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2. Alzati, Lancillotto abbronzato!


Francis


La penultima cosa che volevo, durante le vacanze di primavera, era di assistere alla gara per conoscere l'identità di chi mi avrebbe accompagnato nella mia ardua impresa. Salvare la mia promessa sposa, scomparsa da più di tre anni. L'ultima cosa che volevo invece, era che una nuova versione abbronzata, barbarica e molto affascinante di Lancillotto mi accompagnasse durante il viaggio. Non appena mi sorpresi ad osservarlo, spiaccicai lo sguardo al suolo, nervoso. Ma sollevai nuovamente gli occhi, incapace di smettere di fissarlo, studiarlo con ogni briciolo di attenzione che avevo.

I capelli erano corti e neri, simili a sprazzi di inchiostro, e volutamente scarmigliati, come se non riuscissero a trovare pace nel mondo; il fisico tornito e le gambe lunghe ostentavano la figura alta e possente. Era diverso dagli altri, perfino il modo di vestire evidenziava la sua totale estraneità alla situazione: niente armatura scintillante o elmetto pesante. I pantaloni di cuoio marrone erano talmente consumati che piccole stringhe di pelle erano essenziali per tenere insieme gli strappi; degli stivali neri e logori, con un rinforzo di metallo alla punta e al ginocchio, lasciavano presagire calci abbastanza letali; sul torace, una cotta di maglia ossidata e strappata alle spalle metteva in mostra i bicipiti scolpiti. In quanto al suo viso... 

Mi fece desiderare di non averlo guardato. Perché se non avessi mai posato il mio sguardo su di lui, magari avrei smesso di sentire quello sfarfallio nello stomaco. Il naso dritto ed elegante, la mascella squadrata, gli zigomi alti, la bocca tumida e la cicatrice che gli correva dal labbro destro fino al mento; erano tutti elementi di un insieme che era difficile da ignorare. Eppure, c'era qualcosa di speciale nei suoi occhi. In inverno, amavo restare seduto davanti al camino, a scrutare il vorticare confuso delle fiamme. E i suoi occhi erano così, fiamme vorticanti, un caldo color arancio in costante movimento, come lava bollente che sfrigola nella bocca di un vulcano attivo.

Ripensai a quel gesto, al guizzo della lingua sulle sue labbra mentre mi scrutava. Come si permetteva? Il solo pensarci mi fece arrossire violentemente. Digrignai i denti e mi ritrovai a sbattere i piedi a terra, affondando nel mio cocente imbarazzo. Le suole dei rigidi stivali stridettero contro la pietra. Prendersi gioco di un reale!

E mentre io ribollivo dalla vergogna, lui elargiva sorrisi a destra e a manca, agitando come un ossesso il suo spadone, dall'aria tutt'altro che leggera. I denti perfetti si mostravano di un bianco accecante davanti alla luce dorata del sole, mentre la chioma corvina ondeggiava al delicato vento di primavera. Non aveva alcuna tecnica di combattimento, non si muoveva in maniera elegante, ma sembrava in qualche modo micidiale. Micidiale ma anche sleale, realizzai, quando lo vidi spingere energicamente uno dei partecipanti verso un mostro, come a voler dire: "Tieni, te lo regalo! Ora uccidilo per favore!". Scossi la testa in un moto di esasperazione.

Un cavaliere lanciò una freccia verso una bizzarra creatura simile ad un maiale blu con le ali, ma quella non lo colpì minimamente, anzi, andò a finire dritta dritta dentro ad una finestra aperta. Sperai che nessuno si fosse fatto male e tornai a guardare il combattimento, rapito. Un mostro con la testa di tigre, il corpo umano e i piedi fatti di serpenti, si avvicinò alle spalle del misterioso corvino, ma, prima ancora che potesse aggredirlo, venne tranciato in due. Lancillotto abbronzato sorrise e si voltò verso di me, ammiccando. Sobbalzai, sentendo il cuore accelerare e la faccia farsi rovente.

Ma fu in quel momento che un boato scosse il pavimento di pietra. Voltai la testa verso quella specie di muggito rauco e spaventoso, seguito dalle urla. Mi si gelò il sangue nelle vene: un mostro dal volto taurino, alto almeno tre metri, con il corpo umanoide e muscoloso, ricoperto da un'ispida peluria nera e con degli imponenti zoccoli al posto dei piedi, si ergeva davanti agli spalti. Il nutrito gruppo di gareggianti che era accorso al pericolo, era stato sbalzato via con un singolo colpo del mostro. Quei cavalieri se ne stavano riversi sul pavimento, immobili, come scomposte bambole di pezza. Rabbrividii.

«Sire, dovreste intervenire?» esclamai, in una domanda che aveva una nota d'allarme nella voce, non appena notai che il minotauro aveva spostato l'attenzione sul pubblico, invece che sui gareggianti. 

Avrei voluto urlare per chiedere da dove avessero pescato quell'abominio. Non era ammissibile che in una gara del genere ci fossero mostri di quella portata. Ma il re non diede segno di avermi sentito, mentre osservava apatico il combattimento, gli occhi ammantati da una palpabile indifferenza. Anzi, alzò una mano verso di me come a liquidare la faccenda, a scacciare un moscerino fastidioso che gli ronzava davanti alla faccia. Fui sul punto di alzarmi per sbraitare ordini alle guardie reali, ma mi fermai, sbigottito.

Una spada spuntava dalla schiena del mostro-toro. Lancillotto abbronzato piegò le labbra in un mezzo sorriso, asciugandosi con il dorso della mano il sudore che gli rigava la fronte, affaticato dal lancio del suo spadone. Per un attimo mi chiesi come fosse riuscito a sollevare quell'arnese, ma un singulto strozzato mi salì alla gola: il minotauro rimase in piedi. In piedi e immobile, fermo, mentre un silenzio tombale ci piombava addosso. Nessuno degli spettatori osava più fiatare. Tutti i mostri erano stati eliminati, tutti i cavalieri se l'erano data a gambe, tutti tranne lui.

Volevo urlare, gridargli contro: "Vattene, stupido!" ma non riuscivo a parlare, ad emettere una sola sillaba. 

Potevo soltanto fissarlo mentre rimaneva piantato sui piedi, a fissare la schiena del toro umanoide, il punto esatto in cui la sua arma si era conficcata nella pelle coriacea e pelosa di quell'essere. Fino a che il mostro non mosse il braccio. Con l'enorme mano tozza, cercò a tentoni lo spadone che gli si era infilato fra le scapole e, quando lo trovò, afferrò l'elsa fra l'indice e il pollice ed estrasse la lama. La lanciò dall'altro lato dell'arena e si sgranchì le spalle, come se fosse stato semplicemente punzecchiato da uno stuzzicadenti. Biascicai qualche maledizione verso gli dei fra le labbra, qualche istante prima di scusarmi con loro nella mente.

Poi l'abominio si voltò verso il corvino, entrando nel mio campo visivo. Il muso da toro era orrido, con quell'anello d'oro che gli pendeva dalle narici dilatate, le orecchie pelose e incurvate all'ingiù, le corna arcuate sulla sommità del capo e gli occhi completamente neri, con una luce maligna che ci baluginava dentro, fissati sulla figura del ragazzo. Ma il corvino ricambiò lo sguardo, con un sorriso di sfida che gli affiorava sul volto e le sopracciglia incurvate in un'espressione colma di determinazione. E allora il mostro iniziò a sfregare gli zoccoli contro il pavimento di pietra, incominciando a rivolgere le corna verso di lui, pronto a caricare. Lancillotto abbronzato rimase immobile, portò una mano verso la schiena, deciso a sguainare lo spadone che portava a tracolla, quando si ricordò... che non c'era.

Ma ormai il mostro aveva iniziato a caricare contro di lui. Fu allora che mi alzai in piedi e gridai con tutto il fiato che avevo in gola: «CORRI!» E lui iniziò a correre. Il mostro cominciò ad inseguirlo, gli zoccoli pesanti che si abbattevano sulla pietra facendo vibrare tutto il suolo. Allungò una grande mano pelosa per agguantare il corvino, ma lui fece una capriola in avanti e gli sfuggì appena in tempo.

Io, invece, avevo il cuore che batteva a mille, come se non potessi non tifare per lui in un momento simile. Perciò rimasi a fissare la scena con silenzioso panico, mentre la mia mente si riempiva di: "Ti prego non morire, ti prego non morire, ti prego non morire." Mi asciugai i palmi sudati sul tessuto dei pantaloni.

Il mostro fece un altro tentativo, cercando di calciare il corvino con uno zoccolo e, questa volta, lo prese in pieno al centro della schiena. Volò per parecchi metri e si schiantò contro il pavimento di pietra, con un rumore sinistro che mi fece pensare a qualcosa che si spezzava. Dopo, non si mosse. Il Minotauro gli si avvicinò con una calma snervante, gli zoccoli che risuonavano sulla pietra, tonfi sordi e agghiaccianti. Il corvino continuò a rimanere steso, immobile. Un orribile presentimento si fece strada dentro di me, ma mi rifiutai di assecondarlo. Non poteva essere... Bloccai il pensiero ancor prima che potesse giungermi nella sua completezza.

Poi, il massiccio essere si fermò accanto al corpo del corvino, riverso a terra, con gli occhi chiusi. Un rivolo di sangue gli scendeva dalla testa. Non poteva essere morto. Il primo alzò uno dei suoi enormi zoccoli, pronto a schiacciare con il suo peso quello strano cavaliere, con un colpo che gli sarebbe stato fatale. La zampa d'animale cominciò a precipitarsi verso il capo di Lancillotto, e lui non si mosse. Tratteni un urlo d'orrore.

«ALZATI!» gridai.

Un grido disperato e allo stesso tempo risoluto, un urlo lanciato con tutta la forza che avevo in corpo, un ordine imperativo che non ammetteva alcuna replica. Come se avessi attivato qualche magia, il corvino aprì di botto gli occhi e rotolò a destra. La zampa si abbatté lì dove prima c'era la sua testa e in quel punto si aprì una grossa crepa nel pavimento. Ma quando il mostro si voltò per affrontarlo nuovamente, lui si era già rialzato, brandendo il suo spadone. Un sorriso mi si colorò sul volto, mentre esclamazioni e parole di sollievo riecheggiarono fra gli spettatori, che erano rimasti in un mutismo colmo di terrore fino ad allora.

Lancillotto abbronzato si strofinò via il sangue che gli era colato sull'occhio sinistro e roteò lo spadone, con uno sguardo indispettito rivolto al mostro, come a voler dire: "Hai tentato di ammazzarmi?! Pensavo fossimo amici!" e poi partì all'attacco.

Fece una rapida capriola in avanti, ruzzolando fra le gambe del grosso Minotauro. In piedi, dietro di esso, menò un fendente verso la sua gamba destra, ma la lama si limitò a fargli un piccolo graffio. Troppo poco per far male ma abbastanza da infastidire. Difatti, l'essere si voltò verso il corvino, alzò una mano e si preparò a schiacciarlo sotto uno dei suoi grossi pugni. Per fortuna, il cavaliere - sebbene non lo sembrasse per nulla - parò il colpo con lo spadone, piantando i piedi a terra con forza. Strinse con la mano destra l'elsa e con quella sinistra il piatto della spada, cercando di resistere alla forza bruta del mostro, che scaricava la sua piena potenza contro quell'arma, cercando in tutti i modi di spiaccicarlo. Trattenni il respiro e con sgomento, capii: alla fine, sarebbe stato schiacciato. Non poteva resistere.

Ma accadde qualcosa di inspiegabile: Lancillotto Abbronzato alzò lo sguardo, l'espressione trafelata e la mascella digrignata dallo sforzo ritornarono sereni. Incrociò gli occhi torbidi e neri del mostro e, qualcosa nei suoi, scintillò. Poi, il Minotauro eruppe in un fragoroso, lungo e tuonante mugghio di dolore, portandosi le mani agli occhi. Con l'arma di nuovo libera, il corvino non perse tempo: un balzo, un portentoso colpo con il filo tagliente della lama e la testa del mostro rotolò sul pavimento dell'arena. Gli occhi taurini erano ridotti a cavità vuote, da cui fuoriusciva un lento filo di fumo. Il pubblico piombò nel silenzio più assoluto. Rimasi senza parole.

Per un istante potei capire tutti quelli che si stavano chiedendo, interiormente, cosa era successo. Ma, immediatamente, volarono grida, applausi e lodi e tutti si alzarono in piedi. Per qualche incredibile ragione lo feci anch'io. Il re, invece, guardava con espressione grave la scena, come se, stranamente, non approvasse.

Eppure, con il petto colmo di adrenalina, continuai a battere forte le mani. Il corvino sollevò la spada ed emise un urlo di trionfo. Poi, mi guardò dritto negli occhi e mi rivolse un ghigno divertito. Fermai le mani di botto, nel percepire all'improvviso l'amara verità: Lancillotto abbronzato aveva vinto, e dopo non ci sarebbero stati nient'altro che guai.

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