21. Ad occhi chiusi
Rhod
Correvo dentro ad un labirinto fatto di buio e oscurità. Sapevo che qualcosa mi inseguiva, sapevo che più mi si avvicinava, più quello sfarfallio di falene e moscerini si palesava nel mio campo visivo, tremolando nella coda dell'occhio. Una cosa strisciante che suggeriva mostruosità inenarrabili.
C'era qualcosa nel buio. Ma non l'avrei guardato. Non mi sarei girato. Dovevo solo andare avanti. Dovevo solo aspettare che un vicolo si aprisse alla mia destra, che un muro crollasse, che il pavimento si trasformasse in scale.
Era questa l'avventura con la principessa. Un labirintico percorso verso una fanciulla che non conoscevo, ma di cui riuscivo a percepire tutta la paura, tutta l'angoscia, tutto il dolore, che mi mozzava il respiro come se morissi e resuscitassi solo per morire ancora, e ancora e ancora. Ma sapevo che dietro ad un muro ci sarebbe stata lei, come in ogni volta che sognavo. Sapevo che mi avrebbe detto di non voltarmi, di non guardarlo, perché altrimenti mi avrebbe preso. Lo diceva sempre, tutte le volte, ogni notte.
Ma non questa.
Se ne stava in catene, a terra, come una bambola di pezza svuotata dalla sua imbottitura. Vuota. Un involucro rotto, gli arti molli e tremanti, un flebile barlume di vita che s'aggrappava disperatamente a qualcosa. Qualcuno. Me.
«....» Non ebbi la forza di parlare. Non potevo neppure rincuorarla. La verità era che non sapevamo nulla: perché era stata rapita? Contro chi combattevamo? Cosa le stava facendo? Forse nessuno di noi quattro avrebbe avuto la forza per affrontare il nostro nemico. Non avevamo neppure la forza di affrontare i nostri problemi, i mostri del passato e i segreti del presente... Forse la nostra missione era destinata a fallire in un modo terribile. Sarebbe stato meglio abbandonare prima.
Ma non avevo il cuore di pietra per riuscire a dirlo. Il principe teneva troppo alla spedizione, il regno di Akra aspettava con angoscia il ritorno di una figlia e la principessa non meritava di restare in quell'inferno. Così mi lasciai cadere sulle ginocchia, al suo fianco, disposto a tenere segreti i sogni che tormentavano le mie notti e a chiudere gli occhi sul pericolo che avremmo affrontato in futuro.
Eravamo in un mare di guai, su questo nessuno di noi quattro, strampalati ed inusuali compagni di viaggio, aveva dubbi.
Ricapitolando le sventure precedenti: dopo esserci inavvertitamente beccati una maledizione – la seconda nel mio caso, per disgrazia degli dei – ed esserci scambiati di corpo, avevamo indagato per scoprire quale fosse la causa e scoperto, mediante l'aiuto di un cantante-mago piuttosto sospettabile, che per salvarci avremmo dovuto compiere un rituale su un antico tumulo. Le cose erano andate bene, fino ad allora.
Ognuno era ritornato ad essere se stesso: il principe dai capelli color caramello il solito giovane allegro, un po' precisino e un po' troppo religioso; il mercenario un mascalzone antipatico; io il mago sfortunato. E poi c'era André. Sarebbe stato impossibile nascondere quello che accadeva fra di noi. Ma quando lo avevo visto privato degli abiti, durante il rituale magico, avevo anche notato tutto il resto...
La mappa di tessuto cicatriziale che gli scivolava sul corpo come se qualcuno avesse giocato sadicamente a martoriarlo. Linee nette o frastagliate, bruciature o ustioni, perfino incisioni... Parole scritte che non avevo avuto il tempo né il coraggio di leggere, troppo turbato, troppo sconvolto, rivoltato come un calzino sporco. Cercavo di non pensarci, ma ogni volta che guardavo quegli occhi di un verde acido quasi spettrale, mi ritornava in mente il suo corpo e i miei lineamenti si storcevano in un'espressione stravolta.
Volevo essere come André Sion, con quella perenne espressione distaccata. Come se nulla lo toccasse, lontano da tutto, da tutti. Dai guai o dalle cose belle. Non sorrideva, semplicemente sbatteva le palpebre per prendere atto di una situazione e andava avanti... Eppure aveva pianto per me, quando ero morto davanti ai suoi occhi. Aveva pregato che mi risvegliassi nella fortezza dopo l'attacco degli orchi. Aveva riempito il suo viso di un sentimento così strano e così bello che mentre ci baciavamo riuscivo a sentirlo e vederlo, e tutta la mia timidezza veniva scacciata in un punto piccolo della mente, quello dove fluiva la magia e controllava i miei freni.
Eppure, adesso nessuno dei due osava guardarsi a vicenda. Lui, perché sapeva che non poteva più nascondere la prova di qualcosa di terribile, tanto era stampata sul suo corpo; ed io, perché non riuscivo a smettere di evitarlo. E non perché non volessi conoscere ciò che nascondeva, anzi. Era perché continuava a tenermelo segreto, come se non volesse farmi partecipare nel suo misterioso mondo interiore. Era imperscrutabile, l'erborista. Impenetrabile. Se non mi voleva rivelare nulla, allora non l'avrebbe mai fatto. Ma se non si fidava di me, al contempo io... Io non volevo stargli vicino.
Perciò rimasi con la testa china sul mio cavallo, ancor più inclinata del solito, come se un macigno sul collo mi costringesse a spiaccicare il naso sulla criniera del destriero. Ovviamente, visto che la sventurata spedizione poteva soltanto peggiorare, al ritorno dal rituale qualcuno aveva ben pensato di farci una sorpresa: far sparire tutti i nostri possedimenti. Oro, libri di magia e botanica, mappe importanti. Eravamo persi. Persi in una missione impossibile di cui io conoscevo la gravità. Senza le mappe o l'oro per proseguire il viaggio, le nostre possibilità di salvare la principessa erano meno di zero.
Ma nessuno riusciva a dirlo al principe. Lo scrutai con la coda dell'occhio, mentre continuavamo a galoppare. Al contrario dell'erborista, lui era un libro aperto. Aveva un'espressione chiaramente abbattuta, gli occhi cinerei perennemente un po' lucidi, a ricordare una giornata nuvolosa che preannunciava pioggia. E non lo si poteva biasimare, ogni situazione andava a nostro sfavore e più lui pregava, più le cose peggioravano. O forse era un avvertimento del destino? Non andate avanti, non proseguite. Le sventure sono solo segnali per dirvi di fermarvi, di tornare indietro.
Forse, io ero l'unico a non avere un motivo solido per seguire la missione, anche se ero il più importante di tutti per la sua riuscita. Il principe bramava il ritorno della promessa sposa, il mercenario cercava gloria a tutti i costi e André... Mi voltai a guardarlo di sfuggita, rimanendone folgorato. Aveva un'aria malaticcia, come se ci fosse qualcosa di sbagliato, in lui. Eppure era comunque bellissimo. Come un Re Fantasma.
Il portamento composto ed imperturbabile sul suo ronzino, la pelle pallida come le pietre bianche e misteriose dei templi, i capelli biondi screziati di fili grigi, come se fossero indecisi se assomigliare più all'oro o all'argento. E le labbra pallide da cui ogni tanto emergeva il rosso della lingua, che tendevano a ricordarmi quei baci di camomilla che ancora risuonavano nella mia memoria con un gong rumoroso.
Distolsi lo sguardo, assumendo il colorito di un pomodoro maturo. Gli occhi ficcati nel suolo – sì, proprio al suo interno, per il modo in cui riuscissi a sentire la magia della città nella terra – e le dita strette sulle briglie. Non lo sollevai nemmeno sapendo che eravamo giunti all'ingresso del regno di Yalhi e ci spettava pagare il pedaggio. Se ne occupò il principe, con gli ultimi spiccioli che gli erano rimasti nelle tasche, atteggiando un'espressione infelice mista alla continua ripetizione di come "un principe che si abbassa a questi livelli è proprio ridicolo."
Mi accorsi che André mi stava osservando solo quando, levando il mento in alto, mi apprestai a guardarmi intorno. I nostri occhi si incontrarono per la frazione di un secondo e mi sentii folgorato. E triste. Profondamente. Volevo balbettare qualcosa che spezzasse quell'esitazione e quella distanza che si era andata a creare fra noi, ma esitai. E questo lo portò a voltare velocemente il viso da un'altra parte, fingendo di seguire la voce di un mercante nelle vicinanze.
Una fitta mi colse alla bocca dello stomaco, ma non me ne curai, anche se sulla punta dei miei capelli crepitavano piccole scintille azzurre ricolme di potere. Trattenni la voglia di far esplodere il banco di benvenuto accanto alle mura della capitale, che superai una volta entrati. Semplicemente affogai quella sensazione dentro alle unghie, andandole a conficcare nei palmi delle mani, talmente forte che sentii un dolore tremendo, sulla quale mi focalizzai per non sentire quello dentro di me, che bruciava come il sale su una ferita. Avevo voglia di far esplodere una delle tante bancarelle di cibo che costeggiavano le strade ben lastricate della grande città, ma supposi che avrebbe soltanto peggiorato la nostra situazione.
«Oh, dei... Non pensavo che Yalhi fosse così bella.» esordì il principe, avendo la compassionevole bontà di strapparmi da quello stato d'animo. E fu un bene. Alzare gli occhi dal manto pezzato del mio ronzino mi spinse a guardarmi attorno, e il mondo mi sembrò per qualche attimo un posto più bello.
I festeggiamenti per i giochi sportivi andavano a gonfie vele, nella capitale. C'erano festoni di carta colorata sparsi ovunque, bandiere che sventolavano dalle finestre delle case e sculture di fiori agli angoli delle piazze che raffiguravano ora un arciere, ora un guerriero con una spada in mano. I partecipanti alle varie sfide erano riconoscibili da fasce di stoffa su cui si ergevano categorie come "Paladino", "Maestro del Controllo" o "Sapiente". Ed erano davvero tanti, sparsi per la città a fare le cose più disparate: mangiare, allenarsi o semplicemente passare il tempo in attesa dell'inizio delle gare. Un po' ovunque c'erano bancarelle che reclutavano nuovi partecipanti o volantini di pergamena ben dipinti affissi sulle case, atti a spiegare il regolamento e come partecipare.
Sapevo che si sarebbero svolti in una grande arena nella periferia cittadina perché l'avevo letto in uno dei miei tanti libri, quando non osavo neppure mettere un piede fuori dalla mia stanza, nel castello. Incredibile pensare che adesso, piano piano, riscoprivo i luoghi di cui mi ero informato tempo prima, cercando di capire cosa combaciasse ed in cosa, invece, quegli scrittori si sbagliavano. Ma Yalhi era stata ricalcata davvero bene nelle narrazioni: le case costruite in strutture di legno e di pietra arancione, a più piani, con dei graziosi balconcini di ciliegio che sporgevano fuori, pieni di gente che guardava; e poi bancarelle con i cibi più bizzarri per andare incontro alle esigenze di tutti gli sportivi che arrivavano da ogni dove. Articoli magici, di gioielleria, vestiario, animali... Un bazar magico di tutto rispetto.
Smisi di ammirare ogni cosa solo quando il principe si fermò nei pressi di una locanda, invitandoci a fare lo stesso mentre legava il suo stallone nell'apposita stalla. Pochi minuti dopo, ci ritrovammo seduti intorno al tavolo con, al centro, una singola pagnotta.
«Temo che sia tutto quello che possiamo permetterci...» ammise, storcendo il nasino lentigginoso mentre ci mostrava un'espressione tutta colpevole, come se i soldi fossero una responsabilità sua. In effetti, ognuno di noi rispettava compiti precisi: il mercenario era quello con la forza bruta, io avevo il potere, André ci supportava curando i nostri mali e Francis... Be', Francis lo faceva economicamente. «Il problema è che» continuò, iniziando a dividere il pane in quattro parti uguali – anche se avrei giurato che la sua fosse più grossa delle altre - per poi assegnarcelo. A me non importava: anche se fossi morto di fame, mi sarei risvegliato comunque. «L'idea era di venire a Yalhi per salire sul Grande Dirigibile d'Argento.»
Per poco non mi affogai con la mollica, rischiando di stramazzare faccia contro al tavolo e morire lì, nel bel mezzo dell'osteria. Tutti conoscevano il Dirigibile. Era il mezzo di trasporto più importante, più lussuoso, più raccontato di tutto il Continente Meridionale. Anche il solo salirci per qualche secondo, respirare l'aria all'interno ed uscire, sarebbe stato costoso. E non solo era sfarzoso, ma si diceva fosse anche velocissimo, in grado di ricoprire distanze ampissime in un tempo incredibilmente rapido. Aveva l'aspetto di una sorta di mongolfiera allargata orizzontalmente, simile ad un pungiglione, ma dalle dimensioni mastodontiche; il tutto ricoperto da una stoffa di seta argentata da cui derivava il nome. Bisognava essere particolarmente ricchi o fortunati, per riuscire ad avere un biglietto.
«M-m-ma... noi non.. ab-abbiamo i s-s-soldi.» biascicai, facendomi più piccolo sulla panca, perché sapevo che al mio intervento il biondo avrebbe concentrato la sua attenzione su di me. Trattenni lo sguardo sul tavolo, sentendo il legno incrinarsi proprio sul punto preciso dove stavo fissando. L'attrito con l'aria era tanto forte da corroderlo.
Il principe sospirò rumorosamente. «Ah, lo so. Vorrei tanto che gli dei risolvessero questo problema...» quasi cantilenò, alzando le pupille al cielo in un segno di preghiera, più che di scocciatura, pur abbandonando il viso contro al palmo della sua mano. «Il fatto è che, anche se cercassimo un messaggero e aspettassimo i soldi... Passerebbe così tanto tempo che il Dirigibile potremmo solo sognarcelo.» Poi però tornò a ridestarsi, dritto come una candela. «MA!» Prolungò una pausa ad effetto sbocconcellando un pezzo di pane. «Ho un'idea.» E sorrise, con quell'aria furbetta che lo caratterizzava e che rendeva i boccoli color carota una sorta d'immagine vivida su che tipo di persona fosse, e non soltanto... Ciuffi di capelli sparsi a caso. Un po' come il pelo di una volpe. Magari una piccola, che doveva imparare tante cose del mondo intorno... Ma che nonostante tutto ci sapeva fare. Del resto era l'unico dei quattro che aveva ricevuto un'istruzione completa, e di quelle costose e ricercate.
«No.» André, che sembrava aver già capito, si girò a guardarlo con un'espressione neutra, piatta. Notai, però, che il suo occhio sinistro aveva avuto una piccola contrazione, come una specie di segno di disapprovazione. «Non possiamo fare una cosa del genere.» Non avevo ancora compreso di cosa parlassero, ma ebbi un brutto presentimento. Al contempo, il mercenario, che fino ad allora se ne stava ad osservare con una certa attenzione i seni prorompenti delle cameriere muovendo le sopracciglia verso di loro in conversazioni prive di parole, si illuminò.
«Sì, facciamolo!» sbatté una mano sul tavolo, facendolo traballare sulle gambe sgangherate.
«Ho proprio bisogno di un po' di gloria per tirarmi su il morale!» Girò il volto verso un omaccione tarchiato con la faccia piena di cicatrici, che proprio in quel momento tesseva le lodi dei suoi muscoli e del fatto che nessuno potesse batterlo, esibendo un bicipite e la fascia da sportivo con su scritto "Paladino". Oh, adesso capivo cosa avevano intenzione di fare. «E di abbassare quello di certi pappamolli.» La sventura volle che il tipo captasse il messaggio, e che Cyran ne approfittasse per sorridere come uno sbruffone, alzando il mento. Sapevo che stava per avvenire una scazzottata epica, per fortuna il principe intervenne afferrando il viso del mercenario, voltandolo verso di lui.
«Torniamo a noi, su, su. Ah, signori Dei.» Rivolse uno sguardo di rimprovero al corvino e riprese a parlare. «Dobbiamo farlo. Il Dirigibile si tratterrà sino alle premiazioni sportive, in modo che gli spettatori facoltosi e i vincitori possano salirvi su.» Si tamburellò il labbro inferiore con l'indice. «Sono quasi sicuro che il capolinea sia la costa marittima all'estremo sud del continente. A quel punto potremmo comprare una barca e avventurarci fino ai Regni del Caos.» Un brivido acuto mi fece accapponare la pelle. Invidiavo il coraggio del principino: ne parlava come se fosse un gioco da ragazzi, arrivare lì. O forse era solo mal informato sugli orrori del Continente Sconosciuto. «Però dobbiamo prima guadagnarci i soldi del biglietto. E possiamo farlo solo se...»
«... Ci iscriviamo ai giochi sportivi.» completò Cyran Rouge, più felice e contento che mai di mettere in mostra i pettorali ad un gruppo di giovincelle accaldate. Io sapevo che era una pessima idea. Lo sentivo dalla punta dei capelli sino a quella dell'alluce, e poi giù fino al midollo.
«Esatto!» Francis già esultava, convinto di avere la vittoria in tasca. «André sarà il medico di supporto. Cyran e Rhod saranno quelli su cui io scommetterò una fortuna. Così non solo vinceremo il premio in denaro, ma anche la scommessa.» spiegò, con un luccichio sveglio negli occhi color cenere. Deglutii. Non avevo mai pensato a speculare sulle mie abilità fino a tal punto: e se avessi perso? E se la mia timidezza avrebbe causato un mucchio di guai, come l'esplosione di cervelli con i banditi?
«N-n-non vo-voglio fa-fa-farlo!» cercai di protestare, anche se assomigliavo ad un cane bastonato con la coda fra le gambe, con il mio pezzo inutile di mollica chiuso in un pugno e la testa bassa. Il pensiero di fare a pezzettini qualcuno con i miei poteri era allarmante. E se avessi davvero partecipato ad uno di quei "giochi", non ci sarebbe stato l'erborista biondo a salvarmi. L'avrei fatto da solo. Forse fu per colpa di quel pensiero che tornai a bramare il suo sguardo, e il desiderio venne velocemente appagato nel ritrovare le iridi verdi immerse nelle mie, come se non aspettassero altro.
«Tira fuori gli attributi, bidibi-bodibi!» mi incalzò Cyran, battendo così forte sulle mie spalle che avrei potuto rigurgitare il cosciotto di lepre di due sere prima. Avvampai, umiliato.
«Non devi farlo per forza, se non vuoi.» disse invece André, con uno sguardo intenso. Quello che mi stava chiedendo di dargli qualcosa: un segno, un indizio, anche solo un'esitazione che gli avrebbe fatto pensare che ci tenevo ancora. Che non avevo deciso di buttare via quel poco che era accaduto fra di noi. Sentii le guance farsi più calde, coprii i lineamenti del viso dietro alle minuscole treccine castagna che si calavano dall'attaccatura dei miei capelli, sopra le tempie. Non servì a molto.
«Allora è deciso!» L'improvvisa esclamazione del principe mi spinse a distogliere gli occhi blu, per cercare confusamente di comprendere cosa fosse stato deciso. «Rhod e Cyran parteciperanno ai giochi sportivi e vinceranno!» Aveva preso il mio silenzio come un'arresa. Mi preparai a balbettare qualche giustificazione, correndo ai ripari per salvare l'irreparabile, ma si erano già alzati in piedi, le mie braccia intrappolate da un lato dal rosso e dall'altro dal corvino, che sorridevano complici, mentre mi trascinavano fuori dal pub, verso il banchetto delle iscrizioni.
❧❧
Non capii perché durante l'iscrizione mi avessero fatto firmare una liberatoria dove accettavo di essere in potenziale pericolo di vita ed esentavo gli organizzatori dell'evento da ogni responsabilità circa ferite invalidanti o decesso. Almeno finché non arrivò il momento della gara. La mia era una di quelle fortunate iscrizioni dell'ultimo momento, avevo giusto fatto in tempo a guadagnarmi la fascia con su scritto "Maestro del Controllo" e approfittare degli sconti per i partecipanti mangiucchiando della frutta zuccherina che mi avrebbe garantito di non crollare dopo troppo uso di magia, prima che la gara sportiva iniziasse nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno.
Cyran invece, con la sua fascia di "Paladino" nuova di zecca, che sfoggiava con grandi sorrisi tracotanti dandosi un sacco di arie, svolgeva la gara dopo il tramonto, ma si era distaccato dal gruppo con il principe per andare a prepararsi, occupare i camerini adibiti alla preparazione di quella categoria di sportivi e forse anche per studiare – e sfidare – gli altri concorrenti. Così, io e André finimmo per restare soli, avvolti in un silenzio imbarazzante che sapeva di parole non dette, intrappolate sulla punta della lingua. Forse aspettava una mia mossa, mentre io per l'insicurezza, l'esitazione e l'incapacità di sapere quale fosse la cosa giusta da dire, restavo timidamente in silenzio, a testa china. Così ancora nessuno dei due ebbe il coraggio di rompere il ghiaccio.
Un'ora dopo, ci trovavamo nell'arena. Non esattamente nel punto d'inizio della gara, non era ancora arrivato quel momento; bensì dietro le quinte, in una zona dei sotterranei dove solo i partecipanti e i loro accompagnatori, scortati dagli aiutanti degli organizzatori, potevano accedere. C'era un vecchio appendiabiti di ferro con delle divise leggere, destinate ad ognuno dei partecipanti, comprensive di maglietta azzurra a maniche lunghe, pantalone blu notte di un tessuto stranamente elastico, per consentire movimenti agili, e scarponi da allacciare stretti sulle caviglie. Li indossai, sorpreso da tanta comodità per una semplice gara di magia dove sarebbe bastato muovere un po' le mani. Anche se non avevo la più pallida idea di che sfida fosse in serbo per noi "maestri del controllo". Non ero neanche molto controllato, io, con i miei poteri e la mia maledizione.
Comunque, non ero l'unico a non sapere di cosa trattasse la gara. In molti parlottavano sentenziando ipotesi di ogni tipo, mentre io mi limitavo a cambiarmi con un fare esagitato, un po' per André nelle vicinanze, un po' per quello che stava per accadere. Fino a quando un tipo non attaccò a parlare con me, senza motivo.
«Allora, secondo te che tipo di gara dobbiamo aspettarci?» esordì, accarezzandosi il velo di barba scura e sottile che si spargeva sulle guance, mentre assottigliava lo sguardo grigio con un'espressione incuriosita. Mi guardai intorno, cercando di capire se fossi davvero io l'interlocutore. «Ti sei iscritto da poco, vero?» mi incalzò, mentre io incassavo le spalle nella schiena e abbassavo la testa. L'erborista lo squadrò con un'aria del tutto indifferente.
«S-s-sì.» pigolai, deglutendo un groppo in gola. «E n-non lo s-s-so.» Avevo anch'io delle idee, ma preferii non condividerle né esser costretto a sforzarmi di pronunciare un discorso troppo lungo. L'unico con cui mi piaceva davvero parlare era il biondo al mio fianco, di cui sentii la mano sfiorare per errore la mia. Ma forse non si trattava di un errore.
«Tranquillo, non ti mangio!» Si abbassò sopra di me, incombendo con un'aria fin troppo minacciosa, che in verità non mi spaventò granché. Ero più inquietato dal destino infausto che mi avrebbe augurato morte quasi certa di lì a poco. «Almeno non finché non sarà iniziata la gara. Dovresti temermi, pivellino... Come tutti gli altri in questa stanza.» Fece crepitare un'energia scura fra le mani e se la rise, costringendomi a guardarlo per il modo in cui incurvava il capo quando io lo abbassavo, senza lasciarmi la possibilità di correre ai ripari.
Ma non servì farlo. Non quando la mano del biondo si frappose fra me e lui, spintonandolo all'indietro senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze. O almeno era quello che sembrava dalla sua faccia piatta ed impassibile. Come se fosse una cosa da tutti i giorni strattonare maghi dall'aria poco amichevole. «Allontanati.» pronunciò, scandendo come se l'altro fosse stato uno stupido.
«Ah! Saresti il suo accompagnatore? Non sei nemmeno un mago!» Rise di sdegno, alzando le sopracciglia per guardarlo dall'alto in basso. «Non lo sai che quelli come me possono farti esplodere il cervello con un semplice movimento delle dita?» sogghignò, incrociando le braccia con un'espressione tronfia che non aveva nulla a che vedere con quella del mercenario. Aveva qualcosa di malevolo e antipatico. Ma poteva anche essere il mago più puro e santo del mondo: se avesse minacciato di nuovo André Sion gli avrei strappato le braccia, così che vivesse senza poter praticare più magia per il resto della sua vita.
Un ringhio basso e pericoloso misto ad una leggera, inusuale risata perfida, mi vibrò nella gola. Come compiaciuto dalla scena. Ma dovette sentirlo anche l'erborista, perché riuscii a vedere le sue spalle irrigidirsi di colpo. Di cosa aveva paura? «No, ma so che quelli come lui possono eccome.» I suoi occhi scattarono fulminei verso di me, e la mia rabbia si placò tutta insieme.
«Vedremo.» esclamò, indispettito, dileguandosi con un'espressione impettita a cui nessuno di noi due badò. Sentivo di avere la faccia in fiamme, dopo che aveva deciso di intervenire personalmente per proteggermi. Ma non era certo la prima volta, ed era anche questo che me lo aveva fatto piacere sin dall'inizio: mi salvava senza pensarci due volte. Come se fosse naturale. Avevo la lingua attorcigliata, intorpidita, ma terribilmente desiderosa di dare vita ad un ringraziamento. Eppure, fu lui per primo a parlare e ad accantonare la cosa.
«Guardiamoci intorno. Fra i concorrenti potrebbe esserci il cantante che ci ha derubato.» ricordò le vicende del giorno prima, che sembravano accadute un secolo fa. Forse il ladro non era un mago vero, ma il fatto che la gente si fosse dimenticato di lui faceva pensare che ci avesse raccontato la verità. Comunque, non poteva essere fra i concorrenti: ad occhio e croce eravamo una trentina, se non di meno; e quello non era decisamente il posto adatto dove nascondersi con una refurtiva parecchio sostanziosa.
«Ehm... S-senti.. Gra-grazie.» biascicai, a guance paonazze e fiato corto. Nonostante la sua espressione seria non vacillasse, ero sicuro di aver scorto un luccichio nei suoi occhi. Aprì le labbra, pronto a rispondermi, ma venne interrotto dal vocione di uno degli organizzatori.
«PREPARATEVI, STA PER INIZIARE LA SFIDA!»
Il mio stomaco ebbe una contrazione. Sentii la capriola, il tuffo e il successivo annegamento del mio cuore. Che rinsavì nell'istante in cui André tentò di prendermi per le spalle ed io non feci nulla per fermarlo. Sollevai il viso verso il suo, mordendomi l'interno della guancia tanto forte da sentire il sapore del sangue sulla lingua.
«Le nostre strade si separano qui, ma io sarò lì a guardarti vincere dagli spalti.» Mi accarezzò la pelle dove lo scollo tondo della maglietta non arrivava. «Non ti perderò di vista neanche per un momento, quindi non sarai solo.» Annuii fortemente col capo, sentendo il rumore metallico della grata scorrevole che separava le quinte dagli ingressi interni dell'arena, raschiare per aprirsi. Poi mi baciò la fronte. «Buona fortuna.» E fu obbligato ad uscire dalla parte opposta alla mia, per salire verso la zona degli spettatori.
Si iniziava a sentire un grande boato, vociare e acclamazioni, miste alle voci squillanti di presentatori che ci annunciavano a gran voce. Gli organizzatori ci sistemarono in fila e, prima di superare la soglia e salire le scale che ci separavano dal nostro ingresso nell'arena, ci consegnarono una lungo pezzo di stoffa colorata. Quando arrivò il mio turno, strinsi del cotone azzurro e salii le scale in fretta, ansioso di sapere cosa ci fosse fuori. Ma presto l'ansia si tramutò in sgomento, e lo sgomento in una fredda e sottile angoscia che mi si annidava nelle ossa. L'arena era grande quasi quanto tre campi di palla volante, dotata di una forma ovale, stretta e lunga al pari di una di quelle strade principali di città, dove c'era abbastanza spazio per far scorrere tre corsie di carri e i marciapiedi, ma ancor più lunga della sua larghezza. Perché in effetti era una strada, o meglio, un percorso.
Riuscivo a vedere, di fronte a me, un bosco fitto irto di rami affilati e buche da sabbie mobili; fra gli alberi, molto più in fondo, lo scintillio di qualcosa di metallico in movimento mi fece pensare a delle grandi asce che si muovevano in avanti ed indietro. Ed ero certo che non fosse finita lì. Tutt'intorno a noi, su un piano parecchio rialzato, si ergevano gli spalti del numerosissimo pubblico. Avevo letto che gli spettatori giungessero da ogni dove per assistere agli eclatanti giochi sportivi, ed ora non ne avevo più alcun dubbio. Fu per pura fortuna che riuscii a distinguere fra la massa urlante i miei tre compagni di viaggio. Il principe sventolava il biglietto della scommessa con un'aria gioiosa ed ingenua, tutto convinto della mia vittoria, mentre Cyran scrutava le tette di una ragazza seduta nelle sue vicinanze. André, invece, sorrise. Mi fece mancare l'aria.
«Ascoltatemi, Maestri del Controllo!» Il presentatore, un vecchio barbuto con una testa pelata, se non fosse stato per quell'unica treccia che partiva dal centro della testa e gli si arrampicava verso l'alto come un cono grazie ad un filo di ferro nascosto, iniziò. Indossava una tunica argentata e aveva le guance grinzose coperte di disegni e rune. «Oggi gareggerete a costo della vostra vita!» tuonava enfatico da un megafono di bronzo, che faceva rimbombare la sua voce con un'acustica perfetta. «Lo scopo della gara, è...»
Levò il braccio alle sue spalle, come ad abbracciare tutta la sala, il percorso di fronte a noi, poi uno degli specchi che notai solo allora: erano sistemati agli angoli curvi dell'arena, in alto, mostrando per mezzo di una magia varie angolazioni della scena, fra cui il punto di vittoria. Dal riflesso, tutti i partecipanti videro ciò che non potevano notare dalla propria angolazione: un punto nel pavimento, poco oltre la linea d'arrivo, si aprì rivelando una botola, da cui ne uscì una sorta di obelisco d'ossidiana che riluceva in lampeggianti bagliori viola. Non fu soltanto qualcosa che notai con gli occhi. Era come per i golosi sentire l'odore dei dolci caldi e della cioccolata, come per i lupi avvertire il puzzo del sangue. Come per un mago avviluppare la magia a mani nude: elettricità che ti scorre nelle vene.
«Arrivare al Flatterio ed entrare nella classifica dei primi cinque!» Avevo letto tantissimo sull'argomento: di solito si trattava di contenitore dove maghi molto potenti racchiudevano la propria anima, assicurandosi in tal modo di raggiungere l'immortalità, pagandola al prezzo di assumere fattezze demoniache e di cambiare spesso corpo. A volte, però, erano pure concentrazioni di magia, proprio come questa. «Ma lo farete soltanto guidati dalla magia.» La spiegazione fu chiara quando delle guardie accorsero a prenderci la stoffa dalle mani per legarcela intorno agli occhi per farla diventare... Una benda. Allo stesso tempo, qualcuno alle nostre spalle provvedeva a fasciarci i pugni chiusi e poi a legarci i polsi dietro la schiena, in modo che non potessimo usare incantesimi. «Se ci riuscirete, dipenderà solo dalla vostra potenza.»
Ad occhi chiusi, per poco non mi feci assalire dal panico: il ricordo degli incubi e del buio che mi rincorreva, assieme a ciò che si nascondeva dentro di esso, mi assalì. Ma mi ricordai che André mi stava ancora guardando, e così mi focalizzai solo sulla magia: era proprio come un percorso luminoso nel buio. Dovevo solo cercare di seguirlo più in fretta degli altri e nel mentre evitare le trappole mortali. Solo. «Stai attento, pivellino.» La sfortuna volle che il tipo odioso che mi aveva minacciato dietro alle quinte si trovasse dietro di me.
«IN POSIZIONE!» Ignorai il fastidioso voltastomaco che mi attorcigliava le budella e l'inutile presenza al mio fianco, mettendo la gamba destra davanti alla sinistra, leggermente piegata, molleggiante. Pronta a scattare. Anche se il buio nei miei occhi si espandeva, ingrandiva ed inghiottiva. Sentii un gong risuonare per tutta l'arena. Forza. Un secondo gong. Forza! Un terzo gong, e un rumoroso respiro si levò dalle mie labbra.
«VIA!»
❧❧❧❧
Un angolo ancora un po' natalizio~
Hola!
Sono proprio felice di essere riuscita a pubblicare entro la fine dell'anno! (E non è nemmeno una metafora, stavolta...). Come sempre faccio passare ere geologiche fra un capitolo e l'altro, scusate! Spero siate comprensivi e non smettiate mai di seguirmi per questo *occhi da gatto di Shrek* Anyway, ho ispirato la gara (che vedrete più che altro nel prossimo capitolo, visto che sono una persona cattiva) sia al primo episodio di Shannara Chronicles che al video di Voodoo People (in questo caso del remix) dei The Prodigy... Perché AMO le corse bendate! A parte ciò, ringrazio giuli_milani per avermi fato da beta nella prima parte del capitolo... Ho pubblicato già la seconda perché sono una persona troppo impaziente. Si sa. Per concludere: buon natale passato a tutti!
Ci si vede al prossimo capitolo <3
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro