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CAPITOLO DICIANNOVE

Capitolo Diciannove: Fidati.

"E per tutti
il dolore degli altri
è dolore a metà."-Fabrizio De Andrè.

"Gabriele, è un piacere rivederti integro ed illeso." Cameron, capo dell'ultima Cittá dei Santi rimasta, l'aveva abbracciato nel modo in cui si fa con un vecchio amico.

Gabriele non aveva ricambiato, sentendo la voce di Seth urlargli nella testa. Dopo anni aveva capito che non era stato Cameron a sdoppiare la personalità di Seth, ma la domanda rimaneva comunque la stessa: chi era? Chi si celava dietro la voce dell'uomo che, molti anni prima, aveva dato l'ordine di rovinargli la psiche?

Dietro Cameron vi erano Marthìn e Missnöjd, i quali aveva conosciuto il giorno in cui gli era stato dato l'ordine di uccidere Cassidea.

I suoi occhi erano saettati sulla figura di Marthìn il quale, con le mani congiunte, lo guardava ad occhi sgranati.

"Hai visto mia figlia?"

Missnöjd aveva guardato il marito, impietosita da uno spettacolo tanto disdicevole.

"Non ne sono sicuro."

Ed era vero, quel giorno l'aveva vista allontanarsi con una serva, ma non era sicuro fosse lei. Dopotutto non le aveva visto gli occhi, bianchi come glieli avevano descritti, perchè troppo lontano.

In quel momento aveva desiderato la vista di Prätda, perchè ora i dubbi lo dilaniavano. Cameron gli aveva dato, dopotutto, due soli compiti e lui ne aveva portato a termine solo uno.

Sapeva che avevano intenzione di attaccare i quattro fratelli, e nonostante ritenesse il piano uno spreco di tempo lui era pronto a sostenere il suo capo.

Aveva visto lo sguardo di Marthìn farsi scuro, mantenendo però quella scintilla di speranza che ancora lo animava. "In che senso non ne sei sicuro?"

Gabriele si era passato una mano sul volto, toccandosi il naso con fare pensieroso.

"La ragazza che ho visto aveva i capelli rossi, ma non sono riuscito a guardarlo in viso." Nonostante ciò non capiva cosa ci facesse la rossa nel campo dei quattro.

Che fosse stata presa come lavoratrice? Impossibile, chi mai assumerebbe una cieca? Dall'espressione di Cameron sapeva che, in qualsiasi caso, non era deluso. Aveva quindi lasciato rilassare le spalle, sbuffando.

Era cresciuto con Cameron e nonostante lui fosse destinato a governare sulla città non aveva mai dato peso al suo rango. Gabriele, dopo tutto, era ben conosciuto a Città dei Santi. Aveva il ruolo di protettore, ma nonostante questo non ispirava sensazioni di fiducia nella popolazione.

Sin da quando aveva iniziato a vivere assiduamente nella città era stato evitato come la peste, ma Cameron era rimasto.

"Ho una nuova missione per te," aveva notato il tono dispiaciuto di Cameron, decidendo di ignorarlo, "siediti, ci vorrà un po'."

Shahrazād era rimasta immobile per minuti interi, forse ore, seduta tra i fiori mentre cercava di non muovere nemmeno un muscolo. La richiesta di Styrkur non l'aveva turbata, solo incuriosita.

Era da tanto che ormai non si vedeva, si chiedeva quindi come gli altri la guardassero, cosa vedessero. Aveva preso l'abitudine di toccarsi il viso, di tanto in tanto, per tentare di immaginarsi i suoi tratti.

Le erano sembrati spigolosi, tutto qui, non aveva percepito molto altro.

Non si sarebbe mai immaginata che Styrkur sapesse dipingere, in effetti. Il Sole splendeva poco quel giorno, illuminava qualche porzione di terra e non scaldava molto.

"Da quant'è che dipingi?"

Styrkur non si era fatto distrarre dalla domanda, intingendo il pennello nel verde per tracciare i contorni dell'erba.
"Da quando ero bambino."

Shahrazād aveva annuito, ricevendo uno sguardo d'ammonimento da Styrkur. Non doveva muoversi, glielo aveva ripetuto dieci volte.
Le facevano male le articolazioni a forza di rimanere ferma. Aveva optato per la posizione più comoda che aveva trovato, seduta con le gambe al petto ed il mento sulle ginocchia.

Styrkur le aveva sciolto i capelli, facendole inclinare la testa di lato, poi aveva iniziato.
La sua tela era realizzato con un materiale spesso e ruvido, i suoi colori leggermente rovinati dal tempo davano ancora una parvenza di lucentezza.

Non era un ottimo pittore, lo sapeva, ma aveva un discreto talento. Anni prima aveva venduto dipinti per comperare il necessario che serviva alla struttura, era stata una mossa astuta, la sua. Facendo così aveva incontrato molti dei capi delle varie città.

Parevano meravigliati davanti ad ogni opera contenente un minimo di piacevolezza visiva. Il 4000 aveva tolto agli umani molte cose, ma l'arte non era stata una di queste.

Styrkur aveva fatto ondeggiare il pennello sulla carta, il colore rosso aveva macchiato la tela assieme all'azzurro. Shahrazād riusciva a sentire l'odore dei colori acrilici, era un'odore diverso da quello dolce dei fiori, non sapeva se le piaceva.

Trenta minuti dopo Styrkur aveva terminato, lasciandosi andare ad un sospiro. Non gli pareva fosse uscito male, e dopotutto erano mesi che non prendeva in mano un pennello.

"È uscito bene?" Aveva domandato lei, chiaramente curiosa. Avrebbe voluto vederlo, capire come lavorano i colori e che effetto facevano se messi su carta.

"Si, ma solo perchè la mia modella è stata brava." Styrkur aveva osservato il volto contratto di Shahrazād, chiedendosi se si sentisse triste.

Cosa si provava a non vedere?

Lei, comunque sia, aveva accennato un sorriso per poi stendere le gambe sopra l'erba fresca. No, Shahrazād non era triste, solo malinconica.

Styrkur aveva riposto i pennelli nella sua scatola in metallo, chiudendo con il tappo i tubetti di colore. Aveva quindi osservato la ragazza farsi silenziosa mentre guardava verso il bosco.

"C'è qualcosa che non va?"

Shahrazād aveva scosso la testa, tornando a pensare agli avvenimenti degli ultimi giorni. Styrkur non le aveva rivelato nulla dell'assassino, ma sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in tutto quello che stava accadendo.

Si chiedeva dove fossero i suoi genitori, cosa stessero facendo e come si sarebbe evoluta la sua vita. Alloggiava da Styrkur da un mese e mezzo e la sua vita era certamente cambiata.

"Ho una richiesta." Si era piegata indietro, poggiando le mani a terra mentre Styrkur alzava un sopracciglio.

"Dimmi."

"Voglio essere addestrata a combattere."

Tra di loro era calato il silenzio, entrambi pensierosi. Era dal funerale di Cassidea che Shahrazād pensava a ciò, la presenza delle guardie la infastidiva ed era comunque certa che prima o poi si sarebbe trovata da sola.

Sapeva già come uccidere, quello glielo avevano insegnato, ma non avrebbe messo in pratica i segreti degli Stanchi. Avrebbe preferito riuscire a ferire un possibile assassino e scappare per avvisare gli altri.

Per Styrkur non era questione di maschilismo, le donne facevano parte del suo esercito da anni ma la domanda era: voleva che Shahrazād ne facesse parte?

Allenarla sarebbe stata dura, forse impossibile a causa della sua cecità. Ma era ciò che voleva, e se questo le avrebbe dato un minimo di tranquillità allora l'avrebbe accontentata.

"Ogni nostro combattente deve specificarsi con un'arma, e avere delle solide basi di difesa personale. Hai già un'arma in mente?"

Shahrazād si era morsa l'interno guancia, pensando attentamente alla risposta da dare. Doveva considerare il fatto di essere cieca e di poter contare solo sugli altri quattro sensi che aveva, escludendo il gusto in quanto insignificante durante una lotta.

Questo stava a significare che avrebbe dovuto prediligere un tipo di lotta ravvicinato, con un'arma in grado di ferire immediatamente ed efficacemente l'avversario.

Aveva quindi sorriso, poggiando il mento sul palmo aperto della mano con un'aria che Styrkur avrebbe definito quasi macabra.

"Il pugnale."

A Shahrazād era stato detto che il suo allenamento sarebbe cominciato il giorno dopo, per questo la notte l'aveva passata insonne, troppo presa dai suoi pensieri per concentrarsi sul bisogno di sonno.

Quando si era quindi alzata si era sentita stanca, ma non avrebbe annullato l'allenamento. Era abituata alla mancanza di sonno, di certo non avrebbe iniziato ad essere un problema proprio in quel momento.

Si era costretta a fare colazione, mangiando un tozzo di pane con della marmellata e bevendo una tisana. Il suo stomaco doveva ancora abituarsi al cibo, ma Styrkur le aveva detto che le sarebbero servite energie per l'allenamento e quindi, con piccole difficoltà, aveva preparato la colazione.

Ad allenarla sarebbe stata una guardia, così da tenerla d'occhio in caso di emergenza. Non aveva sperato troppo in un allontanamento completo dalle guardie, ma quello era già un risultato positivo.

Styrkur le aveva fatto trovare una tuta da indossare, quest'ultima le era stata descritta animatamente da Nora la quale non era sembrata troppo entusiasta delle fattezze di essa. Erano dei semplici pantaloni neri, accompagnati da una maglietta a maniche corte.

Le stavano larghi, ma non importava: se li sarebbe fatta andare andare bene.

"Posso entrare?"

Shahrazād era sobbalzata, presa alla sprovvista. Si era quindi data della stupida, ricordandosi che avrebbe dovuto prestare sempre molta attenzione all'ambiente circostante. Aveva quindi borbottato un 'si', alzandosi dalla comoda sedia.

Aveva sentito la porta aprirsi e si era girata totalmente verso di essa, annusando l'aria. La guardia aveva un'odore strano che, a primo impatto, non le era piaciuto.

Si era sentita squadrare dalla testa ai piedi, come a Città dei Peccatori, sentendo poi un lieve brusio. La guardia stava...ridendo?

"Mi segua, la porto in palestra." La guardia non aveva fatto cenno di aiutarla, durante la strada, e Shahrazād aveva quindi dovuto seguire il rumore dei passi dello sconosciuto, andando a sbattere di tanto in tanto.

Si era sentita presa dal panico al pensiero di doversi allenare dinnanzi ad altre persone, l'avrebbero derisa di sicuro, ma una parte di lei non se ne curava.

"Il capo ha prenotato la palestra per due ore, inizieremo con il testare i tuoi riflessi. Se per te va bene."

Non le era sfuggito il tono canzonatorio della guardia, come se in realtà non gliene fregasse proprio nulla di quello che preferiva. Aveva comunque sia annuito, decidendo di non dare troppo peso alla questione.

La guardia aveva grugnito, quasi con approvazione, spalancando le porte della palestra completamente deserta. A destra aveva adocchiato una pedana con sopra le varie protezioni mentre le armi si trovavano a sinistra.

Aveva ghignato, decidendo che alla ragazza le protezioni non sarebbero servite.

Con una mano a spingerla per la schiena l'aveva fatta avvicinare al centro della stanza, sentendola irrigidirsi. Non che la biasimasse, comunque.

"Se dovessi dare un voti da uno a dieci alle tue abilità fisiche, quale sarebbe?" Le aveva domandato lui, sgranchendosi le gambe.

Shahrazād non aveva esitato a dare una risposta mentre iniziava a scaldare i muscoli.

"Cinque."

La guardia aveva inarcato un sopracciglio, diffidente.
"Sono stata allenata fino ai quindici anni," aveva quindi spiegato lei, sentendo il peso di quello strano silenzio. 

Suo padre si era premurato, infatti, di allenarla come meglio poteva. Sapeva che a causa della malattia sua figlia era più debole e, di conseguenza, esposta a più rischi.

Era grazie a lui che aveva imparato a riconoscere gli spostamenti d'aria durante gli attacchi. Ma nonostante ciò era ancora debole ed erano ormai anni che non si esercitava.

"La prima fase sarà provare a schivare i miei attacchi, per ora ci concentreremo sulla tua difesa personale." Era curioso di metterla alla prova e di vedere come se la sarebbe cavata.

Senza darle tempo di rispondere aveva sferrato il primo pugno, all'altezza del volto.

Shahrazād era stata veloce a schivarlo, spostando di qualche centimetro la testa ma lasciando il corpo fermo nella posizione iniziale.

Non ci siamo, aveva pensato la guardia.

Gli altri cinque colpi erano stati quindi sferrati uno dopo l'altro, alcuni in contemporanea, lasciando Shahrazād con il fiato mozzo. Era riuscita a schivarne solo due.

La guardia l'aveva colpita allo stomaco due volte, una al ginocchio ed infine alla spalla. Aveva evitato di colpirle il viso per non lasciarle lividi.

"Quando sai che stai per essere attaccata la tattica migliore è ritirarsi, mettere più distanza possibile tra te e l'aggressore così da avere il tempo di reagire." Le aveva spiegato brevemente, vedendola agitarsi sul posto.

Sapeva di averle fatto male, ma lei non si era lamentata nemmeno una volta, senza lasciarsi sfuggire un singolo lamento.

Gli attacchi della guardia erano andati avanti per altri venti minuti, accompagnati da brevi ma efficaci dritte.

Shahrazād aveva imparato a piegare le ginocchia, muovendo il busto per schivare gli attacchi mirati verso la parte superiore del corpo, e saltando invece lateralmente quando la guardia mirava alle gambe.

La guardia le aveva indicato i punti più dolorosi in cui colpire, tra cui sul fianco, colpendola ovviamente lì.

Shahrazād aveva mosso sei passi indietro, senza fiato e completamente priva di energie. Più passavano i minuti e più attacchi riusciva a schivare, ma c'era anche un lato negativo.

Più il tempo passava e più gli attacchi erano forti, insistenti e mirati in zone del corpo sensibili. Aveva comunque sia continuato, senza chiedere una pausa.

La guardia, dal canto suo, era tranquilla quasi divertita dall'aspetto sudato e sfiancato di Shahrazād.

Con velocità aveva portato la gamba ed il busto indietro, sferrandole un calcio che non era riuscita a schivare, facendola cadere a terra.

Shahrazād si era sentita arrabbiata, le goti rosse dal fastidio d'esser stata sconfitta. Con le ultime forze aveva quindi afferrato la caviglia della guardia, strattonandola a terra.

"Avevamo detto solo difesa," aveva detto lui, trattenendo le risa. Shahrazād si era stretta nelle spalle, asciugandosi il sudore dalla fronte.

"Come ti chiami?"

La guardia aveva esitato, guardandola con un cipiglio quasi arrogante. Alla fine aveva ghignato, dandole un colpo alla nuca.

"Gabriele."

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