COLPISCILO QUANDO È A TERRA
Metto su le cuffie dall'imbottitura rossa e il supporto sottile mi tira indietro i capelli. Pigio il tasto play sul walkman e il cd prende a girare ad alta velocità: Kick him when he's down degli Offspring mi ringhia nelle orecchie, crepitando contro i padiglioni.
Tampono il terreno della piazzola con le suole delle Adidas trasandate, pervasa da un innaturale senso di libertà. La musica mi guida in quella traversata tutt'altro che composta, spingendomi a scrollarmi di dosso il giogo dell'oppressione che mi ha schiacciata, violentata e soffocata negli ultimi due anni. Ballo agitando le braccia e la testa mentre, lentamente, una nube miasmatica di tossine traspira attraverso i pori della mia pelle e si disperde nell'aria. Mi sto purificando.
Qualcuno si affaccia alla finestra. Le parrocchiane appostate sulla scalinata della chiesa sussurrano qualcosa tra loro, sono così sconveniente, così folle. Eseguo una piroetta e, tra la polvere che ho sollevato da terra, alzo verso di loro il dito medio.
Quando le rivolte falliscono solo soltanto rivolte. Quando riescono, diventano rivoluzione.
Attraverso la piazza in corsa e salto tra le tracce delle auto che si annodano attorno al pozzo come fili di lana. Le percorro a braccia spalancate. L'acqua sgorgata dalle fogne non si è ancora asciugata e si allarga in pozzanghere che, riflettendo il cielo straordinariamente azzurro, pare facciano a brandelli la terra e ne mostrino il mondo sottostante, un luogo dove tutto è al contrario.
«Elettra!»
Alzo lo sguardo tenendomi in bilico su un piede solo, simile al funambolo che sta per compiere il salto senza alcuna rete. Il senso di leggerezza si infrange non appena incontro gli occhi turbolenti di Spina, che se ne sta lì, affacciato al balcone. Pare un condor giudicante. Ho imparato a conoscerlo a sufficienza da capire che è incazzato a morte.
«Cosa» dico.
«Sali. Adesso.»
Mi dà le spalle e rientra in casa senza neanche darmi il tempo di replicare. Getto fuori un sospiro e faccio in modo di placare quella furente euforia che, a quanto sembra, deve apparirgli di gran lunga fuori luogo.
Mi infilo nel portone nel momento in cui uno dei condomini se lo lascia alle spalle per portare il suo pitbull a farla nelle aiuole. Salgo i gradini a due a due fino al secondo piano, dove trovo la porta di ingresso socchiusa. Varco la soglia con la vivida consapevolezza che mi aspetterà un interrogatorio degno dei migliori polizieschi di serie B.
«Dove sei stata? Ho provato a chiamarti.»
Appunto.
Scarico il borsone a terra, lo faccio scivolare verso il divano con un calcio e butto la giacca sul divano. Lancio uno sguardo a Virgilio con aria particolarmente annoiata: «Sai, Spina Nel Fianco, questa cosa che appena non mi senti per cinque minuti ti trasformi nella mia babysitter comincia a essere stancante».
«Ah, ma davvero? Mi dispiace di aver urtato la tua sensibilità, ma in caso non te ne fossi accorta ci eravamo dati appuntamento qui dopo essere scappati da un tipo che voleva tramutarci in un branco di scolapasta. Quindi te lo chiederò un'ultima volta: dove cazzo sei stata?»
È piuttosto logico che Virgilio Spina voglia rovinarmi la festa. La gioia della rivoluzione si esaurisce nella mia folle e squallida realtà fatta di violenza, folletti e pirati zingari in moto. Sposto lo sguardo su un Lalo che accarezza distrattamente Billy Idol, acciambellato sul bracciolo del divano in pelle, e un Tancredi che, sistemato sulla poltroncina a fianco, sfila gli occhiali e chiude la Bibbia di Zaccaria Della Vigna sulle gambe.
Già, Tancredi. Lui non sa di Jessica, non ancora.
«Sono... andata a casa.»
«A casa» scandisce Virgilio. «E, di grazia, questa brillante idea ti è venuta in mente perché...?»
«Perché lì c'era la mia roba. C'erano la mia roba, i miei soldi e la mia maledetta vita, Spina, ed ero stanca di lasciare che Diego facesse i suoi porci comodi continuando a sfruttarmi. L'ho fatto per me. Va bene?»
«Oh-oh» cantilena Lalo, mettendo su l'espressione di chi non vede l'ora di assistere alla puntata che aspetta da settimane.
Virgilio sibila qualcosa, che si scioglie in un esasperato cenno del capo. «Ho capito, vedo che con te è totalmente inutile. Fa' un po' come ti pare.»
«Sei serio? La chiudi così?» Lalo si imbroncia, senza sforzarsi troppo di mascherare la delusione.
Virgilio è stranamente calmo e ha smesso di cercare un punto d'incontro tra i nostri occhi. «Forse è il caso che ci sbatta la testa una volta per tutte. L'esperienza è la migliore insegnante. E sono anche stanco di provare a farle capire che non tutti gli uomini vogliano fregarla. Magari, Elettra, mi comporto come "la tua babysitter" perché spero che tu non finisca accoltellata in un vicolo. Sta' tranquilla, comunque. Non lo farò più.»
Stringo la mandibola, percorsa da una snervante scarica d'irritazione. Era proprio ciò che volevo ottenere, no? E allora perché il fatto che non mi guardi neanche mi fa sentire vuota?
Dio, Elettra, fa' pace con quel poco di cervello che ti rimane.
«Passando a cose più importanti» sbuffa Spina, «Tank, trovato niente di interessante?».
Tancredi estrae da sotto la Bibbia il taccuino su cui stava prendendo appunti. Ne strappa un foglio e lo fa circolare tra noi: quando arriva a me, ho modo di leggere quella serie di cifre, in apparenza prive di significato, che ha annotato in fretta.
«Quei numeri» spiega, «sono alcuni dei punti a fianco a cui Adamo Della Vigna ha segnato: "strada", "nemico" e "verità". Sono...».
«... la sua soluzione» dico.
Tancredi assente. «Quello che ho capito, o meglio, che ho notato, è che le parole sono disposte in ordine apparentemente casuale.»
«Apparentemente. Questo significa che non è così.»
«Giusto, Elettra. Ognuna di queste è scritta accanto a un versetto. Mi ci è voluto un po' per capirlo, ma ho notato che i versetti sono accomunati da tre diverse parole. Per esempio» Tancredi sfoglia la Bibbia fin quando non incontra la pagina che lo interessa, «ogni volta che compare "nemico", la frase accanto alla quale è appuntata riporta"bambino". Per "strada" abbiamo "pozzo". Per "verità" abbiamo "Sodoma e Gomorra"».
Dopo alcuni istanti, Lalo sbotta: «Non ho capito».
Ed è in questo momento che Billy Idol sfugge alle sue dita, salta giù dal bracciolo e sgattaiola in cucina. Un violento tonfo, seguito dal rumore di un qualche bicchiere che si infrange contro il pavimento, fa scattare in piedi il matto dai capelli rosa. Virgilio e io gli andiamo dietro. In cucina, il vetro sparpagliato contro le piastrelle scricchiola sotto i nostri piedi, e il succo di mela ha macchiato le pagine del libro che giace spalancato a terra. Lo riconosco: è quello che Tancredi ha preso in prestito dalla Biblioteca Comunale.
Il gatto si infila di volata tra le ante della porta finestra e salta sul corrimano del balcone. C'è un forte vento, fuori, e romba tra i vicoli che si gettano sulla piazza. Billy Idol guarda giù, il pelo dritto, gli occhi immensi che sfavillano come fanali nella notte.
Sta fissando il pozzo.
«Che ti prende?» Lalo mi scansa malamente per raggiungerlo, ma il gatto non sembra neanche vederlo. Anzi, torna sui suoi passi. E fa qualcosa di sconvolgente.
«Ma... che diavolo...?»
Il silenzio che piove sulla cucina è sintomo di un'incredulità che ha contagiato tutti. Billy Idol si accuccia davanti al libro e con la zampa anteriore, la destra, lo sfoglia.
Lo sfoglia. Leccandosi il palmo di tanto in tanto per una maggiore aderenza contro la carta, come un vecchietto che legge la Settimana
Enigmistica. Si ferma solo quando raggiunge ciò che stava cercando: la foto della fiera statuaria.
Il gatto alza il capo e miagola. La sua coda punta la credenza.
«Lalo.»
«Sì, Elettra?»
«Credo che Billy Idol stia cercando di dirti se puoi prendere qualcosa da lì.»
«Sì, giusto.» Il matto dai capelli rosa attraversa con flemma meccanica la cucina ed estrae dal mobile un pacco aperto di cereali. La scatola è rossa e presenta l'immagine ridente di un orsetto gommoso che attacca una ciotola colma di minuscole ciambelle multicolore. Lalo la appoggia a terra, davanti al gatto, che le tira una leggera testata per rovesciarla. I cereali si sparpagliano sul pavimento, ed è a quel punto che Billy Idol inizia a metterli in ordine.
«Porca puttana» soffia Lalo.
Una ciambellina dopo l'altra, dal libro fino al balcone, il felino traccia una pista di fiocchi gialli, rossi e blu che si infiltra tra le ante della porta finestra e si ferma solo al culmine del balcone.
Miagola ancora.
«D'accordo, bello, qualunque cosa tu stia cercando di comunicare sappi che non è affatto chiaro.» Lalo maschera il terrore con il sarcasmo: di certo è una valida alternativa alla pazzia. Billy Idol alza gli occhi al cielo. «L'avete visto anche voi, vero?»
Il gatto schizza attraverso la cucina e, intrufolandosi tra le gambe di Virgilio — che non manca di scagliare una bestemmia al soffitto — raggiunge il salotto. Lì, gettato sul divano, c'è il pennarello scarico.
Lo stappo e glielo passo, ma il gatto non è ancora soddisfatto.
«La lavagna» suggerisce Tancredi.
Quando la appoggio sul pavimento, Billy Idol avvolge la coda attorno al pennarello e inizia a scarabocchiare qualcosa. Lo accerchiamo, cercando di decifrare quell'ammasso di linee informi. Linee che hanno un' aria familiare.
È la Valco di Nebbia specchiata.
«Ho visto quel disegno al circolo di pietre» dico.
Il gatto mi guarda, lasciando cadere il pennarello. Immagino che da qui in poi dovremo cavarcela da soli.
Seguo il percorso dei cereali. La mia fortuna con gli indovinelli sta venendo meno, ma è con il febbrile bisogno di avere una risposta che i miei occhi corrono da un elemento all'altro del puzzle, nei minuti successivi.
«Non è ovvio?» mormora Virgilio, sfiorando la pagina del libro con la punta della scarpa.
Sospiro. «"Ovvio" non è esattamente il termine con cui definire tutto questo.»
«Il nemico è quell'affare, il folletto. La strada, probabilmente il nostro punto di partenza, è il pozzo. E la verità è scritta su quella lavagna.»
«Sodoma e Gomorra» Tancredi riflette ad alta voce. «Dio le distrusse a causa della vita dissoluta dei loro abitanti.»
«Non che 'sto cesso di posto sia tanto meglio, poi.»
Stacco lentamente lo sguardo dallo scarabocchio della città ribaltata e li sposto fino a Lalo, che, seduto sul divano, batte con frenesia il piede sinistro: «Cosa hai detto?».
«Che questa città fa schifo. Non è una novità, no?»
«No, no, esattamente quelle parole. Ripetile.»
Lalo sbatte le palpebre. «Non che... questo cesso di posto sia tanto meglio, poi?»
«Meglio di Sodoma e Gomorra» sussurro, poggiandomi alla parete. In questo momento, ho bisogno di un sostegno stabile, qualcosa che mi impedisca di rovinare a terra. «Non capite?» Li guardo, passando da un volto all'altro, in cerca della stessa consapevolezza che si sta facendo strada dentro di me. Un lugubre mormorio che sfugge dall'angolo più recondito della mia mente. «È questa, la "verità". Valco di Nebbia...»
«... verrà distrutta.»
Virgilio ha la Bibbia stretta tra le mani: stanno tremando.
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