12. Bruciato morto
André
Seduto, le gambe dondolavano al di sotto della sedia, i gomiti poggiati sul tavolo, il mento sul dorso della mano sinistra, i capelli di un candido biondo lunghi fino a metà collo. I vestiti erano uguali a tutti quelli degli altri, beige, di un tessuto che ricordava i sacchi di iuta nella quale si conservava il grano qualche giorno dopo la mietitura. E i miei occhi, di quel pallido verde chiaro, erano fissi sul foglio sulla quale la matita disegnava ghirigori zigzaganti e senza senso. Una giornata come le altre, pensavo.
Finché una delle donne, proprietarie di quel luogo, non mi mise una mano sulla spalla, facendomi cenno di voltarmi verso di lei. Sorrise, prendendomi la mano mentre mi aiutava a scendere dalla sedia, forse un po' troppo alta per me.
«Ho delle persone da presentarti, André.» mi disse la donna, i capelli neri e riccioluti che le incorniciavano il volto, i vestiti di tessuto grezzo, marroncino, caldo ed invernale. Nello stile di quel posto: umile, campagnolo, malinconico.
«Chi?» chiesi, alzando il viso verso di lei, il braccio teso per arrivare al suo, la mano al contatto con quella di lei, le scarpette di lanetta che strisciavano contro il pavimento di legno consumato.
All'inizio non rispose: continuò semplicemente a camminare, tranquilla, sul volto un leggerissimo sorriso che le increspava le labbra. Superammo i dormitori di tutti i bambini, superammo anche le anguste cucine e la saletta dei giochi, dove lanciai delle rapide occhiate a chi, come me, condivideva quella casa da sempre. Ma non dissi nulla, perché ci fermammo davanti all'ingresso, dove due persone aspettavano.
La prima era una donna bionda, i capelli raccolti in una crocchia tanto perfetta da non avere un solo capello fuori posto, tanto tirati da vedere la pelle della fronte tendersi. Occhi castani che mi fissavano con una certa indifferenza, mentre le palpebre sbattevano senza produrre alcun rumore. Le labbra sottili non sorridevano, semplicemente erano ferme, serie. Era di certo giovane, ma non mostrava quella bellezza che è inclusa nella giovinezza: i suoi occhi erano duri e vecchi, come se avesse visto quel genere di cose responsabili d'averla fatta diventare così. Perfino il suo vestito, sebbene paresse di buona fattura, dava un'aria di pesantezza. Guardarla non mi fece venir alcunché in mente.
Le cose cambiarono quando spostai lo sguardo verde sull'uomo al suo fianco. Era diverso: i capelli castani tirati all'indietro, un paio di lenti piccole e rotonde e dietro di esse occhi scuri ed affilati che mi fissavano con la stessa intensità di un avvoltoio. Il vestito di buona fattura, una valigetta di cuoio alla mano. Mi guardava e sorrideva, assottigliando le labbra per lasciar intravedere una fila di denti bianchi. E quel sorriso, per qualche ragione, mi fece ghiacciare il sangue nelle vene.
La donna al mio fianco lasciò la mia mano e la spostò sulle mie spalle, un colpetto per fare segno di avvicinarmi ai due di fronte a noi.
«Non temere.» esordì, quando si accorse della mia riluttanza. «Loro sono i tuoi nuovi genitori.»
«No.» sussurrai, in ginocchio, con il corpo del piccolo mago fra le mani, mentre con una mano gli sorreggevo il capo trafitto. Dalla freccia gli era uscito un semplice rivolo di sangue che, col capo inclinato, gli circumnavigava un lato della fronte fino a precipitare sulla tempia. Gli occhi erano semplicemente spalancati, il blu delle iridi spento, le pupille non scintillavano, ma erano in qualche modo... opache.
Ed io ero in silenzio, mentre il cieco dietro di me urlava qualcosa contro la setta dei Mistici e verso di me. Gridava per farsi sentire, ma io non lo ascoltavo. "Attento".
Non importava. Non mi voltai. Restai in ginocchio a guardare il corpo del mago, immobile. Chiusi gli occhi.
Adesso tutta l'operazione per il salvataggio della principessa era saltata all'aria. Solo lui avrebbe potuto localizzarla, solo lui avrebbe potuto ritrovarla. Solo lui. Ma non era quello, ciò che mi faceva veramente male. Era il fatto di non essere riuscito a salvarlo. Perché, per qualche terribile ragione, tutte le persone alla quale finivo per affezionarmi, morivano. Morivano sotto ai miei occhi ed io non riuscivo mai a far niente per salvarle. E, nel momento in cui per loro era finita, io capivo che mi ci ero affezionato. Che, forse, mi ero innamorato.
Ma ormai era troppo tardi.
E così mi ritrovai a stringerlo un po' di più, cercando di riscaldare con il calore del mio corpo il suo, così freddo, così in fretta. Chinai il capo nell'incavo del suo collo, stringendo i denti per impedirmi di urlare. E fu allora che sentì i passi di uno dei Mistici. Ma io non mi mossi, neanche quando mi minacciarono di colpirmi se non mi fossi alzato. Non mi mossi neanche quando sentii la spada sollevarsi su di me. Non sarei riuscito neppure a far nulla, cercare di controbattere sarebbe stato completamente inutile. E forse era quello il mio destino.
Perché, in fondo, nonostante cercassi costantemente la Lingua di Drago, il mio destino era già segnato. C'era comunque la morte alla fine del tunnel. E così aspettai l'arrivo della spada sulla mia gola, aspettai di sentire il morso del ferro, aspettai con la fronte a contatto con la pelle fredda del mago. Finché.
Il cozzare di ferro accanto al mio orecchio mi fece alzare il viso di scatto verso l'alto. E i miei occhi incontrarono uno sguardo arancio, vorticante, come la lava nella bocca di un vulcano.
«Mercenario.» sussurrai, ma lui non ebbe il tempo di notare il corpo del mago, che con un calcio mandò a tappeto l'uomo che poco prima mi sovrastava, una delle guardie della Setta dei Mistici. Il principe Francis spuntò alle sue spalle e, quando i suoi occhi si posarono su ciò che abbracciavo, indietreggiò.
«Oh... no.» balbettò, strabuzzando gli occhi grigi, che iniziarono a riempirsi di lacrime. Ma Cyran invece alzò lo spadone contro le ultime guardie rimaste, che avevano ancora l'ardire di attaccarlo.
«Il Sacerdote di Somnus è stato sconfitto. Vi conviene ritirarvi.» esclamò, due semplici frasi dette solennemente, come se volesse ostentare quel suo trionfo sul nemico, poiché in effetti un sorrisetto gli stava affiorando sul lato delle labbra carnose. Ma non aveva ancora notato ciò che era successo al mago. Non l'aveva ancora fatto.
E forse solo così, incitate da quelle parole, gli uomini con il copricapo assurdo se la diedero a gambe. Ma io non provai alcuna felicità. Mi sentivo solo... svuotato. Perché mi ero ripromesso che mai, mai mi sarei affezionato di nuovo a qualcuno sapendo che, prima o poi, l'avrei perso. E così abbassai silenzioso gli occhi sul bruno, le treccine castane che gli sfioravano le guance fredde, il sangue che oramai era una linea orizzontale e raggrumata sulla fronte, la freccia che gli spuntava dalla testa come un corno. Rimasi fermo, a rendermi conto di quanto fosse leggero fra le mie braccia, di quanto il suo petto fosse immobile, di quanto il suo corpo diventava mano a mano più rigido... pietrificato come una statua.
«E' stata... colpa mia.» Il principe crollò ginocchia a terra, sconvolto, il viso lentigginoso all'improvviso pallido come un lenzuolo, gli occhi grigi che ricordavano un giorno pieno di pioggia, da cui sgorgavano copiose lacrime. Si portò le mani al volto, reclinando il capo verso il basso, affranto.
«Ma cosa...» iniziò il mercenario, che si zittì una volta vista la situazione. Si avvicinò al principe, gli stivali che producevano un suono lieve contro il pavimento del capanno del cieco. «Se c'è qualcuno che ha la colpa, quella è la Setta dei Mistici.» rispose al principe, con un leggero tono rabbioso, eppure rassegnato al tempo stesso. Sì, ormai era troppo tardi.
«No. Se... se solo non lo avessimo coinvolto nelle ricerche...» mormorò il rosso, tirando su con il naso, con le spalle scosse dal pianto. «se solo non fossi stato rapito..»
«Sapevamo che sarebbe stato pericoloso.» La voce del mercenario era di nuovo forte, coraggiosa, ferma. «Non è colpa vostra.» E così si inginocchiò al nostro fianco, con una delicatezza che gli era completamente estranea. Non era scosso. Sembrava che la morte facesse parte integrante della sua vita. Sapeva cosa dire, come reagire, che facce fare. E non era sorpreso. «Dobbiamo togliergli la freccia dalla fronte.» si rivolse a me, ma allungando una mano verso il capo del mago. Mi scostai.
«Non lo toccare.» sibilai, stringendo gli occhi. E io stesso, dopo averlo fatto, mi stupii dei miei gesti. Mi stupii di averlo detto con quel tono aspro, mi stupii dell'espressione sul mio viso, mi stupii di aver stretto al petto il corpo del mago senza neanche accorgermene.
«Va bene, va bene.» acconsentì, alzando le mani come per farmi vedere che non l'avrebbe toccato. Per una volta mi guardava diversamente. Adesso, stupito. Come se, avendomi visto con un'altra espressione, avesse capito che anche io ero umano tanto quanto lui. «Ma non può restare insepolto.» Mise una mano sulla spalla del principe, accarezzandola appena. Non sembrava che volesse consolarlo, più trarre consolazione da quel tocco. «Andiamo a cercare della legna. Dobbiamo mettere su una pira.» concluse, in direzione del principe, aiutandolo a mettersi in piedi.
«Vi aiuto anche io.» aggiunse il cieco, che fino a quel momento aveva assistito a tutta la scena con un volto pieno di addolorata mortificazione, in silenzio. Dal canto mio, non mi mossi né dissi nulla. Eppure, emisi un flebile verso di disapprovazione alla parola "pira". Volevano bruciarlo? Così presto?
E fu allora che mi resi conto che speravo riaprisse gli occhi. Ragionavo quasi come se avessi potuto tornare indietro, modificare le cose. Ma sapevo che questo non era umanamente né magicamente possibile. Forse gli unici confini che la magia non poteva superare erano il tempo e la morte. E così, l'unica cosa che potei fare era tenerlo fra le braccia. Cullarlo come se fosse stato addormentato, come se i miei gesti avessero potuto scacciare i suoi incubi peggiori. Gli scostai i capelli dal viso, cercai di pulirgli con l'orlo della manica della camicia quel rivolo di sangue secco. Poi gli accarezzai il viso.
Non mi accorsi neppure del tempo che passava, finché qualcuno non mi toccò la spalla con un lievissimo scossone. Alzai il volto.
«La pira è pronta.» avvisò il rosso, le sopracciglia appena inarcate in quell'espressione di contenuto dolore e dispiacere, gli occhi rossi dal pianto, i vestiti sempre perfetti questa volta stropicciati, la bocca stretta in una linea sottile. In tutta risposta, mi limitai a sbattere le palpebre e stringere il corpo del mago verso di me, più forte. Non lo avrei lasciato. Il principe mi si inginocchiò di fronte, solo con il corpo del mago a dividerci. No, il corpo di Rhod. «Lascialo andare.» Mi guardava dritto negli occhi, i suoi scintillavano di pianto. - André, lascialo andare.»
«No. Non lo farò.» protestai, come se avendolo fra le braccia avessi potuto prolungare il tempo in cui Rhod era vivo invece che morto. Anche se oramai il suo cuore era fermo, e il suo sguardo opaco. Ci raggiunsero il mercenario e il cieco, con l'intenzione di trasportarlo verso quel punto legnoso che attendeva, per me un'insieme di colori morti e freddi che non mi dicevano nulla, che non volevo mettere a fuoco.
«Ti prego, André. Non si merita un'indegna sepoltura.» Il rosso mi posò una mano sul braccio, quello che stringeva possessivamente il corpo del più piccolo.«Devi lasciarlo andare.» E continuò a guardarmi, scuotendo appena la testa con un cenno di diniego, come se volesse farmi capire che non c'era più nulla da fare. Che quella era l'unica scelta.
E così la mia presa si affievolì e il corpo mi scivolò via dalle braccia. Buttai fuori un lungo, pesante respiro, mentre il mago veniva trasportato dal mercenario con leggerezza, le braccia che cadevano penzoloni senza vita, come una bambola di pezza.
Abbassai gli occhi a terra e non riuscii a guardare, quando gli rimossero la freccia dalla fronte, né quando lo avvolsero fra delle coperte, legandole. Mi alzai solo quando fu il momento di lasciarlo andare alle fiamme.
Mi avvicinai alla pira, la camminata sbilenca eppure pesante al tempo stesso, come se provassi dolore alla pianta dei piedi ad ogni passo. E, solo una volta che l'ebbi raggiunta, il corpo venne adagiato sulla sommità della pira, poco ordinata, più un ammasso di legna imprecisa. Venne sistemata della paglia attorno e sopra al bozzolo in cui era avvolto il nostro compagno di viaggio, adesso perduto. Poi, il mercenario si avvicinò alla catasta di legna con una torcia accesa, pronto a dare il cadavere alle fiamme, mentre il principe pregava verso gli dei con le mani giunte, sottovoce, il capo inclinato, la punta delle dita contro la fronte.
Fui sul punto di gridare qualcosa, di fermarli all'istante, eppure mi morsi le labbra e la mia gola produsse solo un verso strozzato che scomparve sotto la coltre di piatta imperturbabilità, sovrastato dal suono delle fiamme che divorarono il cadavere in un singolo, attimo fulmineo, avvolgendolo come una seconda coperta.
Chiusi gli occhi, come se quella scena mi avesse riportato ad un ricordo di tanti anni prima. Di una mano che si tendeva verso di me e poi si ritirava, veloce, in trappola. Poi mi gridava di scappare mentre bruciava. E intanto non mi accorsi di una lacrima solitaria che mi solcava una guancia, mentre guardavo il cadavere del piccolo mago ardere.
Ormai, Rhod era morto.
***
Rhod
Prima ancora di aprire gli occhi sentii la puzza. Odore acre di fumo, intenso, il naso che quasi mi si arricciava per quel sentore disgustoso di qualcosa che bruciava. Qualcuno che bruciava. Solo più tardi, quando sopraggiunse il dolore, capii che quello ad andare a fuoco ero io.
Il mio primo impulso fu quello di saltare via da qualsiasi cosa stesse bruciando, rotolare, lanciare un urlo e tuffarmi nel primo lago a vista. Poi mi accorsi che ero legato, tremendamente legato. Così mi dimenai, mi divincolai, senza alcun costrutto, eppure cercando a tutti i costi di scivolare via da quella catasta di legna che ardeva. Il fumo intanto si innalzava acre, facendomi dolere il naso e lacrimare gli occhi, mentre il corpo ululava in ogni punto a contatto con la legna.
Aprii la bocca, annaspando, le braccia che cercavano di liberarsi furiosamente. Non riuscivo a congiungere le mani, nemmeno la magia avrebbe evitato il rogo. Iniziai ad urlare, ma serrai immediatamente le labbra appena mi accorsi che il fumo mi soffocava, facendomi mancare l'aria. Le braccia continuavano a divincolarsi dalla morsa delle corde, il corpo che cercava di allontanarsi dalle coperte divorate dalle fiamme. Strepitavo, lottavo, impazzivo quasi, per poter liberarmi anche da una sola corda e scivolare via, e respirare. E il dolore era diffuso dappertutto, talmente profondo che sembrava mi stessero sbucciando tutta la pelle, pian piano, lentamente, con un coltello affilato.
E poi, quando fui sul punto di farmi schizzare via le vene dal collo per lo sforzo di liberarmi, il fagotto nella quale ero avvolto scivolò via, rotolando dolorosamente verso il suolo. Fu allora che sentii addosso le mani di qualcuno, che sbattevano ripetutamente su di me, come se avessero voluto spegnermi. Dopo, una secchiata d'acqua fredda si distese lungo tutte le coperte, quel paio di mani tornò a trafficare con le corde, tagliare, liberare. Finché non schizzai fuori, guardando finalmente il cielo sopra la testa e sentendo l'aria a contatto con la pelle. Respirai a pieni polmoni, affogandomi quasi. Mi resi conto solo più tardi dei quattro raccolti attorno a me.
«Voi.. voi... voi...» balbettavo, piangevo, e poi facevo tutt'e due le cose insieme, con il fiatone e il corpo cosparso di vesciche che dolevano terribilmente, eppure che molto presto sarebbero guarite. «... mi avete bruciato ... vivo...» mi morsi le labbra. «.. e morto.» aggiunsi dopo, quando mi ricordai del fatto che ero ancora morto, prima di rialzarmi magicamente da... Mi accorsi con una rapida occhiata che poco prima ero steso su una pira funebre. La mia pira funebre.
E poi, sotto la distesa di lacrime oramai asciutte a contatto con la pelle bruciata, intravidi il volto dell'erborista, la bocca appena aperta, gli occhi verdi che mi fissavano strabuzzati e stranamente lucidi. Il volto così vero e così vivo, così diverso dalle sue solite espressioni che il mio cuore accelerò. Dopo notai le sue mani: rosse e gonfie.
Era stato lui a spegnere il fuoco. Era stato lui a liberarmi.
Le lacrime tornarono all'improvviso a scendere, ed io fui sul punto di crollare fra le sue braccia, per abbracciarlo, forte. Ma arrivò prima il principe, che mi avvolse con una forza inaspettata.
«Sei vivo!» esclamò, stringendomi tanto forte da farmi male, per poi scoppiare in un pianto di gioia. «Sei... vivo!» ripeté, rimanendo a guardarmi ancora per un po'.
«E' una bella sorpresa.» intervenne il mercenario, con un sorriso sulle labbra, dandomi una leggerissima pacca sulla spalla, come se fosse perfettamente consapevole che, se ci avesse messo poca più forza, mi avrebbe fatto male.
Ma io guardavo oltre, alle spalle del principe. André mi guardava, ma il suo sguardo era diventato nuovamente piatto. Come se mi fossi soltanto immaginato quell'incredibile stupore iniziale. Era semplicemente impassibile. Come sempre.
Così abbassai lo sguardo, sentendo un leggerissimo dolore simile alla puntura di uno spillo all'altezza del petto. Non era solo delusione. C'era qualcos'altro. Mi sentivo quasi... ferito. Perché non veniva da me come gli altri? Stringendo le labbra, mi scostai dalle braccia del principe.
Ma poi la sua voce, limpida e calda, ruppe i commenti allegri del principe, così come le mezze risposte del mercenario.
«Ha bisogno di essere medicato. E' gravemente ustionato.» disse. Due semplici frasi, senza alcun sottotono che non paresse un'assoluta piattezza. Tuttavia, increspai le labbra in un lievissimo sorriso e, con l'aiuto dei due che mi circondavano, mi issai in piedi. «Cerchiamo di pulirti le bruciature.» commentò, avvicinandosi, mentre io, al tempo stesso, camminavo verso di lui. Era vero, ero completamente sporco di fuliggine. Parte dei capelli era carbonizzata, dalla schiena fino alle caviglie, la mia pelle bruciava ed urlava pietà ad ogni movimento.
«Sì, fate pure.» commentò il principe, annuendo appena con un cenno del capo. E così zoppicai lentamente verso l'erborista, gli occhi blu elettrico immersi in quelli verde acido.
«C'è un lago da cui il villaggio collega il pozzo, a cinque minuti da qui.» spiegò il cieco, allungando un dito nodoso verso un sentiero che cominciava nelle vicinanze del capanno e si perdeva nel bosco. Il biondo annuì, impassibile, registrando semplicemente l'informazione, mentre prendeva un secchio, degli stracci e qualche strana erba. Dopo, mi fece semplicemente segno di seguirlo.
Non aspettò i commenti di nessuno, semplicemente si voltò e camminò verso il sentiero che si inoltrava dal villaggio agli alberi, silenzioso. Ed io lo seguii, tenendo come punto fisso la coda biondo pallido che oscillava impercettibilmente ad ogni suo passo. Il secchio di legno cigolava, i suoi piedi non emettevano alcun rumore, come se sapesse esattamente come muoversi per restare in silenzio, mentre i miei producevano uno scalpiccio e un rumoreggiare confuso di legnetti spezzati.
Finché André non si fermò all'improvviso nel bel mezzo del bosco e si voltò verso di me, facendo arrestare anche la mia camminata.
«E così sei vivo.» sussurrò, facendosi un po' più vicino. «Com'è possibile?» domandò, anche se il suo volto non sembrava minimamente interessato. Sempre imperturbabile, imperscrutabile. Sarebbe stato impossibile capire a cosa stava pensando. Eppure i suoi occhi verdi erano talmente intensi, talmente... verdi, da perforarmi. Allungò una mano verso i miei capelli, come aveva fatto la prima volta che ci eravamo conosciuti. Ma adesso non indietreggiai. «Ti sono ricresciuti.» notò, senza alcuna sorpresa, vedendo come la parte carbonizzata dei miei capelli fosse ritornata uguale a prima. Abbassai gli occhi, imbarazzato, senza riuscire a controllare il rossore sulle gote per la vicinanza improvvisa.
«Io... io...» Chiusi la bocca. «La magia ha sempre un prezzo.» fu l'unica cosa che riuscii a dire, questa volta alzando il viso verso di lui, e non ci fu alcun bisogno di spiegargli nulla perché capisse. Anche grandi maghi avevano grandi punti deboli. La magia non donava nulla. Scambiava. E se il mio era un grande potere, il peso che dovevo portare sulle spalle era grande tanto quanto la mia magia. «Questo... è il mio.» sussurrai, senza riuscire a guardarlo in faccia. Ma lui mi scostò una treccina dal viso, indirizzandomela dietro all'orecchio.
«Non devi pagarlo sempre da solo.» mormorò, un soffio dolce che mi portò all'improvviso ad alzare gli occhi verso di lui. E André... sorrideva. Un sorriso flebile eppure dolce, tanto dolce da farmi provare quella stessa puntura di spillo all'altezza del petto, eppure diversa. Mi misi una mano sul cuore, un gesto spontaneo che sembrava quasi volessi controllare che non mi fosse schizzato via all'improvviso. Batteva all'impazzata.
«Ma... c-come?» balbettai, abbassando gli occhi verso terra, sentendomi avvampare all'improvviso. L'erborista dai capelli chiarissimi non disse niente, si limitò a mettermi due dita sotto al mento, in modo che reclinassi il volto verso di lui, e si avvicinò. All'inizio pensai che volesse vedermi più da vicino, così lo guardai anche io, sebbene il cuore mi battesse tanto da sentirlo perfino nelle orecchie. Ma lui non si fermò, ed io capii quello che stava succedendo solo quando le nostre labbra combaciarono.
Non avevo mai baciato nessuno prima, per cui non potei paragonarlo a nulla di già sentito. Eppure era così morbido, più morbido dello sfiorare i petali di un fiore con la bocca. Le sue labbra premettero contro le mie ed io non mi scostai, anche se in un primo momento strabuzzai gli occhi per la sorpresa.
Passò la mano dai miei capelli alla guancia, mentre l'altra venne posata sulla spalla, ed io dovetti stare in punta di piedi per arrivare a lui, aggrappandomi alla sua camicia, impacciato, rosso, il dolore delle bruciature all'improvviso scomparso. La mia mente era da tutt'altra parte, come se fossi in preda di uno dei miei migliori incantesimi ed avessi bisogno di tutta la mia concentrazione. Assolutamente assorto. E lui, il suo profumo, le sue labbra, sapevano di selvatico. Di boschi, di aghi di pino, di bacche, di erba bagnata, di more... un profumo che ti riempie i polmoni fino all'ultimo respiro.
Chiusi gli occhi, aggrappandomi a lui, facendo combaciare le nostre labbra, schiudendole in uno scontro di denti e in un incontro timido di lingue. Strinsi più forte la sua camicia nel pugno, allungandomi verso di lui, e lui attirandomi di più verso di sé. Solo quando ci staccammo mi accorsi che stavamo fluttuando di qualche centimetro da terra, grazie a me.
«Scu... scu-scusa.» balbettai, ancora più insicuro ed ansimante del solito, come se, piuttosto che voler riprendere fiato da quel bacio, non avessi più un briciolo d'aria nei polmoni. Del tutto inutile, perché sentivo ancora il viso andare a fuoco, nonostante fossi scivolato via diversi minuti prima dalla pira. Ma il biondo continuò a guardarmi, con i capelli candidi filati di bianco che scintillavano alla luce della luna, che filtrava attraverso i rami della boscaglia.
Il suo sguardo non era piatto come al solito ma scintillava, così come i lembi della sua bocca, che erano alzati impercettibilmente all'insù. Così mi accorsi che ogni sua espressione non era semplicemente piatta ed impassibile. Ognuna aveva una sfumatura leggermente diversa, difficilissima da cogliere. Eppure era lì. Pronta per essere svelata.
Mi porse una mano, il palmo alzato verso di me, tanto pallido da essere bianco.
«Vieni, andiamo a medicarti.» disse, anche se doveva essersi accorto che buona parte delle ferite erano oramai guarite. Così gli presi la mano, ancora completamente rosso e con una felicità così grande nel petto da farmi venir voglia di cantare a squarciagola.
❧❧❧❧❧❧
Un angolo di cupcakes al cioccolato e raffreddore estivo! ~
Hola wattpadiani!
Sì, sono in un periodo in cui preparo e sforno cupcakes alla velocità della luce, manco le donne incinta con le voglie. E ho il raffreddore in estate, giustamente. Ma mandiamo avanti! Ad un mese esatto dallo scorso capitolo - non conto i giorni, è un caso puramente fortuito xD - eccomi qui con uno nuovo! Spero che vi sia piaciuto. E' nata la Andrhod... o la Andhod(?). E sì, a questo bacio ci sono arrivati prima loro e non quel porco-maniaco del mercenario, che ci volete fare! (Voglio bene ai miei personaggi, si vede?)
- Momenti logorroici in pausa -
Un saluto e alla prossima! ^^
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