24. Scontro con la realtà
Ehilà! Non me ne vogliate per questo aggiornamento serale, ma dovevo farmi perdonare per il ritardo nel postare il capitolo.
Un abbraccio,
Alicia.
*
L'uomo lo fissava con uno sguardo a metà tra la sorpresa e il sollievo inducendolo a credere che quello non fosse il mondo reale.
Vedeva lui, sulla quarantina, folti capelli biondo scuro, un naso adunco e un fisico non troppo robusto; e vedeva lei, una donna di qualche anno più giovane, con quegli occhi color nocciola che non si staccavano da lui neanche per un istante. Indossava una cuffia bianca che le copriva la sommità della testa, ma alcuni boccoli color ruggine le erano scivolati sulla fronte rimarcando il contrasto con la carnagione lattea del viso.
Jon li fissava di rimando senza sapere cosa dire o come comportarsi. Aveva ricordi frammentati di quanto era accaduto, di Sarah che si vendeva a suo zio in maniera quasi teatrale, di quanto avesse pensato di odiarla in quel momento, di Robert Ashton che avrebbe voluto mandare all'altro mondo anche lì, steso sopra un giaciglio in un'abitazione che non era la sua, con accanto due sconosciuti che perlomeno sembravano felici che avesse ripreso conoscenza.
E di colpo, mentre loro parlavano ma senza che lui riuscisse a concentrarsi su cosa stessero dicendo, si ricordò di quello che Claire gli aveva detto, che stava perdendo tempo, che se voleva riavere indietro Sarah doveva affrettarsi. Fece per alzarsi da quello strambo giaciglio quando qualcosa lo fece rimettere al proprio posto; un dolore secco gli trafisse il fianco facendogli digrignare i denti.
—Quello che stavo cercando di dire... — stava farfugliando l'uomo incrociando le braccia al petto con un sospiro, — è che, per quanto mia moglie sia rimasta commossa dalle vostre parole durante il delirio, non siete affatto nelle condizioni adatte per andare a prendere quella donna.
Jon lo fissò confuso, storcendo la bocca che sentiva arida. Di cosa stava parlando? Come poteva sapere quale fosse la sua intenzione?
—Non avreste qualcosa con cui bagnarmi le labbra? Vi prego?
La donna scattò in piedi regalandogli un sorriso sincero. —Naturalmente, avrei dovuto pensarci nell'attimo in cui avete aperto gli occhi! Torno subito.
Jon non ebbe neanche il tempo di ringraziarla che l'altro uomo afferrò lo sgabello su cui era stata seduta poco prima quella che doveva essere sua moglie e gli sedette di fronte.
—Anne dice che stavate bisbigliando qualcosa mentre eravate privo di sensi. Siete rimasto incosciente per quasi una settimana — gli spiegò con voce placida.
— Capisco cosa state provando, qualcuno vi ha portato via la donna che amate e volete riprendervela.
Per poco a Jon non andò di traverso la propria saliva. Una settimana. Era rimasto privo di sensi per una settimana, poteva essere già troppo tardi. E poi si concentrò sull'altura cosa che l'uomo aveva detto. Amarla? La donna che amate, aveva appena pronunciato quelle parole.
No, maledizione, non l'ennesima persona che gli parlava d'amore. Non poteva sopportarlo. Nessuno avrebbe potuto innamorarsi di qualcuno che aveva sempre detestato, soprattutto lui, che aveva sempre visto le donne come oggetti e non come qualcuno con cui condividere il resto della vita. E Sarah... Era vero, si erano conosciuti da ragazzini, ma erano rimasti separati così a lungo e si erano ritrovati da pochi giorni, non poteva essere innamorato di lei. Ma la desiderava, certo. Come aveva desiderato altre donne, per puro piacere fisico.
Eppure... C'era quella parte di lui, del Jon che non era più un ragazzino, di quel Jon che non la detestava più, che ardeva dal desiderio e dal bisogno di rivederla, di stringerla, sfiorarla, di accarezzare la sua mano per prometterle che sarebbe andato bene, che da quel momento in avanti sarebbe stata al sicuro. Con lui. Le aveva già fatto quella promessa, ma non era stato in grado di mantenerla. Adesso doveva rimediare, doveva andare da lei ovunque si trovasse.
Ed era questo che Jon non comprendeva; la bramosia di poterla riavere accanto nonostante avessero condiviso così poco eppure tanto in quei pochi giorni insieme.
Ma non la amava. Lui non sapeva cosa significasse amare qualcuno. Di questo era certo.
—No— gli rispose passandosi una mano sulla fronte con un lungo sospiro. —Io... Non si tratta di questo. Non amo quella donna, ma la devo salvare. Le ho fatto una promessa.
E l'ho fatta a mia sorella, aggiunse tra sé, ma quello non glielo disse. Non sapeva nemmeno chi fosse.
Eppure quello era l'uomo che probabilmente gli aveva salvato la vita, perché all'improvviso aveva ricordato il colpo che aveva ricevuto, di quel colpo partito dalla pistola di Robert Ashton. Rievocare il ricordo di quel nome, di quell'episodio, gli provocò un'ondata di nausea che gli fece girare la testa. Lo avrebbe ammazzato con le sue mani, ma prima lo avrebbe costretto a rivelargli la verità sulla morte di sua sorella. Come confessato dal locandiere, Ashton aveva avuto un ruolo nel suo assassinio. E quel sogno, così reale, così tangibile, in cui Claire gli aveva mostrato la scena...
Serrò la mascella. Avrebbe vendicato sua sorella. Avrebbe salvato Sarah. A qualunque costo.
—Capisco— disse l'uomo senza dare l'impressione di credere davvero alle sue parole. In quell'istante la donna, che doveva chiamarsi Anne, tornò con un bicchiere colmo d'acqua. Era fresca quando gli scese in gola, ed ebbe l'effetto di rigenerarlo. —Vi ringrazio, signora.
—Sono Anne— la donna gli sorrise. —E questo è mio marito Dawson.
—Dawson Taylor— si presentò l'uomo. Aveva gli occhi gentili, profondamente amareggiati. —Voglio che sappiate che potete contare su di me per qualunque cosa decidiate di fare. Io ho visto tutto, ho visto come quell'uomo vi ha colpito alle spalle e questo va contro ogni mio principio.
Jon si sentì inondare da una scarica di energia che temeva non sarebbe mai giunta. Il cuore gli si colmò di un'emozione che non credeva sarebbe riuscito a provare: gratitudine.
Quell'uomo gli aveva salvato la vita. La sincerità che stava leggendo in quello sguardo dagli occhi scuri non l'aveva mai trovata in un altro essere vivente.
—Mi chiamo Jon Charters— disse, — e vi devo la vita. Ma non posso coinvolgervi in qualcosa di tanto rischioso. Quell'uomo è una bestia, di quelle che non immaginate nemmeno.
Allora la bocca di Dawson si curvò in una smorfia amara. —Credetemi, Jon Charters, ne ho visti pochi di uomini come quello. Ma ho avuto la sfortuna di conoscerli.
La mano di sua moglie si appoggiò sulla spalla, uno sguardo colmo di tristezza.
Per un momento Jon non seppe cosa dire, quindi si limitò a stringergli una mano. —Siete un brav'uomo, signor Taylor.
Vi sono grato.
—Salveremo quella donna. Insieme.
Dawson tentò un sorriso incoraggiante. —E molto presto vi renderete conto, pur nella vostra giovane età, che provate per lei un sentimento sincero a cui ancora non siete in grado di dare un nome.
***
Nel sotterraneo echeggiava il rumore dei passi che ormai conosceva alla perfezione. Sei giorni. Era là sotto da ormai quasi una settimana, e l'unica cosa a cui riuscisse a pensare era che Jon era morto, che le era morto tra le braccia. Sarah si sentiva vuota. Come se non fosse più in grado di ricordarsi chi era, come si chiamasse e quale fosse il suo ruolo in quella vita. Il che era assurdo, così irreale, perché lo conosceva da così poco, eppure le mancava da morire, perché era morto per causa sua e lei non aveva potuto fare nulla per salvarlo.
E non era più certa che valesse la pena continuare a vivere. Non aveva più nulla da perdere.
Aveva riflettuto a lungo, segregata nella semioscurità, con le lanterne che suo zio le aveva messo a disposizione, con l'odore della terra bagnata come unico compagno, aveva pensato a come fosse stato possibile che Jon si fosse insinuato da qualche parte dentro di lei e che non fosse disposta a lasciarlo andare. A come ricordasse i suoi occhi, ogni centimetro del suo volto, a come la sua mente rievocasse inesorabilmente le sensazioni che aveva provato in sua compagnia e si domandava perché si sentisse tanto sola, tanto vuota senza di lui. E perché, ogni volta chiudesse gli occhi, rivedesse davanti a sé l'immagine di Jon che le crollava addosso trascinandola al suolo e a cosa le aveva sussurrato prima di spirare. Qualcosa che aveva a che fare con la morte di sua sorella, in cui Robert Ashton — il fratello di suo padre — era immischiato.
Ma non aveva avuto modo di riflettere per scoprire a cosa Jon si fosse riferito.
Quella cortina di nebbia che le avvolgeva la mente e il corpo non se n'era ancora andata. Sarah temeva che entro breve sarebbe uscita di senno.
L'ossigeno era poco, ma non se ne curava molto ormai.
Prima la fine fosse giunta, prima si sarebbe liberata di quel macigno sul cuore che gravava su ogni parte di lei.
Quando suo zio raggiunse l'entrata del sotterraneo e la grata di ferro si aprì lentamente, Sarah non ebbe neanche la forza di parlare.
Chissà quanto tempo avesse impiegato per costruire quel cunicolo in ogni suo dettaglio... Un posto che nessuno avrebbe potuto scoprire. Deglutì la propria saliva amara.
—Ti ho portato il pranzo— le disse Robert allungandole un vassoio coperto da un canovaccio. Si sarebbe rifiutata di consumare il pasto, per l'ennesima volta.
L'uomo attese che la nipote dicesse qualcosa, ma Sarah rimase in silenzio, lo sguardo perso contro il fioco lume della lanterna alla sua destra. Rifiutava di guardarlo in faccia.
In sei giorni aveva imparato ad odiarlo. Lo avrebbe fatto fino a quando l'ultima goccia di sangue non fosse defluita dal suo corpo.
—Devi mangiare, Sarah, o morirai di fame.
A quel punto, allora lei gli rivolse lo sguardo. Era spento.
—Dunque morirò di fame.
Robert emise una smorfia cinica. —Stai digiunando a causa di quel libertino da quattro soldi. Tutto questo è davvero surreale. Ti eri realmente innamorata di un bastardo che ha la fama di usare le donne e poi gettarle via subito dopo aver goduto dei loro favori.— Scosse la testa. — Dovresti soltanto ringraziarmi, sciocca ingrata. Vorrei sapere che cosa ti lega ancora a quella feccia.
Sarah strinse le labbra, ma anche quel misero movimento le procurò dolore. Non lo sapeva, avrebbe voluto rispondere, ma suo zio non meritava risposte. Non meritava nemmeno di insultare la memoria di Jon, ma questo né altro Sarah era in grado di dire.
Perciò chiuse gli occhi aspettando che Robert se ne andasse e, quando lo fece, non pianse come aveva fatto i primi due giorni. Sprofondò nella penombra e con un calcio scaraventò lontano il vassoio con il cibo che non avrebbe mai ingoiato.
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