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CAPITOLO TRENTA

Capitolo trenta: informazioni.

"Non aver paura del mostro al tuo fianco, abbine di colui che l'ha reso tale."

Sover si trascinava per le stanze del palazzo con le gambe stanche, pronte a cedere sotto uno sforzo minimamente maggiore, mentre con gli occhi puntava le porte della sua biblioteca personale. Si sentiva completamente alienato, il suo corpo gli pareva un misero scheletro che con inerzia doveva trascinare con sé.

Odiava quell'infida sensazione di debolezza, di umanità.

Lui che era sempre stato stanco e annoiato ora si sentiva pervadere costantemente dalla paura.

Ma paura di cosa? Di cadere a terra, di terminare la sua esistenza. Era così che si sentivano gli umani in punto di morte? Wyulma aveva fatto scivolare il braccio attorno la vita di Sover, sorreggendolo affinché non cadesse.

Era preoccupata per il fratello, per quel dio che ora pareva un semplice umano ferito. Aveva paura che, se l'avesse lasciato andare, lui sarebbe sparito, dissolvendosi nella sua stessa miseria.

La biblioteca, comunque sia, era la stanza privata del dio; ripiena di libri antichissimi e impolverati costituiva la sua unica fonte di svago. Aveva impiegato anni per raccogliere tutti quei libri ed era sicuro di averli letti tutti.

Sperava di trovare in uno di quei volumi una spiegazione a ciò che gli stava accadendo.

L'incontro che aveva avuto giorni prima con Shahrazād era ancora fresco nella sua memoria, tormentandolo di notte e di giorno come un indovinello al quale voleva assolutamente trovare soluzione. E quella sensazione, quella tremenda sensazione di impotenza che aveva provato gli era rimasta sulla pelle.

Per interminabili secondi era rimasto cieco mentre Shahrazād aveva acquisito la sua vista, per quel brevissimo lasso di tempo i due si erano scambiati gli occhi. Ma perché? Lui, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, non aveva messo in pratica nessun incantesimo, nessuna magia che permettesse ciò.

Era quindi certo che Shahrazād avesse un qualche collegamento con la sua condizione, così come era sicuro che la ragazza non avesse poteri particolari. Era una sua discepola, certo, ma non di certo un'entità divina.

No, era solo un'umana seppur per lui importante.

"Che libro vuoi che ti cerchi?" Il tono di Wyulma era rimasto brusco, scocciato, nonostante Sover sospettasse fosse preoccupata. Le aveva quindi sorriso, sedendosi sulla prima sedia che aveva trovato libera.

"Trovami tutti i volumi riguardanti le leggende delle principali religioni e poi," aveva indicato il terzo scaffale alla sua destra, "lì troverai delle profezie: dobbiamo esaminarle nuovamente."

La dea aveva annuito, spostando lo scialle viola che le scivola sulle spalle per muoversi meglio. Chissà cosa avrebbero detto i suoi fratelli nel vederla così servizievole, per Sover poi.

Solitamente era Lust, la lussuria, a soddisfare le richieste del fratello. Wyulma, così come gli altri fratelli, sapevano benissimo dell'affetto che la dea provava per Sover.

Lo seguiva ovunque, soccorrendolo e adempiendo ad ogni richiesta che lui le propinava. Ma ora era lei a fungere da braccio destro a Sover e, nonostante lo tenesse segreto, ne era fiera.

"Pensavo fossi consapevole di dover morire, durante la nostra ultima riunione non ne parevi infastidito." La dea aveva fatto scorrere gli occhi sui volumi, afferrando 'miti e leggende' per posarlo sul tavolo.

Sover aveva annuito senza mai distogliere lo sguardo da lei.

"Non è la morte che mi spaventa, è il divenire umano che mi confonde. Pensavo che la mia esistenza si sarebbe conclusa serenamente, invece pare proprio che io mi stia lentamente tramutando in un uomo."

La dea aveva contratto la mascella, simulando un grugnito di fastidio. Gli umani: che esseri volubili e fragili che erano, per un dio doveva di certo essere un incubo divenire uno di loro.

No, lei non avrebbe mai accettato una fine del genere per il fratello; avrebbe fatto di tutto per trovare una soluzione, un rimedio a tutto quel disastro.

"Pensi che Dod e Liv ci abbiano messo il loro zampino?" Il tono di scherno e la punta di fastidio erano ben percepibili.

Non era infatti un segreto che Wyulma detestasse le due dee, tutti ne erano a conoscenza e nessuno le avrebbe mai fatto storie a riguardo.

Sover aveva inclinato la testa di lato mentre con le dita percorreva la copertina ingiallita di una vecchia enciclopedia contenente i nomi e le caratteristiche di ogni dio.

"Liv non avrebbe il cuore di farmi del male."

Nonostante avessero credi e usanze diverse i due erano sempre andati d'accordo, lasciando che ognuno sbrigasse le proprie funzioni come meglio credevano, senza mai intralciarsi a vicenda.

"E Dod? Cosa ne pensi di Dod? Sai benissimo che anche lei professa l'amore per la morte ma ad un livello decisamente errato rispetto al tuo."

Sover aveva sorriso, sinceramente divertito.

Lui insegnava l'accettazione della propria morte e offriva ai propri discepoli la conoscenza di come morire. Si era premurato di istruirli, fornendo loro la formula di un incantesimo che avrebbe provocato la morte.

Gli Stanchi aveva posseduto per anni quel potere senza mai usarlo, senza mai ferire il prossimo.

Dod professava, invece, l'amore per la morte violenta, ingiusta e dolorosa. Non le importava della pace che la morte offriva, le interessava solo avere nuove anime al suo cospetto.

"Sei intelligente, cara sorella. Ebbene si: penso che Dod possa aver fatto qualcosa, nonostante io ancora non sappia cosa."

Wyulma aveva annuito, sconsolata. Se lui glielo avesse chiesto si sarebbe recata dalla dea rivale per ucciderla, per vendicarlo.

Le sarebbe bastato un gesto e sarebbe partita, giurandogli fedeltà e promettendogli vendetta.

"Pensi che possa essere correlato a ciò che ha fatto alla tua piccola discepola?" Alla mente le era tornato il ricordo della madre di Shahrazād prostrata a terra, implorante e sola. Quella donna le era sempre stata fedele e, nonostante fosse un'umana riprovevole, Wyulma la trovava interessante.

Sover si era come paralizzato sul posto, il suo corpo pareva ora una statua completamente immobile. Aveva gli occhi spalancati e le labbra assottigliate in quella che, Wyulma ci avrebbe giurato, era un'espressione di rabbia.

"Si, e se davvero così fosse ne dovrà pagare le conseguenze. La ragazza è sotto la mia protezione e Dod," si era bloccato a metà frase mentre gettava a terra la sedia a lui vicino, "non aveva nessun diritto di fare ciò che ha fatto. Ricorda le mie parole, Wyulma: me la pagherà."

La voce gli si era fatta rauca, appesantita da un senso di rabbia che raramente aveva provato. Shahrazād era l'ultima adepta che aveva, non avrebbe permesso a Dod di intralciarla ancora.

Wyulma si era quindi aperta in un sorriso di scherno: quel lato del fratello la intrigava, non poteva negarlo.

"E cosa pensi di fare?" Aveva afferrato altri due volumi impolverati per poi avviarsi verso gli scaffali contenenti le centinaia di profezie che avevano accumulato nel corso degli anni. Sarebbe stata un'impresa trovare quella giusta, ne era certa.

Sover aveva poggiato il mento sul palmo della mano mentre osservava la sorella destreggiarsi tra gli scaffali con una delicatezza che non pensava potesse appartenerle.

"Sulla Terra la situazione si sta facendo interessante, pare che Shahrazād verrà presto a conoscenza della verità e, a quel punto, scoprirò anch'io le mie carte."

**

Shahrazād aveva fatto qualche passo indietro, sporgendosi verso Kyà per controllare che stesse bene. Riusciva a sentire le orecchie fischiarle sotto il suono mite di quello che pareva essere un ringhio o, forse, delle fusa.

Era impossibile fosse un gatto, lo sapeva; Kyà non aveva mai ringhiato a quel modo. Doveva quindi essere qualcosa di più grande, ma cosa?

Kyà aveva assottigliato gli occhi, puntandoli verso la vegetazione folta, dove gli alberi si innalzavano verso il cielo ed i cespugli coprivano chissà quali animali. Erano al sicuro, ne era certo, visto che Vårdande si era premurata di completare la barriera.

Nulla poteva entrare, solo uscire.

"Riesci a vedere qualcosa?" Gli aveva bisbigliato lei, piuttosto confusa. Non aveva mai sentito un verso simile, in vita sua, e di animali non se ne intendeva; non ne aveva mai visti molti vicino a Città dei Peccatori.

Kyà si era alzato in piedi sentendosi un po' più sicuro nel possedere un corpo umano: sarebbe stato più facile difendersi, in quella forma, ma più difficile scappare. Si era quindi costretto ad avvicinarsi alla barriera, ripetendosi d'essere completamente al sicuro.

"E' un animale," aveva borbottato lui, piegandosi fino a sedersi sui talloni per avere una visuale migliore dell'oggetto del suo interesse. Shahrazād aveva roteato gli occhi per poi mettersi a carponi ed avvicinarsi a Kyà.

"Che tipo di animale?" Era curiosa, in realtà non pensava che la foresta vicino l'abitazione dei Quattro potesse ospitare animali del genere. Kyà si era fatto più vicino alla barriera, osservando il grande animale steso a terra.

Pareva esser ferito o stanco, in qualsiasi caso aveva un aspetto tremendo: non poteva quindi costituire una minaccia, giusto? L'animale era sdraiato a terra, il fianco premuto contro l'erba ed il torace che, con velocità, si alzava e si abbassava.

Doveva aver corso molto, si era detto Kyà.

"E' una pantera ma non capisco cosa ci faccia qui, non è il luogo in cui ci si aspetta di trovarne una." Si era passato una mano tra i capelli, tirandoseli con una punta di nervoso. C'era qualcosa, ne era sicuro, che non gli tornava, qualcosa che no ricordava.

Ma cosa?

Shahrazād aveva inclinato la testa di lato, sempre più confusa.

Cos'era una pantera?

Kyà era ancora fermo sul suo posto e pareva tranquillo quindi, si era detta, non poteva essere pericoloso. Si era alzata la manica destra dell'abito, allungando il braccio in avanti per raggiungere la curiosa creatura.

Riusciva a sentirne i rantoli ed il respiro strozzato, affaticato, dell'animale che con occhi sgranati la fissava. Kyà aveva scosso la testa, preoccupato che l'animale potesse attaccarla.

"Oltre che cieca sei anche stupida? Potrebbe staccarti un braccio con un morso." Le aveva quindi afferrato velocemente il braccio per allontanarla. L'animale, che da sdraiato stava osservando il tutto, si era esibito in un ringhio grottesco, d'avvertimento.

Pantera.

Quella parola era rimbombata nella mente di Kyà come un indizio importantissimo, lasciandolo interdetto. Vardande l'aveva contattato tramite il loro collegamento mentale, il giorno prima, per aggiornarlo su ciò che recentemente le era accaduto.

Possibile che fosse lui il fratello dei Quattro? Aveva lasciato la mano di Shahrazād, guardando prima lei e poi l'animale con un cipiglio curioso.

Se quello fosse stato davvero Seth avrebbe dovuto nasconderlo o Styrkur l'avrebbe certamente fatto giustiziare, non che lo biasimasse: dopotutto la Serpe non sapeva quasi nulla.

Aveva quindi guardato Shahrazād mentre digrignava i denti, combattuto sul rivelarle tutto o no.

E così, mentre la ragazza allungava nuovamente la mano, Kyà aveva iniziato a raccontarle tutto. L'aria si era fatta tesa e l'atmosfera pesante, triste, sulle spalle strette di Shahrazād la quale aveva preso ad accarezzare il capo dell'animale.

Morbido sotto le dita ma teso sotto le parole di Kyà, la pantera era stremata e Seth, che giaceva al suo interno, lo era ancora di più. Quanto aveva corso? Le sue zampe parevano non volerlo più sostenere e così s'era lasciato trascinare dalle mani dei due umani.

Dove lo stavano portando? Se l'era chiesto un'infinità di volte senza mai riuscire a darsi una risposta. Si sarebbe voluto alzare da terra per camminare da solo ma pareva che a sua forma animale fosse troppo stanca anche solo per issarsi in sù.

Odiava sentirsi debole, alla mercé di terze persone che non conosceva, senza la possibilità di potersi muovere, di poter reagire. Era tutto troppo simile al giorno in cui fu rapito, adesso come allora non poteva muoversi.

Se quei due avessero voluto ferirlo avrebbero potuto tranquillamente farlo, lui non avrebbe avuto la forza di reagire. Ancora.

Shahrazād seguiva i movimenti di Kyà mentre trascinava l'animale per le zampe posteriori, l'ex gatto si occupava invece di quelle anteriori. La testa le girava, era confusa da tutte le informazioni che Kyà le stava dando.

Una parte di lei aveva avvertito il bisogno di correre da Styrkur non appena aveva saputo che quello dinnanzi a lei era Seth, ma poteva davvero farlo? Dopotutto pareva che la situazione di Seth fosse complicata e che, a quanto diceva Kyà, non fosse stato esattamente lui ad uccidere Cassidea.

Più informazioni riceveva e più si sentiva confusa, non sapeva se credere totalmente alle parole di Kyà. Avrebbe dovuto dubitare di lui? Aveva scosso la testa, scacciando via quel pensiero: ormai il dado era tratto, non poteva di certo voltarsi e andare a spifferare tutto a Styrkur.

"Ancora dieci passi e poi ci piegheremo per farlo stendere a terra," le aveva borbottato Kyà sentendo il peso dell'animale farsi sempre più difficile da sostenere.

Quanto diamine pesava?!

Con qualche sbuffo Shahrazād aveva contato i propri passi, pronta ad eseguire le istruzioni del suo compagno d'avventura. Due respiri profondi e, assieme a Kyà, s'era piegata.

L'animale aveva grugnito non appena il suo corpo era tornato al suolo, girandosi di lato senza mai smettere di produrre lamenti e gemiti di dolore. Le sue ossa, oh le sue ossa aveva preso a torcersi dolorosamente sotto la pelle, accorciandosi e girandosi a loro piacimento.

La cassa toracica gli si era serrata, stringendogli i polmoni al punto in cui Seth si era ritrovato senza respiro ad annaspare in cerca d'aria. Si stava ritrasformando in umano, ne era certo, e faceva male, malissimo.

Kyà era stato veloce a piegarsi davanti a lui per mettergli una mano sulla bocca, sopprimendo le sue urla sul nascere: non poteva permettere che qualcuno lo sentisse. E così erano rimasti accanto al ragazzo dolorante, assorbendo le sue urla disperate.

Shahrazād si era sentita afferrare la veste mentre veniva strattonata in avanti da Seth; le aveva tirato i capelli e afferrato il viso con gli artigli ancora ben visibili.

"Non farmi del male, non farmi del male!"

Seth aveva lasciato la presa per continuare a dimenarsi; il suo corpo aveva quasi completato la trasformazione ma il dolore pareva non voler accennare a sparire. Faceva così male eppure c'era così abituato che non gli importava.

"Mi ha ucciso, MI HA UCCISO! Digli di andarsene, digli di riportarmi a casa." Il suo petto aveva avuto uno spasmo, issandolo verso il cielo come un uccello bramoso di spiccare il volo ma irrimediabilmente ancorato al terreno.

Nella sua testa le parole avevano preso ad incespicare tra i ricordi, riportandolo tra quei momenti dolorosi che aveva vissuto per poi scaraventandolo nuovamente nel presente.

Un presente che sapeva di niente e ma che, allo steso tempo, gli lasciava il sapore di un futuro che lui voleva contro il palato.

Finalmente aveva di nuovo il controllo del suo corpo, ma era davvero così? Schiavo del dolore era ormai un triste guscio vuoto che non sapeva come riempire.

Come puoi colmare un qualcosa di talmente vuoto da non avere un fondo?

Ma forse, e solo forse, Seth non era vuoto ma bensì colmo di orrore, di paura, di tristezza e risentimento. Eppure, non si può riempire il buio con altra oscurità, no: a Seth sarebbe servita la luce ed ora, dopo anni di impotenza, riusciva quasi a vederla.

"Cosa gli sta succedendo?" Shahrazād non aveva mai assistito ad una scena del genere e mai le sue orecchie erano state tanto turbate da urla del genere. Aveva paura e provava pena per quel ragazzo così sofferente.

Kyà s'era affrettato a coprire il corpo ormai completamente umano, e nudo, di Seth con la sua mantella, lanciando uno sguardo alla ragazza davanti a lei.

"Sta delirando, penso abbia la febbre." Aveva posato una mano sulla fronte sudata e calda del ragazzo con un cipiglio infastidito: non solo Vardande gli aveva ordinato di tenere d'occhio Shahrazād, ora anche Seth pareva esser divenuto una sua responsabilità!

Prima o poi, si era detto Kyà, si sarebbe fatto pagare.

Aveva quindi alzato nuovamente lo sguardo su Shahrazād, sorridendole con fare furbo.

"Penso sia ora che tu inizi ad esercitarti con le pozioni: cura Seth."

A N G O L O M E

Scusate il ritardo enorme ma, non so voi, sono piena di compiti ultimamente.

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