33. Il tuo peggior nemico è la Paura
Rhod
La foschia mi inghiottì.
Ben presto lo scalpiccio dei passi dei miei compagni di viaggio e il ringhio sinistro del Wendigo scomparvero e io restai solo. Volevo seguire André, nel suo stato lasciarlo da solo era una pessima idea, ma non avevo idea della direzione che aveva preso. Anche se mi guardavo intorno, notavo solo alberi contorti che si perdevano a vista d'occhio e nebbia così fitta che poteva essere tagliata con un coltello.
Il silenzio era diventato impenetrabile, così profondo da far paura. Cercai di controllare i tremori del mio corpo e di evitare di considerare le mille cose che si nascondevano fra gli arbusti e che avrebbero potuto uccidermi.
Perché, se mi ci soffermavo, iniziavo a sentire il bisogno di vomitare ed era già abbastanza difficile respirare per permettermi di farlo. Inalai una profonda boccata d'aria, puntando il fermaglio di vetro soffiato in direzione del bosco, solo per capire in che punto del sentiero inoltrarmi. Era l'unico modo che avevo per orientarmi.
Sentivo il pressante collegamento con la principessa e, se socchiudevo gli occhi, un filo invisibile si sollevava come un nastro, puntato davanti a me, a segnare il percorso. Solo per un attimo, mi soffermai sull'ultimo sogno-visione che mi aveva attraversato. Se la principessa era davvero morta, non ero sicuro che quella magia avrebbe funzionato. Gli incantesimi di localizzazione non funzionavano sulle persone morte. Oppure mi sbagliavo e mi stavo avvicinando al suo cadavere?
Scossi la testa, scacciando l'immagine raccapricciante di quella ragazza con gli arti tutti ritorti su se stessi, deglutendo. Avevo i brividi, nonostante facesse un caldo infernale. I miei passi scricchiolavano sulla terra ricoperta di fogliame secco e ramoscelli e il suono del mio cuore rimbombava dentro alle orecchie.
«A-a-andré?» balbettai, sentendo un fruscio molto vicino provenire dagli alberi. Avevo l'impressione che il cuore mi stesse per scoppiare nel petto. Il mio amato erborista non venne fuori.
Impallidii. Qualsiasi cosa doveva essere stata, non era lui. Perciò, affrettai il passo, continuando a seguire la scia indicata dall'incantesimo. Solo per un momento mi concessi di pensare a Francis e Cyran: sperai riuscissero a rintracciarmi. Dividersi all'interno della selva del Caos sembrava un ottimo modo per perdersi per sempre. E se il mercenario, coi suoi poteri e le sue abilità in combattimento poteva cavarsela, il principe sarebbe stato nei guai.
Le mie elucubrazioni si fermarono quando avvertii di nuovo un fruscio. Mi ficcai il fermaglio nella tasca del farsetto e congiunsi i palmi delle mani, pronto ad attaccare, mentre mi giravo a guardare di nuovo nel punto da cui avevo sentito il rumore.
Il mio stomaco si fece di piombo e il mio sangue di ghiaccio.
«No... No no...» ansimai, indietreggiando, terreo in viso.
Di fronte a me c'era un uomo, benché chiamarlo in quel modo fosse un eufemismo. Indossava un completo scuro ed elegante, con un panciotto e pantaloni dal taglio dritto. Dal collo e dai polsini della camicia, al posto della testa e delle mani, fuoriuscivano sciami di falene e farfalle, che sbattevano violentemente le ali scontrandosi le une contro le altre, fino a cadere verso il terreno, trasformandosi in mosche morte.
Quell'essere abominevole che aveva popolato i miei incubi era lì, di fronte a me.
Anche se credevo che mi avrebbe aspettato ovunque fosse la principessa. Invece mi sbagliavo. Era venuto a darmi il benvenuto. Era venuto a prendermi.
«S-stai lo-lontano!!» gridai, facendo piroettare le mani nell'aria, che si condensò fino a raggiungere una consistenza affilata: quando la scagliai contro il mostro, mi aspettai di vedere che quel fascio di vento compresso tagliarlo in due. Invece gli passò semplicemente attraverso, come se l'Uomo delle Mosche fosse semplicemente un fantasma.
Emisi un urlo strozzato: si stava avvicinando. E lo faceva troppo velocemente. Strinsi i pugni, intrecciando le dita e poi facendo scattare le braccia verso l'alto, come una battuta di palla-volante. Globi di terra si staccarono dal suolo e si lanciarono contro la creatura, esplodendogli addosso in bombe di fango.
Tutto gli passò attraverso, come se fosse intoccabile.
Gelato dalla paura, gli diedi la schiena ed iniziai a correre. Il mio cuore batteva forte come un tamburo, un bum-bum-bum instancabile che scandiva il rumore dei miei passi precipitosi, uno dietro l'altro. Non ero sicuro che sarei riuscito a seminarlo. Come nei miei sogni, non importava quanto corressi.
Lui era sempre dietro di me, funesto come una promessa di morte definitiva. Mi lanciai uno sguardo da sopra alla spalla, solo per notare che si era fatto più vicino. Il terrore minacciò di inghiottirmi intero e dovetti tornare a guardare di fronte a me. Ma non abbastanza in tempo per evitare la caduta.
Affondai in una pozza di melma nera fino alla vita. «Oh no, no no, vi prego no!» ansimai, agitandomi nel fango. Non riuscivo a muovermi. Ero bloccato, perché quella non era una semplice palude... Erano sabbie mobili.
Agitai le braccia, lasciandomi andare alla forza schiacciante del panico, ma ogni movimento convulso mi faceva cadere più a fondo. Quando mi voltai verso la riva paludosa, notai che l'Uomo delle Mosche era sparito. Mi guardai intorno, a destra e a sinistra, ma non ce n'era più traccia.
Quasi che la sua unica funzione fosse farmi cadere nelle melma.
Non che importasse. Potevo controllare gli elementi intorno a me. Ciò significava che potevo liberarmi dalle sabbie mobili. O almeno, così credevo. Poi sentii qualcosa afferrarmi le caviglie. Una presa violenta che si trasformò in un dolore agonizzante. Mi misi ad urlare.
«A-a-aiu... AIUTO! AIUTATEMI!» gridai, col dolore lancinante che si diffondeva insieme alla sensazione che mi stessero strappando le gambe a morsi, mentre venivo trascinato a fondo nel fango. Mi aveva ormai raggiunto il mento.
Disperato, alzai le mani verso l'alto, facendo combaciare le punte degli indici, da cui sparai una luce di segnalazione. Un fiotto di energia magia, azzurra e sfavillante, si fiondò fra gli alberi e poi esplose in cielo come un fuoco d'artificio, facendo un fracasso tremendo.
Sapevo che avrei attirato l'intera popolazione di mostri del Regno del Caos. Ma avrei anche richiamato i miei amici.
Poi, la melma mi coprì la testa.
❧❧
André
La foschia mi inghiottì.
Barcollai in avanti, sbandando un passo dopo l'altro, mentre mi aggrappavo agli alberi intorno a me, stando attento a non toccare il muschio urticante cosparso sulle cortecce. Appoggiai la schiena contro un arbusto e cercai di concentrarmi sul mio respiro. Il trucco era prendere l'aria un poco alla volta, cercando di non sforzare troppo i polmoni indolenziti.
Qualsiasi cosa mi avessero somministrato in quel mondo parallelo, aveva fatto un lavoro sufficiente a tenermi in piedi. Ma nel Caos l'aria era rarefatta, da un occhio continuavo a non vedere quasi nulla e avevo perso una dose sufficiente di sangue da farmi girare la testa. Tutto ciò che avevo mangiato e bevuto l'avevo vomitato e gli ultimi liquidi rimasti nel corpo li stavo copiosamente sudando a causa del caldo umido e appiccicoso.
E nonostante stessi soffrendo, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento, era Rhod.
Diedi uno sguardo alla situazione nei dintorni: solo un banco di nebbia grigia, fitta come una coperta, che ricopriva ogni cosa, impedendomi di guardare oltre cinque metri di distanza.
«Rhod?» sibilai, a voce bassa, azzardando qualche passo alla mia destra, dove ero convinto che fosse scappato il mago. Solo dopo qualche secondo mi resi conto che non ne avevo alcuna idea precisa.
Avevo perso il senso dell'orientamento perché gli alberi sembravano tutti uguali e non c'era alcuna variazione di luce nel cielo. Impossibile capire la direzione del sole. Ma avevo vissuto nelle foreste impervie per tanto tempo, avevo imparato ad adattarmi e a spostarmi attraverso dei trucchi infallibili. La posizione dell'acqua, per esempio. Oppure, più facile ancora, il muschio sugli alberi. Il modo in cui erano sistemati sulle cortecce faceva capire in che direzione puntava il nord.
Mi avvicinai ad un tronco per esaminarlo bene sotto lo sguardo analitico di un solo occhio funzionante... Poi mi resi conto che le condizioni climatiche di questo posto erano totalmente sballate. La natura non seguiva un senso o una normale logica.
Ogni albero forniva un'idea diversa circa la strada da prendere o la via verso il nord. Non era affidabile. Niente lo era. Sembrava che il Caos fosse progettato per uccidere chi ci si addentrava.
Come se il mondo attorno a me avesse recepito i miei pensieri, udii uno scricchiolio sinistro in fondo agli alberi più visibili fra la nebbia. Non domandai chi fosse. Ero sicuro che non si trattasse di uno dei miei compagni di viaggio: sarebbe uscito fuori dalla nebbia e mi avrebbe chiamato. Invece, non si mosse nulla.
C'era talmente tanto silenzio - profondo, intenso ed inquietante - che avrei potuto avvertire il volo di un moscerino. Mi appiattii contro un albero, immobile come una statua di cera, aspettando di capire cosa fosse la causa di quel crepitio e quello strisciare di unghie sulle cortecce. Quando non accadde nulla, uscii allo scoperto.
Mi concessi un sorso d'acqua e, proprio mentre stavo rimettendo a posto la borraccia di pelle, notai con la coda dell'occhio un movimento. Drizzai la testa, le narici dilatate per via di quella familiare e nauseante acqua di colonia, il sudore che mi si gelava sulla nuca appiccicandomi i capelli contro al collo, il cuore che mi cadeva sotto agli stivali.
Lo riconobbi immediatamente.
Austero ed elegante, di bell'aspetto, con un portamento che sprizzava alterigia, i capelli impomatati e un paio di occhialetti tondi come fondi di bottiglia, inforcati sulla radice del naso. Identici ai miei. Mio Padre era fuoriuscito dalla nebbia e veniva verso di me col suo sorriso accomodante e malato, quello che sfoggiava quando voleva convincermi a bere un preparato pieno zeppo di veleno, che sapeva mi avrebbe ridotto lo stomaco in pappa.
La mano corse all'impugnatura dell'accetta che tenevo appesa al fianco. Le dita strinsero il manico di legno con così tanta forza che le nocche sbiancarono più dello stesso pallore mortale della mia pelle.
Sapevo che ciò che stavo vedendo era impossibile. Padre era morto. Lo avevo visto bruciare insieme al resto della sua fattoria degli orrori, a Madre e a Sun. E anche nel caso estremo in cui fosse sopravvissuto, sarebbe stato molto più vecchio di come appariva adesso. Era evidente che fosse un trucco.
Una malvagia malìa perpetrata dal Regno del Caos. Un altro modo per farci impazzire. E ci stava riuscendo, a giudicare dal modo in cui reagiva il mio corpo. Il cervello sapeva che fosse una bugia, ma ogni fibra del mio essere, che provava dolore ed era giorno dopo giorno vessata dai sintomi di un avvelenamento che lui mi aveva causato, credeva fosse vero.
E ne aveva paura. E lo odiava.
Brandii l'arma davanti a me. «Avanti. Vieni, Padre.» dissi, il volto imperturbabile, benché duro come il marmo, una faccia che ricordava perfettamente un calco funebre. Ansia, disprezzo e gelo si agitarono dentro di me come un tornado che spazza via il mondo intero.
Non ero il diretto colpevole della sua morte, perciò vederlo avvicinarsi e comprendere la possibilità di ammazzarlo con le mie mani aveva qualcosa di catartico. Anche se la sua sola presenza, seppur fittizia, mi terrorizzava. Mi ricordava ogni cosa. Ogni taglio di seghetto nell'epidermide. Ogni cucchiaiata di marmellata e vetro polverizzato in gola. Ogni mozzicone di sigaro spento addosso.
«VIENI! COSA STAI ASPETTANDO?!» gridai, furibondo, lanciandogli contro l'accetta, che ruotò su se stessa e gli passò attraverso, andandosi a conficcare nell'albero dietro di lui. Il mio cuore perse qualche battito. Era un fantasma? Una creatura venuta a perseguitarmi? O a ricordarmi che, anche adesso che ero diventato grande, quel mostro di Padre rimaneva invincibile?
C'era un'ironia talmente malvagia e perversa nella cosa che l'imperturbabilità dentro di me si crepò. Con tutte le forze che avevo mi lanciai addosso a lui, sperando di sfondargli la faccia con tutti i pugni che ero in grado di dargli. Volevo sentirlo impattare contro al mio corpo e distruggerlo con le unghie e con i denti, smembrandolo finché di lui non rimaneva più nulla.
Eppure, lo oltrepassai - la sensazione fu di camminare in mezzo al fumo - e mi schiantai lungo il terreno. Sbattei un pugno contro al fango, restando a terra. Era solo un'illusione. E nonostante ciò era stata in grado di farmi produrre abbastanza chiasso da attirare contro di me qualsiasi mostruosità nascosta nella foresta. Ancora a terra, boccheggiai a fatica per recuperare fiato.
Mi ero agitato tanto da dimenticarmi che l'aria era rarefatta. Col fiatone, riuscivo a malapena a respirare. Mi strinsi una mano sul cuore, voltandomi a pancia in su: Padre era sparito, al suo posto il bosco si era riempito di fruscii sinistri e versi mostruosi. Ecco a cos'era servita, quell'apparizione. A mettermi nei guai, a farmi vacillare, ad attirare il vero pericolo.
Non sarei riuscito ad affrontarlo per tempo. Non ero in grado di tornare in piedi. Ma poi...
BANG!
Un'esplosione illuminò il cielo, spalacandosi in un fuoco d'artificio azzurro. Strabuzzai gli occhi dietro alle lenti, mentre una pioggia di luce scese fra gli alberi e mi raggiunse, raggomitolandosi in un'unica sfera blu scintillante. L'energia magica di Rhod.
Rhod era in pericolo.
Quella consapevolezza mi fece arrancare in avanti: puntellai il peso del corpo sui piedi e mi aggrappai ai rami dell'albero più vicino. Sentii le bolle pruriginose diffondersi sulle dita, ma ignorai quel dolore perché la determinazione era ben più forte: riuscii a sollevarmi sulle gambe deboli. Strappai l'ascia dalla corteccia in cui era rimasta conficcata e, seguendo la sfera di luce che galleggiava vicino a me, mi addentrai nel bosco.
❧❧
Cyran
La foschia mi inghiottì.
«Dai! Vieni bastardo!» gridai, con un sorriso spericolato, correndo a tutta forza mentre il Wendigo mi inseguiva, camminando a quattro zampe veloce come il vento: l'unica cosa che mi faceva guadagnare terreno erano le sue grandi corna da cervo, che lo facevano rimanere impigliato ai rami ogni santa volta.
«Aahh, questa non te l'aspettavi, eh stronzone?!» lo derisi, mentre ringhiava, rimasto intrappolato fra due arbusti stretti. «Ma quanto mi dispiace!» Si districò recidendo i rami con gli artigli affilati, in un sol colpo. «Caaazzo.» Ecco, nemmeno io mi aspettavo che quelle unghiette riuscissero a tagliare i tronchi spessi d'albero in due, quasi fossero fatti di burro.
Continuai a precipitarmi in mezzo al bosco, inalando la nebbia e l'aria rarefatta senza incontrare alcun problema, completamente parte di quel mondo malsano che mi circondava. Abbassai la testa sotto ai rami scoscesi, saltai i massi resi scivolosi dal muschio e, in mezzo ad una radura, mi fermai. Avevo abbastanza spazio di manovra per usare lo spadone.
Lo tirai fuori dal fodero sulla schiena e lo roteai sulla testa. Il vento mi rispose con un sibilo soddisfacente, mentre molleggiavo le gambe, pronto a scattare. La bestia mi raggiunse, cigolando sulle caviglie come un vecchio mobile. Mi scagliai contro di lui nello stesso momento in cui lui si lanciò su di me: la lama impattò contro il suo collo.
E non successe niente.
Invece, i suoi artigli mi squarciarono il petto: scattai indietro appena in tempo perché mi tagliasse a fettine. Era comunque riuscito a stracciarmi la cotta di maglia e ad aprirmi tre ferite profonde sui pettorali, facendo schizzare il mio sangue a terra. Molto pericoloso. Ne bastava una goccia per essere fiutato da qualsiasi altra cosa si nascondesse nei boschi. E io sapevo che c'erano davvero tante cose brutte.
«Ti piace fare il difficile.» sbeffeggiai, indietreggiando mentre rimettevo la spada al suo posto, trasversalmente sulla schiena. Aveva la pelle troppo dura per riuscire a tagliarla. Ma avevo altri strumenti nel mio mazzo da sfoderare.
I miei occhi lampeggiarono come due braci ardenti e non mi servì muovere le mani, stringere i palmi o agitare le dita in quella maniera ridicola con cui i maghi si atteggiavano. Mi bastò guardare intensamente il Wendigo affinché si accendesse come una fiaccola nella notte. Non che avessi il controllo su quel potere.
Non fu solo la bestia ad avvolgersi di fiamme: anche gli alberi intorno a me e il muschio sul terreno. Ma nel Regno del Caos potevo scatenarmi quanto volevo. La foresta non sarebbe mai andata in fiamme: questo luogo era senziente. Si sarebbe spento da solo. E, anche se avessi incendiato ogni centimetro di quella selva, avrei fatto un favore a tutti quanti. Sperando che nessuno dei miei amici ci restasse invischiato.
«Sì! Brucia bastardo, brucia!» esclamai, vedendo il mostro agitarsi su se stesso come un ragno agonizzante, le braccia lunghe che si muovevano spasmodicamente e il corpo che rotolava nel tentativo di spegnersi. Ma anche il suolo andava a fuoco. Io ci camminavo in mezzo, intoccabile, percependo a malapena il calore.
Fu in mezzo alle lingue di fuoco e alle spirali di fumo che lo vidi. Era un bambino, con le mani pesantemente fasciate e il volto feroce, un'espressione così strana da vedersi sulla faccia di un moccioso. Eppure, con lui, era maledettamente coerente.
«Drabel...» sussurrai. Lo avevo già incontrato nel sogno-trappola di Somnus, quando il principino era stato rapito dai suoi seguaci malefici e io, per salvarlo, dovevo raggiungerlo nel mondo onirico. Lì dentro venivo perseguitato da tutti i fantasmi del mio passato. E c'era anche Drabel. La mia prima vittima. Quello che per un bel po' di tempo mi aveva perseguitato nei miei incubi e su cui avevo speso un sacco di birre, pur di non ricordarmi la sua faccia.
Ma ricordavo tutto.
Ero appena sbarcato sulle coste del regno di Akra, ma nessuno ancora conosceva il mio nome. Non ero nessuno, e quando non sei nessuno puoi diventare chiunque tu voglia. Per chi mi guardava, ero un bel ragazzo sui quindici anni, uno straniero con un bizzarro accento venuto da chissà dove che, ad un certo punto, era stato ritrovato in mare aperto ed era salito su un peschereccio che era arrivato lì.
Un ragazzo che aveva un sacco di possibilità davanti... E che scelse di essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Stavo camminando per le vie, curioso di come funzionasse fra i comuni mortali. Insomma, gli umani erano così numerosi. Popolavano le strade e i vicoli senza preoccuparsi di niente. Ridevano, chiacchieravano, bevevano, piangevano, facevano l'amore. Erano vibranti di una vita che non avevo mai visto e di cui ero affamato.
Ma erano anche violenti. Mi ero appena addentrato in un vicolo di periferia, solo per vedere un ragazzino robusto, tutto vestito di stracci, che picchiava selvaggiamente un altro bambino senza nessun buon motivo al mondo.
«Ti prego, Drabel! I soldi te li darò domani! Mia madre non ne aveva!» strillava l'altro, riprendendo fiato dopo un calcio nello stomaco, con la schiena al muro, gli occhi pieni di lacrime e il moccio al naso.
«Dovevi solo frugare meglio in casa, sgorbio!» disse il ragazzaccio, ben più piccolo di me ma feroce come una bestiaccia, caricando di pugni il mingherlino che aveva messo all'angolo.
«Ehi! Ma che stai facendo? Fermo!» esclamai, agitato e arrabbiato. Possibile che gli umani si facessero del male a vicenda per così poco? Non era strano? Drabel spostò la faccia verso di me, lanciandomi uno sguardo torvo.
«E tu che cazzo vuoi? Levati di torno! Queste sono le mie strade!» ringhiò, sputando a terra. Per avvalorare ciò che aveva detto, fiondò un altro pugno sul faccino del piccoletto, rompendogli il naso.
«Ho detto FERMO!» sbraitai, lanciandomi sopra di lui. Gli afferrai le mani: volevo solo arrestare la sua pioggia di pugni. Volevo solo che si desse una calmata. Volevo solo che mi spiegasse perché picchiava così violentemente un altro bambino, perché volevo capirlo. Tutto qui.
Ma quando gli strinsi i polsi, le sue mani presero fuoco. Lo mollai immediatamente, indietreggiando sconvolto, mentre Drabel gridava come un dannato, lo stesso suono orrendo che facevano le bestie mandate al macello.
«Mostro! MOSTRO! Lo dirò a tutti! Lo sapranno tutti! Ti daranno la caccia, MOSTRO!» Con le mani contro al petto, si mise a correre verso il fondo del vicolo.
Il mio cuore perse qualche battito. Ero mostro? Mi avrebbero dato la caccia? E se mi avessero preso, mi avrebbero rispedito da dove ero arrivato? Non potevo tornare in quel posto. Non dopo tutto quello che avevo fatto per fuggire.
«Mi dispiace! Aspetta! ASPETTA!» Lo rincorsi, raggiungendolo facilmente perché ero molto più forte e più veloce di un comune mortale. Ma proprio per questo ero incontrollato. Gli poggiai una mano sulla spalla per fermarlo.
Volevo solo fermarlo.
Invece, quando la mia mano gli toccò la pelle, prese fuoco. S'incendiò come un albero colpito da un fulmine, avvolto da fiamme talmente alte che la puzza di carne bruciata e il fumo attirò tutti. Li sentii urlare, mentre io ero rimasto paralizzato a guardare, scioccato. Pieno di orrore.
Poi mi voltai e corsi via. Ovunque potessi nascondermi per non sentirmi il mostro che ero.
«Cazzo... Cos'è questo nuovo giochetto perverso?» sibilai, avanzando nel bosco in fiamme, il fumo che si avviluppava intorno alla mia figura come se ne fosse attratto. Sapevo che quel ragazzino che mi fronteggiava non poteva essere veramente la mia prima vittima. Visto che Drabel era morto.
«Lo so cosa stai facendo, Caos di merda! Vuoi fottermi il cervello, forse?» urlai, col capo rivolto verso il cielo. «Mettiti in fila! C'è già arrivato Somnus prima!»
Eppure, più guardavo quel bambino, la cui pelle rosa diventava man mano nera, carbonizzata sotto i miei occhi, più un senso di disgusto e paura mi si diffondeva dentro. Dovetti distogliere lo sguardo e tapparmi le orecchie, cercando di non sentire quelle voci - mostro mostro mostro! - che mi scavavano nei canali uditivi.
«Vaffanculo!» sibilai, correndo via, lasciandomi alle spalle la radura incendiata, che molto presto venne nascosta da banchi di nebbia spessa. Non si vedeva nemmeno più il luccichio arancione delle fiamme. Mi lanciai uno sguardo alle spalle, ma anche Drabel era sparito.
BANG!
Il rombo di un'esplosione improvvisa mi fece sobbalzare: cos'era tanto forte da penetrare perfino nella nebbia del Caos? Un fuoco d'artificio luccicante splendette nel cielo grigio, mentre una pioggia di luce cadeva fino ad arrivarmi quasi addosso.
Bagliori luminosi si conglomerarono in una sfera che ronzò davanti al mio naso. Possibile che fosse la magia di Rhod? Che fosse un modo poco intelligente per farci ritrovare?
Aveva appena allertato tutta la selva intera, quello era sicuro. «Porca miseria...» imprecai, seguendo di corsa la direzione dove la luce mi stava portando. Avrebbero presto avuto bisogno di un mercenario a cui far menare le mani.
❧❧
Francis
La foschia mi inghiottì.
Cercai di tenere a bada l'agitazione, ma l'idea di essere rimasto solo in mezzo ad una terra ostile mi fece tremare le gambe. Ma dovevo avere coraggio, mi ricordai. Perché se perdevo quello, mi sarei lasciato andare al panico. Invece, dovevo pensare lucidamente ed intelligentemente.
Speravo solo che agli altri non succedesse niente di brutto: in fondo, era colpa mia che ci eravamo divisi. L'avevo capito che Cyran aveva adottato quella strategia solo perché il mostro aveva puntato me. Lo aveva fatto per salvarmi, ma così facendo anche Rhod e André si trovavano in pericolo.
Sentii una stretta al cuore all'idea del povero erborista, solo in quelle condizioni. Dovevo fare qualcosa per ritrovare la strada da cui ero venuto. Immaginai che, nella mia corsa sfrenata verso una salvezza fallace, avessi lasciato delle tracce a terra. Ma non ero per niente bravo ad individuarle: non ero come l'erborista o Cyran, che riuscivano a cavarsela in qualsiasi situazione.
Nonostante ciò, non mi diedi per vinto. Mi accovacciai per dare un'occhiata al suolo, sperando di aver lasciato almeno delle orme visibili sul terreno. Ma niente. Non c'era nessuna impronta di stivali, solo muschio urticante, massi, rami. Il silenzio era spaventoso: niente uccellini, né vento, né acqua sgocciolante.
Era come se il mondo intero stesse trattenendo il respiro.
Poi, un fruscio sinistro da qualche parte alle mie spalle. Impallidii, estraendo con un sibilo di ferro lo spadino che portavo al fianco. Qualsiasi cosa si celasse nella nebbia, poteva essere simile alla mostruosità che si era trascinata dietro Cyran. Avrei mai potuto sconfiggere una simile creatura?
Deglutii: il suono del mio pomo d'Adamo che sussultava risuonò per tutto il bosco. Mi poggiai una mano su labbra e naso, cercando di attutire il suono del mio respiro pesante, per via dell'ossigeno rarefatto che mi circondava. Poi, quatto e sulle punte degli stivali, mi nascosi dietro ad un albero.
Restai immobile per quello che mi parve un minuto piuttosto lungo. Eppure, avvertii un secondo fruscio, stavolta dagli alberi di fronte a me. Qualsiasi cosa mi stesse circondando, si stava prendendo gioco del mio nascondiglio.
Sentii la mano sudare copiosamente dentro alle fasciature e le dita farsi appiccicose contro l'impugnatura della spada. Poi, quando il nemico misterioso fuoriuscì dalla foschia, un urlo mi morì in gola e rimase lì, congelato.
Occhi giallo-oro con la pupilla affusolata come quella di un coccodrillo, sorriso maligno e agghiacciante, capelli corvini intorno a lineamenti sensuali. Era il Marchese Ellis. Quello che aveva quasi accoltellato a morte Cyran. Quello che mi aveva quasi...
Un brivido terrorizzante mi scosse dalla testa ai piedi e dovetti indietreggiare. La mano mi tremò a tal punto che l'arma quasi mi scivolò dalla presa.
«Stai lontano!» sussultai, cadendo col sedere a terra, strisciando indietro mentre lui invece si avvicinava. «Lontano!!» Sapevo che era strano, che non poteva essere qui con noi. Sapevo che non era normale, ma avevo lo stomaco sottosopra per la voglia di vomitare. Se solo ricordavo dove le sue mani mi avevano toccato... Lo shock mi svuotò i polmoni e all'improvviso mi resi conto che non riuscivo a respirare.
Ansimai, afferrandomi il farsetto in una mano, a corto di fiato, boccheggiando disperato mentre il Marchese incombeva e troneggiava sopra di me. I miei occhi si riempirono di lacrime d'angoscia. Quella era paura nella forma più pura e più profonda di tutte.
«No... Stai... Lontano...» biascicai, fra le lacrime, mentre l'uomo tendeva le mani verso di me e io mi raggomitolavo in posizione fetale. Era la fine? Era così che mi facevo sconfiggere?
BANG!
Un suono violento scosse l'intera selva, mentre un fuoco d'artificio esplodeva nel cielo illuminando di blu perfino la nebbia. Sgranai gli occhi, balzando in piedi a tutta velocità. Riconobbi immediatamente la luce di Rhod. Fu quello che mi serviva per ricordare che non ero solo. Che avevo i miei amici con me. Che mi proteggevano, come io dovevo riuscire a proteggere loro.
«Vai via! Sparisci dalla mia vista!» ringhiai, agitando la spada davanti a me per infilzare il Marchese. La mia mano gli passò attraverso, quasi fosse un fantasma, prima che svanisse nel nulla, disfacendosi come un castello di sabbia nel vento.
Contemporaneamente, una pioggia di luce scese dall'alto per guizzare verso di me: una palla scintillante svolazzò davanti ai miei occhi, pronta ad attirare la mia attenzione. Capii immediatamente che dovevo seguirla. Rhod aveva trovato un modo per farci ritrovare.
Lacrime di gioia mi punsero il campo visivo, ma le scacciai con un battito di palpebre. Non c'era tempo per credere di essere al sicuro: dovevo ancora trovarli. La sfera si muoveva velocemente e io dovevo correre per starle dietro.
Destra, sinistra, destra, destra. Non osai perdere di vista quel bagliore, non fermandomi neanche per prendere fiato. Durante la corsa sentii latrati mostruosi e ululati allarmanti: non un buon segno. Era probabile che il punto dove mi stessi dirigendo fosse la meta di molte altre bestie. Il fuoco d'artificio aveva fatto troppo rumore.
Inghiottii il nodo in gola e, allontanando il grumo di paura che minacciava di farmi vacillare, proseguii per il sentiero indicato dalla luce.
Quando vidi dall'altra parte del bosco due sfere blu scintillanti, speculari alla mia, mi lasciai andare un verso strozzato pieno di sollievo. Io e Cyran ci incontrammo a mezza strada, correndo, e ci abbracciammo forte. Così forte da fare male.
«Oh miei Dei, ma tu sei ferito!» ansimai, notando gli squarci sanguinanti sul suo petto.
«Guariranno in fretta. Come se due graffietti potessero mettermi fuori gioco, ptf!» esclamò, rivolgendomi un sorriso che ebbe il potere di rassicurarmi, nonostante i latrati che squarciavano l'aria in lontananza. Comunque, visto che era guarito da una ferita mortale, non avevo dubbi che quella ferita non gli desse alcun problema. Ero ugualmente preoccupato, però. Abbastanza da non accorgermi subito dell'erborista, che si era appoggiato ad un albero vicino e riprendeva fiato.
«André! Stai bene?» esclamai, avvicinandomi a lui per controllare il suo stato.
«Mmh, me la cavo.» rispose, respirando profondamente.
«La luce di Rhod mi ha portato qui e poi si è spenta. Anche a voi immagino. Ma lui dove...?»
«Oh cazzo. Datemi una mano!» sussultò Cyran, notando a qualche metro da noi una pozza paludosa. Dall'interno fuoriuscivano delle dita, che si agitavano in piccoli, deboli spasmi. Un pugno stringeva il fermaglio della principessa.
«Rhod!» urlò André, catapultandosi sul ciglio della palude. «Attenti, sono sabbie mobili!» Annuii, sporgendomi al mio massimo senza cadere dentro alla melma appiccicosa, per scavare a mani nude nel punto dove si trovavano le mani del mago. Cyran lo afferrò per i polsi e, insieme all'erborista, si misero a tirare. «Piano! E' importante non usare la forza, altrimenti si farà male. Deve scivolare fuori.»
Continuai a scavare, mentre loro tiravano centimetro dopo centimetro le braccia del mago, fin quando non videro la punta della testa emergere fuori dal fango. Si agitava forte. Affondai le dita scacciando melma dalla sua faccia e finalmente fu libero fino al mento. Sputò fanghiglia: era tanto sporco che a malapena gli si vedevano i lineamenti, ma sbatté le palpebre e riprese a respirare.
«E' ancora vivo! Grazie agli Dei.» sospirai, contenendo a stento un'ondata di sollievo.
«Dobbiamo liberargli il resto del corpo il più velocemente possibile. Le bestie troveranno facilmente la strada dopo quel fracasso.» avvisò il corvino.
«No, non possiamo fare veloce, se lo tiriamo fuori bruscamente rischieremo di spezzargli qualcosa. La pressione della sabbia è troppo forte.» spiegò invece André, mentre ripuliva gentilmente con le dita le guance del maghetto.
«A-a-aiu...aiuto... a-aiuta..temi...» Più che un balbettio era un lamento agonizzante. Sentivo che c'era qualcosa di strano più della paura di finire annegato, visto il sudore e le lacrime che gli colavano sul viso.
«Troviamo subito un modo! C'è qualcosa che non va!» esclamai, sfilandomi lo zaino dalle spalle per prendere la corda che avevo insistito perché facesse parte del nostro equipaggiamento, oltre alle armi e al cibo. Ero convinto che potesse essere utile per arrampicarci in punti impervi, mentre Cyran era sicuro fosse inutile visto che il mago poteva farci volare. Per fortuna, avevo scelto di non ascoltarlo.
«Fissiamogliela intorno al torace.» suggerii, anche se dall'espressione che André faceva, non era molto convinto.
«Rhod, ascoltami.» richiamò l'erborista, notando l'espressione del mago, tanto stravolta dal dolore da essere quasi in trance. «Cerca di spostarti sulla schiena e di muovere le gambe, dobbiamo fare in modo che la sabbia non appesantisca e non schiacci il tuo corpo.»
«N-n-non ri-riesco...» gemette, fra le lacrime. «N-non... po-posso...» Avevo l'impressione che stesse per svenire da un momento all'altro. Il cuore mi si strinse dalla compassione.
Proprio allora un latrato spaventoso tagliò il silenzio. «Forza, tiriamolo fuori!» esclamò Cyran, infilando le mani nella melma per passargli la corda sotto alle braccia, legandola con un nodo stretto. «Al mio tre.»
Ci fissammo tutti ai lati della corda. «Uno...» Presi un bel respiro. «Due...» Strinsi con forza le dita. «Tre!» Tirammo, spingendo indietro le braccia simultaneamente con un unico strattone.
Rhod si mise ad urlare come un pazzo. «No no no, fermi! C'è qualcosa che non-» incominciai, col cuore che batteva a mille per l'angoscia, ma mi interruppi quando il suo corpo scivolò velocemente fuori, come se fosse stato spinto dal basso. Dall'interno della fossa.
Rotolò sul bordo della palude e lì restò, mentre io gli cadevo al fianco, senza fiato, cercando di non vomitare dallo shock. Le sue gambe. Qualcosa gliele aveva azzannate, protandogliele via dalla coscia in giù.
«Oh Dei, oh Dei santissimi...» gli presi una mano, mentre il maghetto si lamentava e piangeva in singhiozzi laceranti. Anche André si era messo al suo fianco, mentre Cyran era diventato pallido in viso.
«Fate qualcosa! Sta soffrendo terribilmente! André?» Scossi il biondo per una spalla: la sua faccia era imperturbabile, ma di una piattezza quasi inquietante. Sembrava pietrificato. «André cosa possiamo fare? Ci dev'essere un modo per salvarlo!» Lanciai uno sguardo di supplica al mercenario.
«E' troppo grave. Ha perso un sacco di sangue. Morirà per dissanguamento o si prenderà un'infezione e morirà comunque.» mi rispose lui, scuotendo la testa. Ognuna di quelle ipotesi prevedeva una morte lenta, piena di sofferenza. «E intanto, tutto il suo sangue ci attirerà addosso i mostri del Caos.»
André esalò un lungo sospiro che era simile ad un lamento mal trattenuto, come se lo avessero colpito allo stomaco. Eppure, continuò a non parlare. Sembrava raggelato, anche se nella foresta il caldo era asfissiante.
«Vi ricordate quando Rhod è morto e poi si è risvegliato sulla pira funebre? Quella volta le sue ferite sono guarite, proprio perché era ritornato in vita!» esclamai. «Perciò, le sue gambe dovrebbero tornare, se solo...» Non riuscii a dirlo ad alta voce. Se solo morisse. «Ma non possiamo continuare a farlo soffrire così. Vi prego!» mugolai.
Qualcuno doveva ucciderlo.
«André? André, guardami...» pregai, ma il biondo aveva un'espressione ancora più granitica e non mi prestò ascolto. Fissava solo il mago e gli teneva stretta la mano, mentre il ragazzino spostava la faccia di lato e vomitava per il dolore.
«Cyran??» Lanciai uno sguardo pieno di supplica al mercenario, che mi restituì l'occhiata con una faccia talmente smarrita che mi spaventò.
«Per favore, Francis.» Scosse con forza la testa. «Non chiedermi di uccidere un amico. Non posso farlo.» Volevo urlargli che fino a qualche ora prima si era messo a minacciare Rhod di ucciderlo, se lo avesse attaccato di nuovo. Ma sapevo che, in quel momento, l'aveva detto per rabbia e per orgoglio. Dopo tutto quello che sapevo di lui, dopo il combattimento contro gli orchi, conoscevo il peso che si portava nella coscienza.
«Ma non possiamo lasciarlo soffrire!» urlai, con la voce stridula per la frustrazione e il dolore, ogni volta che sentivo il mago urlare. «Vi prego!» Fu allora che Rhod, tastando alla cieca il terreno vicino a me, mi prese la mano. Mi sentii spezzare il cuore, mentre ricambiavo la stretta, maturando quell'oscura consapevolezza.
Estrassi lo spadino dal fodero. Dovevo ucciderlo io.
«Rhod, va tutto bene, guardami...» Mi chinai su di lui, con le lacrime che mi solcavano le guance e lo stomaco sottosopra. Mi sforzai di non sentire il terrore attanagliarmi le viscere: e se non si fosse più risvegliato? E se avessi finito per ucciderlo definitivamente? Potevo permettermi di portarmi dietro un peso del genere?
Guardai Cyran, che si sedette al mio fianco mettendomi una mano sulla spalla. Deglutii, sciogliendo il contatto con le dita di Rhod per accarezzargli i capelli. «Va tutto bene. Andrà tutto bene. Ti risveglierai e sarai come nuovo, Rhod...» singhiozzai, indirizzandogli una treccina dietro l'orecchio. Poi la mia presa sui suoi capelli si strinse. Gli tirai la testa indietro, scoprendogli il collo.
Davvero, potevo permettermi di rischiare che uccidessi Rhod per sempre? Ripensai al nostro viaggio. Al maghetto che mi dava la speranza, dicendomi che la principessa era ancora là fuori, da qualche parte. Che ci salvava dagli orchi. Che partecipava ad un torneo pericoloso per darci la possibilità di continuare il viaggio. Che scongiurava la caduta del Dirigibile. Aveva pagato tutte le volte un prezzo così alto...
Potevo pagarlo anche io.
«Andrà tutto bene, tornerai presto da André. Da noi.» sussurrai, alla fine. Poi, gli tagliai la gola.
❧❧
*NDA - Ogni tanto ritornano*
Hola a tutti!
Il primo capitolo dal punto di vista di ogni personaggio, e ha reso tutto molto dinamico! E' stato un capitolone e vi avviso che il prossimo lo sarà ancora di più. Uno proprio, ma proprio importante, che aspettavo di scrivere da secoli, perciò tenetevi forte <3
Inoltre, voglio avvisarvi che manca poco alla fine! Non-vedo-l'ora!
Alla prossima ~
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