01. LA PAURA HA GLI OCCHI DELL'AMORE.
MOLTO TEMPO PRIMA.
C'era stato un tempo in cui la gioventù di Taehyung aveva tentato di assaporare la bellezza della vita. C'era questa piccola, silenziosa parte di lui che aveva osato lasciarsi andare, ben prima che la realtà piombasse sulla sua testa come un'improvviso acquazzone violento. La realtà era proprio una tempesta di neve.
Taehyung aveva visto la Corea del Sud per la prima volta quando aveva sette anni, le guance arrossate da una corsa carica d'adrenalina e di quella tipica gioia che chiunque ignori lo scorrere del tempo possiede. Con la manina stretta in quella di sua madre teneva la testa sollevata e si chiedeva cosa quel cielo avesse di diverso da quello della Louisiana, oppure come potesse essere tutto così differente dal luogo in cui era cresciuto, come facesse ad assumere quell'aria così magica.
Era un gran pensatore, un piccolo lettore, nonostante fosse ancora troppo giovane per comprendere appieno aspetti della vita che aveva tutto il diritto di non conoscere. Talvolta rimanere all'oscuro di qualcosa è l'unico modo per vivere una vita felice. Così, mentre la macchina dei suoi genitori correva velocemente su strade che non aveva mai percorso prima, si chiedeva come facesse la magia di quel Paese a scorrere persino nelle sue vene.
Taehyung era abituato ad altri ritmi, che non permettevano di fermarsi ad ammirare cosa la vita aveva da offrirci. Eppure in Corea del Sud il tempo non esisteva più, egli lo comprese appena la vecchia BMW si fermò davanti alla casa del suo nonno materno, sollevando una nuvola di sabbia.
In quel posto lontano dalla fretta dell'America e dalla frenesia di Seul il tempo scorreva lentamente e ogni cosa poteva essere ammirata da molteplici prospettive. Così Taehyung si prese tutto il tempo del mondo per ammirare i campi che circondavano la fattoria e i piccoli sentieri che li attraversavano. Con la candida manina sotto il mento, faceva scorrere i suoi occhi su ogni cosa, riflettendo e schiudendo di tanto in tanto le labbra, provando ad immaginare come ci si potesse sentire a correre per quell'immensità senza pensare a nulla. Era sicuro che in quel posto fosse proibito pensare.
Suo padre non fece nemmeno in tempo ad aprire la portiera dell'auto che Taehyung stava già scendendo, investito da una carica di adrenalina che gli faceva bruciare le ossa e la carne. La prima cosa che vide quando scese dalla macchina era sua madre che si lasciava stringere dalle braccia di un uomo anziano - Taehyung pensava che non potesse avere più di settant'anni -, egli le cingeva la vita con un braccio e le passava una mano tra i morbidi capelli scuri, mentre lei veniva scossa da numerosi singhiozzi.
Il viso di Taehyung venne attraversato istantaneamente da un'ombra scura, l'espressione serena che indossava prima tramutò in un cipiglio pieno di confusione e disapprovazione.
Sollevò il volto, puntando lo sguardo sul viso di suo padre. «Perché la mamma piange?» chiese, stringendo la giacca dell'uomo tra le dita.
Quest'ultimo sorrise, lo fece quasi come se conoscesse la vita meglio di chiunque altro. Si abbassò all'altezza di Taehyung e gli mise le mani sulle spalle. «La mamma piange di felicità» sussurrò, con un riflesso luminoso negli occhi.
Taehyung restò interdetto per un attimo infinito: lui non aveva mai pianto di felicità. Andiamo... come era possibile? Ci doveva essere qualcosa sotto, eppure suo padre era sembrato sincero quando gli aveva sussurrato quelle parole. Taehyung era convinto che suo padre fosse un uomo saggio, perciò cercò in ogni modo di far incastrare quelle parole con le sue convinzioni.
La mamma piange di felicità. Prima ancora che cercasse di trovare un senso a quella faccenda si disse che in quel luogo era proibito pensare e che avrebbe lasciato che la cosa scivolasse fuori dalla sua mente come se avesse poca importanza. Infatti quando incontrò lo sguardo dell'anziano aveva già dimenticato ogni cosa, un po' intimorito dallo sguardo scettico che l'uomo gli aveva dedicato.
Percepì la mano di suo padre sfiorare la sua schiena, così sollevò il capo osservandolo. «Va' da lui» si sentì dire.
Taehyung riportò lo sguardo sul viso dell'anziano, compiendo dei primi passi verso di lui. Era tentennante, eppure non si tirò indietro quando persino l'uomo cominciò ad avanzare nella sua direzione. Questi si abbassò alla sua altezza e per la prima volta Taehyung vide quello sguardo vacillare. Gli occhi dell'uomo erano ormai colmi di lacrime e il bambino si chiese se anche lui stesse piangendo di gioia.
Due pozzi scuri che si colmavano di emozione di fronte alla figura tremante di Taehyung, curioso di scoprire cosa si nascondesse sul fondo delle sue iridi.
Le mani del piccolo vennero strette da quelle dell'anziano in una morsa tremolante e spaventosa, che sapeva di qualcosa di malinconico e immensamente bello al tempo stesso. I capelli bianchi dell'uomo venivano mossi dalla brezza che soffiava leggera su tutti loro, mentre il tempo si fermava. Taehyung sentì qualcosa all'altezza del petto, un'emozione nuova e particolare, che ancora non sapeva catalogare.
Era un momento unico ed infinito - al tempo Taehyung non sapeva che sarebbe rimasto inciso sul suo cuore per sempre.
«Mi sembra quasi impossibile, ma il mio unico nipote è proprio qui di fronte a me» disse suo nonno in coreano.
Taehyung ringraziò silenziosamente i suoi genitori per avergli insegnato la lingua in questione allo stesso modo in cui avevano fatto con l'inglese. Ora che aveva visto con i suoi occhi la Corea si sentiva più fiero che mai di avere il sangue coreano che scorreva nelle sue vene. Desiderava ampliare la sua conoscenza, toccare con mano ed osservare da vicino, voleva che la Corea rimanesse incastrata nel suo cuore anche una volta tornato in America.
Così riservò a suo nonno un sorriso sincero, macchiato dalla stanchezza del volo e del lungo viaggio in macchina, l'espressione sfinita dal jet lag ma colma di un affetto che non aveva mai provato prima. «È bello essere qui» rispose allora.
Ed era vero: amava essere lì, si era sempre posto tante domande su tutto quello che riguardava la Corea. E ora, finalmente aveva la possibilità di dare una risposta a tutti i suoi quesiti.
L'estate coreana di Taehyung cominciò quella stessa sera, poco prima che egli si addormentasse sulla spalla di suo padre durante l'ora di cena. La sua estate coreana sapeva di cibi tradizionali e campi coltivati, di fiori profumati e verdure colorate.
Per i seguenti dieci anni Taehyung si recò annualmente in Corea per passare l'estate nella fattoria di famiglia, scottandosi la pelle sotto al sole e correndo fino a perdere il fiato al tramonto, comprando libri in coreano nei mercatini alle feste di paese e osservando le stelle cullato dalle sagge parole di suo nonno.
Taehyung maturava sotto il cielo grigio della Louisiana e viveva i suoi attimi di eternità sotto quello della Corea. L'eternità del cielo coreano, un concetto che aveva avuto modo di apprendere e aveva imparato ad amare.
Fu nel suo sedicesimo anno di vita che cominciarono i sogni. Sotto il cielo stellato della Corea, Taehyung aveva gli incubi - la fronte madida di sudore ed il cuore a battere ferocemente nel suo petto.
Non ricordava mai come avesse inizio il sogno, ma rammentava sempre il sorriso di una fanciulla, i capelli biondi e ricci che le sfioravano le spalle sottili e lo sguardo smarrito. Nonostante questo sorrideva, con lo sguardo puntato in quello di Taehyung e le mani protese verso di lui. E poi.
E poi una figura talmente massiccia da risultare minacciosa si materializzava alle spalle della fanciulla e Taehyung si ritrovava a venir privato della parola, mentre tentava di urlare per salvare la ragazza dalle grinfie di quel mostro. Le mani dell'uomo - o qualsiasi cosa fosse - che si poggiavano sulla stoffa chiara dell'abito della ragazza e stringevano il suo corpo come se fosse di sua proprietà. E poi si stringevano attorno al candido collo, mentre Taehyung veniva privato anche della mobilità. Rimaneva pietrificato, mentre la ragazza scivolava lentamente all'interno dell'oscurità.
E dopo scivolava a terra, mentre migliaia di specchi lo giudicavano. Si svegliava con il respiro corto e una sensazione di nausea. Il viso della ragazza lo scordava quasi subito, così subito dopo essersi svegliato si abbandonava sul cuscino del suo letto e chiudeva gli occhi, godendosi i meravigliosi dettagli del viso della giovane sconosciuta. Poi i lineamenti si facevano più confusi, i capelli un po' meno colorati e la realtà sempre più vivida.
Si rendeva conto di quanto il tempo scorresse lentamente in Corea quando la notte non riusciva più a dormire e in quei momenti - ma solo in quei momenti - desiderava tornare alla frenesia di New Orleans. Ai suoi rumori, i suoi colori ed i suoi suoni. Ai locali vintage e le case colorate.
Così, per far scorrere il tempo, si ricordava che New Orleans non era eterna, non era immortale. Ed il tempo scorreva sul serio, in Louisiana il tempo scorreva anche per lui.
Eppure quei sogni lo facevano tremare persino di giorno, quando aiutava suo nonno nei campi e controllava che non si stancasse troppo, oppure quando la sua famiglia discuteva durante i pasti. Si perdeva in quella realtà parallela cercando di rammentare il viso della ragazza, cercando un senso a tutta quella faccenda.
Un pomeriggio, mentre tentava di cercare del fresco in veranda, si rese conto che l'eternità della Corea era solo una grande bugia. E che, soprattutto, lui in quella bugia ci stava sprofondando. Sotto la superficie si nascondeva qualcosa di sinistro, di incredibilmente spaventoso e pericoloso, che egli non riusciva a comprendere.
Fu circa un anno dopo che la realtà si materializzò proprio di fronte ai suoi occhi. Ad accoglierlo in Corea fu una donna dall'aspetto gentile, che condusse lui ed i suoi genitori al primo piano. E Taehyung aveva già compreso. Quando la donna sussurrò «non voleva farvelo sapere in questo modo», Taehyung aveva capito tutto, aveva compreso che l'eternità del cielo coreano si stava portando via l'eternità di suo nonno.
Non ebbe il coraggio di entrare nella stanza del suo nonno materno per un periodo di due giorni, in cui visse notti insonni e giornate aride e silenziose. La badante del nonno aiutava a cucinare e a pulire, mentre Taehyung e suo padre si occupavano della fattoria.
Un pomeriggio se ne stava nella sua stanza a rileggere lo stesso paragrafo di un libro per la ventisettesima volta. Sua madre aprì lentamente la porta, la sua mano pallida in contrasto con il legno scuro di essa. Il suo viso era ancora più pallido.
Taehyung percepì una fitta attraversare il suo corpo per intero. Cercò di rileggere il paragrafo, ma sua madre chiuse il libro prima che potesse leggere anche solo una parola.
«Stavo leggendo» sussurrò lui.
Sua madre si sedette sul letto, cercando il suo sguardo. «Va' da lui. Ti sta aspettando» gli disse.
Taehyung non la guardò, piuttosto studiò il modo in cui era rilegato il volume.
«Va' da lui. Non puoi lasciarlo andare se non provi ad affrontare la cosa» insistette la donna.
Taehyung avrebbe voluto dire che non sarebbe mai riuscito a lasciarlo andare, che ogni suo sforzo si sarebbe dimostrato vano, eppure non riuscì a proferire parola. Quando incontrò lo sguardo di sua madre, gli venne naturale cedere ed alzarsi dal letto.
Non posso lasciarlo andare se non provo ad affrontare la cosa.
Così camminò lentamente fino alla camera di suo nonno, fermandosi davanti alla porta. Ne osservò a lungo le nervature, prima di spingerla ed entrare nella stanza. Suo nonno doveva aver perso come minimo dieci chili, aveva il viso scavato e gli occhi chiusi, il respiro pesante e i capelli bianchi madidi di sudore.
Non sei mio nonno. Non sei lui.
Si sedette sul letto e l'uomo aprì gli occhi. Essi erano ancora vivi, le sue iridi brillavano come stelle. «Sei qui. Finalmente. Ti ho aspettato così tanto. Non parlo solo di questi due giorni, o degli anni precedenti. Parlo di tutta la mia vita, Taehyung» sussurrò, con la voce impastata.
«Tutta la vita è un bel po' di tempo» rispose Taehyung, con le lacrime agli occhi.
«Ma ne è valsa la pena. Qui posso vivere per sempre» disse ancora suo nonno.
«Perché mi lasci? Perché proprio ora?» chiese il ragazzo.
«Non essere così sciocco. Non ti sto lasciando, te l'ho detto: io posso vivere per sempre, devi essere tu a renderlo possibile» rispose suo nonno.
«Come potrei? Sono solo un ragazzino» Abbassò la testa.
«Sei saggio, Taehyung, sei persino più saggio di tuo padre e di me. L'eternità risiede nelle persone sagge» rispose l'uomo, ogni tanto interrotto da una tosse molto rumorosa. «Se vorrai, anche tu potrai vivere per sempre».
Taehyung non voleva vivere per sempre. Nei giorni seguenti osservò i suoi genitori da lontano, le loro voci erano ovattate ma comprese sin da subito che stavano discutendo animatamente. I loro sguardi erano colmi d'ira e di tristezza. Così si rifugiava nella biblioteca, cercava qualcosa per fingere di leggere e per dormire - principalmente per dormire.
Fu durante quei pisolini che i sogni cominciarono a tormentarlo nuovamente. Il sorriso, la figura misteriosa e gli specchi. La bellezza, le farfalle nello stomaco, poi la paura, l'angoscia, lo sfinimento.
Un pomeriggio si decise ad andare a trovare il nonno subito dopo aver dormito. Camminò per la casa lentamente, silenziosamente, fino alla sua stanza, bussò ed attese che il nonno gli desse il permesso per entrare.
«Nonno, ho bisogno di parlarti di una cosa» disse, sedendosi sul letto.
«Dei sogni, vuoi parlarmi dei sogni» rispose l'uomo.
Taehyung gelò sul posto e suo nonno sorrise. «Come fai a saperlo?» gli chiese.
«Parli nel sonno, forse» rispose suo nonno.
Taehyung lo osservò per un po', prima di parlare. «Allora sai già tutto. Sai che non mi lasciano da più di un anno. La sogno solo quando vengo qui. Ha dei ricci dorati e degli occhi bellissimi. Non lo ricordo con esattezza, però so che è bellissima, che ogni cosa sembra essere al suo posto. E poi quelle mani cominciano a toccarla, la portano via ed io cado a terra, circondato da specchi» continuò Taehyung.
Suo nonno sembrò incupirsi. «La paura ha gli occhi dell'amore. Il dolore si maschera, si nasconde dietro l'euforia. Devi saperla usare, quella bestia» rispose.
«Devo usare il dolore. Cosa vuol dire?» chiese il ragazzo.
«Lo imparerai. Mi fa quasi male dirtelo, ma conoscerai il dolore. Ci sono così tante sfumature del dolore, oh!, non immagini quante!» continuò suo nonno.
Taehyung ripensò a quelle parole nei giorni successivi. Non ne comprendeva il significato, non sapeva dove suo nonno volesse arrivare.
Suo nonno andò via silenziosamente, eppure le mura della casa urlavano ancora. La Corea non sembrava più eterna, poiché il tempo aveva ripreso a scorrere persino lì.
E fu difficile, per la prima volta nella storia delle estati coreane di Taehyung, realizzare che era impossibile prendersi cura della fattoria dalla Louisiana. Così essa venne venduta, in modo che qualcun altro potesse vivere l'eternità di quel posto.
L'ultima volta che vide la Corea Taehyung aveva diciassette anni. E l'anima ridotta in frantumi.
*
okay. questo capitolo è stato un parto. per arrivare a questa versione ci sono volute altre quattro o cinque versioni e un cambio repentino di trama all'ultimo minuto. non so nemmeno come sia venuto: fatemelo sapere voi.
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