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03. ...E SE NE VA CON IL SOLE.

Taehyung dovette reprimere il tumultuoso tremito che quella notte lo scosse silenziosamente. Un tarlo grattava con insistenza nelle pareti del suo cranio, e il ragazzo dimenticò come si respirava.

Il cuore che rimbombava nella sua cassa toracica e le punte delle dita che presero a formicolare, alcuni dei segnali che suggerivano a Taehyung che ci fosse una grossa possibilità di passare una notte in bianco. L'arte è talvolta impossibile da contenere - quel tarlo può risvegliarsi ovunque ed in qualsiasi momento.

Si sollevò a sedere, osservando le tremolanti luci della sua città sfortunata brillare disperatamente, mentre in lontananza qualcuno suonava il sassofono con una malinconia tale da intrappolare il fiato nella sua gola. Gli occhi scuri come un cielo senza stelle vibravano di curiosità, mentre lasciava che quell'odiosa e palpitante melodia s'insinuasse sotto la sua pelle.

Agghiacciante. Mostruoso. Il jazz per Taehyung era sempre stato un universo che necessitava di restare inesplorato, eppure nelle melodie più strazianti del genere aveva sempre trovato un senso di appartenenza.

Taehyung stava bene laddove il dolore aveva lasciato il suo marchio.

Così si alzò dal letto, i piedi nudi trascinati lentamente sul parquet e la pelle d'oca a ricoprire interamente il suo corpo. Aprì lentamente la cigolante finestra della sua camera, permettendo alla musica di invadere senza preavviso lo spazio compreso tra quelle pareti ricoperte di poster e articoli di giornale.

Schiuse le labbra quando si accorse che il disperato musicista era senza alcun dubbio molto più vicino a lui di quanto pensasse. Così le note emesse dal sassofono lo avvolsero completamente, come quando ci si immerge nella gelida acqua del mare. Quella musica era acqua gelata e dolore denso come catrame. Taehyung ci stava affogando, si stava intossicando e stava lentamente abbandonandosi al suo destino come aveva fatto la gabbianella di Sepúlveda.

Le lunghe ciglia accarezzarono dolcemente i suoi zigomi mentre chiudeva lentamente i suoi occhi, ed i colori della città disegnavano forme sul suo viso e sul suo collo e sulle sue clavicole scoperti.

La città creava la sua arte sul giovane corpo di Taehyung, lo modellava e lo carezzava con le luci colorate e la musica straziante, mentre la sua mente ripercorreva ancora una volta gli avvenimenti di quel pomeriggio. Le sue paure avevano trovato rifugio negli occhi di uno sconosciuto, due occhi tanto profondi da averlo catturato sul fondo di essi.

Min Yoongi gli era diventato amico senza nemmeno conoscerlo e Taehyung si chiese se valesse la pena trascinarlo con sé nella rovina più totale che era la sua breve esistenza.

Mi dispiace, Yoongi, ma raccogliendo le mie parole ti sei macchiato della mia rovina. Sono come una gomma da masticare, prima o poi avvertirai l'istinto di volermi cacciare.

Taehyung si sentiva una gomma da masticare e un bicchiere di cristallo e la tela di un artista. Si sentiva la testa esplodere per i troppi sentieri ed il sangue pompare nelle vene fino a fare fiorire le margherite sul suo debole cuore. Voleva raccogliere il polline di quei canidi fiori e seminare un po' di bene nel suo animo, ma non ne era capace. Non ancora.

Non ancora poiché era troppo occupato a cercare di cambiare sé stesso per rendersi conto che le risposte erano proprio sotto il suo naso. Taehyung conosceva sé stesso ma fingeva di non vedersi allo specchio.

Forse era un corrotto, poiché non vedeva la bellezza nella conoscenza del proprio animo. Conoscere sé stessi è un'arte. E la ricerca della conoscenza di sé stessi e allo stesso modo arte.

Parafrasando le parole di Oscar Wilde, Taehyung era arrivato alla conclusione che l'uomo esiste perché possa, durante la sua vita, scoprire, sviluppare e perfezionare sé stesso.

Ma come si fa a scoprire sé stessi? A sviluppare la propria anima, a perfezionarla? Si deve cedere alle tentazioni, o la perfezione sta nella purezza? La conoscenza di sé stessi sta nel porsi dei limiti o nell'audacia di sfidare la sorte?

Taehyung chiuse la finestra con un tonfo sordo, dopo che un freddo sudore aveva cominciato a scivolare lento sulla sua pelle come a volerla ricoprire di rugiada.

Non farti risucchiare da questa città.

Taehyung non voleva imprimersi della disperazione di New Orleans, desiderava tenere per sé i caldi colori del cielo della Corea e delle spighe di grano illuminato dal primo sole della giornata. Desiderava sentire la calda pioggia estiva del suo eterno posto felice sulla pelle. Non voleva mai più sentire il freddo di New Orleans penetrargli le ossa.

Mise la testa sotto il cuscino, sperando che quell'agonia avesse breve durata. Eppure la musica vibrò nella sua cassa toracica per tutta la notte.

*

Fissò per un lungo secondo la punta delle sue nuove Converse rosse. Erano troppo nuove, per i suoi gusti. Non sapevano di nulla, con la loro punta perfettamente lucida e la loro stoffa immacolata. Sua madre aveva insistito tanto per compare quel nuovo paio di scarpe perché io vecchio paio aveva uno spaventoso buco nella suola.

Taehyung aveva così comprato il suo tredicesimo paio di Converse rosse.

Avete letto bene: il tredicesimo. Sebbene fosse in possesso di altri tipi di scarpe preferiva indossare sempre quelle che più di tutto lo facevano sentire a casa. Non sapeva nemmeno quale fosse il motivo.

Aspettava che piovesse per metterle, così poteva sporcarle e consumarle. Eppure quella mattina il calore dei raggi del sole filtrava persino sul cappotto di Taehyung, facendolo quasi sudare. Aveva il fiatone per la corsa e per il caldo che gli appiccicava la felpa nera e ora si trovava paralizzato davanti al grande cancello della scuola.

I suoi occhi avevano riconosciuto la cuffietta di Yoongi da una distanza di trenta metri ed i suoi piedi cominciarono ad applicarsi all'asfalto come se la suola delle sue scarpe si stesse sciogliendo.

Ma è solo paura. Ho paura di trascinarti nel mio dolore.

Provò a muoversi di lì, ma il suo corpo non reagiva. Prese dei profondi respiri, chiudendo gli occhi. Accanto a lui il mondo continuava a girare, ma per la sua piccola anima il tempo si era fermato.

Poi scattò, le gambe si mossero svelte mentre tentava di evitare Yoongi con tutte le sue forze. Fortunatamente il ragazzo in questione stava sistemando i libri all'interno del suo zaino e non si accorse della figura di Taehyung che lo sorpassava.

Si infilò nel labirinto di corridoi, con il cuore il gola e il respiro fermo nei polmoni. Questo prima che delle ombre scure come la morte cominciassero a seguirlo.

Taehyung udì le loro risate perfide e agghiaccianti avvicinarsi alla sua figura e sorrise amaramente, con le lacrime agli occhi, poiché quell'oggi aveva protetto Yoongi dalla distruzione che si portava dentro.

*

Posizionò una mano all'altezza del suo stomaco, sopprimendo un gemito di dolore. Il respiro gli si mozzo in gola nell'udire dei passi dietro di lui. Non si voltò, tremolante come una foglia.

«Taehyung!» La voce di Yoongi era morbida come il burro, persino nel suo tono allarmato.

«Taehyung!» urlò ancora, questa volta affiancandolo.

«Allora sei venuto a scuola. Ti ho aspettato davanti al cancello. Probabilmente non mi hai visto» continuò, cercando lo sguardo di Taehyung.

Quest'ultimo non disse nulla, pinzò il suo labbro inferiore tra i denti, sentendosi piccolo piccolo.

«Taehyung» La pallida mano di Yoongi strinse il tessuto del cappotto del più piccolo ed egli fu costretto a fermarsi. «Ho fatto qualcosa di male? Sono stato forse troppo appiccicoso?» chiese ancora.

«Non sei tu il problema» Taehyung sorrise amaramente.

Lo sguardo di Yoongi si congelò in un breve istante. Gli bastò fissare il taglio sul labbro di Taehyung perché qualcosa di spaventoso si riaccendesse nel pozzo scuro che erano le sue iridi.

«Perché hai fatto finta di non vedermi, stamattina? Se lasci che ti stia vicino loro resteranno alla larga» disse il più grande.

«Se non si parla di una cosa è come se non fosse mai accaduta. Si dà realtà alle cose solo quando se ne parla» rispose Taehyung. «Wilde ha ragione. Nessuno parla di ciò che succede a scuola. Se tutti ne parlassero farebbe più male, sarebbe troppo reale».

«Che cazzo stai dicendo? Taehyung, ascoltami, ti prego. Non puoi lasciarti annientare. Questa cosa è fin troppo reale. Devi parlarne con i tuoi genitori» Il tono fermo e pacato, gli occhi colmi d'emozione.

«Chi cazzo sei, Min Yoongi? Chi credi di essere? Non voglio che gli altri affoghino nel mio dolore! Non posso essere così egoista da macchiare gli altri con il mio fardello. Tanto nessuno farà nulla. Tutti sanno, ma la cosa non è concreta perché nessuno ha il coraggio di parlarne» urlò Taehyung, fino alle lacrime.

E non voleva realmente essere così patetico, ma i singhiozzi cominciarono a scuotere il suo corpo con una violenza tale da sfinirlo e Yoongi avvolse le sue spalle con il suo braccio sottile, bagnando i suoi vestiti della rugiada salata di Taehyung.

«Ascoltami: te ne prego» tentò ancora Yoongi. «Hanno paura di me. Non posso prometterti che questo inferno finirà ma se c'è qualcosa che posso fare lasciamela fare. Hanno paura di me e se permetti a te stesso di essere egoista io sono disposto a rubare parte del tuo dolore» Sorrise, cercando lo sguardo di Taehyung.

Quest'ultimo tirò su col naso. «Yoongi...» sussurrò.

«Non accetto un no come risposta» ribadì l'altro.

«Va bene» rispose allora Taehyung.

«Va bene? Ora asciugati le lacrime e vedi di inventarti una scusa per quel labbro sanguinante» Sorrise lievemente.

*

Le giornate in compagnia di Yoongi sapevano di buono. Taehyung lo capì quando il giorno seguente lo raggiunse davanti al cancello della scuola, sotto lo sguardo del resto degli studenti. Era spaventato, ma era al tempo stesso immensamente felice di poter contare su di un amico per la prima volta in vita sua.

Yoongi era enigmatico, questo doveva riconoscerlo, e aveva un umorismo corrosivo e terribilmente piacevole.

Ed era etereo, con la sua pelle candida e delicata - le labbra simili a due spicchi di fragola, le nocche e i gomiti rosati, era ciò che ogni artista avrebbe desiderato ritrarre.

La cosa che più lo scosse, però, era che sembrava aver mantenuto la silenziosa promessa che gli aveva fatto qualche tempo prima, all'uscita da scuola. Erano giorni che non veniva più picchiato. Preferiva non domandarsi cosa fosse successo, perché stare accanto a Yoongi lo faceva sentire libero dalle preoccupazioni.

Dei piccoli fiori avevano preso a sbocciare sulla sua anima, silenziosi e fragili, e Taehyung non vedeva l'ora di vederli crescere uno ad uno.

Yoongi leggeva tanto. Leggeva romanzi e fumetti, leggeva i giornali e persino le confezioni dei cereali. Era sapiente perché amava apprendere, nonostante odiasse studiare e andasse male a scuola. Era ribelle ed una stella solitaria.

«Il Ritratto di Dorian Gray» si sentì dire un giorno Taehyung.

Sollevò lo sguardo dal suo libro di geometria, osservando l'amico più grande con curiosità. «Cosa?» chiese.

«Quando ti ho seguito dopo scuola, la seconda volta che abbiamo parlato, hai citato Il Ritratto di Dorian Gray. Perché?» chiese.

Taehyung poggiò la matita. «Sono affezionato a quel libro» rispose, facendo spallucce.

«Sei così saggio, Taehyung, citi i grandi capolavori della letteratura nei discorsi di tutti i giorni» Yoongi scosse la testa, con un piccolo sorriso dipinto sul volto.

«Delle volte mi sembri Lord Henry» si lasciò sfuggire Taehyung.

«Dovrei prenderlo come un complimento? Non è forse lui che ha condotto Dorian verso la rovina?» chiese Yoongi.

«Non credo. Nonostante Dorian fosse molto giovane non penso sia bastata quella semplice chiaccherata a casa di Basil a cambiarlo così tanto. La rovina era già dentro di lui» ribadì Taehyung.

Yoongi mise i gomiti sul tavolo, spingendosi verso Taehyung. «Ne sei sicuro? Io credo che anche solo una chiacchierata possa bastare a marchiare per sempre qualcuno, a cambiarlo completamente. E, no, non sono proprio Lord Henry» disse.

«E allora chi sei?» gli chiese il più giovane.

«Sono Basil» rispose. Un sorriso indecifrabile, l'espressione spaventosamente serena.

La conversazione si concluse lì. Taehyung aveva così tante domande da porre a Yoongi... eppure si cucì le labbra con un silenzio colmo di confusione.

Le settimane passavano velocemente al fianco di Yoongi. Egli era un uragano di continue novità per Taehyung, gli aveva fatto scoprire luoghi della città che prima non aveva mai avuto modo di esplorare. Quando la primavera aveva cominciato a spruzzare di colore la natura circostanze Taehyung aveva seguito il suo migliore - unico - amico per un sentiero tortuoso fino all'ombra di una quercia dalle proporzioni colossali.

Avevano poggiato la testa al tronco dell'albero e avevano ascoltato i suoni della natura almeno fino a quando la melodiosa voce di Yoongi non aveva interrotto il loro silenzio.

«Com'è la Corea?» chiese.

Taehyung si girò a guardarlo. «La Corea è... irreale. È un posto in cui non esistono il tempo né i brutti pensieri. Nella fattoria di mio nonno c'è l'oro del sole e delle spighe di grano, il verde dell'erba e i colori dei fiori. E poi ci sono i profumi. Oh, Yoongi, mentalmente io sono lì» spiegò.

«E a me non ci pensi?» Rise Yoongi.

Taehyung sorrise, osservando il cielo. «Mi mancherai quando ci tornerò. Possiamo mandarci delle e-mail, perché con il fuso orario non se ne parla nemmeno di stare al telefono. Ti racconterò della Corea. Te ne racconterò in modo così dettagliato che sarai in grado di sentirne gli odori e i sapori» disse.

E fu così, Taehyung e Yoongi si presero cura della loro amicizia sotto la quercia e tra le parole delle e-mail che si spedivano a vicenda. Taehyung si assicurava di non tralasciare nemmeno un dettaglio, così stava sveglio fino a tardi per perfezionare le sue e-mail.

Yoongi rispondeva sempre, curioso. Solo una volta non lo fece. Taehyung attese la sua e-mail per più di una settimana e quando la risposta arrivò sapeva che qualcosa di strano era successo. Yoongi gli aveva assicurato che non ci fosse nulla di anomalo, eppure Taehyung sentiva quella strana sensazione insinuarsi sin sotto la sua pelle.

Cercava di scrollarsela di dosso mentre affiancava il nonno tra i campi o tentava di riposare nel pomeriggio, eppure era impossibile.

Il ritorno a New Orleans fu perciò un continuo tastare il terreno, cercava di non pressare Yoongi eppure aveva bisogno di sapere cosa l'avesse spinto a quella chiusura nei suoi confronti.

«Yoongi... ho bisogno di sapere» chiedeva spesso.

«Ah, Taehyung, non c'è nulla da sapere! Come te lo devo dire?» ribadiva Yoongi.

E nonostante qualcosa si fosse rotto tra di loro, le carcasse delle loro anime continuavano a cercarsi. Finché.

Finché un giorno Taehyung non la vide. La cicatrice si trovava sul suo addome, incredibilmente pallida. Il sangue gli si gelò nelle vene, perché era sicuro che prima sulla sua pancia non vi fosse alcun segno.

E lo sguardo di Yoongi era talmente cupo, talmente spaventato, che il terrore crebbe nel petto di Taehyung, facendo appassire i pochi fiori ch'erano rimasti sulla sua anima.

«Non avrei mai voluto che tu venissi a conoscenza di un qualcosa di così tenebroso» spiegò Yoongi, «so di aver sbagliato e forse me lo sono meritato. Ti sei mai chiesto perché quei bastardi ti hanno lasciato in pace di punto in bianco? Te lo sei mai chiesto?» chiese.

Taehyung scosse la testa, sgranando gli occhioni scuri.

«Li ho pestati. Li ho presi a pugni, Taehyung. È stato il giorno più bello della mia vita. E solo quando mi sono trovato un coltello conficcato nell'addome ho capito che tu sei troppo puro per uno sporco come me. Ma il fine giustifica i mezzi. Questo provo a ripetermelo ogni notte, schiacciato dall'insonnia. So di aver sbagliato tutto. E capisco se ora tu voglia alzarti e andartene via» disse.

Taehyung era pietrificato. Yoongi aveva prestato i suoi bulli perché lo lasciassero in pace e loro avevano atteso nell'ombra fino all'estate per ridurlo in fin di vita. «È colpa mia. Sei infinitamente macchiato del mio dolore e della mia colpa» sussurrò, prima che una lacrima cominciasse a solcare la sua guancia.

Yoongi scosse la testa e Taehyung pensò che voleva possedere la sua stessa bellezza, pareva talmente innocente mentre i raggi del sole colpivano la sua candida pelle di porcellana! La bruttezza del peccato non lo colpiva, perché Yoongi era colmo di una bellezza che sapeva di conoscenza e di un'attenzione unica alle emozioni altrui.

Così si sporse verso di lui e lo strinse fra le sue braccia, fragile com'era. Yoongi era fragile e aveva finto di essere forte per lui, macchiandosi del peccato dell'ira. «Ti perdono, Yoongi. Lo farei, in ogni situazione. Promettimi solo che la finirai qua, te ne prego» sussurrò.

Yoongi annuì contro il suo petto. «Lo giuro».

*

Il tempo passava con una velocità spaventosa, i centimetri fra Taehyung e Yoongi diventavano sempre di più e le spalle del più piccolo divenivano più possenti con il passare dei mesi. Si erano silenziosamente giurati che d'ora in poi avrebbero parlato di ogni cosa, così Yoongi si era aperto con Taehyung e gli aveva raccontato dei suoi genitori.

Non gli aveva detto molto, ma Taehyung ebbe modo di apprendere che i genitori di Yoongi erano fuggiti dalla Corea del Sud per motivi che non erano chiari nemmeno al giovane, avevano perso la loro cittadinanza ed era per questo che nemmeno Yoongi la possedeva. Egli parlava di loro con un tono distaccato, quasi come se non stesse parlando della sua storia.

Taehyung poté allora parlare del misterioso sogno che lo perseguitava nelle calde notti coreane, esponendo i suoi dubbi e le sue paure. E poi parlò per la prima volta con qualcuno di quella sensazione che l'aveva portato a credere che qualcosa stesse contaminando l'eternità della Corea.

Quando il nonno di Taehyung se ne andò il giovane si sentì a corto di parole per un periodo spaventosamente lungo. Le e-mail di Yoongi arrivavano a fiotti, colme di paura e disperazione, eppure Taehyung riuscì a mandargli un misero messaggio solo quando mise piede in casa sua, a New Orleans.

Non si aspettava realmente un risposta, anzi, non si aspettava più di rivedere Yoongi. Eppure tra una marea di lacrime secche e il cuore che doleva, quella notte aveva riconosciuto la voce di Yoongi. La porta della sua stanza si era aperta e lui si era probabilmente tolto le scarpe.

Poi aveva sollevato le sue coperte e si era infilato nel suo letto, avvolgendolo con le sue piccole braccia da dietro. Non disse nulla, solo nascose il viso sulle sue spalle. Vi lasciò qualche bacio.

Nessuno dei due aprì bocca per i seguenti minuti, perché riconoscevano entrambi quanto fosse turbante e necessario il silenzio che si nascondeva nel dolore.

Quando Taehyung lo sentì muoversi per alzarsi, strinse le sue mani, sentendo le sue dita stringersi sul suo pigiama, affondare nei suoi fianchi. «Resta» sussurrò con la voce roca. Non parlava da due giorni interi e solo pronunciare quella parola fu necessario a raschiare la sua gola, già dolorante per i singhiozzi che aveva trattenuto.

«Resto» rispose lui. «lascia che mi tolga i jeans» sussurrò.

Taehyung lo lasciò andare e dopo aver udito il fruscio dei jeans di Yoongi si tranquillizzò, attendendolo. Non si aspettava di sentire il suo petto nudo a contatto con la schiena. Era una sensazione confortante. Si sentiva a casa.

Yoongi era un riparo per l'anima.

Non riuscì a dormire, ma si fece cullare del respiro regolare dell'amico per tutta la notte.

I giorni seguenti furono colmi di vuoto e di dolore. Perdere qualcuno è dannatamente strano. È irrealizzabile.

Così quando Yoongi passò a casa sua per portarlo alla loro quercia sentì un nuovo fiore sbocciare da qualche parte nel suo essere. Camminarono lentamente e molto vicini, perché Yoongi voleva riempire tutti i vuoti di Taehyung.

A loro due bastò il silenzio per grattare via un po' di ruggine. Taehyung sbocciava lentamente, con le cure di Yoongi. E pian piano si abituava al vuoto lasciato dalla mancanza.

Loro due sapevano aggiustarsi imperfettamente.

*

Continuavano a crescere sotto l'ombra della quercia. Ormai Taehyung aveva diciotto anni e Yoongi venti, pieni di una bellezza che squarciava la ruggine con la sua autenticità.

Taehyung invidiava il modo in cui Yoongi era rimasto perfettamente identico a quando lo aveva conosciuto ed era felice invece che i suoi lineamenti avevano avuto modo di maturare.

Ad entrambi piaceva ancora leggere l'uno di fianco all'altro, ché non avevano bisogno di parlare per comprendersi. E il profumo della pioggia estiva di New Orleans era qualcosa di nuovo per Taehyung.

Quel pomeriggio la pioggia aveva cessato da poco di cadere e i due ragazzi se ne stavano accucciati sotto la quercia a sgranocchiare arachidi con in libro in mano.

Il tempo passava lentamente, e a Taehyung sembrava di essere tornato in Corea.

Il suo cuore tremò quando la pallida mano di Yoongi chiuse il libro che stava leggendo.

«Ma che fai? Dovevo tenere il segno-» provò a dire Taehyung, prima che il profumo del suo amico invadesse completamente il suo spazio personale. Aveva un odore inebriante, dolce e aspro al contempo, lo conosceva a memoria.

E poi le labbra del suo migliore amico avvolsero le sue in un bacio, che un po' somigliava alla fine del mondo. I muscoli di Taehyung si erano congelati all'istante appena percepì quella sensazione nuova di zecca far battere il suo cuore così forte da far male. I polpastrelli di Yoongi sfiorarono le guance arrossate di Taehyung, prima che le loro labbra si separassero.

Troppo breve. Ne voleva ancora.

«Mi dispiace così tanto» sussurrò l'altro sulle sue labbra, prima di alzarsi e cominciare a correre.

Taehyung non si mosse per interi minuti, il suo cuore era precipitato nel suo stomaco, invaso da uno sciame di farfalle.

Il silenzio che seguì quei momenti durò giorni interi, tra le lacrime di Taehyung e i messaggi che aveva provato a mandare al caro amico.

Perché proprio io, Yoongi?

Il silenzio di Yoongi lo spaventava a morte, perché non significava mai nulla di buono. Quando, dopo giorni, il suo telefono squillò ed egli intravide il nome di Yoongi brillare sullo schermo aveva le mani che sudavano. Prese il suo cellulare tra le mani e, tremante, rispose.

Dall'altro capo del telefono, ancora silenzio. «Yoongi...» sussurrò.

«Mi vergogno così tanto. Mi dispiace tantissimo, non avrei mai dovuto baciarti» rispose il suo migliore amico, con un tono che Taehyung non riusciva a decifrare.

«Ho bisogno di vederti. Avevamo detto che avremmo parlato di qualsiasi cosa, ricordi?» chiese Taehyung, mordendosi il labbro inferiore.

Yoongi sospirò. «Dammi un paio di ore e sono a casa tua» disse prima di riattaccare.

*

«Avevano ragione loro: sono un frocio» Le mani di Yoongi tremavano, tremavano così tanto che Taehyung ebbe l'impulso di prenderle tra le sue. Ma non lo fece.

«Il proprio orientamento sessuale non è un colpa, o una vergogna» rispose Taehyung, aggrottando le sopracciglia.

«Ci eravamo promessi che avremmo parlato di ogni cosa e io non ti ho mai parlato di... questa cosa» continuò il maggiore.

«Non eri obbligato a farlo. Non si è obbligati a fare coming out. Penso che sia sbagliato credere che una persona sia etero se non fa coming out» lo rassicurò Taehyung.

Yoongi lo guardò, i capelli scuri ricadevano sul suo viso ed i suoi profondi occhi lo studiavano. «Tu... lo sapevi?» chiese.

«No, come potevo saperlo? Yoongi, il punto non è questo. È normale essere etero. Essere gay. Anche non volersi etichettare. Capisci?» Lo osservò, vedendolo stringersi nella sua grande felpa.

Poi scosse la testa. «No no no no. Tu non capisci. I miei genitori mi uccideranno. Devo andare via, Taehyung. Non posso rimanere qua» disse.

Al che il cuore di Taehyung si frantumò rumorosamente nella sua cassa toracica. «Non puoi lasciarmi» disse a denti stretti, cercando di trattenere la rugiada che minacciava di sgorgare dai suoi occhi.

«Non puoi farlo» sussurrò ancora, poggiando una mano sul pallido viso di Yoongi. Si sporse verso di lui lentamente, poggiando le labbra inesperte sulle sue. Un bacio che sapeva di decine di crepe sul suo cuore.

«Perché mi baci, Taehyung?» gli chiese Yoongi, poggiando la fronte sulla sua.

«Perché voglio farlo» rispose lui prima di lasciare altri candidi baci sulle sue labbra. E poi sulle sue guance e sul suo mento. Sul suo collo. Sulla sua mandibola.

«Cosa posso fare per farti restare? Posso fare tutto quello che vuoi, te lo giuro su Dio» La voce di Taehyung si ruppe.

«No, non posso restare qua»
«Fammi venire con te!»
«Non posso, lo capisci questo?».

Silenzio. Yoongi in risposta ricevette solo silenzio, perché il petto di Taehyung si era riempito di vuoto. Nemmeno Yoongi riconosceva la bellezza della conoscenza di sé stessi. Erano affini. E due poli opposti.

Quando il suo migliore amico si alzò dal suo letto, Taehyung stringeva ancora il suo polso. Esitavano, respirando affannosamente. Poi il più giovane si alzò, raggiungendolo ancora una volta.

Le loro labbra si scontrarono così ferocemente da far male. Furono sospiri rumorosi, schiocchi liquidi e bagnati, la danza dannata delle loro lingue che si scoprivano per la prima volta. E, soprattutto, unghie che scavavano sulla pelle, mani che s'intrufolavano sotto i vestiti. Era doloroso.

Eppure non importava, poiché quel dolore era l'unica cosa reale che era rimasta ad entrambi. Le loro mani cercavano i punti debole delle loro pelli e le loro labbra quelli delle loro anime.

Taehyung non ne aveva mai abbastanza. E non voleva averne abbastanza. Voleva tutto il tempo del mondo per baciare Yoongi.

Si staccarono in uno schiocco rumoroso, dopo solo silenzio, persino New Orleans si era ammutolita. «Se nemmeno questo basta a farti restare, va'» sussurrò Taehyung.

Yoongi lasciò un ultimo bacio sulle sua labbra, prima di sparire.

Taehyung scivolò a terra sulle ginocchia, consapevole di aver perso l'ultima cosa buona della sua vita. Il sole splendeva così maledettamente tanto da bruciare sulla sua pelle.

«Ti ho già perdonato».

*

okay. ce l'ho fatta. ho pianto tantissimo mentre scrivevo questo capitolo. ma ce l'ho fatta.


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