CAPITOLO QUATTORDICI
Capitolo Quattordici: Futuro
"Letali, semplicemente letali
sono quei rapporti
che non riesci né a coltivare
né a chiudere."
Non era passato molto prima che Shahrazād avvertisse un cambio d'aria, questa volta accompagnato da un'odore più pungente ma anche più delicato e meno invasivo di quello delle due Dee.
Le mani avevano iniziato a tremarle mentre tentava di trattenere un sorriso.
I partecipanti avevano guardato Sover comparire piano piano, la sua figura si era formata lentamente. Lui, a differenza delle Dee, non era apparso sotto forma di nebbia, ma in carne ed ossa.
Död ne era rimasta indispettita.
"Sorelle," Sover aveva chinato la testa in segno di saluto mentre si pizzicava il naso.
Sover era alto circa un metro e novanta, con folti capelli neri dalle sfumature violacee e due grandi occhi bianchi. Styrkur aveva boccheggiato, aggrappandosi alla spalla del fratello per non cadere.
Era sconvolto: com'era possibile che avessero gli stessi occhi?
Sover non aveva un aurea possente come Död, ne una dolce come quella di Liv. Era semplicemente...vuoto.
"Conosci questa ragazza?" Aveva domandato la Dea della morte, indicando Shahrazād con il dito. Quest'ultima aveva sorriso, un sorriso largo e sentito che aveva lasciato tutti interdetti.
Shahrazād conosceva già la risposta.
Sover aveva osservato Shahrazād per qualche secondo, sorridendo a sua volta. "Certamente." Era stata la sua risposta.
Si era quindi chinato di fianco a lei, sedendosi per mettersi alla sua altezza. I loro occhi si erano incontrati, bianco dentro bianco, e a Shahrazād era quasi parso di vederlo.
"Ho saputo," le aveva sussurrato lui, probabilmente parlando di Città dei Peccatori. Shahrazād aveva annuito lentamente, stringendosi le mani.
"Come stanno loro?" Era curiosa di sapere delle sue consorelle e confratelli, spesso si era domandata se avessero sofferto nel morire.
"Sono sempre con me, stanno bene."
Vårdande aveva osservando la scena, curiosa, assieme a tutti gli altri. Aveva visto il viso di Shahrazād rigarsi di lacrime mentre il suo petto veniva scosso da piccoli spasmi.
Nessuno, oltre a Styrkur, l'aveva mai vista piangere.
La Serpe aveva teso un braccio avanti, pronto ad attirare a se la ragazza per intrappolarla tra le sue braccia quando Sover l'aveva fermato.
Non fisicamente, ma mentalmente.
Il braccio di Styrkur, sotto lo sguardo del Dio, si era mosso da solo tornando sul grembo del proprietario.
"Se non vuoi che ti sentano, sussurramelo all'orecchio. Farò in modo che nessuno ti senta," si era quindi piegato verso le labbra di Shahrazād, aspettando pazientemente.
"Penso di star perdendo la fede, e i miei genitori sono dispersi chissà dove! So per certo che voi sapete cosa sta succedendo nella mia vita, in questo periodo, ma non so come affrontarlo." Aveva sussurrato la ragazza, aspettando una risposta anche lei.
Sover aveva soppesato le sue parole, sospirando.
Le aveva quindi poggiato una mano sulla guancia, aprendo la porta per scoprire del suo futuro.
Styrkur aveva visto il volto di Shahrazād farsi pallido, quasi grigio, mentre le lacrime sulle sue guance si solidificavano in piccoli cristalli, cadendole sui palmi aperti delle mani.
Gli occhi le si erano spalancati e le labbra si erano tinte di viola. Shahrazād sembrava esser morta, e Styrkur iniziava a sentire il peso del nervosismo schiacciargli le interiora e avvolgergli in cuore.
Sover pareva, però, tranquillo.
Död e Liv si erano guardate a vicenda, entrambe serie in volto, studiando la situazione.
"Cosa le sta facendo?" Aveva detto Styrkur, rendendosi conto solo dopo che il suo tono di voce si era pericolosamente innalzato.
Il mondo attorno a lui aveva iniziato a girare freneticamente, lasciandogli un senso di nausea.
"Sta guardando il suo futuro," aveva borbottato Liv, pensierosa ed invidiosa che la ragazza non avesse permesso a lei di predirglielo.
Ogni minuto che passava, l'espressione di Sover si faceva sempre più corrucciata. Aveva quindi alzato l'altra mano per posarla sulla parte anteriore del collo di Shahrazād. Quest'ultima, al gesto, aveva esalato un vago rantolo, lasciando cadere la testa all'indietro.
Shahrazād, rinchiusa dentro al suo corpo, non capiva cosa stava accadendo. Non sentiva più nulla, e la cosa non la spaventava affatto. Si era fatta piccola, accovacciandosi ovunque si trovasse e lasciando che Sover guardasse ciò che più desiderava.
Concentrandosi era riuscita a sentire il suo sangue vagare per il proprio corpo, ed il suo cuore battere ferocemente. Dov'era?
Si sentiva rilassata, talmente tanto che era ineccepibile per lei pensare che si trovasse in un brutto posto.
"Ho quasi finito." Si era sentita sussurrare all'orecchio, non capendo se la voce provenisse dall'esterno o meno.
Sover l'aveva relegata in un angolo della sua psiche, un angolino calmo e placido nel quale Shahrazād non sarebbe stata in grado di percepire nulla di proveniente dal mondo esterno.
Poteva sentire solo lui, e lui poteva sentire solo lei.
Erano quindi soli, e Shahrazād preferiva che fosse cosí, non voleva che altri sentissero ciò che aveva da dire.
"Dove sei?" La rossa aveva allungato una mano, nel tentativo di toccarlo.
"Ovunque tu voglia."
Ed era riuscita a toccarlo. Gli aveva sfiorato la veste ruvida e si era ritratta, mortificata. Doveva tenere bene a mente che davanti a lei non vi era un umano, ma un Dio e in quanto tale doveva essere rispettato.
Shahrazād avrebbe voluto urlare tutta la sua frustrazione, afferrare il Dio dalle spalle e scuoterlo fino a fargli capire cosa stava provando.
"È davvero giusto che io non provi rancore verso di lui?" Aveva borbottato, incrociando le gambe.
Sover aveva fatto ciondolare la testa, sorridendo come si fa con un bambino. "Sei libera di provare ciò che vuoi, Shahrazād."
Sentirsi chiamare per nome le aveva fatto accelerare il cuore, lasciandola per qualche secondo senza respiro. Cosa aveva fatto per meritarsi tutta quella benevolenza?
In un solo giorno aveva parlato con ben tre dei e ancora non se ne capacitava.
"Arriveranno giorni duri, bambina, e dovrai essere in grado di affrontarli," aveva continuato il Dio, accarezzandole una ciocca di capelli, "ti trovi nella tana del nemico. Styrkur potrà pur avere un debole per te, ma i suoi fratelli no. Fai attenzione, puoi fidarti di poche persone qui dentro."
Shahrazād aveva obbedientemente annuito, mordendosi il labbro. Il senso di nausea l'aveva abbandonata, ora sentiva soltanto una forte sensazione di pace.
Avrebbe voluti rimanere lì per sempre, coricarsi tra le braccia di Sover e assopirsi nell'incoscienza della sua mente.
"Cosa ne è stato dei miei genitori?"
Sover aveva continuato ad accarezzarla, cullandola in uno stato forzato di calma. Aveva quindi socchiuso gli occhi, tentando di vederli.
E c'era riuscito: aveva visto il padre di Shahrazād seduto ad un tavolo a mangiare, mentre la madre scrutava l'orizzonte con aria stanca.
I pensieri dei due, però, l'avevano scosso.
"Verranno a prenderti."
"Li uccideranno."
Sover era rimasto in silenzio, deglutendo.
Essere un Dio era un lavoro faticoso, si sentiva stanco e senza forze, ma non voleva deludere le aspettative della ragazza.
Sover non li aveva visti morire, e questo l'aveva tranquillizzato, ma non era sicuro della sua predizione. Non poteva permettere che Död e Liv vedessero ciò che stava vedendo lui, le Dee avrebbero sicuramente provveduto ad uccidere chiunque si sarebbe messo contro i loro quattro figli.
E i genitori di Shahrazād erano, senza ombra di dubbio, contro di loro.
Il Dio provava affetto verso la giovane, era l'ultima rimasta dei suoi adepti, non poteva lasciare che qualcosa le accadesse.
"Siamo qui da tanto tempo, fuori si staranno preoccupando. Lascia che veda il tuo futuro."
Quanto era passato? A Shahrazād era sembrato poco, ma la sua mente la stava ingannando. Senza esitare aveva quindi acconsentito, lasciando che Sover si chinasse su di lei.
Styrkur, al di fuori, aveva visto gli occhi del Dio scintillare mentre si spostava, posando le labbra su quelle di Shahrazād.
La Serpe non era riuscita a contenersi, sporgendosi in avanti con gli occhi iniettati di sangue mentre mostrava le zanne ad un Dio.
Liv era prontamente intervenuta, sbarrandogli la strada con espressione severa. "Sta solo guardando il suo futuro." La voce di Liv era dolce alle orecchie, ma Styrkur non si era sentito affatto sollevato.
"E baciarla rientra nel prevederle il futuro?" Aveva sputato a terra, inclinando pericolosamente la testa di lato per osservare Sover e Shahrazād, la quale pareva essere ancora in trans.
Si era chiesto se lei se ne fosse resa conto.
"Si usa baciare le palpebre per vedere il futuro di un umano, ma la ragazza è chiaramente cieca. L'alternativa sono quindi le labbra o le orecchie,"
Styrkur non era affatto felice della spiegazione, non gli importava che fosse un rituale, voleva che Sover si distaccasse immediatamente dalla sua Scelta.
Vårdande si stava gustando la scena, gli occhi se possibile ancora più sgranati mentre si sporgeva in avanti, curiosa.
Aveva guardato il fratello, Styrkur, in segno di ammonizione. Doveva calmarsi, dopotutto non aveva nessun potere per andare contro al volere di un Dio. Sover era un Dio tranquillo, certo, ma Vårdande ricordava benissimo il tempo in cui si era ribellato alle Dee.
Aveva sterminato intere popolazioni con il solo sguardo, lasciando Död e Liv a rimediare. Era pericoloso e non andava sottovalutato, questo Död e Liv lo sapevano bene.
Sover, comunque sia, aveva inclinato ancora di più la testa, portando le mani sulle orecchie di Shahrazād.
Le aveva sospinto la testa in avanti, toccandole le labbra con la lingua. Stava assaporando il sapore di morte.
Nella sua mente avevano iniziato a germogliare immagini di Shahrazād. In alcune si trovava sola nella sua stanza, oppure in giardino affiancata da Wëskø. Aveva visto il Lupo sporgersi verso di lei, sfiorandole una spalla in un gesto decisamente non accidentale.
Poi aveva sentito le parole di Styrkur, lo aveva sentito toccarla. Sover era andato alla ricerca di altro, di qualsiasi immagine sul futuro della rossa, trovandone a decine.
L'aveva vista indossare una tunica lacerata e sporca, i capelli le si erano incollati al viso sudato ed i suoi occhi, oh i suoi occhi piangevano!
Styrkur aveva visto il Dio separarsi da Shahrazād con uno scatto, l'espressione sconvolta mentre anche lui piangeva.
Nessuno sapeva cosa avesse visto, nemmeno Shahrazād. Död si era preoccupata: cosa aveva mai potuto vedere di talmente terribile da piangere?
Sover si era afferrato i capelli, tirandoseli con gli occhi sgranati mentre continuava a singhiozzare. L'avevano visto piegarsi in due, il petto scosso da forti singhiozzi mentre posava la testa sul grembo di un'assente Shahrazād.
Styrkur si era sentito afferrare anche lui dall'ansia, preoccupato del futuro della sua Scelta.
"Fratello, cosa hai visto?" Liv aveva fatto un passo avanti, pronta a toccarlo in segno di consolazione. Non aveva mai visto un Dio piangere, ne tanto meno per un'umana!
Ma Sover non aveva alzato lo sguardo, aggrappandosi alle gambe piene di efelidi di Shahrazād. "Mi dispiace," le aveva sussurrato, abbandonandosi completamente sul grembo di lei.
Un Dio che piangeva in grembo ad un'umana, scosso dai tremiti e dalla disperazione: uno spettacolo nuovo, sicuramente.
Shahrazād si era ripresa qualche attimo dopo, tornando lentamente alla realtà. Aveva avvertito il terreno sotto di lei, ed un peso sul corpo. Non ricordava molto, e ancora non sapeva nulla di ciò che aveva visto il Dio.
Si era chiesta il perchè tutti fossero così silenziosi, senza riuscire a darsi una risposta.
Il Dio le aveva quindi lasciato un'ultima carezza sulla guancia, sparendo nel nulla.
Sover l'aveva vista morire.
Marthín aveva preso a mangiare convulsamente il cibo che i Santi gli avevano cordialmente offerto. Da quanto non mangiava? Troppo per il suo organismo.
Lui e la moglie avevano tenuto un lungo colloquio con il capo dei Santi, spiegandogli le motivazioni del loro viaggio e avevano concordato tutti che i Quattro andavano fermati.
Non si poteva rischiare che ammazzassero tutti quanti, per Dio!
Missnöjd era rimasta in un vago silenzio per tutto il tempo, lasciando che i suoi pensieri la trascinassero lontano.
Lontano dal marito che ora le portava rancore, lontano da quel Santo vestito bene, lontano dal ricordo di sua figlia.
Non aveva mangiato molto, limitandosi a qualche boccone di pane. Se avesse mangiato oltre avrebbe sicuramente rimesso.
Si sentiva stordita, nauseata e forse persino malata. Aveva iniziato a pensare alla scomparsa di Shahrazād, al fatto di non aver trovato il suo corpo. Era sicura che, entrando in casa della figlia, l'avrebbe vista supina con il sangue a macchiarle il volto e l'abito logoro.
Immaginava di vederle gli occhi morti ma spalancati verso il soffitto, la bocca schiusa come a voler respirare ancora e le braccia larghe di chi tenta di afferrare qualcosa.
Invece non aveva visto nulla di tutto ciò.
Che ne era stato del corpo di sua figlia?
"Non mangi?" Le aveva domandato Marthín, tentando di non usare un tono di voce troppo duro. Provava rabbia verso la moglie, rabbia che era stata repressa per tutti quegli anni e che ora usciva fuori tutta insieme.
Missnöjd aveva scosso la testa, guardando verso la finestra.
"Possiamo davvero fidarci di loro?" Missnöjd mi era strofinata gli occhi, stanca, guardando svogliatamente Marthín.
Quest ultimo si era chiesto se Missnöjd l'avesse mai guardato con amore.
"O ci fidiamo oppure torniamo lì fuori sperando di non incappare in quei quattro mostri." Aveva ricambiato lo sguardo ostile della moglie, lasciando che lei pensasse alle sue parole.
Il capo dei Santi, Cameron, li aveva ascoltati pazientemente, toccandosi la catenina con la croce che portava al collo di tanto in tanto.
Era più giovane di Marthín, forse sui trentacinque anni, eppure era riuscito a salire al comando.
Cameron amministrava l'intera città assieme a due consiglieri, il loro compito era decidere sull'economia e sullo sviluppo della città.
Quando aveva ascoltato Marthín si era scoperto impietosito, forse dall'aspetto dei due peccatori o dal racconto, non lo sapeva.
I Quattro erano diventati, comunque sia, un problema anche per Città dei Santi. O meglio: per tutte le città.
Non era più possibile vivere nella paura, chiudersi in casa con la speranza di non morire. Cameron aveva quindi deciso che avrebbe ospitato Marthín e Missnöjd, pianificando con loro un piano d'attacco.
Non importava che fossero dei peccatori e loro dei santi, l'obiettivo era sconfiggere quelle quattro bestie.
E si sa, l'unione fa la forza.
Marthìn si sentiva quindi pervaso dal senso di vendetta e di soddisfazione, riusciva ad immaginare se stesso mentre pugnalava quei bastardi.
Gli avrebbe estratto il cuore e lo avrebbe bruciato in nome della sua Dea e di sua figlia, e solo allora si sarebbe dato pace.
Missnöjd si sentiva invece minacciata, sulla crisi di un crollo di nervi. Era questo che meritava? Non aveva fatto nulla di male, lei!
Se lo era ripetuto sino allo sfinimento, dopotutto cosa avrebbe potuto fare? Aveva amato suo marito e sua figlia, ma in una maniera tossica e opprimente.
Sminuirli era sempre stato più facile di apprezzarli, perchè più fai sentire insignificante una persona e più quella sarà dipendente da te.
Ma non era riuscita a tenerli stretti a lei, aveva anzi ottenuto l'effetto contrario. Suo marito ora la detestava e sua figlia, forse morta, probabilmente l'accusava di tutta la sua sofferenza.
Missnöjd aveva sospirato, mangiando quel poco che il suo stomaco riusciva a sopportare per poi prendere un sorso abbondante di acqua.
Si era quindi voltata completamente, alzandosi ed avviandosi verso la porta d'uscita.
"Vado a coricarmi," aveva avvisato mestamente lei, senza mai guardarsi indietro.
Marthìn aveva lasciato in sospeso l'ultimo boccone, guardando di sbieco la moglie.
E improvvisamente era tornato ad essere l'uomo fragole che era sempre stato, con gli occhi gonfi e le labbra secche. Un uomo povero, malnutrito e triste.
"Mi manca." Aveva sussurrato, lasciando che i pensieri andassero alla figlia. Missnöjd aveva deglutito, aprendo la porta.
"Anche a me."
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