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Un nuovo dì era iniziato, un giorno trascorso tra traffici e ingorghi dietro file interminabili di automobili per strada. Quella volta aveva preso la moto e si era diretto in ufficio dopo un rapido caffè trangugiato alle sei in punto di mattina quale l'ora dell'alba.

Il freddo di quel mattino era più tagliente della giornata precedente, sapeva benissimo che sarebbe andata così non perdendo neppure una sola puntata del meteo giornaliero ne era puntualmente delle condizioni atmosferiche che interessavano la zona. Portava neve da giorni ma ancora tardava a imbiancare.

Tuttavia, il gelo non concedeva tregua e ciò era evidente dal maglione che accompagnava la camicia di cotone e la cravatta che solitamente erano le sole a essere da lui indossate con sopra un giacchino in raso nero o blu puntando solo rare volte su altri colori. L'aria era piena di brina, la pelle intirizzita dal vento che sferzava seguitando una velocità a dir poco estrema.

La giacca non era proprio cosa perciò preferì tagliare dritto a un soprabito certamente più pesante e adatto al clima che solitamente a Londra tirava nei giorni andavanti sempre più sotto il Natale. Era già tanto aver sopportato la frescura della serata precedente ma non poteva mettere altrimenti, era una serata di gala e per lui non sarebbe stata una bella figura da perenne fissato che era per la raffinatezza più spietata e senza cura che particolarmente lo caratterizzava.

I polpastrelli di Clark ticchettavano sulla scrivania in cloruro di polivinile grigia del suo studio privato, lo sguardo riverso sul monitor del suo Mc Book Air portatile altrettanto cromato e dalla cover di un nero ebanite che più tremendamente scuro non si poteva. Il nervosismo lo assaliva imperturbabile, la riunione con quella ditta era prossima e il suo progetto non era tuttora cominciato.

Sbruffava a più non posso, il tè inglese poco prima ordinato alla macchinetta della sala d'aspetto era ormai divenuto letteralmente imbevibile per quanto si fosse freddato  e non ne aveva mandato giù neppure un sorso. Lo rifiutò e per di più v'infilò l'ennesima sigaretta spenta, era ormai quasi del tutto consumata.

Stranamente il fumo lo rendeva più inquieto, quando mai per Mister Douglas? "Il grande smog londinese del 1952" era stato niente in confronto all'aria insana che tirava e ne rivestiva i suoi polmoni e al giallo che si accavallava tra l'indice e il medio della sua mano destra. 

Lasciò stare, spense il PC e riversò il bicchiere di plastica nel cestino che giaceva accanto al salotto che completava il mobilio della stanza. Prima di dirigersi verso l'uscita del fabbricato diede un ultimo sguardo alla postazione vuota di fronte, anche quel giorno il suo assistente mancava.

Non c'era niente da fare, quel fannullone non concedeva repliche e andava proprio licenziato. Certo, chi altro di meglio poteva mai sostituirlo?

Con Clark era proprio infattibile, da eterno scettico e poco fiducioso che era nessuno ci sarebbe mai riuscito, non ci stava nessuno e poi egli era il tipico tale che facilmente diffidava e difficilmente si fidava. Carattere decisamente stacanovista, beh.

D'altronde, cos'era se lui se non pragmaticamente questo? Sbruffò un'altra volta e sgattaiolò via dal suo angolo di lavoro, afferrò il doppio petto e si avviò verso l'uscita.

Strofinò le mani per via dell'aria che sferzava, se le mise in tasca. Non si poteva stare, per di più aveva dimenticato i guanti di pile a casa.

L'ennesimo sbadato, per fortuna recava con sè una sciarpa e il mento era protetto da quel solito alito di vento che si aggirava per la metropoli lontana dal mare. Certo, il maestrale era del tutto insolito.

Non l'aveva mai attraversata. I mezzi che incontrava suonavano a più non posso il clacson.

Frenetico com'era, attraversava spropositato. La nevrosi non l'aveva tuttora abbandonato.

Non aveva ancora preso vettura, le distanze di Londra non erano certamente le stesse di una modesta città. Solo una volta sbucato all'altezza di Carnaby Street si ricordò della commissione più importante che l'amico e socio gli aveva "scaricato", solito pigrone e caparbio anche questo.

Tuttavia, andava sbrigata. Il passo dell'uomo diveniva sempre più sterrato e sostenuto, s'immischiava tra la gente e scompariva, come un fiume in piena la travolgeva e neppure se ne curava.

Nè tanto meno si scusava quando lo faceva, era come un fiume in piena o addirittura un cane rabbioso e perdutamente irritato. Non aveva tempo, solo questo sbottava inchiodando il centimetro di terra seguente a quello già afferrato prima.

Faceva sempre così, la tachicardia era giunta alle stelle ma anche la banca era arrivata. Inforcò l'entrata inchiodandosi in fila, anche se riluttante era costretto a rispettarne l'ordine.

Varcato il passaggio blindato, era ormai arrivato a destinazione. Estrasse il numero dalla macchinetta, c'era ancora tanto da aspettare.

"Ciao, Douglas! Vieni, ti servo io!" per fortuna che un suo amico era di turno quel giorno e potè fare prima senza aspettare il dovuto che era ogni volta più del voluto, fece un rapido cenno di saluto e lo seguì.
"Salve, che numero ha?" una voce femminile irruppe creandogli un punto d'arresto, tutto successe una volta sbrigata la faccenda con il commercialista appena precedentemente incrociato "Tranquillo, posso tornare un'altra volta!" fece di nuovo questa non ottenendo ancora risposta, l'altro sospirò con lo sguardo perso nel vuoto e il respiro leggermente affannato.

L'imprenditore sollevò lo sguardo e ne incontrò un altro certamente ancora più esperto e altrettanto rilassato. Ebbe un balzo ma poi subito si riprese, in quell'attimo esatto ripensò all'evento ma la sua mente ancor più perversa lo indirizzò sull'ultima scena.

Certamente la figura che gli appariva lì di fronte si fece più scaltra nelle maniere prima ancora che nel parlare.

"L'ho fatta sussultare, Le faccio paura? Guardi che non mangio mica e poi ho già fatto colazione a meno che..." lo canzonava e gli sfiorava il polsino della camicia sinistro che faceva capolino dal maglione di nylon corallo, era lei ed era ammiccante più che mai.
"No, io non mi spavento mai e comunque tutto fatto!" cercava di non dare spiegazioni.

Non ce n'erano, d'altronde.

"Perfetto, che ne dice di fare due passi? Le offro un caffè?" voleva apparire telegrafico.
"No, già preso... grazie e poi non aveva fatto colazione?" eppure già sapeva di aver in parte perso.
"Beh, l'English Breakfast... si ma adesso intendevo il Brunch..." i loro occhi entrambi giravano per la sala, erano all'unisono ma scoordinati "Dai, che aspetta? Andiamo?" con un leggero scossone del capo la donna indicava sempre più scaltramente l'uscita, un leggero sorriso vispo e sornione si fece strada sul suo viso "Stava andando a casa? Beh, ci va dopo... solo cinque minuti..." egli era perdutamente scosso, in pericolo.

Soffiò ancora un po' dell'aria racchiusa dentro ai suoi polmoni e di nuovo prese parola, avrebbe voluto concedersi un'altra sigaretta ma andarla a cercare non era il caso. Non l'avrebbe trovata e poi era passato poco dall'ultima tirata, stranamente a quel punto gli importava.

"Dove vorrebbe andare?" ella faceva spallucce.
"E che ne so, mi dica Lei! É del posto o no? Io purtroppo, spiacente... no, non è mia La Città..." annuiva, lo sguardo chino e a un passo dietro di lei, aveva ripreso diretta.
Ah, io sono quello a decidere? E dove vorrebbe che La porti? Ok! E va bene..." sbottò ridacchiando, ma poi si ricompone quasi subito, parlavano chiaro gli sguardi al posto suo e l'avevano già irrimediabilmente incenerito.
"Non importa, basta che sia lontano da qui... papino... dia gli ordini, Capitano!" fece il saluto militare e risero entrambi risaputo che non era affatto del mestiere per quanto sembrasse approssimato ma a lui piacque anche quello, ogni cosa di lei lavava completamente stregato.

Giustamente.

"Non importa e va bene... non importa, L'ha detto Lei... la stessa di cui non mi ricordo il nome..." si trattava il mento e allo stesso modo la gola.
"Come fa, babbo a non ricordarlo? É grave, eh? Sono Maude, comunque mi chiami Maude e mi dia del "tu", glielo dico... per favore e mi faccia altrettanto la cortesia di fare immediatamente presto che sono assolutamente curiosa di vedere dove mi porta..." replicava ma era chiaro che quella era tutta questione di tattica, egli forse si limitò semplicemente ad annuire furtivamente.

Continuava a farlo, poi senza proferir parola riprese il passo ma solo per poco. A quel punto si fermò, ancora per una volta.

Si voltò e indietreggiò, raggiunse l'altezza del collo. Prima con la mano, la sfiorò e le carezzò la parte per spostarle i capelli dietro l'orecchio.

Poi, con il fiato. I brividi erano già e tuttavia impagabili.

"Così, si sente meglio... sono Clark... Signorina Maude, mi segua..." tornò sui suoi passi, il suo profilo da dio greco impassibile come sempre.

Se non si è andati errati finora, lo si faceva adesso. Eh, no.

Eh, già perchè Douglas era il dio di Londra e non di certo della Grecia. Risedeva a Dover Street e non sul Monte Olimpo come c'era chi voleva far credere, fortunatamente i più erano tra chi stentava nel farlo senza darsela a bere per tutto il tempo.

"Allora, non è di queste parti?" quella scrollò il capo "Ecco, tanto per cominciare... Le faccio vedere il quartiere italiano di Soho.." adesso annuiva scaldandosi dentro, gli carezzò il polso ed egli si trattenne dal gemere "Le faccio vedere, ecco... questa strada storicamente famosa e tristemente...  siamo a Ham Yard, una viuzza antica com'è già stato detto prima e può vederlo dalla strada pietrosa..." si raschiò la voce "E purtroppo è come ancora specificato sempre in precedenza, ahimè... mi dispiace dirlo perchè è proprio dramatica la cosa..." era profondamente irritate è più di prima, non riusciva a giungere a termine con la frase è si gratta continuo "Dunque, è stata una delle zone più ripetutamente bombardate durante la seconda guerra mondiale... completamente rasa al solo, l'altra italiana è Covent Garden e non so se c'è mai stata..." l'altra lo fermò applaudente, lo canzonava.

Ci avrà capito niente o il suo pensiero era decisamente altrove mentre l'uomo discorreva nel suo rendiconto bellico che pareva non concludersi mai? Fatto sta, che non gli si staccavano mai gli occhi di dosso, chissà cosa immaginava ella in quell'immmediato istante tanto che era presa da quel suo apperentemente inesauribile discorrere così fluido e purtroppo vano.

Sbadigliava ripetutamente, non vedeva l'ora di venirne a capo. Intanto attendeva ansimante che l'imprenditore si fermasse e che prendesse ella le redini della missione appena posta in atto.

Dopo tutto non era proprio la donna ad aver voluto questo? Era semplicemente e solo un'escamotage, come una sorta di doppio gioco da ella stessa organizzata.

A entrambi piaceva giocare col fuoco, il mistero era la miccia a tutto. Erano Prometeo e Pandora, uno peggiore dell'altro quei due.

Letteralmente incredibili, fatti per stare insieme. Entrambi erano caduti in vortici senza alcuna via d'uscita ma il male non era solo loro, le vittime erano gli altri prima di tutto e presto i nodi sarebbero venuti al pettine prima o poi.

Egli era vero che era anche capace di incendiare il mondo tanto per il gusto di farlo finendo col bruciare se stesso ma ella era la più meschina tra tutti, era in costei che risiedeva tutto il potere ancestrale. Galeotto il vaso e che sempre sia maledetto.

Maledetta ella e più di qualunque altro, non aveva seguito l'obietto consiglio del padre superiore e l'aveva aperto scatenando l'infernale Ade che v'era racchiuso lì dentro.

Hn soffio semplice ma alquanto complesso, in quell'alito di vento vi era racchiuso il vero senso. Il vero significato della vita nonchè il sinolo freudiano di amore e morte, il segreto risiedeva tutto qui ed era stato svelato.

Tanto si odiavano quei due quanto immediati si cercavano e altrettanto, i due amanti si alimentavano l'uno con l'altro di un reciproco e cinico sadomasochismo che pareva non avesse domani, invece lo aveva anche se quel che vi era stato continuavano a covarlo. Semplicemente lo custodivano cripticamente nella parte più remota della propria persona, come una cassaforte tra le segrete di un castello la cui chiave non esisteva neppure più.

Chissà dove, un posto sicuramente c'era o era semplicemente liquefatto senza forma come lo stesso plasma che si amalgamava fugace con esso. Era in tutto il corpo eppure lo definivano anima, partiva tutto dalla carne per poi affluire depositandosi nel cuore come ossigeno appena ispirato.

Da qui non se ne sarebbe andato né tanto meno si sarebbe disciolto.

"Bravo, beh... andiamo, adesso tocca a me... stiamo maschi sempre con le guerre..." sospirò dentro sè "Torniamo indietro..." suggerì concludendo, un sorridente occhiolino repentino si fece strada lungo il suo viso.

Avevano seguito tutta la strada a ritroso in assoluto silenzio, poche le occhiate fugaci e sibilline ma soprattutto nessuno osò proferir parola. Giunsero a un massiccio e imponente portone dai tratti cromatici piuttosto oscuri e opachi, uno di quelli di un tempo e che adesso non li facevano più.

Era intarsiato e pareva dare in una corte, più o meno lo si dovrebbe immaginare semplicemente così anche se la modestia non ne era apertamente di casa tra quelle mura di crema polverata macchiate di panna e cappuccino.

Era un enorme palazzo prestigioso che si ergeva perfettamente nel cuore di Regency Street, sempre nel quartiere Soho nonché nella parte forse migliore della città. La via su cui questo dimorava si sviluppava ondeggiante per un territorio metropolitano abbastanza vasto.

Era un conseguire di Piccadilly Circus, il rosso di Londra accanto al suo grigio permanevano sempre accesi in mezzo al traffico e lungo il marciapiedi. Appariva tutto un cremisi e cenere specialmente in quell'angolo tanto prestigioso di città.

Il rombo dei taxi seguitava il clacson dei bus a due piani, le cabine telefoniche accendevano i tratti di boulevards più insignificanti e spenti agli occhi della gente che passava avanti sia per mancato ricordo che per voluto oblio. La giovane donna chiuse gli occhi come per noia dinanzi a tanta monotonia, quasi fosse in spasmodica ricerca di altro sovente colore.

Per qualche secondo riuscì ad assaporare quanto più di verdeggiante vi potesse mai giungere dal famoso Hyde Park, in linea d'aria non era assai lontano.

"Ecco, siamo arrivati... questa è casa mia, della mia amica a dire il vero..."  non si fece vedere smarrita e fu proprio ciò che disse tornando alla realtà, sbruffò prima di farlo "Solo adesso mi sono ricordata che non abbiamo rispettato i patti prestabiliti, non abbiamo fatto il Brunch saliamo che le offro una tazza di tè, non la vuole?" riprese cin fare sicchè saccente, era il suo modo di fare ed ecco perchè era il solito atteggiamento che le riusciva meglio.

Clark scrollò il capo e guardò il Rolex, solo all'incirca adesso si ricordava dell'esistenza di crono per poi dimenticarlo di nuovo ancora e ben presto, si direbbe più del pensato. L'uomo non proferì parola, era proprio vero e ormai deciso che uno dei migliori scacchisti del regno quanto prima si sarebbe arreso dando così forfait.

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