1° CAPITOLO
Che schifo il mondo. Un ammasso di persone vuote che certe volte assomigliano quasi a degli zombie o a dei robot. La maggior parte di loro si comportano allo stesso modo per seguire la massa, si vestono in modo uguale per essere alla moda ed infine criticano ed isolano ormai quelle poche persone con ancora un minimo di cervello che si cercano di differenziare. Ecco, questi personaggi non li capisco proprio e non mi soffermo neanche a capirli. Certe volte vogliono così tanto assomigliare alle altre persone che perdono loro stesse di significato. E purtroppo è quello che faccio anch'io. Perché lo faccio? In verità non lo so neanch'io... forse per non farmi vedere in modo diverso dagli altri e non essere considerata la "Strana" o la "Diversa" della situazione. O forse per evadere dalla realtà. Per crearmi un mondo fatto di menzogne che gli altri credono vero. Ma qualsiasi scusa non è valida per giustificarmi, però sono certa che questa non sono la vera io e non lo sarò mai.
<< Tesoro, sei pronta? Come mi sta il vestito?>>, mi chiede Dakota, facendomi ritornare alla realtà, ovvero nel bagno di casa sua a truccarmi per andare alla festa di fine scuola. Addosso ha un vestito rosa tutto tulle che le sarà costato per lo meno cinquemila dollari. Sembra una meringa.
<< Benissimo! Sì, ho quasi finito>>, dico, rivolgendole un sorriso finto. << Sbrigati che se no facciamo tardi!>>, mi dice, ritornando in camera sua. Dakota è la mia "Migliore amica" miliardaria che in poche parole frequento solo per far vedere agli altri che esco solo con persone di "Alto" rango, ovvero ricche con una villa megagalattica e con i vestiti tutti firmati. Per il resto è la persona più noiosa che io conosca. Parla sempre di ragazzi, shopping, cellulari e... ragazzi l'ho già detto? Per non parlare che continua ogni singolo secondo a vantarsi di cosa le hanno regalato i suoi genitori, delle sue ultime conquiste e del suo aspetto impeccabile per ogni occasione. Pensa solo a se stessa e di come può apparire agli occhi degli altri. Patetica, dice una vocina nella mia testa. Forse è anche per questo motivo che non si è ancora accorta che abito in un condominio in una delle zone più povere e pericolose di Jacksonville, ovvero tra Broad Street e Beaver Street, e che ogni mattina invece di andare a scuola con una Porsche, vengo a piedi, visto che non mi posso permettere di comprare neanche una bicicletta o fare l'abbonamento per l'autobus. Suonano al campanello.
<< Hannah?! Muoviti! Jack e Brian sono arrivati!>>, grida Dakota dal soggiorno. Alzo gli occhi al cielo e mi guardo per un'ultima volta allo specchio. O meglio, guardo un'altra ragazza, perché sono convinta al cento per cento che questa non sono la vera io. Infatti, questa ragazza è truccata con un ombretto glitterato blu e bianco, un chilo di mascara, un bel po' di bronzer che le scolpisce gli zigomi, uno strato abbondante di illuminante, un po' di blush ed un rossetto rosso. Abbasso lo sguardo sul vestito blu indaco pieno di lustrini e tulle con lo scollo a cuore, che le arriva appena sopra il ginocchio, comprato a soli dieci dollari dai cinesi. Faccio una smorfia quando rivolgo uno sguardo ai capelli che dovrebbero essere neri come la pece ed invece sono color castano chiaro, e le ricadono in morbidi boccoli fino a metà schiena. Esco dal bagno dopo aver messo il cellulare nella pochette nera. << Ciao! Vi siamo mancati?>>, chiede Jack quando entra in salotto. No, per niente, gli vorrei rispondere ma mi trattengo ed alzo di nuovo gli occhi al cielo. << Oh, che c'è che non va principessa? Lo sai che oggi sei più bella del solito?>>, mi chiede Jack, avvicinandosi a me e stringendomi forte tra le sue braccia. Il suo odore fastidioso di essenza alla vaniglia e fumo mi entra nelle narici e mi fa tossire. Se non ti allontani tra zero secondi ti spacco la faccia e poi vedi cosa non andrà. Poi mi dà un bacio sulla guancia e si allontana quasi impaurito dopo che gli lancio un'occhiataccia furente. << Oh, qualcuno ci sta provando con qualcun altro che non sembra gradire...>>, dice Brian a bassa voce. Ecco, un altro idiota! Lui e Jack potrebbero andare a braccetto. Jack gli rivolge un'occhiataccia e Brian ammutolisce. << Bene, andiamo?>>, chiede Dakota interrompendo il silenzio carico di imbarazzo che si è creato all'improvviso. Poi, senza aspettare una risposta dagli altri, mi prende a braccetto e mi dà un pizzicotto sul braccio. Io la guardo male e lei mi dice a bassa voce, facendomi l'occhiolino: << Su dai, non fare la musona! Sorridi! Oggi è la nostra serata>>. Io accenno un sorriso e lei si sistema un ciuffo di capelli biondi dietro l'orecchio. Tutti e quattro usciamo dalla villa di Dakota e ci dirigiamo verso la macchina di Jack.
<< Prego, Mademoiselle>>, mi dice Jack, rivolgendomi un sorriso ed aprendo la portiera davanti. Io bofonchio un grazie e mi siedo. << Che bellooo!!! Sarà la festa migliore di sempre>>, dice Dakota mentre entra in macchina e si siede nei sedili posteriori. << Siii!>>, dice Brian, sedendosi vicino a Dakota e chiudendo la portiera. Spero solo che la serata finisca presto, dico tra me e me, mentre Jack parte a tutto gas.
<< Arrivati!>>, esclama Jack, scendendo dalla macchina. Prima che lui mi apra la portiera, scendo velocemente dalla macchina, sbattendo la portiera alle mie spalle. << Te la stavo venendo ad aprire io...>>, dice con sguardo triste, indicando la portiera. << Lo so fare anche da sola, grazie>>, dico, dirigendomi verso la palestra della scuola, da dove proviene la musica, a mio parere discutibile. << Ehi, Hannah, aspettami!>>, mi dice da dietro Dakota. Alzo gli occhi al cielo per la milionesima volta e l'aspetto. Lei mi raggiunge saltellando, dicendo a bassa voce e facendo un sorrisino:
<< Hai visto come stanno bene quei due con lo smoking?>>. << Bene da far quasi schifo!>>, dico in un sussurro e subito dopo annuisco, visto che è improbabile che Dakota mi abbia sentito.
Dopo essere entrati tutti e quattro nella palestra la musica mi avvolge fastidiosamente e prego che alla fine della serata non mi venga l'emicrania. Tutti ci accolgono con sorrisi e qualcuno perfino ci applaude. Ci saranno almeno più di un centinaio di persone. Troppe per i miei gusti. Non conosco nessuno. O almeno, riconosco solo di vista qualcuno perché l'ho visto nelle foto dell'annuario, qualcun altro perché frequenta i miei stessi corsi ed altri ancora perché me li hanno presentati Jack e Dakota. Guardo tutti con senso di superiorità e scanso con noncuranza le persone che mi chiedono di fare una foto. Che persone patetiche. Anche tu sei patetica, tesoro. Sì, lo so.
<< Volete qualcosa?>>, ci chiedono Jack e Brian. << Una birra>>, dice Dakota, al che io la guardo male. È una delle poche persone che conosco che non riesce a reggere nemmeno un bicchiere di spumante, figuriamoci una lattina di birra! << Tu invece?>>, mi chiede Jack, rivolgendomi un sorriso speranzoso. Faccio segno di no con la testa ed il suo sguardo si incupisce un po'. << Torniamo subito!>>, dice Brian e scompaiono tra la folla.
<< Perché prima mi hai guardata male?>>, mi chiede Dakota con sguardo innocente. << Lo sai bene perché!>>, le dico in tono accusatorio. Ma perché nonostante tutto la cerco sempre di proteggere, mi chiedo a me stessa, non sapendo trovare una risposta. << Hannah, è una festa! Alle feste bisogna divertirsi... d-i-v-e-r-t-i-r-s-i!>>, dice, scandendo ogni singola lettera. Qualcuno le tappi la bocca! Oggi sia Dakota che questa stupida vocina sono più fastidiose del solito.
<< Divertirsi dal canto mio non significa bere per poi star male. Di certo non verrò ad aiutarti quando sverrai o vomiterai davanti a tutti... io ti ho avvisato, poi decidi tu>>, le dico, avviandomi verso gli spalti per sedermi. << E adesso dove vai?>>, mi chiede alzando leggermente la voce. << A sedermi>>, dico, senza aspettare una sua risposta.
Vado nell'ultima fila, mi siedo e tiro un sospiro di sollievo. Odio essere circondata da troppe persone che per lo più mi continuano a fissare come se fossi una pietra preziosa che si può frantumare da un momento all'altro, o peggio, pronti che io commetta uno sbaglio per far cadere tutta questa messinscena che ho creato. Prendo fuori dalla pochette il cellulare ed in quel preciso momento mi arriva un messaggio da parte di mio padre che mi dice di divertirmi alla festa e di stare attenta. Gli scrivo di non preoccuparsi e che ritornerò prima del previsto. Mi chiedo ancora come mai mi trovo a questa festa. Io odio le feste. Ah sì, giusto! La promessa che mi sono fatta dalla prima superiore è di apparire sempre perfetta, circondarmi di amici ricchi, mentire sul mio stato sociale, sui miei genitori e sul loro lavoro ed alla fine partecipare a tutte le feste. Stupida, stupida, stupida. In questo momento mi sto odiando più del solito. Adesso potrei tranquillamente trovarmi a casa mia, seduta sul divano insieme a mio padre a leggere qualche magnifica opera di Shakespeare. Per fortuna che da domani non dovrò vedere più per ben tre mesi tutto questo ammasso inutile di persone, visto che incominciano le vacanze d'estate. << Che ci fai qui tutta sola soletta?>>, mi chiede una voce maschile. Alzo lo sguardo. È Jack, ti pareva! Ma perché nessuno può farsi i fatti propri e lasciarmi in pace?! Quanto vorrei tirargli uno schiaffo.
<< Non ti riguarda>>, sbotto al che gli scappa una risatina.
<< Mamma mia, che caratteraccio!>>, esclama, sedendosi al mio fianco.
<< Cosa vuoi?>>, gli chiedo, mentre guardo la massa uniforme che balla a ritmo di musica, sempre se si può definire così. Non risponde. Che fastidioso. Giro per guardarlo e mi accorgo che mi sta fissando. << Cosa c'è?>>, chiedo innervosita. << Niente... sei bellissima>>, dice avvicinandosi ed incominciandomi a baciare il collo. << Che cavolo fai? Vattene!>>, dico scansandolo e sentendomi improvvisamente a disagio. << Perché? Credevo che io ti piacessi...>>, dice facendo un sorrisino. Di colpo mi prende il braccio e mi avvicina violentemente a lui, baciandomi. Mi alzo di scatto e gli tiro uno schiaffo sulla guancia. Ah, finalmente!
<< Ma che ti prende? Sei impazzita???>>, mi urla, massaggiandosi la guancia. In risposta, gli mostro il dito medio e scendo velocemente le scendo le scale degli spalti per poi dirigermi verso luscita della palestra. Poco distante noto Dakota con una birra in mano e Brian che si stanno baciando. Esco di corsa dalla palestra prima che mi possano vedere e corro a più non posso senza una meta precisa. Corro e piango per sfogarmi. Per liberarmi dalla ragazza di poco prima e dalla falsità che mi sta affogando ogni anno, ogni mese, ogni giorno ed ogni secondo sempre di più.
Dopo non so quanto tempo che sto correndo, mi fermo con il fiatone che quasi mi impedisce di respirare. Mi squilla il cellulare. Lo prendo dalla pochette e sulla schermata mi appare il nome Dakota. Invece di rispondere, spengo il cellulare e me lo ficco di nuovo nella pochette. Con il dorso delle mani mi asciugo le lacrime e mi guardo intorno. Riconosco subito l'imponente edificio di fronte a me. Sono davanti al centro di salute mentale dove è ricoverata mia madre da ormai sette anni. Ogni pomeriggio la vengo a trovare e passo anche ore a raccontarle della mia giornata. Ma non la mia vera giornata. Quella che farei se non mi fingessi di essere questa ragazza viziata e spocchiosa. Gli racconto, o meglio cerco di immaginare, come sarebbe la giornata della vera me. E lei mi ascolta, o almeno, penso che mi ascolti, perché guarda sempre un punto fisso senza dire una sola parola, anche se è capitata una volta in cui per un istante mi ha guardato e si è messa a piangere ed a gridare terrorizzata. Secondo tutti gli psichiatri che l'hanno visitata fino ad ora, ha una schizofrenia catatonica, ovvero l'impossibilità per la persona di muoversi o semplicemente di parlare, facendola apparire priva di emozioni, anche se io sono fermamente convinta che mia madre non soffra di questa malattia. Ogni giorno diventa sempre più magra ed il suo viso ai miei occhi è diventato quasi irriconoscibile. Mio padre dice che guarirà un giorno, ma io non ne sono più tanto certa. Tutta un tratto mi appaiono offuscati i ricordi di lei quando io ero piccola e sono certa di due cose: uno che era una brava mamma e due, che prima dei miei undici anni lei non era così. Ma neanche di questo non ne sono più certa. Non sono certa di niente ormai, ormai neanche di chi io sia.
Rivolgo lo sguardo all'entrata del centro, dove c'è una fontanella. Quindi mi avvicino ad essa e, dopo aver preso un po' d'acqua, mi strofino con le mani il viso per levarmi il trucco. Dopo essermi asciugata con un fazzoletto, guardo l'ora sul cellulare. Sono le 21... spero che mi facciano almeno salutare mia madre. Prendo un bel respiro ed entro nell'edificio. L'ambiente in cui è presente la segreteria e la sala d'accoglienza con un divanetto è praticamente vuoto, a parte la segretaria e due inservienti che stanno pulendo il pavimento. << Ciao Hannah!>>, dice la segretaria sorpresa, rivolgendomi un sorriso.
<< Che ci fai qui a quest'ora? E perlopiù con un vestito così elegante!>>, mi chiede gentilmente. << Sono venuta a fare visita a mia madre>>, dico. << Oh... mi dispiace tesoro, ma l'orario di visita è chiuso. Puoi ritornare domani!>>, dice, scusandosi. Ad un certo punto da fuori si sentono delle sirene provenienti da una macchina o più macchine della polizia. Chissà cosa è successo, mi chiedo, rivolgendo lo sguardo alla porta. << Ah okay, grazie. Allora vengo domani mattina!>>, dico alla segretaria salutandola e dirigendomi verso l'uscita. In quel preciso momento un poliziotto sulla sessantina apre la porta d'entrata e dice rivolto alla segretaria: << È arrivato. Chiami gli altri!>>. La segretaria, dopo aver guardato spaventata il poliziotto, prende il telefono e fa velocemente il numero per chiamare "Gli altri". Poi il poliziotto si rivolge a me e dice: << Attenta signorina, stia lontana... sta per arrivare un mostr...>>. Un grido che sembra un ringhio feroce di un animale, proveniente appena fuori l'entrata, mi fa gelare le vene. Mi metto accanto al divanetto, insieme ai due inservienti, anche loro con uno sguardo a dir poco terrorizzato come la segretaria. Entrano altri tre poliziotti che tentano di tenere fermo un ragazzo dai capelli neri che avrà all'incirca la mia età, se non qualche anno più grande, vestito con un camice arancione da detenuto ed un altro poliziotto, il più giovane, che si tiene in grembo una mano dalla quale perde un po' di sangue. << Questo psicopatico mi ha morso, accidenti!>>, urla il poliziotto che non avrà neanche trent'anni. Ha fatto bene! Dice la solita vocina, al che alzo gli occhi al cielo. << I medici e gli altri stanno arrivando>>, ci informa la segretaria con tono preoccupato. << Non mi potete rinchiudere qui dentro! Non sono pazzo! Non ne avete il diritto>>, protesta il ragazzo, muovendosi compulsamene. << E invece sì! È inutile che continui a dimenarti... ti farai solo del male con le manette ai polsi!>>, lo avvisa un poliziotto. Ad un certo punto scendono le scale il medico John e lo psichiatra Fitzt, ovvero il dottore che ha in cura mia madre, due infermieri di cui non conosco il nome e due agenti della sicurezza.
<< Potreste per favore medicare Grell? È stato morso dal ragazzo...>>, dice il poliziotto anziano, mostrando la mano del poliziotto più giovane. << Certo... te ne occupi tu?>>, chiede Fitzt ad uno degli infermieri. L'infermiere annuisce ed accompagna il poliziotto in infermeria. << Ahhh cosa mi fate???>>, urla il ragazzo, guardando la siringa in mano al medico. << Ti somministriamo un tranquillante... non vogliamo che tu faccia del male a te stesso ed agli altri>>, dice Fitzt e poi prosegue dicendo ai due agenti di sicurezza: << Per favore, tenetelo fermo>>. Il ragazzo urla, cercando inutilmente di dimenarsi. Poi gira lo sguardo verso di me e mi fissa con un misto di terrore e odio. Non capisco se abbia paura di me o di cosa, visto che mi guarda come se non mi stesse realmente guardando. Come se avesse appena visto un fantasma. Mi fissa con quei suoi occhi color grigio scuro, quasi neri. All'improvviso mi sento in pericolo. Mi sento mancare il respiro. Rimango paralizzata sotto il suo sguardo che ricorda le tenebre e loscurità. << A-Aiutami>>, dice il ragazzo guardandomi negli occhi e poi si addormenta.
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