TREMOTINO
Ci voltiamo tutti in direzione di Lalo quando, nel bel mezzo del ponte, solleva lo stivale lanciando un'imprecazione che farebbe arrossire uno scaricatore di porto. La punta è sporca di sangue, ma non è tanto quello il problema. Piuttosto, la mano mozzata che giace riversa al suolo in mezzo al tappeto di foglie e fango, e che pare voler afferrare qualcosa di impalpabile.
«Erano nuove» piagnucola.
Dante schiocca la lingua contro il palato, facendo guizzare un sopracciglio nero e spiovente verso l'alto. «Certe volte sai essere così inopportuno che ancora riesci a stupirmi.»
«Oh, scusa tanto, Biancaneve, se non voglio crepare in modo sciatto e il mio ultimo desiderio è solo quello di essere ritrovato in uno stato presentabile.»
«Sempre che ci sia qualche stronzo disposto a scendere quaggiù per recuperare il tuo culo.»
«Il mio splendido culo, prego.»
«Voi quattro non riuscite a rimanere focalizzati sull'obiettivo nemmeno in un momento simile.»
Lalo se ne rimane lì, con il piede destro staccato dal terreno e le braccia spalancate per bilanciare l'equilibrio. Ci fissa, e noi fissiamo lui di rimando.
«Quaggiù.»
Quattro paia di occhi calano sulla macchiolina di pelo scuro accucciata al centro del ponte. Gli occhi d'oro di Billy Idol scintillano nell'atmosfera rosso borgogna della città rovesciata. Con un salto all'indietro di almeno un metro, Lalo improvvisa svariati segni della croce, sputa per terra e inizia a girare su se stesso.
Billy Idol piega la testa. «Cosa stai facendo?»
«Il gatto è posseduto!» strepita Lalo. «Vade retro, Satana!»
Non dovrei ridere, ma è quello che succede.
Il disturbato dai capelli rosa sbraita: «Ah, lo trovi divertente?».
«Affatto.»
Gli concediamo i suoi cinque minuti di iperventilazione. Poi, quando decide di tornare sulla Terra — o, almeno, ciò che ne rimane — si accovaccia al centro del ponte, faccia a faccia con la creatura, che ha assunto l'espressività di un professore piuttosto perplesso. «Non abbiamo tempo per questo, temo. Ci sono cose che dovete sapere.»
Lalo alza la mano. «Sì, ecco, io avrei una domanda. Tu parli. Capisci che non sia esattamente una cosa normale, vero? Da quanto sai farlo?»
«Da sempre. Semplicemente, finché eravamo fuori non mi era permesso. Un felino dotato di parola va contro tutte le leggi del vostro mondo.» Se avesse portasse un paio di occhiali pince-nez sul muso, non avrei difficoltà a immaginarlo mentre se li aggiusta con la zampa.
«Sarà piuttosto evidente, a questo punto, che ho capacità di parola solo in tale tempo e spazio.»
«Chiaro come il sole» bercia Lalo, inacidito.
«Sapete, non sono sempre stato un gatto.» Billy salta in cima al muretto, sotto i nostri sguardi attenti: per tutto il tempo ho avuto il sentore che stesse cercando di aiutarci, ma ora che una strana energia gli consente di dar voce ai suoi pensieri ho bisogno di conoscere la risposta alla domanda che mi frulla in testa da quando tutto questo è iniziato: perché lo fa? «Sono stato un uomo, come voi, ma è stato molto tempo fa. Ormai dovreste sapere chi sia Adamo Della Vigna.»
Ho l'impressione che il terreno sotto i nostri piedi stia crepitando.
Muovo un passo verso di lui. «Ora capisco perché sa tutte quelle cose. Ci ha aiutati fin dall'inizio.»
«Ecco perché mi sei sempre piaciuta. Te la cavi bene con i rompicapi, ragazzina.» Il signor Della Vigna emette un miagolio di apprezzamento.
Esegue una specie di inchino, sollevando il sedere. «L'unico e il solo.»
«Quando tutto questo sarà finito avrò bisogno di farmi prescrivere una terapia a base di superalcolici» bofonchia Lalo, bianco in volto. «Ti chiederei di unirti, Biancaneve, ma quando si tratta di bere diventi peggio di una vergine vestale.»
Un dito medio più tardi, Dante si rivolge al gatto: «Credevo viveste solo vent'anni o giù di lì. A meno che la matematica non sia diventata davvero un'opinione, dal 1953 ne sono passati più di quaranta».
«Ottima osservazione.» Il signor Della Vigna scrolla le orecchie. «E avresti anche ragione, se io fossi effettivamente un gatto.»
«A me sembri proprio un gatto. Concordiamo tutti sul fatto che qui ci sia un gatto e non un tostapane, giusto?» chiede Lalo, che ormai ha abbracciato del tutto la crisi di nervi.
Ho la vaga impressione che il nostro compagno dagli artigli affilati si stia trattenendo dal roteare i suoi occhi felini. Sospira. «Partiamo dall'inizio. Ho effettivamente risolto l'indovinello, come voi stessi avevate dedotto. Ciò ha fatto sì che la mia anima, essenza o come prediligete chiamarla, sia rimasta intatta. Un po' meno il mio corpo, o almeno Qui. Ho ritrovato il mio vestito di carne solo nel posto in cui sono andato o, come ho scelto di ribattezzarlo, il Luogo della Salvezza. Temo, però, di non potervi aiutare più di così.»
«Perché?»
«Esistono una serie di valide ragioni, Elettra, ma la prima fra tutte implica la natura stessa di quello che chiamate Tremotino: deve essere il destinatario dell'indovinello a sciogliere l'inghippo.»
Lalo tace, toccandosi la tempia e assumendo l'aria di qualcuno che stia per dire qualcosa di molto intelligente. «Inizio a credere di essere stupido.»
«Pensate a me come un famiglio. Una guida che vi prende per mano e vi accompagna fino alle sponde del lago. Siete voi, però, che dovrete imparare a nuotare.»
Mi gira la testa, tanto che devo appoggiarmi al muretto. Si solleva un vento caldo, miasmatico. Cerco di fare ordine nella mia mente, radunando tutti i quesiti irrisolti che ho tenuto da parte nell'ultimo periodo. «Zaccaria ha detto di aver avuto un gatto. Un randagio, per la precisione.»
«Ho provato a vegliare sulla mia famiglia, per quanto ho potuto.»
Il signor Della Vigna si gira a scrutare l'orizzonte, dove si addensano i lampi tra i turbini cremisi che divorano la sommità dell'albero.
«Capisco.» Più o meno. «Quindi perché tutto questo? Dove siamo?»
«Avete mai sentito parlare degli spazi liminali?» Il gatto solleva una delle zampe anteriori, come a volerci indicare l'intera città. «Dal latino limen, confine, lo spazio liminale è un luogo di transizione. Un posto dove si ha sempre la sensazione di essere in bilico, in attesa di qualcosa. Punti del tempo e dello spazio situati fra il momento precedente e quello successivo.»
Alle nostre espressioni, Della Vigna emette un miagolio divertito.
«Sono l'ultima cosa di cui aver paura, credetemi. Fanno parte della nostra vita di tutti i giorni. Scale di un palazzo, ascensori, luoghi che al mattino sono affollati e alla sera no. Tutti casi in cui si ha la sensazione di essere fuori posto, in attesa.»
«Un attimo.» Dante si tocca la radice del naso, socchiudendo le palpebre. «Questo vuol dire che non siamo arrivati. Dobbiamo ancora farlo.»
«Ma soprattutto» fa Lalo, che ormai ha gli occhi fuori dalle orbite e un chiaro bisogno di andare in vacanza, «che cazzo ci fa un pozzo-portale in una cittadina di provincia italiana?».
Il gatto zampetta lungo il muro che delimita il ponte, un muto incentivo a rimettersi si rimette in cammino. «Si tratta di un'anomalia. È qui da prima della fondazione della città. Forse anche da prima del proliferare della razza umana per il mondo, chi può saperlo.»
«Quindi la domanda giusta dovrebbe essere "Che cazzo ci fa una cittadina di provincia italiana su un pozzo-portale?".»
«Precisamente» dice il signor Della Vigna. «Ma dovreste anche chiedervi com'è possibile che nessuno l'abbia mai notato. Cosa che, vi sembrerà incredibile, si riallaccia al perché gli abitanti di Valco di Nebbia siano così strani.»
«Perché sono un branco di bifolchi casa e chiesa?» azzarda Lalo.
Sfilo di fronte a un basso edificio dalle vetrine sfondate. Le schegge polverose sono disseminate fra le macerie e l'interno del locale è talmente buio che, un metro dopo, non si distingue quasi nulla. Mi fermo: «Aspetta. Si riferisce al fatto che la polizia sembra scomparsa? Di come le persone tendono a dimenticare o a... ricordare le cose sbagliate.» Mi volto in direzione di Dante. «Il giornale. E i pettegolezzi sulla Gang delle Spine. Questo significa che...»
«Lui manipola la memoria collettiva. Solo che, il più delle volte, non riesce a essere preciso come vorrebbe.» Il gatto si siede sulla soglia. «È abbastanza logico, se ci pensate. Aveva bisogno di un modo per coprire le sue nefandezze. E chi meglio di un ragazzo sfuggito alla sua presa e che era certo non sarebbe più tornato in città avrebbe potuto fungere da capro espiatorio?» Il signor Della Vigna volge gli occhi d'oro in quelli di Dante, in attesa che la spiegazione arrivi a solleticargli il cervello.
Quando succede, assesta un calcio a un pezzo di vetro che schizza lontano. «Che figlio di puttana.»
Gli tocco il braccio. Un gesto che pare assorbire parte della sua rabbia. Mi rivolge un cenno: va tutto bene.
«Dunque» incalza il gatto, «ho parlato anche troppo. Cosa intendete fare, ora?».
È una folata di polvere e vapori a rispondere. Mi guardo attorno, in quel mondo dove il dritto e il rovescio sono invertiti e le regole si manipolano secondo nuovo ordine. Per la prima volta, la sensazione che potremmo davvero sbagliare mi prende alla gola. Accarezzo il dorso consunto della Bibbia.
Non ho altra scelta.
«Se non può dirci altro, signor Della Vigna, andremo avanti con il nostro piano.»
Qualcosa ci osserva dalle ombre che si ritirano nella casa. È un appartamento al piano terra, con un piccolo giardino recintato da una cancellata in ghisa. La porta è aperta.
«Abbiamo trovato la strada e la verità. Ora, dobbiamo trovare Tremotino. Il nemico.»
I miei occhi stanchi frugano in quel buio formicolante.
«Non ricordo» mormoro. «Chi ci vive, qui?»
Sul bordo dell'orizzonte galleggia lo scheletro dell'ex mattatoio, che si accende e spegne a intermittenza di verde, rosa e bianco, mentre il mormorio asfissiato della canzone dei Dead or alive si diffonde tra le fattorie.
Il morbo invisibile che ha infettato Valco non ha mangiato il citofono scassato che penzola al lato dell'ingresso all'edificio. Ci sono due nomi, uno annerito dalle intemperie, l'altro corroso ma ben visibile: Minerva.
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