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Peccatum

Fin dall'alba dei tempi l'uomo si è sempre chiesto quali fossero i limiti della moralità. Per esigenza o per necessità, ha sempre avuto bisogno di un contorno entro cui inserirsi. Un confine. È dalla nascita dell'umanità che il desiderio di agire secondo convenzioni e leggi morali ha investito le menti degli abitanti di questo nostro misero pianeta. Ci siamo creati regole, le abbiamo rese nostre. Ci siamo cuciti vestiti su misura, della stessa dimensione del nostro corpo. Tanto precisi da ostacolarci i movimenti. Chi prova a muoversi oltre i limiti imposti dal tessuto finisce con uno strappo sulla giacca o un pantalone lacerato. Le persone lo indicano, lanciano sguardi di disapprovazione. Una persona con l'abito sgualcito verrà sempre giudicata.

Ci siamo creati degli schemi da seguire per rimanere tranquilli. Perché è sempre più rassicurante avere direttive, seguire precetti, amalgamarsi alla massa. Abbiamo creato il morale e l'amorale, il giusto e lo sbagliato, il buono e il cattivo. Gli abbiamo affibbiato delle caratteristiche, l'abbiamo inserito nelle nostre leggi, l'abbiamo posto alla base delle nostre relazioni.

Abbiamo ridotto a emarginati i sovversivi, i liberi pensatori, i creatori, gli amanti. Li abbiamo gettati in mare con un peso legato ai loro piedi. Li abbiamo visti annegare e non abbiamo fatto nulla. Nonostante i loro occhi spalancati ci fissassero disperati, trasformati in due pozze di sangue. Nonostante con le labbra mimassero un muto aiuto.

Tutto è stato forgiato a immagine e somiglianza di un io ideale, fatto solo di luce e senza ombre. Un io investito di qualità eccelse, capacità di discernimento, moderazione. Più ci si allontana dall'io e più le ombre ci inghiottiscono facendoci sparire.

Tutto ciò che è diverso, va eliminato, represso, soffocato.

L'anima, alle volte, va soffocata. Ci resta solo il suo scheletro.

***

A quindici anni aveva già capito cosa sarebbe diventato da grande: un umile servitore di Dio.

La famiglia aveva accolto la notizia con una certa euforia. Il padre, un cattolico convinto e al limite del fanatismo, l'aveva abbracciato calorosamente, stringendolo forte a sé e negandogli di respirare.

L'orgoglio di papà.

O forse il desiderio di allontanarlo da un mondo di peccato e perdizione. Ma a questo, il ragazzo, preferiva non pensarci. Da sempre stato ingenuo, aveva preferito cullarsi all'idea che, dopotutto, i genitori potessero essere fieri di lui.

Unico figlio, maschio, educato, gentile: tutte le speranze dell'affiatata coppia si erano riversate su di lui.

Era diventato il riflesso delle loro aspettative e dei loro sogni infranti. Il frutto di una repressione sedimentata per anni.

- Tu non farai l'operaio come me -.

Era stato cresciuto con quella frase, ripetuta ad ogni compleanno o occasioni degna di nota. Il padre, che aveva rivendicato la dignità dell'operaio, che negli anni della giovinezza aveva lottato nelle rivolte studentesche contro un sistema borghese e capitalista, alzando alto il pugno nel cielo, era finito col disprezzare la sua stessa posizione. Cresciuto col mito dell'operaio, aveva assunto egli stesso la mentalità borghese. Ed era caduto in basso, sbucciandosi la pelle ma in ginocchio, pronto ad inseguire il mito di un Dio buono e giusto. Forse per fuggire dalla pazzia dell'alienazione, forse per rifuggire in un'altra assurdità da invasati. È incredibile come guardando dal basso verso l'alto alle volte si finisca col salire così tanto in cielo da non sentire più il tanfo della terra.

Il padre era un uomo austero. Si chiamava Massimo. Il suo aspetto era il riflesso delle sue ombre interiori, cosicché macchie scure e fitte di peluria gli abitavano la pelle altrimenti bianchissima: le sopracciglia folte gli oscuravano lo sguardo rendendolo ombroso, mentre i fitti baffi gli incurvavano le labbra in un broncio perenne. L'assenza di capelli, invece, metteva in mostra la forma insolita del suo cranio. Era quadrato. Il padre indossava sempre lo stesso maglioncino blu con la camicia bianca. Ne aveva sette, tutti uguali, uno per ogni giorno della settimana. Per distinguerli, aveva fatto cucire le iniziali dei giorni all'interno della manica. A cosa servisse quella strana pratica restava un mistero. Odiava gli animali e aveva ucciso anche qualche gatto che era finito nel loro giardino. Quando Simone aveva visto il primo gatto avvelenato dal padre aveva pianto per una settimana. Ma gli animali non hanno un'anima. E dunque non erano degni delle sue lacrime.

Smettila di piangere, lo rimproverava da sotto i baffi folti. I maschi non piangono. Non fare la femminuccia.

Le lacrime avevano finito col prosciugarsi, così come la sua anima.

– Tu farai l'università, o al massimo farai il prete e onorerai il nome della nostra famiglia -.

Il peso di onorare la famiglia se l'era trascinato dietro a fatica, negli anni, fino a renderlo zoppo e ricurvo.

Quando Simone aveva confidato che si sarebbe iscritto alla facoltà di teologia, per poi intraprendere la carriera ecclesiastica, la famiglia aveva festeggiato. Trascinare il figlio ogni domenica in Chiesa aveva portato i suoi frutti.

A Simone, da quando aveva memoria, era stato richiesto di pregare al mattino e alla sera, prima dei pasti e prima di occasioni importanti.

Era stato cresciuto con l'idea che il corpo non andasse osannato, ma quasi deturpato. Che fosse solo la gabbia della nostra anima e che solo con la sua morte essa sarebbe stata liberata.

Che questa vita fosse di poco conto. Che non importava essere felici ora, perché la felicità sarebbe sopraggiunta con la vita eterna. E un mucchio di altre stronzate fanatiche che avevano traumatizzato un bambino già di natura spaventato e introverso. Simone era cresciuto nel disprezzo dell'amore fisico e della carnalità.

Quando ebbe la sua prima erezione aveva intorno ai dodici, forse tredici anni. Si era spaventato al punto da invocare disperato il nome della madre, ignaro della situazione imbarazzante in cui si sarebbe trovato. La mamma, giunta in camera, l'aveva mortificato e umiliato.

- Questo è il frutto del demonio, tu sei sporco, devi combattere il peccato – gli aveva urlato.

Il giovane ragazzo si era tanto imbarazzato da non aver avuto altre erezioni in seguito a quell'evento. Eppure gli stimoli c'erano. I corpi nudi che vedeva in TV, di nascosto, mentre i genitori erano fuori, lo tormentavano. Diventava tutto rosso, iniziava a sudare e provava l'impellente desiderio di pisciare. Nessun'erezione, tuttavia, faceva capolino. Nemmeno di fronte ai seni nudi e candidi di una donna. Nemmeno quando, di nascosto, aveva visto un porno con un suo amico. Tutti sembravano fare pensieri sulla sua insegnante di inglese: una donna dalla voce calda e il corpo tanto sinuoso da rubare persino lo sguardo di qualche ragazzina curiosa. Tutti, eccetto Simone.

Per lui, pensare di dedicare la sua intera vita ad un amore spirituale, dunque, fu quasi spontaneo.

Aveva accettato che scopare non facesse per lui. E tanti cari saluti. Capitolo chiuso.

Al sesso, Simone, non ci avrebbe più pensato.

***

Entrare a far parte dell'Abbazia delle Tre Fontane era stato molto semplice per Simone. La laurea con il massimo dei voti e gli anni in seminario erano un ottimo biglietto da visita. Scegliere un monastero di clausura, dopotutto, era stata la cosa più naturale per lui. L'idea di vivere in un piccolo paradiso all'interno di Roma, isolato dai rumori della città, dal frastuono dei clacson e del mare di persone lo allietava e lo eccitava. Aveva salutato gli amici di vecchia data con mesto calore, promettendo loro di andarli a trovare. La verità era che sapeva che una volta varcate le porte di quel complesso non sarebbe più riuscito a dirgli addio. Si sarebbe atrofizzato al suo interno, fossilizzato tra le sue mura. Perché Simone era così: si lasciava trascinare dagli eventi senza opporgli resistenza. E questo poteva anche significare chiudersi in quel posto e non uscirne più.

Quella mattina faceva decisamente troppo caldo. Dalle strade si levava un'afa densa, visibile, che si insinuava nelle narici rendendo la respirazione impossibile. Simone era appoggiato con la testa sul sedile posteriore dell'auto. La madre canticchiava una canzone accompagnando la radio, il padre tamburellava le dita grassocce sul volante. Si osservò per un attimo allo specchietto retrovisore.

I capelli ricci erano tanto sudati da essersi incollati sulla sua fronte. Gli zigomi alti erano ricoperti da chiazze rosse. La pelle era tanto chiara da denunciare qualsiasi variazione termica. Così si arrossava con una facilità imbarazzante.

Si aggiustò con incertezza i capelli e allentò il colletto bianco che gli cingeva il collo. Quel saio era decisamente troppo pesante. Sarebbe stato difficile abituarsi, ma col tempo, probabilmente, ci avrebbe fatto l'abitudine.

È la tendenza umana, quella di adattarsi alle situazioni.

Fece passare più volte un dito nel colletto bianco rigido, cercando di alleviare quella sensazione di oppressione che lo stava attanagliando. La madre si voltò ad osservarlo. Gli occhi azzurri gli sorrisero incoraggiante. Vide il naso aquilino rigirarsi verso la strada, per poi riprendere la cantilena di poco prima.

La macchina svettava rapida sull'asfalto rovente di Roma. Simone gettava di tanto in tanto gli occhi sul paesaggio che vedeva dal finestrino. Le strade larghe, gli alberi, i condomini alti. Le persone si muovevano incessantemente come formiche, scontrandosi occasionalmente per passarsi qualche messaggio.

Le buste tra le mani, i cellulari all'orecchio, i ventagli sventolati in aria.

Mai come in quel momento, di fronte alla quotidianità della vita, Simone si sentì totalmente estraneo.

Erano pochi i chilometri che lo separavano dall'addio definitivo a quella dimensione.

Non gli era mai appartenuta sul serio, quindi non era triste.

Simone era pronto alla vita in isolamento, alle ore di preghiere, al lavoro della terra. Era pronto a dedicare tutta la sua esistenza all'essere perfetto sopra ogni essere. Per lui non era una privazione, ma il raggiungimento massimo della sua felicità. Immaginava quel momento da quando aveva quindici anni e ora che ne aveva ventisette e che stava per viverlo, avrebbe dovuto essere felice.
Simone era felice. Simone era emozionato.

Eppure, qualcosa di lontano nella sua mente non gli permetteva di godere a pieno di quel momento. Un ronzio fastidioso, come una zanzara di notte, gli abitava i pensieri rendendogli odioso ogni rumore di quella macchina, ogni fischiettio della mamma, ogni tamburellio delle dita grasse del papà sul volante.

Persino l'aria calda lo infastidiva e quel saio, quel dannato saio, lo stava facendo impazzire. Desiderò quasi strapparlo di dosso.

Ma poi si calmò. Fece un respiro profondo e si affidò alla grazia del signore. Doveva avere fiducia in Lui. Fu in quel momento che si rese conto di essere arrivato.

La 600 bianca rallentò prima di fermarsi davanti ad un cancello in ferro. Incastrato tra due muretti in mattoni grigi, lasciava visibile il lungo viale alberato dietro di lui. Simone si chinò in avanti ad osservare. Il cancello venne aperto da un signore che si trovava dietro di esso.

Fece cenno col capo dopo aver squadrato Simone e lasciò passare la macchina. Via Acque Salvie era stretta e lunga. Gli alberi che la affiancavano da entrambi i lati la gettavano completamente nell'ombra, ingoiando il sole che lottava per penetrarvi. Dai finestrini abbassati arrivò una piacevole brezza fresca, di quelle mattutine e anomale per l'estate.

Una volta varcato quel cancello, non fu più possibile sentire i rumori della strada. Gli unici suoni che giungevano erano il cinguettio degli uccelli o il ronzio dei nidi d'ape sulle piante.

Simone chiuse gli occhi assaporando quella pace.

Lungo la strada, in una nicchia in mattoni rossi, una statua di San Benedetto benediceva i passanti. Sotto il santo incappucciato, un'iscrizione in capitali recitava la locuzione latina ora et labora, generalmente associata alla regola benedettina.

"Qui si affretta chi desidera vedere i cieli aperti;

e la durezza del percorso

non lo distoglie dal santo proposito."

Simone tradusse quelle frasi con facilità, per poi osservare attentamente lo sguardo di pietra del Santo.

"La vita beata passa sempre
per uno stretto sentiero."

Gli sembrò che le pupille di marmo del santo, per un attimo, lo seguissero. Sentì il cuore in gola.

Dio ti osserva sempre.

La voce della mamma riecheggiò tra i suoi ricordi. Simone deglutì. Quando tornò a guardare la statua, essa era fissa e immobile nella sua nicchia.

Dopo aver percorso alcuni chilometri, la macchina si fermò in un piazzale ad emiciclo abbastanza largo. Davanti a loro c'era un arco in mattoni, con sopra una loggetta con colonnine e un alto rilievo di una Madonna con Bambino. Al di là di quel fabbricato che Simone scoprì molto presto chiamarsi Arco di Carlo Magno, aveva principio il vero complesso monasteriale. Scesero tutti dalla macchina, e Simone estrasse dal baule la sua valigia marrone, con i pochi vestiti e libri che aveva portato con sé.

Sotto l'arco un prete molto anziano li aspettava. Il sorriso bonario si celava sotto una barba canuta che gli arrivava al petto. Li accolse con caloroso affetto e strinse forte la mano di Simone tra le sue fredde e raggrinzite.

- Molto piacere, io mi chiamo padre Michele, benvenuto in questa nostra umile abbazia -.

Simone ricambiò la stretta, chinandosi per raggiungere la sua altezza. Gli sorrise sinceramente e lasciò che li guidasse all'interno. Quando furono entrati nella portineria, conobbe altri due presbiteri. I genitori alle sue spalle rimasero silenziosi tutto il tempo. Quando fu il momento di congedarsi, gli strinsero freddamente la mano e gli augurarono buona fortuna. Simone sapeva che non sarebbero tornati a trovarlo, motivo per cui li osservò allontanarsi verso la macchina con gli occhi lucidi e un senso di tristezza a gravargli sul petto.

Padre Michele prese la sua valigia e lo condusse presso una piccola porticina. Simone dovette abbassare la testa per oltrepassarla, e una volta chiusa alle sue spalle si voltò e si trovò sotto un porticato in tufo grigio. L'aria era fresca. Un odore forte di agrumi gli accarezzò le narici. Oltre le colonnine in marmo di quella loggia, un chiostro centrale era pieno zeppo di ogni tipo di albero da frutto. Ciò che primeggiava, tuttavia, erano gli alberi di mandarancio.

- Queste sono tutte le piante da frutto che possediamo, meli, peri, mandaranci, ciliegi, peschi, le coltiviamo noi. Vedrai, sarà bello quando ti mostrerò gli ettari di orto che abbiamo in possesso. Abbiamo anche gli ulivi con cui facciamo il nostro olio – disse voltandosi a guardarlo.

Simone annuì interessato.

Dopo aver attraversato l'intero porticato, giunsero in una nuova zona del convento. Oltrepassato un portoncino in legno antico, Simone si ritrovò in un corridoio stretto e buio. Gli unici mezzi per illuminarlo erano alcune candele appoggiate alle pareti. Una finestra finale gettava un po' di luce al suo interno, mettendo in risalto le crepe e le imperfezioni della superficie. Un po' di macchie sul soffitto denunciava l'elevato grado di umidità, comunque percepibile dall'odore e dalla temperatura improvvisamente fredda che Simone sentì sulla sua pelle. Se non altro, non avrebbe avuto caldo.

A distanza di pochi metri l'una dall'altra, una trentina di cellette erano chiuse da porte in ferro.

- Qui dormono tutti i frati, i diaconi e gli aiutanti – disse padre Michele.

- Ci sono aiutanti? – chiese Simone leggermente incuriosito.

- Ci sono alcune persone che non fanno parte della curia. È una lunga storia – tagliò corto il frate, e Simone non aggiunse altro.

Si fermò di fronte una delle sale, tirò fuori un grande mazzo di chiavi dalle sue tasche e aprì la porta che emise un rumore graffiante.

- Questa è la tua stanza – disse, sorridendogli sinceramente. Simone buttò un'occhiata rapida all'ambiente e – Perfetta – esclamò con convinzione.

La stanza, in verità, era tutto tranne che perfetta. Era di tre metri quadrati e c'era appena lo spazio per un letto singolo e un armadio in legno tarlato. Una finestrella illuminava a stento la scrivania in legno che si trovava appena sotto di essa. La lampada e la sedia traballante erano gli ultimi due pezzi di arredamento che, nel complesso, si riduceva solo a questo.

- Ti lascio del tempo per ambientarti. A breve giungerà uno degli aiutanti a portarti l'abito talare -.

Simone ringraziò cortesemente, quindi il prete lasciò l'ambiente della sua futura abitazione.

Si guardò intorno prima di sedersi sul letto. Con lentezza si chinò verso la valigia e prelevò i libri e gli abiti che aveva portato da casa. La luce era fioca, l'ambiente povero, ma a lui non importava. Da quel momento in avanti avrebbe vissuto solo nell'amore di Dio, nel duro lavoro e nella preghiera.
Una volta posizionati gli abiti nell'armadio e lasciata la pila di libri sulla scrivania impolverata, si inginocchiò presso il letto per pregare.

Padre nostro che sei nei cieli

sia santificato il tuo nome

venga il tuo regno

sia fatta la tua-

Simone si bloccò. Qualcuno aveva battuto violentemente contro la porta in ferro della sua stanza.

Sarà l'assistente, pensò, quello dell'abito talare.

Si sollevò, incurante del suo saio diventato quasi grigio a causa dello spesso strato di polvere che ricopriva il pavimento.

Quando aprì la porta si ritrovò di fronte ad un ragazzo giovane. Non indossava abiti religiosi, né divise, ma una semplice maglia bianca e un paio di jeans sgualciti. Sembravano più larghi della sua taglia dal modo in cui gli scendevano lungo il corpo. Poi notò le macchie di terra sulla maglia; in un secondo momento, notò come le dita fossero quasi completamente marroni. Le stesse che tenevano strette il tessuto bianco e nero della sua tunica, macchiandola.

Fu il volto l'ultima cosa che Simone osservò. Anche lì, alcune macchie di terra gli sporcavano gli zigomi e il mento sinuoso. Una striscia di barba gli definiva la mascella larga. Un paio di occhi neri lo scrutavano incuriosito, appena sotto i suoi ricci crespi.

- Devi essere il nuovo frate – disse il ragazzo.

- Sì, mi chiamo Simone – riuscì a dire il giovane prete, balbettando appena, - Grazie per la divisa – continuò.

- Sei giovane - disse.

Non sapendo cosa dire si limitò ad annuire e ad abbassare il capo. Con le mani afferrò l'abito e lo portò al suo petto. Fece un passo indietro per rientrare nella sua stanza ma lo strano ragazzo si gettò ai suoi piedi, facendolo sobbalzare appena.

Prese a strofinare via dalla vecchia tunica di Simone le macchie di polvere che si erano depositate all'altezza delle ginocchia.

- Non c'è bisogno – balbettò, ma il ragazzo non parve dargli ascolto.

Era tutto intento a colpire il tessuto con le unghie sudicie di terra. Simone lo osservò mentre con sguardo serio si concentrava in quella attività non richiesta. Dall'alto riusciva a vedere la testa piccola ed elegante muoversi lasciando vibrare i ricci spettinati. Le labbra erano strette tra i denti. Gli occhi di Simone caddero sulle clavicole ossute e abbronzate.

Sentì le sue mani scontrarsi contro le ginocchia e provò un forte imbarazzo quando si tirò su aggrappandosi alle cosce del frate.

- Non c'era – Simone si schiarì la voce, indietreggiando – non c'era bisogno – disse infine.

- Io sono qui per aiutare – rispose con sicurezza.

Simone annuì e tornò dentro. Chiuse la porta in faccia al ragazzo, rimasto sulla soglia senza muoversi. Accostò poi la testa al piccolo occhiello che gli permetteva di vedere il corridoio. Era ancora lì. Se ne andò solo dopo dieci secondi.

Simone era confuso.

Poggiò il vestito sul letto. Le macchie di terra erano ovunque. Si era prodigato tanto per la polvere, ma gli aveva consegnato un abito già sudicio di terra.

Simone tornò a pregare, abbandonando i pensieri sullo strano aiutante. Fece un segno della croce, si inginocchiò.

Sia fatta la tua volontà

Come in cielo, così in terra.

***

Tutte le mattine, Simone si alzava all'alba.

I galli cantavano e le prime luci tiepide si insinuavano come ladre dalla piccola apertura. Appena aperti gli occhi si inginocchiava e iniziava a pregare in silenzio. Quel momento intimo tra lui e Dio durava un'ora. Dopo aver letto alcuni libri di preghiere, usciva fuori per prendere un po' d'aria.

Nel chiostro osservava lo strano ragazzo che si arrampicava sugli alberi per cogliere i frutti succosi dell'estate. Quando vedeva Simone, faceva cenno con la mano per salutarlo, restando sospeso ai rami con un solo braccio. Simone ricambiava con un sorriso educato e un rapido cenno del capo. I suoi panni erano sempre sporchi, non importava a che ora del giorno si incontrassero. Non parlava molto. Se ne stava per la maggior parte del tempo nei campi o sdraiato a dormire nel prato. Occasionalmente si recava in Chiesa, ma i preti cercavano di allontanarlo, specialmente negli orari di apertura al pubblico.

Si chiamava Manuel.

Era stato fra Michele a dirglielo.

Non sapeva come era finito lì, in quel posto, ma girava voce che fosse stato abbandonato da sua madre al momento della nascita.

Era una ragazza troppo giovane per crescere un figlio e aveva affidato quella creatura minuscola alla cura dei frati.

L'avevano cresciuto con poche attenzioni, lasciandolo scorrazzare tra i campi e senza dargli alcuna educazione. Manuel veniva trattato alla stregua di un animale, ma non pareva nemmeno accorgersene. Gli veniva dato cibo, un tetto sulla testa, ciò era pur vero. Ma la sua vita girava intorno al lavoro, all'assistenza, e non era mai uscito da quel posto.

Solo occasionalmente, di nascosto, Simone l'aveva visto sgattaiolare fuori dal cancello. Manuel sapeva di essere visto da Simone, e non abbassava lo sguardo quando i loro occhi si incontravano.

Spariva per ore, per poi tornare a notte fonda. Simone lo vedeva affacciarsi nella sua celletta. Allora fingeva di dormire, ma sentiva i suoi occhi rovistargli il corpo.

A parte questi strani segreti che conservavano silenziosamente tra di loro, le giornate di Simone erano tutte uguali.

Erano pressoché scandite dalle preghiere: la messa, la terza a metà mattinata, la sesta a mezzogiorno, la nona nel primo pomeriggio e la compieta all'ora di cena.

Tutti i frati si riunivano insieme nella Sala Capitolare. L'ambiente spoglio e austero permetteva la comunione dei monaci che, silenziosi, si dedicavano alle preghiere e alla lettura del capitolo della Regola.

Qui Manuel era assente, e Simone poteva dedicare tutta la sua attenzione a Dio.

L'altro importante momento comunitario era il pranzo e la cena. C'era un orario fisso che andava rispettato.

I monaci cistercensi, l'ordine a cui apparteneva Simone, vedevano il momento conviviale come una dimensione sacra. Si doveva mangiare allo stesso identico orario tutti i giorni, ignorando la naturale sensazione di fame, giacché il corpo veniva sempre dopo l'anima. Durante il pasto, i monaci non potevano guardarsi. L'attività fisica dell'alimentarsi era affiancata all'attività spirituale della preghiera.

C'era la lettura di una preghiera da parte di uno dei frati, intanto che loro restavano assorti, ognuno immerso nelle proprie elucubrazioni. Manuel, seppur non facesse parte del corpo religioso, partecipava a questo rituale in refettorio.

La stanza era grande e ampia, illuminata da larghe vetrate. I posti a sedere erano molti di più rispetto al numero di monaci, per permettere ad ogni singolo frate di isolarsi e allontanarsi dal resto del gruppo.

Simone, immerso com'era nelle sue preghiere, non aveva notato subito che Manuel prendeva sempre posto davanti al suo.

Ogni giorno lui cambiava sedia. Era una rotazione che facevano tutti i frati nel refettorio.
Puntualmente, però, si ritrovava il viso sporco di terra di Manuel davanti agli occhi.

Non avrebbe dovuto notarlo, catturato dall'ascolto della preghiera e dalla meditazione, ma lo sguardo di Manuel su di lui era tanto insistente da non riuscire a non esserne calamitato.

Iniziò tutto per caso, e nel giro di alcune settimane divenne un'abitudine silenziosa tra i due dalla quale Simone non riusciva a sganciarsi.

Manuel aveva iniziato con qualche occhiata. Era passato in secondo luogo a fissarlo per quasi tutto il tempo del pasto.

Simone aveva notato come Manuel si lasciasse scappare sempre un rivolo di brodo dalle labbra che finiva sulla maglia già profondamente macchiata. Il pane lo mordeva con foga, quasi fosse stata una fetta di carne, e se lo gustava come la cosa più buona del mondo. Mentre si dedicava a queste attività, non staccava mai gli occhi da Simone.

Portava con sé tre mandarini. Il numero non variava mai, così come le dimensioni. Si sarebbe potuto dire che fosse una scelta sofisticata, la sua. Se non fosse stato per le mani imbrattate di terra si sarebbe potuto pensare persino che quel ragazzo possedesse un minimo di eleganza.

Simone non aveva notato come avesse smesso gradualmente di pregare, durante i pasti. O di ascoltare la recitazione del frate di turno. Era stato tanto naturale lasciarsi andare al flusso degli eventi, che ora che osservava le dita di Manuel inserirsi lente nel cuore del mandarino, facendo schizzare un po' ovunque sul tavolo il liquido aranciastro dell'agrume, con gli occhi fissi nei suoi; ora che lo vedeva riportare le dita alle sue labbra, per leccarne via il nettare; ora che vedeva la lingua di Manuel passare su quel buco lasciato nel frutto e succhiare via tutta la polpa acidula; in quel momento, solo in quel momento, si rese conto di aver ormai smesso di pregare.

Come un flashback gli passarono davanti agli occhi tutti i ricordi dell'infanzia, il seno generoso della sua professoressa di inglese, il porno visto con l'amico, le immagini di uomini nudi che osservava di nascosto alla TV, i loro petti, la linea rigida delle loro schiene, le spalle larghe, i muscoli tesi, la barba graffiante, le dita lunghe, la sua erezione contro i boxer stretti, le urla della madre, le dita di Manuel nella sua bocca, la sua lingua nel mandarino, la sua lingua dentro di lui.

Simone si alzò di scatto: la preghiera venne interrotta dal rumore sordo della sedia sul pavimento. I frati, un attimo prima assorti nelle loro personali bolle, sollevarono la testa e la voltarono come tanti piccoli suricati.

Il vocio di qualcuno ancora assorto nelle sue preghiere si affievolì lentamente fino ad evaporare nel silenzio generale.

Simone spalancò gli occhi quando si rese conto di ciò che aveva fatto e – Sto poco bene, padre Michele – riuscì a dire, - Posso ritirarmi nella mia stanza? -.

Ebbe il permesso e scappò fuori dal refettorio col mantello pesante che gli sfiorava le gambe. Quando si chiuse la porta di metallo alle spalle, il buio della camera lo avvolse. Chiuse gli occhi, sospirò.

Si gettò disperatamente ai piedi del letto. Il fascio di luce che entrava dalla finestra lo colpì in viso. Simone sollevò il cappuccio sui suoi capelli ricci e, chiusi gli occhi, portò le mani congiunte alla fronte.

Padre nostro che sei nei cieli

Padre nostro che sei nei cieli

Sia santificato- il tuo...

Padre nostro che sei nei cieli

Provò a ripetere la preghiera per un tempo lunghissimo, senza mai riuscire a portarla a termine.

Strinse le unghie nei suoi palmi fino a farli quasi sanguinare per coprire con il dolore la sensazione di formicolio che aveva preso a pizzicargli lievemente l'inguine.

***

La Santa Messa veniva celebrata tutte le mattine alle 9:45.

Ogni settimana i frati si alternavano a turni per celebrarla. L'Abbazia era di clausura ma le chiese al suo interno erano aperte al pubblico. I frati, oltre alla vita riservata, dunque, potevano occasionalmente officiare la messa.

Quella settimana era il turno di Simone.

La chiesetta era gremita di persone. Erano specialmente donne anziane che si muovevano aiutate da bastoni o da badanti. Non c'erano giovani tra il pubblico. L'unico ragazzo nella Chiesa era Simone.

Simone e Manuel.

Quando lo vide entrare, sentì il respiro mozzarsi per un attimo. I suoi occhi si appannarono per alcuni istanti, rendendogli difficile la messa a fuoco.

Raccolti i frammenti della sua concentrazione, afferrò la croce di legno che gli scendeva sul petto e andò dietro l'altare per sistemare le pagine delle letture da fare.

Il codice miniato davanti a lui mostrava le scene della conversione di Saulo. Simone osservò attentamente il corpo riverso del santo dimenarsi ai piedi del cavallo, ormai privo di vista, accecato dal fascio di luce divino. Decise di partire da lì.

L'omelia fu apprezzata. Simone aveva un'ottima capacità oratoria e le sue parole furono capaci di portare conforto alle persone presenti in aula. Lo notò dal luccichio dei loro occhi ingialliti.

Manuel, dall'ultima fila, aveva seguito con attenzione ogni parola detta da Simone. Lui l'aveva evitato appositamente, per non distrarsi, ma anche evitandolo riusciva a vederlo chiaramente. Era qualcosa che possedeva, un'energia vitale che rilasciava elettricità ad ogni movimento. Simone ci aveva provato ad esserne immune, ma quel richiamo andava ben oltre i limiti della resistenza umana.

La Chiesa era fresca ed umida. Il forte odore di incenso ricopriva ogni cosa, entrando dalle narici e trasmettendosi fin dentro le ossa. Fu sospeso solo per qualche istante, quando Simone bevve dal calice il sangue di Cristo.

L'odore del vino gli anestetizzò l'olfatto per qualche secondo.

Simone alzò l'ostia al cielo, la fissò per qualche istante: una luce calda la attraversava da parte a parte. La luce del Signore.

Quando la abbassò, tuttavia, gli occhi di Manuel incrociarono quelli di Simone: lo attraversarono come una lama.

Simone tremò, l'ostia si spezzò involontariamente.

La guardò tra le dita, la vide sanguinare tra le sue mani. Un pezzo fu portato alla sua bocca. Il corpo di Cristo.

Manuel non aveva smesso di osservarlo.

Quando lo vide mettersi alla fine della fila di signore anziane per andare a ricevere l'ostia, Simone si fece un segno della croce. Nessuno avrebbe immaginato fosse per quel senso di calore che sentiva aumentare nel suo addome ogni volta che il ragazzo dai capelli crespi gli si avvicinava.

Un passo dopo l'altro, Simone vedeva la distanza accorciarsi tra di loro.

Amen, rispondevano le signore porgendo le loro mani unite, sulla quale Simone depositava l'ostia.

Manuel si fermò davanti a lui.

Simone afferrò un'ostia, - Il corpo di Cristo – sussurrò appena, e Manuel si inchinò leggermente.

Aprì la bocca, cacciò la lingua.

Simone sentì il sudore scorrergli lungo la schiena. Una gocciolina fredda si fermò appena sopra il fondoschiena.

Allungò il disco bianco, lo appoggiò sulla sua lingua. Il tempo sembrò fermarsi. Mentre tutte le signore erano chine, le teste abbassate sui banchi, le mani congiunte a pregare, Manuel allungò la lingua per sfiorare le sue dita. Alzò gli occhi su quelli di Simone solo in quel momento. E lui avvampò, le guance a colorarsi di un paonazzo vivido.

Manuel lo capì, ed è per questo che avvicinò la sua testa e chiuse la bocca intorno alle sue dita, per poi tirarsi indietro.

Si sollevò, congiunse le mani, - Amen – sussurrò, guardandolo dritto negli occhi, prima di voltarsi per tornare al suo posto.

Amen, pensò Simone. Sentì la saliva di Manuel intorno al suo indice.

Amen.

Come Saulo, Simone era rimasto accecato da una luce. Ma non era quella di Dio.

***

Simone si era abituato alla presenza di Manuel in Chiesa.

Si era convinto del fatto che Manuel lo perseguitava solo perché era l'unico prete che non lo scacciava via dalle messe.

Forse gli si stava affezionando per quel motivo.

Simone si sentiva perso nel peccato pensando di aver scambiato l'affetto di un ragazzo solo e abbandonato per altro. Si sentiva sporco e pregava tutto il giorno per purificare la sua anima.

Odiava quelle strane sensazioni, odiava il fatto che non riuscisse a non osservarlo durante i pasti, odiava doverlo vedere ogni mattina nel chiostro o dover raggiungere la sua camera per dargli i panni da lavare. Odiava la sua barba incolta, i capelli mossi, i suoi occhi innocenti che lo scrutavano senza mai stancarsi. Odiava la sua spontaneità, il suo vivere ogni cosa come se fosse la prima volta, l'assenza di limiti.

Simone, che nei limiti si era formato, non riusciva a comprenderlo. La sua vita era fatta solo di regole, di ordine, di imposizioni. Non c'era spazio per la libertà.

E quel ragazzo sudicio e selvaggio era tutto ciò che forse, Simone, aveva desiderato fin da bambino, ma non aveva mai potuto ottenere.

Forse era proprio da ciò che derivava il suo odio.
Quando la volpe non arriva all'uva dice che è acerba.
Simone quell'uva non l'aveva mai assaggiata. E ora, il desiderio di averla stretta tra le labbra, di spaccarla nella sua bocca, di sentirne il succo dolce avvolgergli la lingua era tanto impellente da sentirsi impossessato dal demonio. Ma resistette.

Simone resistette, anche quando l'uva era a portata di mano, anche quando la voglia di assaggiarla gli smuoveva tutti gli organi. Simone resistette.

Erano le sei di un pomeriggio caldo e silenzioso. Le campane avevano da poco smesso di suonare. I preti erano riuniti a pregare nella Sala Capitolare. Tutti i credenti e i turisti erano usciti da un pezzo.

Nella chiesa spoglia, il silenzio era l'unico suono che si sentiva, accompagnato dal cinguettio vivace degli uccellini del cortile. Simone era intento a pulire il calice e a riporre il codice miniato sul leggio quando lo vide.

Nella penombra della navata minore, appena visibile, Manuel si dirigeva verso il borsone delle offerte lasciato su una delle panche.

Lo vide guardarsi intorno, ignaro della presenza di Simone, e infilare le mani nella borsa per prelevare le banconote e le monete.

Il frate chiuse il libro facendolo sbattere. Il rombo forte fece da eco nella chiesa vuota. Manuel sollevò il capo, spaventato, gli occhi spalancati.

Quando vide che era Simone, però, sollevò appena un angolo delle labbra. Sembrava felice.

- Padre Simone – sussurrò, abbassando il capo e avvicinandosi. Sembrava sinceramente dispiaciuto.

Simone gli fece cenno di avvicinarsi, gli indicò una delle panche in prima fila. Manuel si accomodò. Aspettò che anche l'altro si sedesse per alzare la testa nella sua direzione.

La luce calda del tramonto attraversava le vetrate gialle tingendo tutto di un colore dorato. La pelle abbronzata di Manuel si riscaldò.

- Vuota le tasche – ordinò, le mani in grembo e lo sguardo fisso verso il crocifisso.

- Non ho nulla – rispose Manuel, consapevole della debolezza della sua affermazione.

E infatti, bastò un suo sguardo fulminante per convincerlo e inserire le mani nei pantaloni per tirare fuori il denaro. Il silenzio calò come una scure su di loro, pressando i loro timpani i quali sentirono solo le pulsazioni dei cuori battere in sincronia.

- Ho sbagliato padre... lei mi deve perdonare, e non lo deve dire a nessuno, la prego – disse Manuel, avvicinandosi al frate.

Simone indietreggiò leggermente con la testa, restando a fissare la scultura lignea del Cristo morto appeso alla croce.

-A cosa ti servono questi soldi? – chiese con tono distaccato.

- Ad andarmene da qui, ciò che mi danno loro non basta, e non ce voglio sta' più qui. Voglio andarmene, farmi una vita mia – rispose il ragazzo in un impeto di sincerità.

Simone annuì, comprensivo.

- Se hai bisogno di denaro, puoi chiedere a me. Ti pagherò io per i servizi che offri. Non è giusto che tu ci aiuti senza niente in cambio – ammise.

Manuel annuì pieno di gratitudine.

- La ringrazio, padre – gli rispose sollevato, - però la prego, non dica nulla a fra Michele, la scongiuro, mi punirebbe -.

Manuel lo guardò negli occhi, gli stessi che non si erano smossi dall'osservare il crocifisso ligneo in fondo alla navata.

- La prego... - continuò, e allungò una mano sulla parte interna della coscia destra di Simone, che colto alla sprovvista abbassò lo sguardo.

Vide le sue mani sporche stringergli la gamba da sopra la divisa, le unghie piene di terra, le dita delicate e morbide. La presa si fece ancora più salda intorno alla sua gamba.

- La prego – ripeté in un lamento. La mano di Manuel salì leggermente.

Simone lo sentì.

Sentì improvvisamente un calore partire dalle guance e scendere giù nello stomaco. La mano del ragazzo era sempre più insistente e sentì quell'eccitazione scendere in basso, lungo il ventre. Il battito del cuore aumentò, il respiro divenne più affannato. Sentì il calore scivolare  tra le gambe, nei boxer larghi.

Ed eccolo, premere contro il tessuto in cotone.

Leggero, ma persistente.

Sentì tutto il sangue del suo corpo convergere in un unico punto: il gonfiore aumentò sempre di più fino a sentire il pene indurito sotto la divisa. Vide il tessuto bianco sollevarsi leggermente.

Simone alzò il capo, allontanò con energia la sua mano dalla gamba e si incamminò verso l'uscita.

Prima di voltarsi – Non dirò nulla, Manuel – disse, guardandolo in faccia per la prima volta.

In quel momento, osservando gli occhi grandi del ragazzo, la tensione nelle sue mutande aumentò fino a raggiungere la dimensione massima. Si coprì involontariamente e scappò via, nel cortile.

Andò a rintanarsi in un angolo deserto del monastero. Si inginocchiò sulla ghiaia, presso una statua di Gesù. I sassolini si conficcarono nelle sue ginocchia fino a ferirlo. Le campane tagliarono l'aria col loro suono, uno stormo di uccelli si levò alto nel cielo.

- Perdonami... padre, perdonami perché sto peccando. Purificami dal male. Voglio solo che torni tutto come prima – e, senza accorgersene, si lasciò andare ad un pianto liberatorio. L'erezione non smise nemmeno per un secondo di premere contro la sua tunica da frate.

Un amaro segno che Dio l'aveva abbandonato.

***

Forse Dio era morto.

Forse Dio era morto davvero nel Monastero delle Tre Fontane.

Lo pensò Simone quando vide Manuel in prima fila, quella mattina. La chiesa era quasi vuota, forse a causa del tempo grigio.

Alcune signore ascoltavano le parole del frate pendendogli dalle labbra. Manuel lo osservava attentamente.

Fu mentre lui era intento a leggere un passo del vangelo che alzò gli occhi e lo vide: la sua mano si stava tastando da sopra i soliti pantaloni in jeans.

Un movimento lento, appena percettibile, che nessuno avrebbe mai notato.

Ma Simone sì.

Simone lo notò e iniziò a sentire improvvisamente caldo, nonostante le temperature fossero stranamente basse per una giornata estiva.

Simone parlava, sorrideva alle anziane, leggeva i versi, ma poi i suoi occhi finivano lì. Su quelle mani sporche di terra che si strusciavano lentamente intorno alla zona intima, sullo sguardo penetrante del ragazzo. Il frate iniziò ad arrossire e a balbettare.

Un tuono forte rombò violento interrompendo la lettura dei testi sacri.
Quando dopo alcuni istanti iniziò a piovere a dirotto, le poche signore che avevano partecipato alla messa lasciarono la chiesa.

Manuel rimase al suo posto, la mano poggiata sulla patta. Sull'ambiente calò un silenzio anticipatore di qualcosa.

Simone, un occhio su di lui, uno sulle letture, si apprestò a rimettere in ordine gli arredi liturgici.

Dal portale della chiesa vide i preti correre ai ripari all'interno. La pioggia si riversava violenta sul piazzale in ghiaia. Un odore di terra bagnata si sollevò nell'aria.

Ad un certo punto, Manuel si alzò. Senza togliere gli occhi da Simone, si diresse verso la sacrestia.

Era un ambiente stretto, piccolo, a cui si accedeva tramite una porticina piccola. Era quasi sempre vuoto, utilizzato come stanza di servizio dai frati durante le celebrazioni.

La aprì, sgattaiolò al suo interno e lasciò la porta socchiusa. Prima di accostarla, gettò un'ultima eloquente occhiata a Simone.

Il frate fece finta di nulla. Si aggiustò il cappuccio sulle spalle, ripose il libro delle letture al suo solito posto, dietro l'altare.

Posò le ostie nel tabernacolo, lo chiuse, si voltò per fare lo stesso col calice. Ma un sospiro fece eco nella chiesa.

Simone si bloccò. Tutto ciò che riuscì a sentire in quegli istanti fu il silenzio.

Continuò le sue attività, pensando di aver immaginato tutto, quando un altro sospiro, questa volta più intenso, arrivò alle sue orecchie. Proveniva dalla sacrestia.

Simone abbandonò gli oggetti sull'altare e, silenziosamente, si avvicinò alla porta semi aperta.

Si accostò bene alla fessura per guardare dentro e lo vide: Manuel era seduto su una panca in legno.

Una mano era inserita nei pantaloni, sbottonati e leggermente abbassati. Riusciva a vedere le mutande blu che seguivano in simultanea i movimenti decisi della sua mano.

La testa di Manuel era riversa all'indietro. Un altro sospiro gli sfuggì dalle labbra rosacee. Simone sentì quella fastidiosa sensazione di caldo all'interno del suo corpo, ma cercò di ignorarla.

Con i capelli sulla fronte, il corpo abbandonato sulla sedia e gli occhi chiusi, Manuel sembrava un Cristo.

Sollevò il capo. Rapidamente i suoi occhi finirono alla fessura della porta. Lui sapeva. Sapeva che Simone lo stava osservando. Riusciva a scorgerne un occhio.

Guardando verso l'apertura, si abbassò le mutande, mostrando il pene turgido che stava massaggiando sempre più energicamente. Cacciò un gemito rumoroso quando con la mano libera si sfiorò i testicoli.

Simone non riusciva a distogliere lo sguardo. Si trovava nella casa del Signore, nel luogo sacro per eccellenza che in quel momento veniva profanato nel modo più vile esistente.

Eppure, non si sentiva in colpa. Non gli sembrava scorretto: no, quella scena era la cosa più bella che avesse mai visto.

Manuel continuò così per alcuni minuti. Il suo respiro si fece pesante, la voce più bassa, le gambe presero a tremargli. Vide la punta farsi sempre più umida e rossa, fino a finalmente rilasciare il liquido con uno schizzo bianco sul pavimento sporco della sacrestia.

Simone sbiancò quando, poco prima di venire in un ultimo finale verso gutturale, Manuel pronunciò un nome con molta chiarezza.

Simone.

Quando il giorno dopo venne fermato da Manuel alla fine della celebrazione, Simone provò l'impeto di fuggire via.

Aveva passato l'intera notte a pensarci senza riuscire a chiudere occhio. Mentre il vento da fuori colpiva con irruenza le pareti esterne delle cellette, infilandosi fin sotto le lenzuola leggere del frate, un'unica nitida immagine abitava i suoi pensieri.

Il fischio del vento sembrava rievocare i sospiri di Manuel, lo scroscio dell'acqua la voce roca dei suoi gemiti.

Simone non dormì neanche un minuto. E per un attimo gli parve anche di vedere Manuel affacciarsi alla finestrella, tutto bagnato d'acqua. Si convinse che fosse un'allucinazione causata dalla stanchezza, ma l'ombra sul pavimento ai piedi del letto non poteva essere frutto della sua immaginazione.

Manuel lo afferrò con decisione mentre Simone era intento a uscire dalla chiesa.

- Padre, le devo parlare – disse guardandolo negli occhi.

Cercò di allontanare il braccio, ma la presa di Manuel si fece più salda intorno alla tunica.

- Devo confessarmi -.

E Simone sapeva di non poter sottrarsi a tale richiesta.

- Vai presso il confessionale, ora ti raggiungo – rispose pacato.

Manuel annuì e fece come detto.

Dopo alcuni minuti, Simone lo raggiunse davvero. Il confessionale era in legno scuro, ben lavorato. Alcuni angeli erano in rilievo sulla sua facciata. Aveva l'aspetto di essere molto antico.

C'erano due zone: una era destinata al frate, l'altra al credente. Simone notò che Manuel era già entrato nell'apposito abitacolo.

Fece lo stesso, chiudendosi l'anta alle spalle.

Era stretto e buio.

Una grata in legno separava le due parti, permettendo al suono di passare, ma non alle immagini. Si schiarì la voce.

- Dimmi i tuoi peccati – riuscì a dire.

Manuel non esitò.

- Ho peccato nel pensiero, padre -.

- Tutti noi pecchiamo continuamente nel pensiero, l'importante è non passare agli atti -.

Manuel ghignò e – Padre, io ho peccato anche negli atti -.

Simone capì a cosa volesse alludere e deglutì forse troppo rumorosamente.

- Cosa- cosa hai fatto? – chiese esitante. La voce gli tremò.

Sentì Manuel sospirare rumorosamente, accompagnando quel suono ad un piccolo verso vocale.

- Mi sono masturbato pensando ad una persona che conosco – rispose schietto, senza imbarazzo.

Simone, al contrario, avvampò.

- La masturbazione è una pratica... sbagliata, certo, e comunque - Simone venne interrotto.

- Mi sono masturbato pensando ad un frate – disse Manuel rapido.

Simone si paralizzò. Sentì le mani sudargli e la croce bruciargli sul petto. L'immagine del giorno prima, che non l'aveva lasciato solo nemmeno per un attimo durante la notte, tornò prepotente.

Quello spazio si fece troppo stretto, la tunica troppo pesante. Sentì improvvisamente prudergli tutto il corpo.

Ho bisogno di uscire da qui, pensò.

Ma questa volta non si mosse. Non mosse un muscolo. Restò in ascolto dei sospiri del ragazzo dall'altra parte della grata. Manuel si appoggiò con la fronte al separatore, e sentì il suo respiro sempre più vicino.

- Sto peccando nel pensiero anche ora – continuò, ignorando il silenzio dall'altra parte della grata.

- L'importante è non passare agli atti – riuscì a rispondere Simone, raccogliendo qualche brandello di credibilità.

- E se io volessi? – chiese Manuel. La sua voce calda si era trasformata in una supplica. Gli stava chiedendo il permesso, ma sapeva che l'avrebbe fatto comunque, anche senza la sua approvazione.

- Cosa? – fu l'unica domanda di Simone.

- Se io volessi peccare anche negli atti, accompagnare i miei pensieri, proprio qui, proprio in questo momento... con te padre -.

Simone smise di respirare. Con un dito cercò di allargare il colletto bianco troppo rigido intorno al suo collo.

- Non sarebbe appropriato – riuscì a dire.

Nella sua mente un'unica immagine: la mano piccola e sudicia intorno alla sua erezione.

Non sarebbe appropriato, però fallo, ti prego fallo.

- L'hai mai fatto? -.

Manuel aveva iniziato a dargli del tu senza nemmeno accorgersene. Le distanze tra di loro erano ormai annullate. Non potevano più tornare indietro.

- Io non-non ho mai fatto quello che intendi tu – rispose balbettante.

- Non hai mai avuto un orgasmo? -.

Dal tono Manuel sembrava stupito, ma non pareva giudicante. Manuel sembrava non essere capace di giudicare nessuno.

- No – rispose Simone pieno di vergogna. Con le dita lunghe sfiorò la croce appesa al collo.

- Vorresti farlo? –.

- Manuel... -.

- Rispondi sinceramente. Vorresti farlo sì o no? Rispondi co' sincerità -.

Simone sospirò, con una mano si sfilò il crocifisso dal collo e lo gettò ai suoi piedi.

- Sì – fu la risposta che diede con determinazione.

- Io lo sto facendo... in questo momento. È semplice -.

Simone cercò di guardare attraverso la grata, ma non riuscì a scorgere nulla. Sentì però il rumore della sua mano contro la pelle e lo strofinio dei pantaloni in jeans.

Quando aveva preso a farlo? Perché? E soprattutto perché quel pensiero lo stava eccitando così tanto? Perché sentiva le sue mutande stringerlo con asfissia senza lasciargli pace? Perché sentiva il desiderio impellente di allungare la mano su quella zona e stringere forte?

Non si accorse nemmeno quando lo fece. Fu involontario. Un gemito rumoroso gli sfuggì incontrollato.

- Bravo – gli sussurrò Manuel attraverso la grata. La sua bocca era appoggiata al legno. La voce lasciva e lenta gli fece perdere ogni tipo di controllo.

- Cosa devo fare? – chiese timido in un sussurro.

- Alza il vestito, tutto, alzalo e abbassa le mutande -.

Manuel dava le indicazioni mentre dall'altro lato lui si era già liberato dei vestiti e, con la fronte appoggiata al legno, era intento ad accarezzarsi con lentezza.

Simone seguì le sue indicazioni. Con alcune difficoltà sollevò il saio, lo mantenne alto col braccio sinistro. Con la mano destra tirò in basso i boxer larghi. Erano umidi.

Quando furono abbassati, sentì l'erezione scontrarsi contro la sua mano. Un brivido gli percorse la schiena. Una sensazione di fresco gli sfiorò la pelle.

- Leccati la mano e poi toccati -.

Simone si guardò il palmo bianco aperto davanti a sé. Quante volte aveva pregato, con quelle mani. Ci sputò sopra, senza indugi, e allungò la mano sulla sua erezione. La strinse tra le sue dita e sentì una sensazione di caldo e umido.

Un altro gemito gli sfuggì senza che lui potesse frenarlo.

- Bravo, padre – commentò nuovamente Manuel, questa volta con la voce rotta dal piacere.

Simone non attese oltre.

Iniziò a muovere la mano su e giù lungo il suo pene, sfiorando il glande ogni volta che risaliva. Quella cosa lo faceva sospirare così forte che Manuel sentì il calore del suo respiro sul viso.

- Toccati lentamente – gli disse, - Io mi sto accarezzando lentamente, fai come me -.

Simone allora rallentò, rendendosi conto egli stesso che il piacere stava già per giungere al culmine.

Con la mano prese a muoversi sulla pelle morbida con lentezza. Sentiva il palmo ruvido e caldo intorno alla sua erezione pulsante. Il calore scese raccogliendosi tutto in quel punto.

Sentiva i respiri trattenuti dall'altro lato, i rumori dei movimenti, la fronte che colpiva ripetutamente contro la grata.

Le gambe gli tremarono.

Si appoggiò al legno del confessionale per non cadere. Quel vuoto allo stomaco, quella sensazione così totalizzante che si concentrava tra le sue mani, quel fuoco che gli attraversava le carni ed eccitava ogni atomo, tutto quello era... era quello il piacere?

Simone non aveva mai vissuto un'emozione simile in vita sua. Iniziò a sudare, sentì le guance farsi di fuoco.

- Padre – sussurrò Manuel in un gemito di piacere. La sua voce era strozzata.

Simone aumentò il ritmo, strinse forte l'erezione, si morse le labbra fino a farle sanguinare. Voleva scoppiare, implodere, esplodere, distruggere tutto. Sentiva di stare volando ma era chiuso in una scatola di legno di un metro quadrato.

Si appoggiò alla grata con la mano sinistra, facendo ricadere il vestito sul suo corpo.

- Vai più veloce – sussurrò Manuel contro la grata. Simone sentì il calore del suo respiro. Passò le dita dove si trovavano le labbra.

Aumentò la velocità e così fece anche l'altro ragazzo.

- Manuel – sussurrò, appoggiandosi anche lui alla grata. I loro respiri si incontrarono. Sentivano i fiati unirsi, entrare nella bocca dell'altro.

- Cazzo – sussurrò l'altro ragazzo, prima di venire copiosamente sul legno della grata. Simone lo vide colare lentamente.

Strinse forte gli occhi.

E lo sentì, arrivare come una tempesta nel suo corpo, esplodergli tra le mani, rilasciare anni di repressione e di dolore. Qualcosa scoppiò nel suo cervello: una bomba atomica, e dopo ci fu solo Hiroshima nella sua testa.

In un ultimo gemito Simone raggiunse l'orgasmo: il liquido gli sporcò le dita, il vestito e parte del confessionale. Si accorse di stare piangendo solo quando sentì le lacrime salate accarezzargli le labbra.

I singhiozzi lo percorsero mentre con la mano rallentava i movimenti fino ad arrestarli. Continuò a piangere mentre con il vestito ripuliva ogni cosa.

Afferrò il crocifisso, lo indossò. Contò fino a dieci prima di uscire, preparandosi mentalmente a dover guardare Manuel negli occhi.

Tirò su col naso e spalancò la porta. La chiesa era silenziosa. Quando si voltò alla sua destra, notò che l'anta era già aperta.

Il confessionale era vuoto.

Per un attimo, pensò di aver immaginato tutto. Pensò che il diavolo si fosse materializzato nelle sembianze di Manuel per tentarlo a peccare. Si asciugò le lacrime con la manica del saio.

Sono solo un mostro, pensò.

Ma quando si affacciò per osservare, il liquido biancastro era lì, che colava lento verso il pavimento del confessionale. Ancora caldo.

***

Passarono alcune settimane.

Simone si era rintanato nella sua cella e aveva evitato ogni tipo di contatto comunitario.

L'ultima volta che aveva visto Manuel era stata per consegnargli il saio da lavare subito dopo l'accaduto. Manuel l'aveva afferrato e, guardandolo negli occhi, aveva leccato davanti a Simone il liquido seminale del frate. Simone gli aveva chiuso la porta in faccia ed era corso a pregare per tutto il giorno. E lo aveva fatto per il resto delle settimane in cui si era auto isolato.

Fra Michele era venuto a cercarlo più volte, ma Simone gli aveva chiesto di lasciarlo da solo, giacché stava attraversando una crisi spirituale e mistica. Lui l'aveva compreso e gli aveva consigliato di aprirsi a lui. Ma Simone lo aveva ringraziato, chiedendogli solo di portargli il cibo in cella.

Non aveva alcuna voglia di vedere quel volto sporco o le sue dita immerse nei succhi del mandarino.

Aveva passato quindi le giornate a pregare, a chiedere perdono e a castigarsi fisicamente. Si sentiva sporco, malato, schiavo del peccato.

Manuel passava tutte le notti davanti alla sua cella. Simone fingeva di non vederlo. Si voltava. Ma la sua ombra era tanto incombente da non riuscire a scappargli.

Cercava disperatamente la conferma di Dio, gli chiedeva aiuto, vicinanza. Ma quel tepore che prima lo abbracciava quando pregava era sparito. Al posto suo solo tanto freddo.

Non si sentiva più connesso a lui, la sua voce era solo un lontano ricordo. Simone piangeva, lo invocava, gli chiedeva disperatamente di salvarlo.

Ma Dio non c'era più, era morto nel suo petto, tra le sue dita sporche di quel liquido. Simone era rimasto solo.

Dio era morto, e i suoi funerali si tennero ufficialmente una notte di fine luglio.

Il cielo era sereno. La luna piena illuminava come una lampada il piccolo vano in cui Simone si era rinchiuso come in una gabbia.

Faceva caldo. Nonostante l'ambiente fosse umido e freddo, quella sera il calore l'aveva inondato con prepotenza.

Le zanzare lo tormentavano, ronzandogli nelle orecchie e pizzicandogli il corpo.

Simone si voltò più volte nel letto, non trovando una posizione comoda. Quando finalmente riuscì a rilassarsi, chiuse gli occhi e inspirò profondamente.

Eppure, c'era qualcosa che non andava. Si sentiva osservato.

Quando aprì gli occhi, Manuel era alla finestra. Lo fissava serio. Simone non distolse lo sguardo, e restò in attesa di qualcosa.

- Vieni con me – mimò Manuel con le labbra. Era un sogno? Uno scherzo divino?

Simone si sollevò sul letto, guardandolo stupito.

- Cosa fai qui, Manuel? – chiese.

- Fa caldo stanotte, non riuscivo a dormì. Ce stanno le zanzare che mi morsicano – e con una mano si grattò il collo dove un morso aveva preso a gonfiarsi lasciandogli una bolla fastidiosa.

- Forza, vieni con me, ti porto in un posto – insistette.

Simone acconsentì. Lasciò la sua stanza e uscì con i panni da camera, una camicia in lino e un pantalone dello stesso tessuto. Il suo crocifisso venne lasciato sulla ringhiera del letto in ferro, illuminato dalla luce della luna.

Quando si trovò di fronte a lui, nel chiostro, qualcosa nel petto si agitò. Si rese conto di non aver mai provato una simile sensazione, nemmeno nei momenti di preghiera. Si fissarono silenziosi nel buio della notte. Nessuno dei due sapeva cosa dire.

Manuel gli sorrise sincero. Dopodiché, gli afferrò la mano. Come due adolescenti, presero a correre fuori da quegli ambienti sghignazzando. Simone indossava il più bel sorriso che avesse mai avuto e si sentiva tanto leggero da pensare di poter volare via, nel silenzio della notte.

Manuel gli stava regalando la felicità, e lui non se ne stava nemmeno accorgendo.

Dopo essersi incamminati nei campi coltivati dai frati, Manuel lo condusse in una zona nascosta ed isolata che non aveva mai visto.

Dall'esterno sembrava un boschetto, ma quando attraversarono la vegetazione, si trovarono in un'area circolare e vuota.

Al centro, un laghetto artificiale era circondato da alberi altissimi.

Tutt'intorno il prato verde era pieno di margherite bianche. Era un angolo isolato dal mondo, tagliato via dalla vita.

In quel momento si chiese se fosse reale, o fossero cascati in una dimensione parallela, dove Manuel e Simone erano due semplici ragazzi incontrati per caso e nessun crocifisso fosse impiantato tra di loro a separarli.

- Togli le scarpe – disse in un sussurro. In lontananza il bubolare dei gufi tagliò il silenzio.

Simone si chinò e seguì i gesti dell'altro.

L'erba sotto i suoi piedi era fredda ed umida.

Manuel iniziò a spogliarsi, lasciando cadere i panni sulla terra. Rimase in mutande, ma anche quelle finirono sul prato.

Si voltò a guardarlo un'ultima volta, prima di fare un passo in avanti e tuffarsi nel lago. Lo specchio calmo si infranse. Alcune gocce vennero schizzate addosso al frate. L'acqua tremò, fino a fermarsi di nuovo.

La superficie ora rispecchiava la luna e le stelle nel cielo.

Simone trattenne il respiro.

Manuel sembrava essere sparito nel nulla, così come era comparso nella sua vita.

La visione che si era creato di lui era sparita. Manuel non esisteva. Era solo uno scherzo della sua mente. Lui era solo, lì, in quel bosco, con dei panni ai suoi piedi che non erano panni ma solo proiezioni mentali.

Ma poi, improvvisamente, la testa riccia riemerse tagliando la superficie. Boccheggiò per riprendere ossigeno e mosse il capo per scostarsi i capelli bagnati dagli occhi. Si voltò e – Dai, vieni anche tu – urlò.

Si liberò timidamente della maglia. La piegò con attenzione sul prato, mentre con le spalle ricurve e la schiena piegata si spogliò degli ultimi indumenti che lo coprivano. Cercò di coprirsi con le mani le parti intime e incassò la testa nel collo, preso totalmente dall'imbarazzo.

Mosse alcuni passi nella sua direzione, frattanto che Manuel si era avvicinato alla sponda presso di lui.

Allungò un piede, con il dito sfiorò la superficie dell'acqua. Era fredda. E scura. Non riusciva a capirne la profondità. E non ricordava quando era stata l'ultima volta che aveva nuotato.

Tirò indietro il piede, deciso a non buttarsi, ma Manuel, che si trovava ormai alla base della sua figura, afferrò la caviglia con decisione e se lo tirò addosso, nell'acqua.

Simone gridò spaventato e allargò le braccia. Non capì niente. Ci fu un forte rumore, come di un impatto. Le orecchie gli si riempirono d'acqua. Aprì gli occhi, vide alcuni rametti galleggiare lenti. Manuel era di fronte a lui, gli occhi aperti che lo fissavano. Non sentiva più nessun suono. Tutto sembrava muoversi a rilento. Manuel si muoveva lentamente con le braccia. I capelli galleggiavano in tutte le direzioni. Simone osservò il suo petto, il bacino, poi ancora il collo e le labbra dalla quale stavano uscendo delle bolle. Si stava avvicinando.

Appoggiò le mani alle spalle di Simone. Le bolle che uscivano dalle labbra furono sparate sulla sua faccia. Poi una spinta e salì a galla. Simone scese più in basso nel lago, prima di salire anche lui.

Spalancò la bocca, cercando di recuperare ossigeno, col fiatone che gli gonfiava e sgonfiava repentinamente il petto sommerso.

- Tu sei pazzo – esclamò ridendo.

- E tu sei troppo perfettone – rispose di rimando.

Si divertirono. Si schizzarono, si spinsero sott'acqua, risero. La luna sopra di loro li illuminava dall'alto. E tutto pareva immerso in una pace ancestrale. Non c'era nulla. C'erano solo loro, i rumori della notte, e gli alberi che lenti si agitavano sopra di loro.

Quando iniziarono a sentire freddo e a tremare uscirono fuori. L'aria era calda e si asciugarono subito. Simone si vestì, imbarazzato, Manuel indossò solo l'intimo. Si sdraiarono sulla riva del lago e osservarono il cerchio di alberi che si stringeva, lasciando alla vista una porzione di notte, dove la luna e le stelle fungevano da protagoniste.

- Qui è molto bello – disse Simone interrompendo il silenzio che era calato. Manuel giocherellava con una margherita tra le sue dita.

- Ci vengo di notte per stare tranquillo – ammise.

- Durante il giorno c'è il lavoro e la preghiera e i rimproveri di quei vecchi... qui sono libero, posso respirare a pieni polmoni, urlare, gettarmi nell'acqua, ridere, godermi ogni momento come voglio io -.

Manuel si sollevò e lo guardò. Simone passò le mani dietro i capelli bagnati.

- Sembra quasi bello, detto così – confessò.

- Ed è bello -.

Poi lo guardò come studiandolo.

- La vita è bella proprio perché ti offre così tanto. Ci sono mille cose da vivere, mille emozioni da sentire nel petto, è così limitante chiudersi in quattro mura e precludersi queste possibilità. Io voglio vivere sul serio -.

Simone sospirò.

- La vita è un dono di Dio. Noi viviamo nel riflesso del suo amore. E dobbiamo seguire i suoi insegnamenti. Ci sono cose che sono giuste e cose che sono sbagliate. È giusto lavorare, è giusto pregare, è giusto vivere una vita ascetica perché ci avvicina a Dio e al suo amore. Noi siamo solo peccato e dobbiamo purificarci -.

Manuel si sollevò, si mise in ginocchio di fronte a lui. Simone alzò la testa.

- Dio ci ha offerto un corpo, ci ha offerto una terra, dei frutti meravigliosi, dei paesaggi immensi. Ci ha dato il piacere perché dobbiamo viverlo. Ci ha dato la libertà, e noi dobbiamo afferrarla -.

Allungò una mano su quella di Simone, se la portò al petto, stringendola.

- Non ti sembra giusto questo? – accarezzò il suo polso.

Poi, la portò al suo volto, ci accostò la guancia, chiuse gli occhi – Non ti sembra giusto, questo? – chiese nuovamente.

Simone ritrasse la mano.

- Non so più cosa sia giusto e cosa sbagliato da un po' di tempo a questa parte -.

Manuel annuì, abbassando la testa.

- Sei sparito... in queste settimane – disse in un sussurro.

- Avevo bisogno di purificarmi -.

- Mi sei mancato – alzò la testa, gli occhi scintillarono nel buio della notte, - mi è mancato vederti -.

Simone si mise a sedere meglio, incrociò le gambe. Ora erano uno di fronte all'altro.

- Manuel... - provò a dire, ma l'altro lo interruppe.

- Simone, tu sei l'unico che mi ha mai trattato come una persona, in questo posto. M'hai dato una dignità. Tu mi hai fatto rinascere. Prima ero solo una bestia. Ora sento di poter essere qualcuno. Quando mi guardi, quando mi parli, quando sei gentile con me. Io sono una persona, con te -.

Manuel gli prese il volto tra le mani. Gli accarezzò gli zigomi. Una lacrima scese timida, bagnandogli le dita.

Si avvicinò al suo volto.

I loro nasi si sfiorarono.

Simone si voltò. Distolse lo sguardo e abbassò la testa.

- Mi dispiace... - sussurrò, e scoppiò a piangere.

Manuel si gettò su di lui, gli strinse le braccia al collo. Simone si aggrappò alla sua pelle come un disperato e continuò a singhiozzare nel suo collo. Rimasero stretti così per un tempo indefinito, in quel lago isolato e sconosciuto al centro di Roma.

***

Era diventata un'abitudine. Ogni notte Manuel passava davanti alla finestra di Simone e lo chiamava per andare insieme al lago. Lì parlavano per ore. Simone gli raccontava della sua famiglia, del rapporto col padre, della responsabilità che sentiva di avere nei loro confronti.

Manuel ascoltava e poi raccontava delle sue avventure da bambino dentro quel convento.

Simone aveva imparato che Manuel non aveva paura ad aprirsi a lui. Non aveva paura a mostrarsi per quello che era.

Era stato abbandonato, e quel senso di vuoto se lo portava dietro da tutta la vita. Un bimbo abbandonato sa di valere di meno degli altri bambini. Allora aveva cercato di riempire quel vuoto vivendo la vita al massimo, senza negarsi nulla.

Un giorno morirò e non mi sarò pentito di nulla, non avrò nessun rimpianto.

Simone lo invidiava. Invidiava quella sua capacità di essere sempre spontaneo, mai bugiardo, pronto a lasciarsi tutto alle spalle per vivere secondo le sue regole. A lui della stima degli altri non era mai importato, se ne infischiava se i frati non gli avevano mai voluto bene e non aveva mai cercato di compiacerli seguendo le loro regole.

Ci avevano provato, a farlo diventare prete.

- Preferisco morto, a me scopà piace troppo -.

Simone non gli faceva mai domande. Era Manuel a parlare. Iniziava e andava avanti per ore. Aveva così tante cose di cui parlare che sembrava non aver aspettato altro che Simone per cacciarle. Forse le aveva accumulate negli anni, e non aveva mai avuto qualcuno a cui dirle.

Simone ascoltava interessato. Il mondo visto dagli occhi di quel ragazzo eccentrico sembrava così bello.

Ascoltandolo, si rendeva conto di come la sua fosse una vita a metà, grigia, ovattata. Di come, da tutta la sua esistenza, avesse vissuto solo in funzione degli altri, e mai per se stesso.

Simone aveva smesso di pregare. Da quella notte insieme a Manuel, non aveva più sentito il bisogno di farlo. Quando si svegliava, la prima cosa che faceva era affacciarsi nel chiostro. Lì c'era Manuel che insieme agli altri frati coglieva i frutti o zappava la terra.

Allora lo salutava contento, e quel momento era diventato la sua personale preghiera.

Era tornato in refettorio. Lì, l'unica cosa che riusciva a cogliere la sua attenzione era Manuel e i suoi mandarini. Officiare la Messa era emozionante solo perché c'era Manuel a prendere l'ostia. Ogni volta, la sua lingua indugiava decisamente troppo sulle sue dita. E quando tornava alla panca, si guardavano e Simone gli sorrideva. Aveva iniziato a farlo naturalmente, senza accorgersene.

Ogni volta che si scontravano tra le mura del convento o nel cortile, si sorridevano.

Anche quando Simone era intento a zappare e a lavorare, bastava un suo sguardo per spingerlo a tirare in su gli angoli della bocca.

Manuel era diventato una costante distrazione per lui.

Forse fu per questo che quella sera, dopo una lunga giornata a lavorare, Simone cadde dall'albero di ulivo.

Si era arrampicato per cercare di far cadere meglio le olive nei cesti riposti ai suoi piedi, quando Manuel spuntò sotto di lui e lo salutò. Simone si voltò e, perdendo la presa con le braccia, cadde di peso sulla terra battuta.

La spalla si era slogata e i frati gliela fasciarono, ma gli era impossibile fare qualsiasi movimento senza l'aiuto di qualcuno. Se ne rese conto quando, una volta tornato in cella, provò a spogliarsi.

Manuel passò per sapere come stesse.

- Male – fu la sua risposta, - Non riesco nemmeno a spogliarmi -.

- Posso aiutarti io – propose il ragazzo.

- Devo lavarmi e non credo sia il caso che lo faccia tu per me -.

- Ti laverò io -.

Simone lasciò fare. Sapeva che quando Manuel si metteva qualcosa in testa, lo faceva senza se e senza ma.

Gli indicò dove teneva la bacinella che usava per fare il bagno, i prodotti e i panni puliti.

Poi Manuel iniziò a muoversi come un operaio. Si procurò dell'acqua calda, e, pazientemente, vaso dopo vaso, riempi quella sorta di vasca.

- Ora devi spogliarmi – disse Simone esitante. Manuel annuì.

Si posizionò dietro di lui e iniziò a sbottonare la toga da dietro. La schiena larga di Simone venne scoperta dalle sue mani delicate. I nei punteggiavano su di essa come costellazioni. Manuel trattenne quell'immagine nella sua mente, e con le dita prese a disegnare fili invisibili tra una macchia e l'altra. Simone non si oppose, al contrario chiuse gli occhi e si lasciò accarezzare.

Allargò la toga in avanti, la fece scendere lungo le braccia. Nel fare ciò, Manuel si avvicinò pericolosamente alla sua nuca. Simone sentì il respiro caldo sul collo.

- Attento – sussurrò, aiutandolo a sollevare il braccio dolente.

Poi si mise davanti, fece scendere la toga lungo il suo corpo.

Gli abbassò i pantaloni, poi le mutande. Simone lo lasciò fare, si lasciò armeggiare come una bambola di pezza tra le sue mani.

Manuel lo condusse nella vasca. Simone si infilò al suo interno. Era piccola e stretta, dovette piegare le gambe per starci per intero.

Afferrò la saponetta. La bagnò immergendola, e poi, passandosela tra le mani, la passò sulle sue spalle e sul petto. Simone tremò sotto le sue mani fredde. Manuel notò come i suoi capezzoli fossero turgidi e di come si fosse riempito di pelle d'oca. Con le mani insaponate, prese ad accarezzargli i pettorali, per poi scendere sugli stessi capezzoli che pizzicò leggermente. Simone schiuse le labbra, socchiuse gli occhi.

- Manuel... - sussurrò, ma il ragazzo gli mise un dito sulla bocca, come per zittirlo. Il sapore di sapone si insinuò nelle sue labbra. Le dita di Manuel scesero successivamente sul suo collo. Sentì l'arteria sotto le sue dita pulsare sempre più forte, il petto sollevarsi.

A Simone sembrava di non stare respirando. L'aria si bloccava a metà strada e ogni volta il respiro si faceva sempre più affannoso.

Lo insaponò con cura, prima il collo, poi le spalle, la schiena, il petto. Infine, l'addome.

Le mani, tuttavia, non terminarono la loro corsa, ma scesero ancora più giù. Simone si dimenò nell'acqua, preoccupato.

- Devi stare tranquillo – gli sussurrò Manuel.

E per Simone quelle parole furono come un incantesimo. Si fermò, si rilassò nell'acqua. Allargò leggermente le gambe, che si scontrarono contro la superficie fredda della vasca.

La mano di Manuel venne sommersa dall'acqua. Il sapone sfumò via, unendosi alle bolle che si erano create in superficie. La mano scese lungo il bacino, per poi iniziare a giocare con i peli del pube. Le dita si incastrarono tra di loro, i polpastrelli tormentarono la zona di pelle appena sotto il pene. Simone sospirò.

- Ti prego – disse in un lamento, gli occhi lucidi.

- Sì, prega per me, Simone -.

La mano di Manuel afferrò la sua erezione. Simone gemette rumorosamente pronunciando il suo nome.

Quando iniziò a sollevarla a ritmo con il suo respiro, Simone si agitò e l'acqua iniziò ad uscire copiosamente dalla vasca. Strinse forte le nocche intorno al bordo e lasciò andare la testa all'indietro. La luce lunare lo colpì in volto. Manuel ne approfittò e si allungò verso il suo collo per baciarlo.

Quando Simone sollevò la testa, si trovarono naso contro naso. Simone non poté più resistere. Con una mano afferrò il suo viso e si gettò sulle sue labbra: fu un bacio aggressivo, impacciato, bramoso.

Simone respirò dalle sue labbra l'aria della libertà e si inebriò del suo profumo. Manuel prese ad aumentare il ritmo dei suoi movimenti con il frate che gli gemeva sulle labbra, respirandogli in bocca. Le sue mani si strinsero intorno ai capelli, tirandoli.

Il petto di Simone divenne rosso, così come le sue guance. Quando Manuel si rese conto che sarebbe venuto di lì a poco, allontanò la mano e lo lasciò tremante in acqua.

Si spogliò rapidamente, cadendo quasi. Quando fu completamente nudo, entrò anche lui nella vasca e si mise a cavalcioni su di lui. I loro peni si scontrarono sotto la superficie dell'acqua e bastò quello a far gonfiare l'erezione di Manuel.

Prese a strusciarsi su di lui, con l'acqua che cadeva sul pavimento bagnando l'intera stanza.

Le loro bocche non si staccarono nemmeno un secondo. Accadde solo quando Manuel si mise sulle ginocchia e avvicinò il suo bacino al petto di Simone. Un istinto animalesco e primordiale lo portò a piegarsi su di esso, afferrando le natiche di Manuel per sollevarlo. Le strinse forte tra le mani e Manuel si lasciò sfuggire un mugolio di piacere. Le labbra di Simone sapevano già la loro strada anche senza alcun'esperienza.

Accolsero l'erezione di Manuel e presero a succhiare, spingendo il ragazzo ad assecondare i movimenti della testa. Simone si scontrava contro di lui, lo spingeva dalle natiche, e Manuel gli afferrava la testa e si muoveva contro di lui con forza. Sentì Simone strozzare sotto di lui e si abbassò a guardarlo. Aveva gli occhi rossi e lacrimanti.

Si fermò giusto in tempo, per tornare nella posizione di prima e assaggiare il liquido preseminale lasciato sulle labbra del frate. Manuel glielo leccò via.

Poi allungò la mano nell'acqua, cercando alla cieca la saponetta. La afferrò, insaponò le dita e, in completa autonomia, le infilò dentro di lui mentre Simone con una mano lo masturbava.

Simone si sentì in estasi di fronte quella vista: Manuel si sollevava lento nell'acqua contro le dita e sussurrava il suo nome tra i lamenti di piacere.

Dopo alcuni istanti, si fermò e afferrò il piacere di Simone. Lo masturbò per qualche istante prima di portarlo tra le sue gambe.

Si sollevò sopra di lui e si avvicinò. Simone sentì il suo pene stretto tra le dita di Manuel incontrare le piccole natiche calde. Lo circondarono e Manuel si spinse su di lui.

Sentì qualcosa di stretto stringergli l'erezione, e quando Manuel scese sempre più a fondo su di essa, pensò di poter raggiungere l'acme in quel preciso istante e di morire così, nell'acqua fredda di una vasca sotto i movimenti sensuali di un ragazzo.

- Prega per me – disse Manuel, iniziando a sollevarsi sul suo corpo.

I suoi movimenti all'inizio erano incerti. Non c'era ritmo, ma solo uno scontrarsi di corpi. Simone sentì il corpo caldo di Manuel divorarlo senza pietà. Il suo pene pulsava contro le carni del ragazzo, sentendo ogni spinta e ogni frizione della sua pelle contro le pareti di Manuel come l'ennesimo stimolo per raggiungere l'orgasmo.

- Abbi autocontrollo, abbi pazienza – gli disse Manuel sulle labbra. Il suo corpo era sinuoso, felino, e Simone ne fu folgorato.

Dio, peccare è così bello, pensò.

Manuel appoggiò una mano sulla coscia di Simone, dietro di lui, e con l'altra prese a masturbarsi.

-Non venire ancora – disse per poi gemere senza controllo. I frati, forse, li avrebbero sentiti. Ma in quel momento non importava a nessuno dei due.

- Non venire ancora – continuò, muovendosi sempre più velocemente su di lui.

Simone lo afferrò per i fianchi, cercando di assecondare i suoi movimenti. Più si muoveva, e più il desiderio di rilasciare il piacere in lui aumentava. Quando sentì di non riuscire più a farcela, strinse forte i fianchi del ragazzo e lo spinse con violenza contro di lui.

Manuel lasciò un gridolino di piacere e – Non riesco, sto per venire – sussurrò Simone. Le sue labbra erano rosse e gonfie.

Manuel si sollevò di scatto e afferrò con una mano l'erezione di Simone, con l'altra la sua. I movimenti rapidi li portarono a raggiungere il piacere in contemporanea, in un tripudio di sospiri e gemiti trattenuti. Lo sperma schizzò sui loro volti e sui loro petti.

Simone tremò nell'acqua mentre il liquido usciva ad intermittenza dalla punta arrossata e gonfia, colpendo l'addome di Manuel. Il quale raccolse il seme di entrambi, con le dita, e lo portò alla fronte di Simone.

Dalle dita bagnate colò una goccia densa sul naso di Simone, che intanto lo fissava rapito.

Le dita sfiorarono la sua fronte, Simone sentì la sostanza umida sulla pelle.

Manuel tracciò una linea, poi un'altra. La croce segnata con lo sperma prese a colare sulle sopracciglia di Simone, che si lasciò benedire chiudendo gli occhi e assaporando il liquido che era caduto sulle sue labbra.

Manuel si accasciò sul suo petto, privo di forze. Si addormentarono così, nell'acqua, ancora completamente sporchi.

***

Le lenzuola erano opprimenti intorno al suo corpo. Simone si rigirò sul materasso stretto.

Giusto il necessario per respirare e scoprirsi.

Sentiva caldo.

Ma era un tepore quasi piacevole. Il corpo che giaceva al suo fianco l'aveva riscaldato per tutta la notte. Simone voltò la testa per osservarlo.

Manuel dormiva supino. Le palpebre erano abbassate e rilassate, il respiro lento. A Simone sembrava di osservare non una persona, ma un angelo.

Quel peccare era qualcosa di sacro, per lui; il giacere insieme, l'unione dei loro corpi, era un'esperienza tanto sublimante da superare la sfera terrena per intrufolarsi in una dimensione di puro spirito.

Manuel era puro, e le sue mani sul corpo lo sporcavano di terra, ma al contempo riuscivano a ripulirlo di ogni peccato.

Manuel era la sua catarsi, la sua liberazione.

- Mi stai osservando – disse con voce roca all'improvviso.

Simone sorrise.

- Ti guardo perché sei bello -.

- Sono bello perché sei tu a guardarmi – rispose aprendo gli occhi.

Si voltò nella sua direzione, unendo gli sguardi e i pensieri.

- Andiamo via da qui, Simone, non ce la faccio più a nascondermi -.

Simone sospirò. Il sorriso svanì lentamente.

Anche lui era stanco. Da quella lontana sera non avevano mai smesso di vedersi. Lo facevano di nascosto, quando nessun prete era in giro.

Di notte sgattaiolavano via dalle cellette per raggiungere il lago. Lì facevano l'amore lontani dagli occhi di Dio.

I baci venivano rubati dalle labbra di Simone alla fine della Messa nella sacrestia abbandonata.

Il confessionale era adibito a luogo prediletto per parlare dei loro sogni insieme.

Tutto aveva preso la forma del loro amore.

Ogni sassolino, ogni mattone, ogni crocifisso parlava di loro e della purezza del loro legame.

- Non è così semplice – rispose lo stesso Simone.

- Sei tu a deciderlo -.

Simone si sollevò, afferrando le mutande che aveva lanciato dall'altra parte del letto. Le indossò e fece per alzarsi ma Manuel gli afferrò un braccio.

- Vieni via con me, Simo. Io ti donerò la felicità e la spontaneità, tu mi insegnerai a vivere. Noi possiamo ricostruire le nostre vite da zero, ma dobbiamo allontanarci da questo posto, da queste mura -.

Simone si voltò verso di lui. Gli afferrò il viso e in quel momento Manuel notò le lacrime che gli stavano rigando il volto.

- Non saprei come fare... non saprei come ricominciare. È più difficile di così -.

- Ti aiuterò io. Lasciamelo fare. Vieni via con me -.

Simone gli sorrise, prima di lanciarsi sulle sue labbra per baciarlo con disperazione.

Non videro, i due amanti, lo sguardo disgustato di fra Michele che li osservava dalla finestrella della cella di Simone.

Quando bussò alla sua porta, lo stesso pomeriggio, Simone andò ad aprire sorridente convinto fosse Manuel.

Si erano organizzati per la notte a venire: sarebbero scappati di nascosto lasciandosi tutto alle spalle.

Manuel doveva passare a dargli le ultime indicazioni.

Così che quando aprì la porta e si ritrovò di fronte al volto severo e tirato del frate, Simone capì che c'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello.

- Posso entrare? -.

- Certo – rispose, liberando il passaggio.

La camera odorava ancora dei loro corpi e dei loro liquidi. Simone sperò che il frate non se ne accorgesse, ignaro di tutto. Gli occhi vispi dell'anziano signore vagarono lungo tutta la stanza. Le sopracciglia erano due linee incurvate, la fronte segnata da profonde rughe. Pareva invecchiato di dieci anni.

- Devo dirti una cosa importante -.

La sua voce era tanto tagliente da fargli venire i brividi. Simone non l'aveva mai visto in quello stato. E allora capì. Capì che tutto era stato scoperto, che tutto era finito.

- Riguarda Manuel. E il rapporto che voi due avete stretto -.

Simone sentì il cuore scalpitargli nel petto. L'aria divenne di marmo, e tutto sembrò fermarsi intorno a lui. Non disse una parola.

- Il peccato si è impossessato di te. Sono disgustato da te e dalla tua condotta. Io riponevo delle speranze in te. Mi rivedevo in te, nella tua gentilezza, nella tua bonarietà. Non credevo che dietro questa maschera da ragazzo innocente si celasse un mostro senza speranza. Non so se sia stato lui a rovinarti, o se fossi tu quello degenerato. Ma questo rapporto deve essere interrotto in questo esatto momento, o dovrò dichiarare tutto ai miei superiori. Sarai cacciato dal monastero e tutti verranno a sapere della condotta peccaminosa e rivoltante che hai seguito in questo posto tanto sacro che col vostro schifo avete profanato in maniera irreversibile -.

Fra Michele proferì quelle parole in un solo fiato, senza mai interrompersi, quasi come se fosse stato un discorso preparato e imparato a memoria.

Non diede tempo di ribattere, perché si voltò e uscì dalla stanza così com'era entrato, lasciando Simone in uno stato di confusione.

Tutto il senso di vergogna e di peccato che aveva cercato di accantonare in un angolo della sua coscienza emerse più forte e prepotente di prima.

Se fosse scappato, tutti sarebbero venuti a conoscenza del suo segreto? Fra Michele era stato chiaro. L'avrebbe detto ai suoi superiori. Tutti i monaci avrebbero saputo della sua relazione sessuale con un ragazzo. L'avrebbe riportato anche ai suoi genitori. Già immaginava il padre bruciare via dalle loro foto di famiglia l'immagine del figlio, o la madre piangere nella sua camera come se lui fosse morto. Pensò che, nonostante tutte le difficoltà relazionali che c'erano state tra di loro, non poteva deluderli fino a quel punto. Lui era un mostro, e i suoi genitori si sarebbero pentiti di averlo concepito.

Tutto ad un tratto, l'idea di scappare con Manuel gli sembrò talmente ridicola e sbagliata, da spingerlo ad una risata isterica. No, Simone non sarebbe fuggito con lui. Non avrebbe permesso ad una stupida infatuazione di rovinargli la vita. Infatuazione? L'aveva pensato davvero? Era davvero una semplice e banale infatuazione quello che stava provando?

No, nemmeno quello era corretto. Simone amava Manuel. Era sicuro di provare l'amore più forte ed intenso che avesse mai vissuto nella sua vita. Ed era di una natura pura, sincera. Simone non era semplicemente infatuato.

Tuttavia, l'amore non era abbastanza. Non poteva salvarlo da quella situazione.

Non sarebbe fuggito comunque, la posta in balio era troppo elevata.

Ma se fosse rimasto, la prospettiva sarebbe stata migliore? Ci ragionò su. Immaginò Fra Michele che lo squadrava con quegli stessi occhi, pensò alle speculazioni che avrebbe fatto su di lui ogni qual volta l'avesse visto insieme ad altri uomini, frati o aiutanti che fossero. Pensò alla possibilità che Fra Michele avesse già riferito a qualcuno della sua relazione segreta. Si immaginò i visi disgustati dei frati al suo passaggio, i sussurri, le offese mal celate. Immaginò di essere evitato come un appestato tra i corridoi del monastero.

Una sensazione di oppressione al petto lo atterrì. Non c'era via di fuga. Qualsiasi scelta avrebbe comportato gravi conseguenze.

Fu in quel momento che l'idea di prendere la corda che utilizzava per legare il saio ed utilizzarla in modi inappropriati gli sfiorò i pensieri.

Avrebbe fatto un bel nodo, agganciato la corda a qualcosa di saldo, e si sarebbe gettato dal letto, magari. Prima, forse, avrebbe odorato per l'ultima volta il profumo che Manuel aveva lasciato tra le lenzuola. Poi si sarebbe lasciato andare nel vuoto. Sentiva già la corda stringergli il collo, mozzargli il fiato. Poteva sentire gli occhi premere verso l'esterno, riempirsi di sangue, quasi scoppiare. Poteva già vedere la vista annebbiarsi e la mente alleggerirsi fino a smettere di pensare e di esistere.

Si avvicinò all'armadio senza nemmeno accorgersene, e le sue mani erano già a rovistare tra i suoi oggetti personali quando Manuel bussò alla porta.

Non servì controllare, sapeva che era lui.

Aprì dopo alcuni istanti: era bianco in volto.

Manuel non lo notò, preso com'era dai progetti per il futuro. Gli disse che sarebbe accaduto quella notte. Che non aspettava altro.

- Io e te insieme, per sempre -.

Simone annuì assente.

- Hai capito, Simo? -.

Ora le mani di Manuel erano sul suo viso. Era cosciente, Simone?

- Hai capito? – lo strattonò.

Simone annuì.

- Io ti amo – sussurrò sulle sue labbra, gli occhi spalancati e preoccupati. Manuel, dopotutto, aveva paura.

Simone si risvegliò improvvisamente dallo stato di trance in cui era caduto.

- Come? – chiese esitante.

- Mi so' innamorato di te, Simò. Sono perdutamente, follemente innamorato di te. Ti prego, anche tu non abbandonarmi -.

Manuel strinse forte le mani intorno al suo viso. Con gli occhi lucidi prese ad osservare ogni dettaglio di quel volto. Stava cercando di memorizzarlo, di non dimenticarne nemmeno un frammento. In un futuro in cui Simone non ci fosse stato più, almeno avrebbe avuto quell'immagine congelata tra i suoi pensieri.

Simone lo strinse forte, rendendosi finalmente conto di ciò che aveva tra le braccia: il suo futuro, l'opportunità di essere felice.

- Ti amo anche io, Manuel – rispose.

***

Manuel osservò l'orologio alla parete. Erano le undici e quarantacinque. Sollevò lentamente le coperte per evitare di fare rumore.

Allo stesso modo, indossò i vestiti e afferrò il borsone con tutti i suoi averi. Si chiuse la porta alle spalle senza nemmeno guardare per l'ultima volta quella che era stata la sua gabbia per tutti quegli anni.

Era pronto a bruciare tutti i ponti, quella volta per sempre.

Passò davanti alla porticina di Simone. Era chiusa. Immaginò il ragazzo attendere trepidante dietro di essa, pronto ad aspettare la mezzanotte per aprire la porta e raggiungerlo. O forse era sotto le coperte, tra le braccia di Morfeo, lontano dalla sua vita. Questo non poteva saperlo, ma era pronto a rischiare. Era pronto ad accettare anche un suo rifiuto. Avrebbe conservato il ricordo del suo amore per sempre.

Manuel raggiunse il cancello di entrata.

Il monastero di notte era immerso completamente nel buio e nel silenzio.

Si guardò intorno e individuò rapidamente il punto in cui il muretto possedeva un buco dalla quale poter uscire via senza troppe difficoltà.

Si voltò indietro, verso l'arco di Carlo Magno. Mancavano cinque minuti. Li passò immobile ad osservare il punto in cui Simone sarebbe dovuto spuntare col borsone sulle spalle.

Altri tre minuti. Manuel vide il loro futuro sgretolarsi davanti ai suoi occhi.

Un minuto. Il cuore prese a battergli energicamente.

Simone non si vedeva all'orizzonte.

Manuel era stato abbandonato un'altra volta. Si voltò verso il muretto. Si appoggiò ad esso, sentendo la testa girare.

Simone non sarebbe venuto. Lui avrebbe ricominciato da zero, ma a metà.

Strinse forte i pugni, si asciugò una lacrima. Si abbassò sul prato. Con una spinta decisa fece passare il borsone dall'altra parte. Qualche metro, e anche lui sarebbe stato libero.

Manuel si piegò per passare attraverso il foro. Con la testa era già dall'altra parte del muretto quando una mano gli afferrò delicatamente la caviglia.

Si bloccò.

Poi lo sentì.

- Dove credevi di andare senza di me? -.

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