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Capitolo 12

~ Da ascoltare: Town, Flow of Time, People - Clannad (OST) ~

https://youtu.be/fOXW8DDSH9Q

Il pennello riposa abbandonato sulla mensola della libreria, dove l'avevo appoggiato. I fogli strappati, con i colori prima disposti in ordine a formare una figura, ora si mescolano, straziati dal disastro. Sono simili a coriandoli che giacciono tristi sul pavimento.

L'unica cosa che rimane dell'accaduto è quello strumento da disegno in legno robusto, con la scritta dorata "Heric Lail" e le setole morbide che sfiorano delicatamente il ripiano.

Voglio davvero mettere fine a tutto questo? Spezzare il pennello e bruciarlo? Assicurarmi che questa preziosa e dannata eredità non venga più usata per evocare i mondi del mio patrigno, e il suo personalissimo regno del passato e dei fantasmi?

Improvvisamente inizio a chiedermi se tutto ciò che ho vissuto grazie a questo pennello non sia frutto della mia immaginazione o di qualche folle sogno. Il pennello è un oggetto sicuramente molto speciale, con quel taglio raffinato e unico, circondato da un'aura sacrale che io stessa gli ho attribuito; forse dovrei semplicemente liberarmi dall'idea che quell'uomo fosse qualcosa di più di un ammasso di cellule ora in decomposizione, dovrei iniziare a pensare a lui come a una qualsiasi persona che c'era e che non c'è più. In questo modo lo spettro che ho creato smetterebbe di tormentarmi.

Ho cambiato idea. Così, di punto in bianco. Tutto ciò che sta succedendo in queste due giorni è così irreale che non ne verrò più a capo se continuo ad affidarmi agli impulsi, eppure... ora voglio dipingere. Usando il suo pennello, esatto, perché so che non succederebbe niente. È stata solo colpa mia, sono stata troppo debole e ho ceduto. Ma ora non lo farò.

Lo stress del rientro a scuola mi ha condizionato facendo affiorare dei sentimenti e dei sogni che non pensavo di possedere. Il mio compito ora è concentrarmi, dominare la mia mente e mantenere i nervi saldi mentre disegno. Non cambierà nulla, devo essere padrona di me stessa.

Prendo il pennello e stacco un foglio dall'album di disegno, il foglio più limpido e bianco che riesco a trovare, che rispecchi la chiarezza mentale di cui ho bisogno per abbandonare le mie paure. Devo lasciarmi alle spalle questa storia e devo ripulire i luoghi più oscuri della mia anima da ogni ricordo e turbamento interiore che Heric Lail e la sua morte mi abbiano causato. Pulirlo con queste setole morbide, come se fossero le fibre di una scopa di saggina che portano via la polvere dalle strade. Così.

Inizio a disegnare, tenendo gli occhi aperti e la mano ferma, facendo respiri profondi. È tutto così assurdo che mi sembra di essere sospesa tra lo spazio e il tempo, mi sembra di sentire suoni ovattati provenire dalla finestra e dalla strada, come quando ci si immerge sott'acqua. Ma devo essere forte. Non so nemmeno cosa sto disegnando: seguo semplicemente le linee, le curve e i contorni, bilancio luci e ombre, i colori freddi e caldi, quelli complementari, il contrasto, la nitidezza, la sfocatura dei piani.

Quando finisco credo di sapere che cosa sia. Un cielo. Con degli uccelli come pagine di libri aperti. E in basso, un recinto i cui bordi si sfaldano sempre di più fino a fondersi con gli uccelli. Dietro il recinto, un tramonto, un campo. In alto, la libertà.

È un bel disegno, quasi astratto, dai lineamenti diversi rispetto a quelli che sono solita utilizzare nei miei dipinti. Leggermente sofferti.
Simboleggia tante cose. La libertà che vorrei ottenere da tutte queste illusioni che mi stanno imprigionando, e il coraggio che mi serve ad affrontare i miei ricordi.
Certo, so di essere brava a dipingere, e non smetterò a causa di queste visioni, non importa da quale strato del mio subconscio provengano. Sono stanca ora.
Appoggio la tela alla scrivania, dritta. Un granello di polvere si poggia su un dettaglio del dipinto, e sorridendo lo osservo, so che nulla può intaccarmi. Sono lucida, e non mi lascerò rapire dalle fantasie.

Accarezzo la tela con un dito. O almeno è quello che provo a fare, perché la punta del mio dito, solo la punta, scompare.

Osservo incredula il disegno, che pur raffigurando ancora ciò che io ho dipinto ora sembra formato da aria liquida, una specie di fuoco trasparente che non brucia, che però assorbe tutto ciò che tocca. Il mio dito ha attraversato la tela. Invisibilmente, in modo quasi impercettibile.

Indietreggio e quella strana sensazione si affievolisce, finché la punta del mio dito ricompare. Mi tocco le mani sconvolta, non voglio ricominciare a tremare e a preoccuparmi, ad avere paura, ma è ciò che sta accadendo. Non voglio guardare quel quadro o mi porterà via.

Non voglio essere rapita da ciò in cui non credo!
Non voglio.
Non voglio.
Non voglio.

Mi giro, dando le spalle al disegno.
Non voglio guardarlo.
Non voglio pensarci e soprattutto, non voglio crederci.

Lasciami in pace, Heric, tu non puoi essere reale, tu sei morto!

Mi tappo le orecchie, tutto intorno a me è ovattato, chiudo gli occhi e caccio l'urlo più forte, vero e acuto che esista.
Urlo con tutta la mia forza, e forse la mia voce sovrasterà tutto, i sogni e la realtà, e farà capire al mondo che deve smetterla di giocarmi questi scherzi orribili. Non sono capace di sopportare tutto questo.

Nelle storie, nei libri che ho letto, si parla di viaggi tra i mondi, comunicazione con i morti e universi paralleli con una leggerezza incredibile. Come se fosse possibile che un essere umano, piccolo, fragile e indifeso com'è riesca ad accettare l'esistenza del paranormale e dell'assurdo senza battere ciglio. Ma questa è la realtà, e io non la accetto. Non è vera. È una menzogna.

Sento delle lacrime che iniziano a scendere lungo le mie guance e mi accascio a terra.
Io non avevo bisogno di un padre. Non avevo bisogno di nulla. Stavo così bene da sola! Continuo a ripetermelo, mi ripeto che non voglio, non voglio provare tutti questi sentimenti negativi. Posso sembrare un'apatica, ma è spaventoso. Ed è meglio non avvicinarsi a qualcosa di così terribile, anche se può dare delle emozioni forti. Anzi, proprio per quello.

Cado sul tappeto, proprio dove fino a poco tempo fa piangeva mia sorella. Alla fine sono come lei, una bambina sperduta che a causa del ritorno di una persona morta soffre come non ha mai sofferto. Mi sembra di vederli sovrapposti, i nostri piccoli e fragili corpi: due persone sole, i miei capelli neri diventano i suoi biondi, i miei occhi indaco diventano i suoi grandi e tristi. Siamo entrambe sul tappeto, io in lei, lei in me, spaventate.
Le lacrime che cadono sempre più forti sembrano sommergere ogni mio pensiero. C'è solo silenzio ma è come se il rumore delle mie lacrime fosse pioggia, come se fosse oceano. Mi sembra di non percepire più nulla se non l'acqua delle mie lacrime. Ma... no, non sta accadendo di nuovo, non può essere...

Apro gli occhi e una sensazione gelida penetra fino in fondo all'iride. Intorno a me c'è davvero solo, soltanto e unicamente l'acqua. L'acqua di un mare infinito. Mi osservo le mani, che attraverso il filtro dell'acqua sembrano allungarsi e accorciarsi, deformandosi come serpenti, e sento con un brivido che il freddo sta entrando nei miei vestiti, nei miei capelli, in ogni piccolo poro del mio corpo.

Sono sott'acqua, non respiro. E sono stanca di lottare per vivere e per essere calma e serena.
Urlo di nuovo.
Urlo "Papà!".
Non riesco a sentire la mia voce.
Ma lui mi sta sentendo, lo so.

Quando apro la bocca, il flusso delle onde mi entra anche dentro. E mi lascio andare, sempre più stanca, trasportata dai flutti, verso il fondo dell'oceano...

~~~

Non pensavo che avrei aggiornato oggi, ma all'improvviso mi è venuta l'ispirazione e beh, perché non prenderla al volo?
Tra l'altro ultimamente stavo perdendo quasi l'interesse per questa storia, ma grazie a Chiarettadema
e francescaxgreco che hanno partecipato con me allo scambio di lettura di nel_mio_mondo1 ho in un certo senso "riscoperto" il suo potenziale. Grazie ragazze ❣
Cosa ne pensate di questo nuovo capitolo?

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