovevamo fare una pausa, così che potessi parlargli decentemente. In fondo, non era più una lotta contro il tempo... Ma fermarci nel Regno del Caos, in qualsiasi punto, non era un'idea saggia. E poi, che cosa avrei potuto dirgli? Con le parole facevo ancora schifo. «Continueremo col nostro compito di riportarla a casa.»

Qualsiasi cosa mi aspettassi, evidentemente avevo detto la frase giusta, perché alzò gli occhi nella mia direzione e da essere taglienti come il metallo, si trasformarono in nuvole plumbee e morbide. «Ma è così ingiusto, Cyran...» sussurrò, stringendo la mia cotta di maglia sbrindellata in un pugno. «Non riesco a pensare che non sia colpa mia. Ho pregato gli Dei che mi togliessero dall'impiccio del matrimonio e guarda che è successo.»

«Gli Dei non esaudiscono nemmeno un terzo di quello che la gente desidera!» esclamai, sospirando. «Io ne so qualcosa.» Gli pizzicai il naso, tirandolo un po', abbastanza perché perdesse l'aria triste, gemendo un po'. «E non fare quella faccia! Le cose vanno così. Non è colpa di nessuno!»

Si massaggiò il naso e sospirò, annuendo una sola volta, prima di rimettersi in cammino. Dopo qualche altro minuto di camminata, tornai a molestarlo ancora una volta. «Senti, principessino mio...» Inclinai la testa di lato, ravvivandomi la chioma, strategicamente scompigliata, all'indietro. «... E' vero, quindi, che mi ami.» Piegai le labbra in un sorriso da mascalzone. «Totalmente e perdutamente.» mi assicurai di citarlo per bene.

Si girò a guardarmi così in fretta che parve lo avessi appena fulminato. «Non è il momento, razza di disgraziato approfittatore!» esclamò avvampando, prima di allungare il passo nel blando tentativo di seminarmi, invano.

«Non è mai il momento però! Eccheccazzo!» brontolai, standogli dietro. In realtà, io non gli avevo detto di amarlo. Ma gli avevo confessato che avevo perso la testa per lui, il che non era molto lontano dalla sua dichiarazione... Venni improvvisamente investito da una bruciante consapevolezza. «Ehi, Francis.» Lo fermai, avvolgendogli la vita con un braccio. «Mi ami anche se non sono umano? Anche se... Sono una specie di mostro?» sussurrai.

Francis alzò gli occhi d'argento sopra di me, schiudendo le labbra per la sorpresa. Ma prima che potesse dire qualcosa...

«A-A-ASPETTA...TE!» gridò Abracadabra-il-bugiardo dietro di noi, oltre un banco di nebbia, agitando la mano che stringeva il fermaglio di vetro soffiato della principessa. Ancora non capivo come cazzo avesse fatto quel fragile gioiellino, con tutti i nostri salti e sballottamenti, a non rompersi. «S-s-sappiamo no-noi la s-s-strada!» balbettò. A quel punto, Francis era già sgusciato via dalle mie braccia e aveva ripreso a camminare.

Mettendo una chiara distanza fra sé e Rhod ed André.

Si era creata una frattura, dopo che avevamo messo a nudo i nostri segreti. Nonostante il mio bel pel di carota avesse acquietato il mio attacco di rabbia, potevo notare dentro ai suoi occhi come non avesse perdonato il mago per avergli taciuto un segreto simile. Per averlo fatto vivere tutti questi mesi di ricerca in costante tribolazione, in una lotta interiore con se stesso, a metà fra voler rivedere la principessa e volerne perdere del tutto le tracce.

Rhod aveva fatto una cosa cattiva, qualsiasi fosse il suo motivo. D'altro canto, il principe sapeva prima di tutti gli altri che André fosse un malato terminale e non l'aveva detto a Rhod. Non che spettasse a lui farlo, era l'erborista a dover spiattellare tutta la faccenda al suo amorino, ma il mago era piuttosto irritato dalla notizia.

Inevitabilmente, la frattura si era allargata e senza volerlo, si erano create due fazioni nel nostro piccolo gruppo di sventurati: io e il principino vs il maghetto bugiardo con il fioraio. Non una bella situazione. Non nel Regno del Caos.

«Cazzo gente, dobbiamo collaborare!» esclamai, camminando nella distanza che intercorreva fra Francis e gli altri due. «E se lo dico io significa che la situazione è proprio una merda!» Ma non mi prestavano ascolto: il carotino nemmeno mi rimproverava perché imprecavo. Schioccai la lingua, calciando un sassolino che caracollò oltre il sentiero stretto, cadde nel dirupo e precipitò sotto di noi.

Qualche secondo dopo, la terra iniziò a tremare violentemente. «Che cos'hai fatto, Cyran?!» esclamò il principino, sgranando gli occhi. Mi irrigidii.

«Non ho fatto proprio nien-» Non sapevo nemmeno io come descriverlo, eppure avvertii il cambiamento sotto ai miei piedi. Sgranai gli occhi, comprendendo prima di loro il disastro che ci avrebbe coinvolto a momenti. «SCAPPATE!» gridai, iniziando a correre, proprio nell'istante in cui la terra iniziava a sgretolarsi sotto ai nostri piedi. «Merda!»

Rhod mosse le mani a tutta velocità ed André imitò i suoi gesti, disegnando con le dita delle spirali simili a vortici di vento. L'aria attorno a loro crepitò e, proprio nel momento in cui il suolo si disfaceva come un biscotto troppo friabile contro i nostri stivali, facendoci precipitare, ci sollevamo tutti in cielo.

«N–n-non do-dovresti u-u-usare la ma-magia!» verseggiò il maghetto, in un urlo portato via dal rombo del vento, mentre il fioraio ci aiutava a sorreggerci. Quest'ultimo aveva una faccia sofferente che mi faceva venir voglia di dargli qualche colpetto sulla schiena, visto che sembrava si stesse affogando con la propria saliva.

In totale assenza di punti d'appoggio e galleggiando nel vuoto, Francis agitò le braccia spaventato, finché non trovò il mio corpo e si aggrappò come un koala. «Adesso non hai più tanto caldo, eh?» ridacchiai, stringendolo forte contro di me, distratto dal suo visetto abbastanza da non notare che eravamo troppo in alto.

Mostruosità volanti - pterodattili, li avrebbe identificati così un erudita, che io non ero - scesero in picchiata dalle nuvole grigie e ci puntarono con versi talmente acuti che, se fossero stati più vicini, ci avrebbero spaccato i timpani. «Dobbiamo scendere!» urlai verso i due maghi del gruppo, proprio mentre iniziavamo a perdere quota perché André si stava sentendo male.

Non sapevo se fosse più allarmante schiantarsi contro rocce appuntite o farsi dilaniare dai becchi aguzzi di quelle bestie schifose. Rhod però stava resistendo. «Ci... siamo... quasi!» ringhiò, a denti stretti, la faccia rossa imperlata di sudore per lo sforzo combinato di farci fluttuare, muoverci molto velocemente per sfuggire ai volatili, respirare nell'aria rarefatta e sopravvivere a quel caldo che per loro era infernale.

All'orizzonte, immersa fra le nuvole e seminascosta dalla nebbia, si ergeva una fortezza nera come il carbone, minacciosa e con merlature dentellate, senza finestre e senza porte. Solo pietra scura e qualcosa di grosso e nodoso - simile ad un albero massiccio - divelto vicino all'ingresso in un ammasso di liane e rovi. Forse era semplicemente un gigantesco cespuglio incolto.

«Dove siamo??» mi chiese a gran voce Francis, senza lasciare la presa su di me, man mano che scendevamo.

«E io che ne so!»

«Ma come! Non sei mai stato qui?!» continuò, gridando più forte per superare il fischio del vento e i versi dei mostri volanti. Adesso mi stava fissando anche André, in cerca di risposte. Rhod era troppo occupato a tenerci vivi, invece.

«Cavolo, no! Vi pare che possa volare? E poi, questo posto è persino peggiore del resto!» esclamai, man mano che scendevamo verso il basso, a pochi metri dalla fortezza dall'aria minacciosa ed impenetrabile, oltre il fossato fatto di rovi giganteschi, più o meno all'interno di un cortile di pietra, lì dove "il grande cespuglio-albero" ci aspettava.

Avevo una brutta sensazione in merito.

L'atterraggio fu rovinoso, perciò mi massaggiai l'osso sacro con una smorfia, rimettendo in piedi il principino, a cui avevo attutito la caduta. Il maghetto-bugiardo era intriso di sudore, al punto che sembrava essersi fatto un bagno, mentre il fioraio era così grigio e tremante da far paura.

Non ebbi neanche il tempo di guardarmi intorno. «Oh no...» ansimò Francis, facendo molti passi indietro, indicando un punto ben preciso di fronte a noi. La grossa palla di radici e liane, acciambellata nel cortile di pietra spaccata della fortezza nera, adesso si stava muovendo. E, man mano che si metteva in piedi, assumeva una forma.

Zampe immense e artigliate, grosse ali di muschio, una lunga coda spinata fatta di alberi. E un muso di corteccia spessa, che spalancò con violenza emettendo un ruggito così feroce che mi spinse a tapparmi le orecchie.

«Eh no, eh!» rantolai. «La fortezza, il drago... Mi stanno prendendo per il culo! Non può essere tutto così fottutamente prevedibile!» E scommettevo tonnellate di oro che la principessa era nascosta proprio nella torre più alta del castello. Il drago spalancò nuovamente le fauci, lanciando un grido che avrebbe potuto spaccare il suolo in due.

Stavolta, quando lo fece, mi resi conto di un dettaglio. DEL dettaglio. 

«Porca troia...» sussurrai, affilando gli occhi sul suo muso. Su ciò che c'era dentro al suo muso. «Non avevo mica capito che la Lingua di Drago fosse sul serio la lingua di un drago!» Un fiore dorato luccicava brillante come un sole dall'interno della bocca del mostro, identico all'illustrazione che André mi aveva mostrato per chiedermi quanto ne sapevo di esso. Prima che potessimo fare qualsiasi cosa, il drago chiuse le fauci e si posizionò con una rapidità strisciante davanti all'ingresso del castello, sbarrandoci la strada.

«La Lingua di Drago esiste...» sussurrò il biondo, a bocca aperta: aveva perso la sua imperturbabilità ed era diventato una persona vera e propria, per una volta. Con delle espressioni facciali e delle speranze che gli brillavano negli occhi verdi.

«La prenderemo!» dissero Rhod e Francis, in coro, il primo che aveva unito le mani in preparazione di qualche incantesimo, il secondo estraendo la spada leggera. Uniti da quelle parole dette con puntualità, si lanciarono uno sguardo. La diffidenza si tramutò in complicità e, insieme, si rivolsero un cenno del capo. Un perdono silenzioso.

«Sì! Così vi voglio, cazzo.» esultai. «Tutti per uno, uniti per la causa! Spacchiamo il culo a quel drago e andiamo a prendere la principessa! Io lo tengo occupato, voi trovate una magica maniera per farlo fuori!» Estrassi lo spadone dalla guaina sulla schiena e lo agitai sulla testa, fischiando forte. «EHI, ALBERELLO!»

Una zampa di legno grossa quanto una carrozza reale mi si lanciò addosso, ma rotolai di lato, schivando un attimo prima che mi spiaccicasse sul pavimento di pietra. Menai un fendente contro l'altra zampa anteriore e la lama si conficcò, incastrata nella corteccia spessa. Mi aggrappai all'elsa, ma era davvero in fondo e non ne voleva sapere di muoversi. «Merda...»

Prima che venissi sbalzato via, Francis conficcò lo stesso punto con la sua lama e liberò la mia arma. Subito dopo, una poderosa zampata ci spedì a terra, mandandoci a rotolare senza danni sul pavimento. Dal basso, notai che Rhod e André si erano posizionati in un angolo strategico del cortile, dietro ad una colonna di pietra distrutta che li schermava abbastanza bene. Muovevano le braccia in ampissimi gesti, come se fosse un ballo, coordinandosi a vicenda in maniera così naturale e spontanea che pareva una coreografia imparata a memoria.

Ogni volta che facevano scattare le mani e gli arti, l'aria si comprimeva con degli effetti d'attrito spettacolari, aprendo grossi tagli sul corpo del drago: resina gialla schizzava a fiotti mentre il mostro ruggiva di furore. Perdendo tutto l'interesse verso di noi, la bestia puntò proprio in direzione dei due maghi, riconoscendoli come la causa principale del suo malessere.

«No!» Mi alzai in piedi, pronto a ritornare in battaglia, ma Francis si era già messo a correre. Fu tutto così veloce che rimasi senza fiato, come un pugno che ti colpisce allo stomaco così in fretta che non lo vedi nemmeno arrivare.

Francis si mise in mezzo, fra il drago e i nostri due compagni di viaggio, con la spada puntata e uno sguardo grigio ferro, determinato fino in fondo. Ma anche il mostro si era già mosso, con la bocca spalancata. Non avrei fatto in tempo.

«No no NO!» Mi sentii urlare, a rallentatore, mentre le fauci del drago affondavano sul corpo del principe, chiudendosi sopra di lui. Inghiottendolo. Quando il drago drizzò il collo, il punto sul pavimento dove si trovava Francis era vuoto.

Il mostro se l'era mangiato.

«NOOO!»

Una vampata di collera bruciante e paura devastante mi investì dalla testa ai piedi come una fiammata, che in effetti stavo incominciando ad emettere, divampando come un fuoco che avrebbe potuto demolire e incendiare il mondo intero. «Cyran! C-calmati e RIFLETTI!» urlò Rhod, spuntando da dietro al suo riparo. Volevo urlargli addosso. Volevo dirgli che poteva salvare Francis, poteva spostarlo con la sua magia, poteva fare mille cose e invece non aveva fatto niente. Così come con la principessa.

Sentii le mie fiamme avvolgermi, sempre più forte, come una colonna, un tornado di lingue brucianti che s'innalzavano intorno a me e si sollevavano verso il cielo, libere e selvagge. «Possiamo ancora salvarlo!» urlò André, sopra il rumore confuso del fuoco e del drago che pestava le zampe a terra, aprendo grossi solchi nella pietra.

Possiamo ancora salvarlo.

Quella frase attecchì come un secchio d'acqua durante l'incendio. Impotente e inutile, piccolo e irrisorio, mentre tutto il mondo intorno a me bruciava e bruciava e bruciava. Rhod usufruì del mio fuoco per lanciare palle di fiamme contro il drago, ma ogni volta che quelle si scontravano contro la sua spessa corteccia, s'infrangevano in mille scoppiettii luminosi ed evaporavano in fumo.

«Devi controllarti, Cyran! Possiamo batterlo solo insieme a te!» mi urlò, stavolta senza balbettare, pur non osando avvicinarsi alla barriera divampante che avevo eretto intorno a me. «Per favore! Devi controllarti e salvare Francis!»

«Ti prego, Cyran! Non importa più della Lingua di Drago, troverò un altro modo! Ma dobbiamo bruciare il drago!» esclamò André, avendo l'ardire di allungare un braccio nella mia direzione, incurante di bruciarsi, finché non mi toccò una spalla. «Ti ricordi? Tutti per uno.»

Il mio fuoco interiore incominciò a calmarsi, anche se avevo la voce rotta dalla disperazione. «Non posso.» quasi singhiozzai. «Non posso bruciare il drago senza bruciare Francis. Lo ucciderò.» Se non era già morto masticato. «Non posso uccidere Francis. Non posso. No.»

«Non sarai da solo.» Rhod mi prese la mano sinistra e André mi strinse la destra. «Impara a controllarti, Cyran.» disse il maghetto, fissando la belva mastodontica e feroce di fronte a noi. Il drago, fino ad ora, non si stava certo girando i pollici: si agitava su se stesso come se stesse succedendo qualcosa dentro di lui, sbattendo furioso la testa ora contro il pavimento, ora contro la fortezza stessa, da cui saltavano interi pezzi di muratura.

«Ascolta i poteri dentro di te. Non metterli all'angolo. Accoglili. Sono tuoi.» continuò a sussurrarmi il bruno, parlando fluentemente e stringendo forte la mano nella mia. «Le fiamme sono il tuo cuore. La tua anima. Il tuo respiro.» Affilai gli occhi sul drago. «Concentrati. Il fuoco è te e tu sei il fuoco. Puoi controllarlo.»

Presi un profondo respiro, che mi riempì i polmoni fino alla massima capienza. Il fuoco è te e tu sei il fuoco. Inghiottii ed espirai mentre lasciavo che il calore bruciasse dai miei occhi e le radici del drago - di corteccia e legno, il perfetto combustibile - prendessero fuoco, avvolgendolo in un istante come un rogo. Francis era lì dentro, da qualche parte, ma io potevo impedire che bruciasse insieme al mostro.

Il fuoco è te e tu sei il fuoco. Potevo impedirlo.

Rhod e André mi lasciarono le mani solo perché unirono le loro, muovendole in un'armonica danza che lasciò crescere e divampare le mie fiamme. Sembravano capaci di raggiungere il cielo e bruciare il tetto del mondo. Il drago ruggì e guaì un verso orribile, così tremendo che avrebbe potuto demolire la fortezza di fronte a noi.

Poi, nero e carbonizzato, iniziò a cadere. Quando la sua immensa mole incontrò terra, le fiamme si estinsero di colpo. Ed ero stato io a farle spegnere. Io e Rhod e André, insieme, uniti nel singolo compito di salvare Francis. Mi precipitai verso il resti del drago, con il cuore pieno di panico e angoscia e gli occhi pieni di lacrime.

Nell'istante in cui raggiunsi il corpo annerito del mostro, caddi a terra, pronto a cercare a manate nella cenere. Francis doveva essere lì. Non poteva essere bruciato col resto. Non potevo averlo... «Ah!» Un gridolino, mentre una figura esile tutta sporca di fuliggine e resina appiccicosa rotolava fuori dalle fauci del drago. Si rimise in piedi sulle gambe tremanti, un po' bruciacchiato, ma tutto intero. Mentre sorrideva.

Anzi, rideva.

Quando sollevò il pugno chiuso, dalle fessure fra le sue dita brillò un'intensa luce gialla. Poi, spalancando la mano, rivelò quello che aveva faticosamente strappato dalla bocca della bestia: un fiore dorato. La Lingua di Drago.




❧❧

Francis


Una montagna di muscoli mi circondò talmente all'improvviso che quasi caddi a terra. L'odore virile e affumicato di terra bruciata e muschio mi avvolse quando Cyran mi prese il volto fra le mani e mi baciò intensamente, al punto che mi si piegarono le ginocchia e sentii il pavimento sotto ai piedi vorticare.

«Cy... Non respiro...» ansimai, contro le sue labbra bollenti come il resto del suo corpo. Se fosse stato umano, avrei pensato che avesse la febbre alta, invece il mercenario stava benissimo. Ora più che mai, considerato quanto scintillavano e vorticavano i suoi occhi, come fiamme vive, libere di divampare.

«Cazzo, Francis! Coraggioso sì, ma anche un po' meno! Mi hai fatto morire di paura...» Erano lacrime quelle che si stavano accumulando nei suoi occhi? Il mio cuore ebbe un sobbalzo improvviso.

«G-grazie! Hai preso la l-lingua! Grazie Francis!» esclamò Rhod, abbracciandomi dall'altro lato e schiacciando il faccino contro la mia schiena. Il dolore e la rabbia che avevo sentito nei suoi confronti mi abbandonò completamente.

«Voi mi avete salvato...» sospirai, stringendoli a mia volta, con le braccia che mi tremavano e il pugno ancora stretto sulla Lingua di Drago, che pulsava di una gentile luce dorata contro al mio palmo, emettendo un delicato tepore sulla mia pelle. Sciolsi l'intreccio fra i loro corpi solo per poter andare verso l'erborista, che proprio adesso era caduto sulle ginocchia.

Un moto di preoccupazione mi aggredì all'improvviso. «André?» Mi accovacciai alla sua altezza. Così mi resi conto che aveva gli occhi persi nel vuoto e grosse lacrime di sangue gli scivolavano sulle guance. «Oh miei Dei! Stai bene, André?» Rhod accorse vicino a noi e il biondo batté velocemente le palpebre.

«Sì. Sì, sto bene.» disse, in un tono così distante e monocorde che ebbi paura.

«Ho preso la Lingua di Drago. Ora puoi assumerla, giusto? Cosa dobbiamo farci? Devi ingoiarla? Masticare le radici?» domandai, sentendo la morsa dell'apprensione affondare gli artigli sul mio cuore. Per qualche strana ragione, André non mi guardava in faccia, né osservava Rhod. Si limitava a guardare un punto indefinito di fronte a sé con uno sguardo vacuo.

«Va creato un decotto e il fiore cucinato in una maniera piuttosto specifica. Mi servirebbero i miei attrezzi. Non possiamo farlo qui.» disse, in tono neutro, asciugandosi via le lacrime rosse dalle guance, che lasciarono scie cremisi sulla pelle pallidissima. Poi prese il fiore e se lo conservò nel taschino della camicia sudicia.

«M-mi pro-prometti che re-resisterai?» domandò il mago, stringendo le mani dell'uomo che amava mentre le sue tremavano incontrollabilmente. Non si sapeva per quanto ancora André dovesse resistere: per il tempo di tornare alla nave, probabilmente. Sempre ammesso che quella non avesse preso il largo, lasciandoci qui... Non osavo pensarci.

«Lo prometto.» disse, dopo aver espirato. «Ce la faccio.» rispose subito dopo, arrestando i miei tentativi di aiutarlo a rimettersi in piedi. Si alzò sulle proprie gambe, senza sussultare, pur continuando a guardare il vuoto.

«Allora, qual è la prossima mossa?» subentrò Cyran, sporgendosi sopra la mia spalla, proprio mentre anche io mi raddrizzavo. Rhod sospirò, riprendendo fra le mani il fermaglio della principessa. Un'ondata di tristezza improvvisa mi avvolse: non si meritava di morire. Era una ragazza dolce. E giovane e gioiosa. Ero stato un codardo, a pensare di poter scampare al mio matrimonio con la sua sparizione. Ero stato crudele.

E adesso che sapevo che lei era morta, mi rendevo effettivamente conto che non volevo sparisse dalla mia vita per sempre. Mi sarebbe piaciuto rivederla, almeno una volta. Almeno per avere il coraggio di dirle che le ragazze non mi piacevano, che non potevo sposarla, né ricambiare il suo amore. Ma che la rispettavo e le volevo bene davvero. Le cose non dovevano andare così.

Repressi le lacrime e aspettai la risposta di Rhod. «S-sì. Do-dobbiamo p-p-proprio proseguire...» Il suo dito sottile indicò la fortezza nera che si ergeva come un incubo di fronte a noi, pronto ad aggredirci e annientarci. Mi dava una sensazione lugubre e luttuosa, molto più pericolosa del drago che avevamo appena affrontato e sconfitto. «Nel ca-castello.»

Deglutii rumorosamente. «Non abbiamo scelta.» Avrei spostato mari e monti pur di trovare Aeline e donarle una degna sepoltura. Era il minimo che potessi farle in quanto amico, dopo aver desiderato che fosse dispersa. Si meritava che le sue spoglie tornassero a casa. I suoi genitori si meritavano di riavere indietro il corpo della figlia, invece che piangerla da lontano.

Un passo dopo l'altro, superammo le ceneri del drago e ci avvicinammo al portone gigantesco, nero anche quello, l'unico ingresso a vista. Non c'erano altre porte o finestre, come se tutto il resto fosse sigillato dalla pietra lavica. André barcollava in modo strano ed era inciampato più volte, Rhod tremava follemente, Cyran stringeva lo spadone e io camminavo a testa alta. Determinato.

Qualsiasi cosa ci aspettava lì dentro, lo avrei affrontato per il bene di Aeline. Ma anche per poter tornare indietro, a casa, e rivedere la mia famiglia. Lo avrei fatto per André, così che potesse curarsi con la Lingua di Drago. Lo avrei fatto per Rhod, così che potesse finalmente essere felice al fianco dell'erborista e perdonarsi per il segreto che ci aveva taciuto, perché in fondo non era colpa sua se qualcuno aveva rapito e ucciso la principessa.

E lo avrei fatto per Cyran, perché una volta presa la principessa, avremmo potuto allontanarci dal Regno del Caos, dal luogo in cui era nato e che pareva detestare. Forse, in un momento più calmo, avrei potuto pensare a come affrontare le cose con lui. Se osavo iniziare a sognare, l'idea di un futuro insieme a lui iniziava a solleticarmi come non aveva mai fatto prima.

Appoggiammo le mani sulle pesanti porte di legno massiccio e spingemmo, tutti insieme, nello stesso momento. Le porte si spalancarono di botto, come se non aspettassero altro che quella spinta. Oltre la soglia, si estendeva un lungo corridoio di pietra che affondava nel buio impenetrabile.

«E' p-p-proprio co-come nei miei sogni...» balbettò Rhod in un sussurro bassissimo, pregno di autentico orrore. «Non so co-cosa volesse di-dire ma...» Un brivido lo attraversò, me ne resi conto da quanto velocemente il suo corpo venne scosso. «... Una volta la p-p-principessa m-mi ha de-detto... Di non g-guardarlo negli o-o-occhi. Pe-perché è c-così che t-ti p-p-prende.»

«Chi...? Chi ti prende?» domandai, con il cuore in gola, proprio mentre superavamo l'ingresso.

«L'Uomo delle falene.» bisbigliò. E, in quell'istante, il portone si richiuse con un rumoroso tonfo alle nostre spalle. Sussultammo tutti insieme, André a parte, forse.

«Ottimo segno, davvero.» borbottò sarcastico Cyran, facendo un paio di passi avanti. Aprì la mano e dentro al suo palmo galleggiò una palla di fuoco, che lanciò verso il fondo del corridoio. Eppure, invece che illuminare la zona, l'oscurità si accalcò intorno alla luce e la risucchiò, estinguendo velocemente le fiamme. «Tsk.» Non sapevo se fosse più sorprendente quello, o il fatto che il mercenario sapesse finalmente controllare i suoi poteri.

«Andiamo avanti... L'importante è restare uniti.» dissi.

Le ultime parole famose. Avrei dovuto tacere, ma non avevo idea di quello che sarebbe successo di lì a poco. I nostri passi rimbombarono inquietanti, risuonando come il battito di un tamburo e riecheggiando contro le pareti, formando l'eco. Pietra e oscurità. Non c'era nient'altro, e l'idea che Aeline fosse morta da sola in un posto da incubo come questo mi fece contrarre lo stomaco dalla rabbia e dal dolore.

Pietra e oscurità. E il suono dei nostri respiri, che si accalcavano un passo dopo, proseguendo spalla contro spalla all'interno del corridoio immerso nelle tenebre. Una sensazione terribile iniziò a martellarmi le tempie: angoscia crescente e pericolo. Mi strinsi più forte al fianco di Cyran.

Poi, accadde. Con uno scricchiolio di pietre, le pareti e i pavimenti si spostarono intorno a noi, muovendosi come se il castello fosse vivo. Un buco enorme si aprì sotto i piedi di Rhod, che venne risucchiato verso il basso. Un muro cadde dall'alto e dovetti precipitosamente distaccare la mia mano da quella di Cyran, creando spazio fra noi, lì dove le pietre atterrarono con un boato assordante.

«FRANCIS!» sentii urlare il mio nome, ma le pietre sulla parete alla mia destra si erano già spostate creando una porta ad arco e una forza invisibile mi spinse al suo interno, in un altro corridoio buio e vuoto.

«Cyran!» gridai, cercando di ritornare sui miei passi senza successo, perché il varco da cui ero passato si era appena richiuso. Picchiai i pugni contro il muro, fino a sentire male dentro alle mani. Il suono della sua voce si affievoliva sempre di più. «CYRAN!» Anche la mia divenne irraggiungibile.

Una fredda paura mi penetrò nelle ossa e dovetti strofinarmi le mani contro le braccia per scacciare la pelle d'oca, guardandomi intorno. Con la coda dell'occhio, mi resi conto che in fondo al corridoio, dietro di me, c'era qualcosa che si muoveva. Non osai voltarmi ma indietreggiai di schiena alla parete, mentre quella massa informe e oscura, più nera della notte, si agitava come un grumo di mosche ai lati del mio campo visivo.

Portai la mano al fianco, lì dove avevo la spada. La spada! Accidenti. Nel tentativo di recidere la lingua al drago, mentre la bestia si scuoteva, l'arma mi era scivolata ed era caduta nel fondo della sua gola, andata persa nella sua carcassa carbonizzata, probabilmente fusa insieme al resto.

Un istinto di sopravvivenza disperato mi spinse ad iniziare a correre, più veloce di quanto avessi mai fatto in vita mia. Sentivo che, alle mie spalle, quell'orrore strisciante e tenebroso mi stava inseguendo, ma io non dermodevo, anche se risentivo della stanchezza del viaggio: avevo i piedi a pezzi, i muscoli in fiamme, una sete infernale e una fame da capogiro.

Feci strisciare le mani contro le pareti di pietra, in cerca di un punto d'accesso secondario. Svoltai oltre il corridoio, solo per ritrovarmi in un vicolo identico al precedente. Porte nere iniziarono ad apparire dal nulla sui muri ed io ne aprii una a caso, infilandomi all'interno. Solo per rendermi conto che entravo in corridoi esattamente uguali a quelli già oltrepassati. Era come se girassi costantemente in tondo e una porta dopo l'altra, fossi sempre al punto di partenza. Ad ogni porta che superavo, però, l'ombra alle mie spalle si avvicinava.

E proprio adesso incombeva dietro di me, a pochi metri di distanza. Era come cercare di scappare dal mostro in un incubo: non importava quanto ti agitassi. Lui sapeva sempre dov'eri e come raggiungerti. Perché era dentro alla tua testa.

Cercai di non cedere al terrore crescente e di attingere a piene mani alla mia adrenalina, l'unica cosa che riusciva a farmi correre come se avessi le ali ai piedi. Finché le porte alle pareti non finirono e il corridoio non si chiuse in un vicolo cieco.

No.

Feci strisciare le mani sul muro, tastando con le dita in cerca di un passaggio segreto o magari un segno di cedimento. Un punto dove, colpendo, qualcosa sarebbe crollato. Il panico crebbe quando mi resi conto che non c'era niente. «No... no, per favore...» ansimai, ficcando le unghie negli interstizi dei mattoni e graffiando, senza successo.

Quella cosa, alle mie spalle, si avvicinava. La sentivo ronzare e sibilare come uno sciame e scrocchiare e spezzarsi come ossa rotte.

«Francis...» Ebbi un sussulto. Era la voce di Cyran. Eppure, aveva qualcosa di oscuro, qualcosa di disturbante, che non mi fece fremere come quando lui chiamava il mio nome. Mi si congelò il sangue nelle vene, restando con la faccia incollata al muro, a fissare le pietre, con il cuore in gola e il respiro che mi vibrava nelle orecchie, incontrollato.

«Francis... Guardami.» mormorò, alle mie spalle, troppo vicino alla mia schiena. Sentii le mani sudare copiosamente e tremare a tal punto che dovetti serrarle a pugno.

«Francis.» Una pausa, appesantita dal silenzio assordante che ci circondava. «Ti amo.»

Non fui capace di controllarmi. I miei occhi si sgranarono e il mio busto roteò su se stesso, come se sentisse il bisogno feroce di guardarlo negli occhi mentre mi diceva quelle parole che mai aveva osato pronunciare. Eppure, quando mi voltai a vedere, il mio sguardo si bloccò su una mostruosità inenarrabile. 

Aveva arti lunghissimi, scuri, fatti di sciami di farfalle e falene compatti come pelle, ma ogni tanto esse sussultavano, vibravano, si spostavano quel tanto per delineare la forma di un viso, di un naso, di un sorriso inquietante.

Il mio urlo lacerò l'aria e, quando spalancai la bocca, l'esercito di farfalle e falene mi assalì, trasformandosi in mosche. Mi si ficcarono nelle labbra, nelle narici, nelle orecchie, soffocandomi, sopraffacendomi, affogandomi. I miei occhi si rovesciarono all'indietro mentre cadevo, come a rallentatore, e il mondo perdeva i suoi contorni.

Finché la tenebra non si appropriò di me completamente e ogni cosa fu oscurità.


❧❧


Un urlo mi morì in gola nell'esatto momento in cui mi resi conto che ero sveglio e non riuscivo a parlare. Non riuscivo neanche a muovermi. Ma dondolavo, lentamente, pur essendo totalmente bloccato dai piedi a metà volto. Qualcosa aveva appena urtato contro di me e, terrorizzato, mi resi conto che ero appeso a testa in giù. A colpirmi era stata un'enorme crisalide nera, lo stato larvale in cui si avvolgevano le farfalle, appesa accanto a me.

Materiale appiccicaticcio e scuro, come il catrame, avvinghiava anche il mio di corpo, tenendomi intrappolato dentro a quel disgustoso bozzolo d'insetto. Inspirai violentemente col naso, rendendomi conto con profondo orrore che, dentro alla crisalide che mi aveva colpito, c'era Cyran.

Mi fissò intensamente e, quando si rese conto che finalmente ricambiavo il suo sguardo, notai il sollievo luccicare in fondo alle pupille. Un mugolio disperato attirò l'attenzione vicino a me e, muovendo i fianchi per far roteare il bozzolo in cui ero intrappolato, notai finalmente Rhod.

Muoveva gli occhi, insistentemente, alla ricerca di André, ma intorno a noi c'erano solo vecchie crisalidi, riempite da cadaveri rinsecchiti di mostri e di persone che dovevano essere lì praticamente da secoli. Dell'erborista non c'era traccia.

Ritrovai lo sguardo di Cyran, che mi rivolse una domanda muta, mentre le sue iridi sfrigolavano come lava ardente. Mossi la testa in un rapido cenno d'assenso e, un secondo dopo, i tre bozzoli che ci intrappolarono presero fuoco, liberandoci all'instante. Mi riparai la testa fra le braccia, mentre rovinosamente atterravo di testa sul pavimento in pietra.

«Stai bene?» domandò, preoccupato e arrabbiato insieme, guardandosi intorno. Quella stanza era un cimitero di bozzoli per cadaveri. «Quella merda di coso mi ha ingannato...»

Una risata insidiosa e cattiva, simile ad un ronzio, ad un raschiare aspro, pervase l'aria intorno a noi. Rhod tremò dalla testa ai piedi, stringendosi vicino a me e Cyran. Come io mi strinsi a loro, sentendo la pelle accapponarsi e tutta la mia anima rigirarsi su se stessa come un calzino, sapendo che sarebbe accaduto qualcosa di brutto, di lì a poco. Affondai la mano in quella di Cyran, intrecciando le mie dita sudate alle sue.

Poi, dall'oscurità nella stanza, emerse una figura. Indossava un completo elegante, come quello di un nobile dell'alta società, ma dal colletto della camicia e dai buchi delle maniche e pantaloni, invece di mostrare un corpo umano, aveva solo falene e farfalle nere compresse in una specie di sagoma umanoide. Minuscoli insetti svolazzanti battevano le ali e nell'istante in cui si separavano leggermente dai propri compagni, uscendo dai ranghi, si tramutavano in mosche morte e cadevano a terra.

Mosche morte. Come quelle che avevano tappezzato la stanza di Aeline, il giorno in cui era stata rapita.

Cyran non perse tempo: con un ringhio, diede fuoco alla creatura, ma proprio nell'istante in cui divampava, l'Uomo delle Falene si teletrasportava in un altro punto della stanza, intorno a noi. Veniva a malapena colpito: degli attacchi del corvino, rimanevano solo una manciata di mosche carbonizzate sul pavimento. Era uno spettacolo raccapricciante.

«Finalmente siete arrivati.» La sua voce era orribile. Mi entrava nelle orecchie lasciando dentro di me un senso di violazione profonda. Brividi e ondate di nausea mi fecero sudare freddo. Quell'essere puzzava di marcio e di morte. Di carne in putrefazione e larve. «Vi ho aspettato a lungo.» Ci aspettava? «Oh sì.» Mi rispose, come se fosse in grado di sentire quello a cui stavo pensando. Per poco non vomitai.

«Un semidio in carne ed ossa... E il principe tanto amato dalla mia principessa.» Impossibile dire che espressione avesse, visto che non aveva una faccia, ma il tono era di oscura soddisfazione. «Adesso che ho te, potrò ottenere da lei tutto quello che voglio.» Il peso di quelle parole mi colpì a fondo. Dapprima, compresi che quella mostruosità aveva un piano preciso per me e che, arrivando lì, avevamo fatto proprio ciò in cui sperava.

Poi capii che, secondo il ragionamento dell'Uomo delle Falene, Aeline era ancora viva.

«E il mago.» La creatura voltò la testa in direzione di Rhod, che tremò a tal punto che le gambe gli cedettero e cadde col sedere per terra. «Devo ringraziarti per ogni cosa. Se non fosse stato per te, niente di tutto questo sarebbe mai accaduto!» Mi ersi vicino al brunetto, cercando di proteggerlo mentre quella Cosa si avvicinava, nello stesso modo in cui Cyran si parò davanti a me, facendomi da scudo.

«Ma loro non lo sanno, vero?» Continuò, suscitando in me profonda paura. «E' giusto... Non lo sai nemmeno tu. Lo hai dimenticato. Ma adesso, oh, è arrivato il momento di ricordare, Rhoderick. Lasciamo che tutti sappiano la verità.» Si avvicinò, un passo dopo l'altro, al piccolo mago che stavo cercando di proteggere.

«Non lo toccare!» urlai, proprio mentre Cyran mi stritolava un polso per farmi star buono e l'essere si chinava davanti a noi, tendendo il braccio. Allungò un dito fatto di insetti e ali e mosche e oscurità.

Un istante prima che toccasse la fronte di Rhod, l'ennesima porta apparve dal nulla nella parete alle spalle del mostro e André e la principessa entrarono, arrancando all'interno della stanza. Non ebbi il tempo di dire niente, di scandire il nome di Aeline, di correre verso di lei. Il dito dell'Uomo delle Falene sfiorò la testa del mago.

Poi, fulminante e terribile, tutti quanti in quella stanza la vedemmo. La verità.    




❧❧❧
*N D A* 

Hola!
E' ufficiale: mancano solo tre capitoli alla fine! Per me che sto portando avanti questa storia da tantissimo tempo (cavoli, era il 2016 quando l'ho iniziata, un tempo in cui ancora non sapevo dove Per arrivare a Lei mi avrebbe portato) è veramente un eventone e non sto nella pelle adesso che siamo praticamente alle ultime battute. Prevedo di concluderla entro la fine di marzo/l'inizio di aprile, perciò restate con me ancora per un po' <3

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