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POST-IT

Il mio corpo è elettrico come il mio nome.

Non so esattamente il motivo per cui io abbia preso tanto a cuore questa faccenda, ma la curiosità è un nastro legato attorno al polso che mi trascina verso il bordo del baratro.

La curiosità uccise il gatto, disse qualcuno. Un proverbio che al momento risuona in una nota dissonante di drammatica ironia.

A dispetto alle aspettative, sono sempre stata una persona a cui piace logorarsi nel dubbio. Non puoi avere una piena conoscenza della realtà se non provi a guardarla da angolazioni diverse, no?

Se non dubitassi né mi contraddicessi costantemente, sarei una pecora bloccata nel recinto dell'ideologia.

Per questo mi piace pensare che se non fossi nata in questo posto avrei avuto una vita del tutto diversa, con opportunità diverse e un prossimo futuro diverso. Di sicuro, non trascorrerei la mia serata libera in un vecchio cimitero in compagnia di tre criminali.

Ma con i "se" non si va da nessuna parte, immagino.

Salgo i due gradini che sopraelevano l'ingresso sigillato del mausoleo. Tocco la porta. È ruvida e polverosa al tatto. Esercito pressione, ma tutto ciò che ne ricavo è uno scricchiolio deludente.

«Si può sapere che ti prende, ragazzina?»

Mi volto e vedo i tre dell'Ave Maria venirmi incontro, Virgilio in testa come un angelo dell'Apocalisse. Percorre il viale con falcate prepotenti, come prepotente è la sua sola presenza a questo mondo.

«Tanto per essere chiari: non mi chiamo "mocciosa", "ragazzina", "dolcezza" o che dir si voglia. Il mio nome è Elettra.»

Spina si porta le dita all'altezza della faccia e le agita con un verso di scherno.

«Comunque, avete visto?» Indico il nome scolpito sopra l'ingresso. Parte della sua voglia di prendermi in giro si dissolve.

Lalo mi affianca. È poco più alto di me, una figura saltata fuori da un manga di nicchia, di quelli così cruenti da risultare buffi.

«Tu guarda dove ti ha portato il vecchio Billy. Interessante.»

«Adamo Della Vigna» ripete Tancredi. «Mi sono sempre chiesto dove fosse sepolto.»

Lo guardo. «Nessuno di voi lo sapeva?»

«Credo lo ricordino in pochi. Forse giusto quel branco di rottami della chiesa.»  Spina preme la mano contro la porta. «I Della Vigna si sono sempre tenuti fuori dalle dinamiche del paese. Hanno cercato la libertà anche nella morte. Una sepoltura lontana dal controllo del fantasma di Tresoldi.»

«Ne sai parecchio.»

«La mia famiglia, come quella dei Della Vigna, è di Valco fin dalle prime generazioni. Hanno iniziato lavorando tutti alla fabbrica.»

Studio Spina in tralice. Il suo cognome non mi ricorda nulla, ma è così sicuro di quello che dice da risultarmi difficile credere che stia mentendo.

Poi, un sorriso da grifalco si schiude sul suo volto. «State pensando quello che penso io?»

Mi auguro di no, visto che il mio quoziente intellettivo dovrebbe quantomeno superare quello di un tubero.

«Ci hai portati fino qui per un motivo: vuoi entrare.»

«Non disturbarti, sto benissimo dove sono.»

Una nuova sferzata gelida mi colpisce le spalle, ma ho come la sensazione di averla percepita soltanto io.

«Sta' indietro, Elettra

Spina ride, mettendo alcuni passi fra lui e l'ingresso del mausoleo. Fa ancora più freddo. Vorrei urlargli di smetterla, di lasciar perdere e riportarmi a casa. Preferirei quasi trascorrere del tempo con Diego, in questo momento, ché sarà pure uno psicotico violento ma quantomeno non mi trascina per cimiteri di notte.

Forse le voci delle parrocchiane non mentono. Forse è vero che la Gang delle Spine sacrifica piccioni in nome del Signore Oscuro.

A meno che, stanotte, il piccione non sia io.

Il leader dei Gang delle Spine scatta in avanti e schianta la spalla contro la porta, abbastanza forte da spezzare la serratura – e anche qualcosa dentro di me.

«Prego» fa, spolverandosi la manica, «prima le signore».

Sento la foga montarmi in petto, assieme all'impellente desiderio di lanciargli addosso la pigna che noto ai miei piedi. «Perché l'hai fatto? Ti avevo detto che non era una buona idea. Sei così... così...»

«Così?» mi istiga, con quel sorriso da sberle.

«Non trovo neanche le giuste parole per definire quanto tu sia idiota.»

L'insulto mi scappa di bocca, attirando l'attenzione di Lalo e Tancredi. Se potessi, lo acchiapperei al volo per rimangiarmelo.

Tre contro una.

Non so se la convivenza con Diego mi abbia abituata ad aspettarmi il peggio dalle persone, ma è proprio il peggio quello che merito. Invece, Virgilio Spina si concede una breve pausa. E mi fa il verso. Come il più imbecille dei ragazzini.

«Deve esserci una cripta, lì sotto.»

L'inflessione atona di Tancredi scioglie quel gomitolo di tensione che mi annoda le viscere, e mi lancio verso l'ingresso del mausoleo. Oltre la soglia, non c'è niente di quello che mi aspettavo (un altare e qualche offerta ammuffita, magari). Oltre la soglia, si spalanca una voragine di maleodorante oscurità.

Una rampa di scale precipita nel buio, fin nel ventre della terra.   

Non posso credere che sto per dirlo. «Chi ha qualcosa per fare luce?»

Li immagino guardarsi alle mie spalle.

«Vuoi davvero scendere?» domanda Lalo.

«Cosa? Adesso ve la fate nelle mutande?»

«Certo che no.» Spina estrae un razzo dall'interno della giacca con una mossa da prestigiatore, un accendino e una torcia. Dà fuoco a quell'affare e lo butta di sotto. Rotola per un bel po', mostrandoci una scalinata parecchio ripida e che si ferma molto in profondità. Le pareti sono spoglie e uno stormo di pipistrelli stride volando fuori dalla prigione.

«Promette bene» commenta Lalo.   

«Una meraviglia.» Strappo la torcia dalla mano di Spina e calco la suola sul primo gradino. Sono stanca di indossare i panni della principessa in difficoltà, quindi è meglio che si facciano da parte. Poggio la mano contro la parete umida e slitto con cautela nell'oblio. Gli unici rumori presenti sono quelli dei nostri passi e dei respiri che si disperdono nell'eco.

Arriviamo in fondo quando il razzo si spegne, così Spina ne accende un altro. Lo getta al centro di quella che si rivela essere una stanza circolare, sormontata da una bassa volta a crociera.

«Meglio fare in fretta, non ne ho altri.»

Al centro della camera si trova il sarcofago che conserva le spoglie di Adamo Della Vigna. A dispetto del monopolio di Tresoldi, la sua famiglia deve essere riuscita a farsi per potersi permettere un monumento del genere.

Aggiro il blocco di pietra e punto la torcia lungo le pareti imbrattate da ghirigori apparentemente privi di senso. Croci rovesciate colano vernice rossa lungo le pareti. Sembrano disegnate da ragazzini incapaci.

Lalo impreca, pestando una massa umidiccia e scricchiolante circondata da candele consumate. Il suo disgusto mi solleva. Quantomeno, significa che non avrebbe lo stomaco di fare lo stesso.

O sì?

«Guardate qui.» Tancredi ci fa segno di spostare l'attenzione sul fianco del parallelepipedo di granito. La luce inquadra un'iscrizione. Più che un epitaffio, assomiglia a un mucchio di inutili direttive: "Trovare la strada. Trovare il nemico. Trovare la verità.".

Sui tre dell'Ave Maria cala il silenzio.

È Spina a interromperlo: «È lui».

Lalo tira un calcetto al razzo per accomodare meglio la luce. «Non possiamo saperlo. Forse qualche tizio strano usa questo posto per i suoi riti strani. Sarà una formula per evocare qualche demone. Ci sono un sacco di persone con un disperato bisogno di compagnia.»

«Sai anche tu che non è così.»

Mentre il matto dai capelli rosa gesticola in preda alla nevrosi, mi rigiro nella testa quelle parole apparentemente prive di significato. Sono vaghe, criptiche e non spiegano proprio un bel niente. «Quindi avete già sentito questa formula.»

«È stato tanto tempo fa» taglia corto Spina.

«Sembra importante. Forse dovremmo...»

Mi riserva un'occhiata di taglio. «Dovremmo? E da quanto siamo diventati i Power Rangers?»

Apro e richiudo la bocca. Mi sento incredibilmente stupida per averlo anche solo pensato, figurarsi ora che ho la consapevolezza di averlo esternato ad alta voce. Contraggo le labbra in una smorfia, corrugando le sopracciglia. Sulla mia faccia deve leggersi tutta l'inadeguatezza che sto provando. Sto per sputargli addosso tutta la mia disapprovazione quando qualcuno ride.

E stavolta non è il matto dai capelli rosa.

La luce del razzo si esaurisce e il buio piomba sulla cripta. Sollevo la torcia in direzione delle scale. Sento il sangue scorrermi in corpo come acqua fredda.

«Cosa è stato?» Riconosco la voce di Lalo nell'oscurità, seguita dal miagolio di Billy Idol che, saettando nel buio, sgattaiola in cima ai gradini.
«Stai cercando di spaventarci?»

«Che cosa?» Passi che mi prendano per matta, ma darmi addirittura la colpa è inammissibile. «Vi spiego tutto più tardi. Adesso muovetevi!»
Scatto anch'io verso le scale e balzo di gradino in gradino con il cuore che mi crivella lo sterno. Un sottile spiffero d'aria filtra dall'ingresso, e le mie dita si protendono in quella direzione. La risata si fa forte e s'incrina come una sottile lastra di ghiaccio su cui grava troppo peso. La sento rimbombare nella mia testa, sfregare contro il timpano. Lancio un gemito sofferente e mi premo le braccia contro le orecchie, lottando contro l'impulso di crollare in ginocchio.

Nella debole luce ritagliata dal quadrante dell'ingresso si materializza una sagoma. Un'ombra nera, ferma, di cui si distinguono soltanto i contorni, tanto che è impossibile comprendere se si trovi di schiena o rivolta verso di noi. Deve essere il bambino, ma arriva a malapena al metro d'altezza. Il busto è secco, gli arti altrettanto, le braccia sono nettamente più lunghe e sproporzionate. Ha pochi peli arruffati in testa.
Ansimo, ma non manca molto. Billy Idol gli soffia incontro e l'esserino corre via.

«Aspetta!» grido, ormai al nulla.

Incespico oltre la soglia, finalmente fuori di lì. Inciampo, le rotule che impattano a terra e l'adrenalina che annulla qualunque mio altro pensiero. L'unica cosa che riesco a fare è inghiottire ossigeno e guardarmi attorno, in cerca di un qualcosa che si muova tra i monumenti funebri.

«L'avete visto?» Il mio tono non è mai suonato così urgente e nevrotico assieme. «Ditemi che l'avete visto anche voi. Cristo. Quello non era umano

Ma appena mi volto, il mio cuore inciampa una seconda volta, impigliandosi nella consapevolezza di quanto appena successo. E delle persone con cui ho appena affrontato questa disavventura. Sono ombre lugubri quelle che percorrono i lineamenti di Virgilio Spina, le labbra dischiuse a riprendere fiato. Le scariche elettriche di un'imminente tempesta che romba al di sopra nelle nostre teste sfolgorano per pochi istanti nelle sue iridi di metallo.

Guarda me. Poi, oltre le mie spalle, le lapidi e la recinzione che avvolge il cimitero.

Ce lo sentiamo nel sangue e nelle ossa: stanotte, qualcosa è cambiato.

Tutti conosciamo la leggenda che offusca le strade nella nostra amabile cittadina. Tutti, bene o male, ci crediamo, anche se ci fingiamo scettici. Perché, se bisogna essere sinceri, la morte di Adamo Della Vigna è sempre stata un mistero che è rimasto ibernato negli anni.

Virgilio Spina strappa la pistola dal cinturone, mette mano al caricatore e lo fa scattare nel modo più violento possibile: «Andiamo a prendere quel piccolo pezzo di merda».

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