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CAPITOLO CINQUANTA


Capitolo Cinquanta: lo scambio

"La paura va dove viene invitata"
-Tad Williams

"Perché ci stiamo fissando?"

"In realtà voi vi state fissando, io sono fisicamente impossibilitata a farlo."

A Styrkur si era strozzata una risata mista a meraviglia in gola, mentre gli occhi gli brillavano. Era certo di scorgere un luccichio anche nell'opacità di quelle due sclere lattee che la ragazza possedeva.

I tre amici stavano aspettando; aspettando di decidere chi avrebbe offerto il proprio sangue. Kyà si era passato la lingua sui denti, mentre inclinava la testa verso il soffitto pallido. "Va bene, ora basta," aveva quindi dichiarato il mutaforma, "dobbiamo muoverci!"

Shahrazād si era trovata d'accordo. Così, sentendosi lasciata fuori, aveva sfiorato con i polpastrelli i petali dei fiori, strofinandoseli tra le dita. Improvvisamente, si era ricordata di Lola. La ragazza del mercato con la voce di velluto che le aveva dato il fermaglio. Sperava che la sua morte fosse stata veloce, per quanto strano le suonasse il pensiero.

Così, quasi in trance, aveva lasciato andare i petali per strofinarsi i capelli. Li aveva trovati sfibrati dal viaggio e dall'incuria degli ultimi giorni. Le aveva ricordato il passato, quando suo padre la portava al fiume per districarle i nodi. Una volta al mese, poi, comprava appositamente per lei rose e mughetti da far bollire nell'acqua. Con quella, le diceva lui, avrebbe avuto la chioma più profumata della città.

Senza saperlo, si era aperta in un sorriso. Le guance, imporporate dall'affetto, le avevano regalato calore. Così, quando finalmente aveva sfilato il suo prezioso fermaglio, non aveva trovato l'idea di usarlo per tagliarsi così male.

Kyá aveva insistito affinché qualcuno facesse qualcosa, e lei aveva deciso di accontentarlo. Il taglio lungo e obliquo che si era fatta sulla mano le aveva indolenzito le dita, ma era sopportabile.

"Cosa si fa ora?" Non le era servita la vista per immaginare le loro espressioni. I sospiri mozzati di Styrkur, in situazioni in cui lei e il sangue erano legati, la divertivano. Non glielo avrebbe mai detto, ovviamente, ma era così.

Fortunatamente, la prima reazione fu di Kyá. Ne sentì l'odore muoversi e avvicinarsi a lei, poi la mano della Serpe le si era stretta attorno al polso.

"Ti fa male?" L'odore della cera le aveva impregnato le narici, avvertendola che, alla sua sinistra, Kyá aveva dato inizio al rituale.
In risposta a Styrkur, aveva scosso la testa.
Ricordava le lunghe nottate con le sue consorelle, quando il crepitio del fuoco interrompeva le loro cantilene.

Non avevano mai interpellato Sover per chiedere spiegazioni riguardo la realtà, perché scomodarlo era visto di cattivo occhio. Quel giorno, però, sentiva che il contatto sarebbe stato diverso.

Styrkur le aveva guidato le dita fino al bordo freddo di quella che immaginava fosse una ciotola, facendole scivolare l'intera mano dentro.

"Non voglio farti male," le aveva sussurrato lui, aspettando prima una sua risposta. Con la mano libera gli aveva accarezzato il mento, trovando un accenno di barba, poi su verso le labbra.

"Non me ne farai." Shahrazād ne era fermamente convinta, perché il dolore era naturale, ma soffrire era una scelta. Aveva scelto di provare conforto nella sua stretta e gratitudine verso il fatto che avesse scelto di essere lui ad accompagnarla in quel viaggio. Forse l'amore era anche quello, dopotutto. Accettare che l'altro avrebbe, in un caso o nell'altro, dovuto subire dolore, ma scegliere comunque di condividerlo con loro.

Così, quando Styrkur le aveva premuto il palmo sul fondo della tazza, non aveva potuto far a meno di sorridergli. In qualche modo, sapeva dove si trovavano i suoi occhi. In qualche modo, li condividevano.

Aveva sentito Kyá schiarirsi la gola e l'aveva immaginato alzare le mani in aria, come lei faceva con le sue consorelle.

"Rendo grazie," era la prima frase che insegnavano ai ragazzi dopo il test attitudinale. Le labbra di Shahrazād avevano seguito il movimento del mantra, dando il ritmo giusto al muta-forma, "rendo grazie a quel che sono grazie a voi. Sono devoto al culto e al suo credo, prometto di far segreto dei misteri a me confidati e di aiutare i miei fratelli e le mie sorelle con l'acciaio e il legno, sassi e sogni."

La prima volta che aveva pronunciato quelle parole, era appena un adolescente. Ricordava la sensazione di calore alle goti che aveva sentito irradiarsi fino a tutto il viso. Le avevano detto che il primo contatto fosse difficile, ma a lei era parso paradisiaco.

Così, quando si era fermata per immaginare il suono della campana, Kyá l'aveva imitata.

Il seguito della preghiera si trovava in un cassetto arrugginito del suo cervello, dove la memoria meccanica aveva preso il sopravvento.

"La mia voce va per prima a colui che tra piume e ossa riposa, dove niente lui osa. Chiedo al silenzio consulto: Sover, mostrami l'occulto."

Styrkur le aveva lasciato la mano, spostandosi dietro di lei. Il vento, lo sentiva chiaramente, aveva iniziato ad alzarsi. Oltre la finestra, il ramo avvizzito di un albero dondolava avanti e indietro. Sembrava volesse scandire per loro il tempo che passava.

La prima candela si era accesa con fatica e la fiamma si era affacciata con timidezza, stentando ad alimentarsi.

La Serpe aveva afferrato il gambo di un fiore per arrotolarlo intorno la cera. Non era mai stato un buon predicatore, ma per tutta la sua vita aveva avuto fede. Certo, adesso sapeva di averla riposta male, ma aveva ancora Liv e la sua piccola volpe. Non tutto era perduto.

"A colei che d'invidia si sfama: la tua discepola ti chiama. Chiedo al livore consulto: Wyulma, esci dall'occulto."

I genitori di Shahrazād avevano pregato la dea per anni, affidando completamente a lei la loro protezione. Sua madre, quando ancora aveva miele sulla lingua invece che veleno, le aveva raccontato dell' affidabilità dell'invidia.

Se sfruttata al modo giusto, poteva permetterti di raggiungere e superare la persona oggetto di invidia. Altrimenti, Wyulma sarebbe stata ben disposta ad avere anche adepti meno illuminati. Non c'era mai stata una vera e propria via di mezzo tra l'insegnamento verso l'illuminazione e l'interpretazione personale e deleteria dei sacri scritti.

Sua madre era stata una buona adepta, sempre al meglio e sempre al primo posto, fino a quando non aveva avuto lei. La sua nascita coincideva con il declino della donna; forse per questo non l'aveva mai amata nel modo giusto: perché Shahrazād non era mai stata, agli occhi della madre, invidiabile.

L'aria nella stanza era cambiata assieme al suo umore: pesante e cupa, tagliente ma comprensiva. Le sussurrava che sua madre era da compatire, perché, in realtà, avrebbe voluto prendere da tutti per donare a lei, senza rendersi conto che l'impossibilità di farlo l'aveva man a mano fatta appassire.

L'intento era stato buono. Il risultato, un disastro.

Styrkur e Kyá si erano scambiati uno sguardo mentre, proprio dinnanzi a loro, iniziava ad agitarsi una sorta di foschia solida e nerissima, fredda come il marmo e leggera come una promessa fatta alla persona sbagliata. Shahrazād l'aveva percepita in tutto il suo essere.

Prima di continuare, si era obbligata a esalare un lungo respiro. Quando aveva sentito Styrkur staccare un altro petalo e usarlo, prima di fare ogni altra cosa, per accarezzarle il naso.

"A colui che con il fuoco purifica e alimenta rancore: io invoco il tuo nome. Chiedo all'ira consulto: Gniew, scalda l'occulto."

Le sue consorelle le avevano detto che il mondo, per i primi anni dopo la regressione dell'umanità, era stato governato proprio dal dio della collera. Gli umani, che all'epoca ancora non professavano, agivano in suo nome senza nemmeno saperlo.

Kyá aveva preso ad ansimare, improvvisamente accaldato. Avvertiva l'adrenalina scorrergli a fiumi nel corpo e invitarlo a muoversi, a rilasciare tutta quell'energia accumulata. Guardando Shahrazād, il semi-gatto si era reso conto che essere chiamati, forse, era desiderio degli dei stessi. Altrimenti, ne era certo, il sacrificio di sangue che la rossa aveva fatto non sarebbe stato considerato sufficiente.

"A colei che ha miele sulla lingua e ambrosia tra le dita: la tua presenza è qui gradita. Chiedo alla lussuria consulto: Lust, profuma l'occulto."

Le parole avevano fatto a malapena in tempo ad uscirle dalle labbra, prima che l'odore di sabbia e gigli le riempisse le narici. Le ricordava il fiume vicino la città, i fiori del mercato e la sensazione del polline tra le dita.

Ora che il rito aveva chiamato la quarta dea, l'energia residua nella stanza si era placata, quasi assopita. Kyá aveva avvertito l'odore della carovana di Vårdande e Styrkur, in piedi e all'erta, aveva inalato il profumo di casa. La stessa abitazione in cui, per qualche tempo, aveva passato i primi anni di vita. Distingueva l'odore dei pini e dei suoi fratelli, quello lieve della cartomante e l'aroma forte e speziata di Liv.

Un altro fiore era stato avvolto attorno all'ennesima candela, la quale era stata accesa subito dopo. Così, il profumo di Lust era svanito.

"A colui che tutto vuole e tutto ottiene, liberati dalla tue catene. Chiedo all'avarizia consulto: Skapy, ruba e mostrami l'occulto."

A Città dei Peccatori, avari e invidiosi convivevano pacificamente grazie alle loro affinità, ma Shahrazād non li aveva mai considerati simili.
L'avarizia consisteva nell'attaccamento a beni che già si possedevano, mentre l'invidia spingeva gli umani a raggiungere cose e obiettivi non ancora in loro possesso. In qualsiasi caso, però, poteva giurare che ovunque fosse Wyulma, si trovasse anche Skapy.

Mancavano solo due dei all'appello: superbia e gola. Dalla quasi impassibilità di Kyá e Styrkur, aveva capito che le divinità già invocate non si erano palesate con la loro forma fisica. Non li vedevano, non ancora.

"A colui che è inarrivabile e inaffondabile, di tutto sei accusabile. Chiedo alla superbia consulto: sei tu l'occulto."

Si era fermata, nella sua testa il rumore della campana. Ora che ne mancava uno solo, Shahrazād si sentiva febbricitante. La testa, pesante, le era calata tra le spalle. Poggiando il mento sullo sterno, si era calmata.

Stava bene. Doveva solo respirare.

"Ci siamo," le aveva sussurrato Styrkur, massaggiandole la testa, "ce l'hai quasi fatta."
Si chiedeva cosa vedessero attorno a loro, lui e Kyá. Lei era certa di percepire una quantità immonda di energia, ma anche una buona porzione di buio. Effettivamente, era ormai qualche minuto che non sentiva il calore del Sole sulla pelle.

L'ambiente della stanza si era fatto, con il passare dei minuti, cupo. Larghe ombre nere avevano abbracciato le pareti, inghiottendole per interno. Solo il pavimento era ancora libero, e Kyá non avrebbe saputo dire per quanto sarebbe rimasto tale.

"A colei che nulla può saziare, io ti prego di avanzare. Chiedo alla gola consulto: ingoia l'occulto."

Le parole avevano lasciato le sue labbra con velocità, ma agli spettatori erano parsi anni interi.
Shahrazād aveva inclinato la testa di lato, lasciando che riposasse sulla spalla destra, e con un bel respiro aveva rilassato i muscoli.

Da un lato si riteneva felice di non poter assistere a qualsiasi cosa stesse succedendo. Styrkur, invece, dietro di lei si era paralizzato. Aveva ringraziato di avere sangue freddo a sufficienza per non svenire, ma la vista che gli si presentava davanti era terrificante.

La stanza era piombata nel buio più totale e solo la luce fioca delle candele gli rendeva possibile vedere Kyá. Shahrazād, illuminata dal basso, aveva le sclere lattee puntate sulla fiamma della candela che le stava davanti: quella di Sover, ovviamente.

Non provava alcun dolore del guardarla, persino il calore era minimo. La accarezzava, quasi.

Mentre lei fissava la fiamma, sette paia di occhi le stavano perforando la fronte. Sia Kyá sia Styrkur potevano vederli: grandi e vibranti di colori, affilati come il più duro dei metalli e caldi di emozioni. Era certo che la sua piccola volpe ne sarebbe rimasta senza fiato.

Il semi-gatto, invece, aveva perso fino all'ultima goccia di colore che le sue guance artificiali avevano. Terrorizzato sarebbe stato un termine riduttivo per descrivere la situazione emotiva in cui versava.

Mentalmente, aveva maledetto Vårdande. Non aveva mai avvertito un potere così sinistro, nemmeno durante le sedute della precedente padrona.

Guardando gli occhi spalancati e la pupilla ridotta al minimo dell'Ira, Kyá aveva pensato a quanto ingiusta fosse stata Vårdande. L'aveva trascinato in quella situazione e poi l'aveva lasciato solo.

"Bambina," dall'oscurità era spuntata una mano avvizzita, grigia e smilza, seguita dal corpo stanco e coperto di velluto di Sover. Volteggiava in aria, la sua figura poco chiara e poco solida, ma presente e rassicurante.
Shahrazād aveva sollevato gli occhi dalla fiamma, finalmente con il cuore leggero, e si era chinata in avanti.

Aveva sentito la sua mancanza, o forse la sua assenza. Non era sicura che fossero la stessa cosa. In qualsiasi caso, aveva bramato quel momento con ogni cellula del suo corpo. Si era ricordava delle Anziane, a Città dei Peccatori, che passavano il tempo a pregare. Le consorelle dovevano imboccarle e stenderle per imporre loro un po' di riposo.

Erano con lui, dicevano. Non c'era motivo di allontanarli.

"Mi serve il vostro aiuto." Sover si era chinato su di lei, posando lo sguardo su Styrkur. Paterno, gli aveva sorriso.

Non era nel pieno delle sue forze. Presentarsi in forma fisica lo sfiancava, ma l'energia dei fratelli era un salvagente ottimo.
Così, quando la mano di Shahrazād aveva oltrepassato il suo torace informe, aveva deciso che interferire nelle faccende umane non sarebbe stato poi così male.

Dopotutto, lui stesso era stato aiutato da loro. Wëskø possedeva la parola e, con un pizzico di fortuna, un giorno sarebbe riuscito a spargerla. La sua prima scelta era stato Kyá, vista l'affinità che aveva con la magia, ma un semi-dio era certamente migliore.

Erano passati pochi giorni dalla confidenza che la ragazza aveva fatto al Lupo, ma Sover già si sentiva meglio. Adesso era il suo turno.

"In cosa possiamo assistervi?" Le dita del dio si erano mosse verso la ciotola dal contenuto scarlatto. Le aveva immerse nel liquido viscoso, trovandolo lucente agli occhi e metallico al naso.

Intorno a lui, i suoi fratelli rimanevano in silenzio. Era sicuro che non fossero felici né del sacrificio, né dell'esser stati appena coinvolti nelle dispute umane.

C'era stato un tempo in cui avevano combattuto tra di loro, dove l'affetto nulla poteva contro la smania di potere. Tutti volevano il trono centrale, la seduta dei saggi e degli imbattibili, tranne lui.
Per questo, alla fine, era divenuto suo.

Shahrazād si era leccata le labbra inaridite dall'ansia, mentre raccoglieva le parole da dire. Non voleva far arrabbiare nessuno, ma era difficile non farlo quando gli interlocutori erano esseri plasmati dall'agitazione.

"Dobbiamo trovare un antidoto per Seth, o almeno capire se ne esista uno, e poi-" un lungo brivido freddo l'aveva costretta ad ammutolirsi. Sentiva mani gelide accarezzarle collo e schiena, ma non le sembravano maligne.

"E poi," aveva sussurrato la voce più soave che la ragazza avesse mai sentito, "poi dovrai darci qualcosa in cambio, lo sai, dolcezza?"

Aveva deglutito a vuoto, sentendo qualcosa pesarle in mezzo al petto. In tutta onestà, era convinta che il suo legame con Sover le avrebbe permesso di evitare situazioni simili.

Accanto a lei, Lust si era fatta strada tra l'oscurità. Camminava, invece che fluttuare, e le centinaia di perline che le decoravano orecchie e capelli annunciavano ogni suo movimento.

Styrkur l'aveva osservata leccarsi le labbra e mordersele, tra il divertito e il seducente, mentre si avvicinava a Sover. La dea aveva stretto le braccia attorno le spalle del fratello, piegandosi su di lui come fosse una coperta. Era meravigliosa.

Con gli occhi rosati, Lust aveva lanciato una breve occhiata verso i fratelli.
"Non mi avevi detto fosse così bella," aveva mormorato la divinità al fratello, rivolgendo un veloce occhiolino a Shahrazād.

"Cosa potremmo mai darvi, in cambio del vostro aiuto?" Era stato Kyá a intervenire, nonostante la sua voce fosse più simile al sibilo del vento.

Styrkur aveva sentito la stanza riempirsi di voci, ognuna che cercava di sovrastare l'altra, e di volti così umani e al tempo stesso così anormali da mettere i brividi.
Erano tutti bellissimi in egual maniera, o forse era il loro potere a renderli così allettanti ai loro occhi. La Serpe, dopotutto, era certo che gli dei non avessero una forma vera e propria.

Forse, e solo forse, avevano deciso di presentarsi in quella maniera per non turbarli eccessivamente.

"Te lo mostrerò." Sover non si era rivolto a Kyá, nonostante la domanda provenisse da lui, ma si era voltato nuovamente verso Shahrazād.

L'aveva osservata aggrottare le sopracciglia, confusa, senza però fare domande. Si fidava.

Così lo aveva sentito alzare da terra la ciotola e portargliela alle labbra. La ragazza aveva inspirato profondamente, senza avvertire l'odore metallico del sangue. Al suo posto, l'aroma dolce del nettare le aveva invaso le narici.

Il tempo aveva cessato di esistere nel momento stesso in cui le sue labbra avevano toccato la porcellana.

Poi, il silenzio.

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