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Mancanze affettive- Capitolo 3

POVS MARIO

Andrew parla a raffica già da un'ora buona, manco fosse una macchinetta. Va bene che non ci vediamo da parecchio, però quando è troppo è troppo.

Do uno sguardo dietro al bancone: dalla posizione del nostro tavolino vedo bene Nina che serve dei clienti. Seduta di fronte a lei c'è una ragazza dai lunghi capelli rossi e ogni tanto scambiano una parola. Sarà una sua amica, ipotizzo.

Andrew segue il mio sguardo

"Carina la barista, eh?".

Faccio finta di niente e torno a guardare il mio amico. Lui si scola metà spritz.

"Anche la cameriera che ci ha serviti non è male, ha un bel culo" prosegue.

Lo guardo storto: si sta riferendo a Lara.

"La signorina bel culo come dici te si dà il caso che sia la sorella della barista. Sono due brave ragazze, non da una botta e via. Non tutte sono come te favorevoli al sesso occasionale".

Rotea la cannuccia facendo girare i cubetti di ghiaccio, che tintinnano contro il bicchiere.

"La barista è stata un po' freddina nei tuoi confronti: quando siamo entrati che l'hai salutata si è comportata in maniera schiva".

Effettivamente è così: Nina sembra quasi tornata come il primo giorno che ci siamo conosciuti e non capisco il perché. Eppure dopo quello che mi aveva scritto pensavo che avessimo fatto un passo avanti.

Torno a guardarla: sta scambiando due parole con la rossa. Si gira nella mia direzione e i nostri occhi si incrociano per una breve frazione di secondi, poi torna a concentrarsi sull'amica.

Andrew finisce lo spirtz, prende una manciata di noccioline e se le ficca in bocca. Almeno sta zitto un po'.

Nina è davvero un'incognita: sembra quasi che il suo modo di fare sia dovuto a un qualcosa legato al passato. Forse una delusione d'amore?

Inutile fare congetture: non sono uno che giudica senza conoscere. Avrà i suoi buoni motivi.

Questa ragazza mi attrae e non poco, nonostante il suo essere fredda in mia presenza. Non mi aspettavo che mi scrivesse, ne sono rimasto colpito.

È passata una settimana esatta dal nostro primo incontro, nel quale mi ha praticamente trattato a pesci in faccia. L'ho soprannominata tigre, ma secondo me ha un cuore d'oro, sotto la maschera che porta. Qualcosa mi dice che saprebbe tenermi testa e non mi è mai capitata una ragazza così.

Mi alzo senza stare troppo a cincischiare e mi dirigo al bancone. Nina finge di pulire, ma so che è una scusa.

Affianco la ragazza rossa e dico

"Dobbiamo parlare".

Lei smette di pulire di colpo

"Perché?"

La ragazza rossa mi sta guardando, ma non le do peso.

"Secondo te perché? Ti comporti in maniera strana, manco fossi bipolare".

Alza un sopracciglio e tenta di ribattere, ma io le indico la porta. Sospira e mi segue fuori.

Per tutto il tragitto abbiamo gli occhi della sua amica incollati addosso, probabilmente è curiosa.

Nina si appoggia con le spalle al muro, tira fuori una sigaretta, la accende e si fa un tiro.

"Di cosa dobbiamo parlare? Mica stiamo insieme". Io suo tono sembra quasi scocciato.

Essendo più alto di lei Nina è costretta ad alzare la testa per guardarmi in faccia.

"Ti comporti in modo strano: quando mi hai scritto qualche sera fa mi sono immaginato che avessimo fatto un passo avanti, ma poi vengo qui con il mio amico e mi tratti con freddezza e non ne capisco il motivo. Perché ti ostini ad essere quello che non sei?"

Devo aver colto nel segno perché Nina vacilla momentaneamente. Si fa un altro tiro prima di parlare

"Perché vuoi conoscermi a tutti i costi? Non sono così interessante. Vedo poi che parli spesso con Lara, anche prima avete scambiato due parole. Puoi uscire con lei: è single ed è una brava ragazza, ma se la usi ti spezzo in due."

Scuoto la testa: è una zuccona, c'è poco da fare.

"Se ti dicessi che non mi piacciono le brave ragazze?"

Non me la bevo la storia della cattiva ragazza, è solo un altro modo per tenermi lontano, magari fa così anche con gli altri ragazzi che provano ad avvicinarla.

Si allunga ad un tavolino lì vicino per spegnere la sigaretta nel posacenere, si impegna per non guardarmi, non sa cosa ribattere.

Mi avvicino di più a lei riducendo la distanza tra di noi, le sollevo il mento in modo che possa guardarmi dritto negli occhi. L'ho già detto che è una bella ragazza e lo confermo, anche l'alone di mistero che si porta dietro la rende ancora più interessante.

"Mario Molinari: puoi avere tutte le ragazze che vuoi, ma perdi tempo con me."

La sua voce si è leggermente ammorbidita, mentre mi fissa con quei suoi grandi occhi neri. Una ciocca di capelli le è sfuggita dalla coda, gliela sistemo dietro l'orecchio

"È una mia scelta con chi perdere tempo, non trovi?".

Annuisce, incapace di dire altro.

"Raccogli le tue cose che andiamo a farci un giro". Sentenzio

Mi guarda titubante, vorrebbe dire qualcosa ma la blocco

"Niente scuse. So che hai finito il turno al lavoro, me lo ha detto Lara che non fate chiusura voi".

"Ma la mia amica deve riportarmi a casa, eravamo d'accordo così". Protesta.

"Vorrà dire che accompagnerà solo tua sorella".

Rientriamo nel locale e Nina dice qualcosa alla sua amica che annuisce, scopro che si chiama Luna.

Faccio cenno ad Andrew che me ne vado, mi guarda interrogativo. Se sta da solo magari ha più possibilità di rimorchiare qualcuna.

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Nina si è sciolta i capelli che le ricadono lungo la schiena: siamo nella zona Sansiro, vicino allo stadio.

Il chioschetto dove l'ho portata ha i tavoli in legno e gli ombrelloni della Sammontana gialli e bianchi. Dopo aver consultato il listino titubante ha optato per una granita.

"Lara voleva fare delle ricerche sul tuo conto, ma io le ho detto che una persona preferisco conoscerla a fondo, piuttosto che tramite Google. Conoscere il vero Mario è molto meglio che conoscere il personaggio. So chi sei, la tua faccia è appesa per mezza Milano che pubblicizza il tuo nuovo disco. Ma quella è la tua parte artistica. Non sono abituata a fermarmi alle apparenze".

Brava ragazza, detesto chi si ferma alle apparenze a pretende di giudicare.

Svito la bottiglietta dell'acqua e ne bevo una parte, Nina si gusta la granita alla coca-cola.

La t-shirt bianca che indossa nasconde il piercing: si veste con semplicità, non ha neanche un filo di trucco in faccia. Mi sorprende perché di solito le ragazze della sua età si truccano a momenti anche per andare a fare la spesa, lei invece è al naturale e non si fa problemi a mostrarsi così.

"Vorrei conoscere qualcosa in più di te". Dico.

"Non c'è tanto da sapere, ho avuto una vita disastrata". Parla con un filo di voce, ma la sento benissimo.

Oh Nina, anche il mio passato è stato un casino totale. Chiudo l'acqua e la guardo dritto negli occhi

"Sono nato a Cogoleto, un quartiere di Genova e sin da piccolo la mia vita è stata un casino. Non ho mai conosciuto mio padre e tutt'ora non so chi sia. Mia madre ha avuto seri problemi di salute nel tempo e ho vissuto con delle famiglie affidatarie.

A scuola era un disastro: ero emarginato dai compagni per i miei casini famigliari. Si fa tanto presto a giudicare. È stato solo nella musica che crescendo ho trovato il mio sfogo, far sentire la mia voce era la mia priorità. Mi sono detto fanculo i miei casini, posso cavarne qualcosa di buono. Non ho finito la scuola, mi sono ritirato prima".

Nina abbassa lo sguardo, sta metabolizzando quanto le ho detto. Non mi sfugge la lacrima solitaria che le ha rigato la guancia, anche se cerca di nascondersi.

Mi allungo per asciugargliela: la sua pelle è bianca come porcellana. Incrocio il suo sguardo e arrossisce leggermente.

Per un tempo infinito siamo persi l'uno negli occhi dell'altra, incapaci di spezzare questo legame che ci sta unendo come un filo invisibile.

Ritiro la mano e Nina finisce la granita, restiamo in silenzio, con la mia confessione che aleggia tra di noi.

"Non pensavo che avessi sofferto così tanto, in parte ti capisco. Avevo una madre, ma non si è mai presa più di tanto cura di me e di Lara. Pensava più ai fatti suoi. Quando lasciò nostro padre avevo 12 anni e da allora non la vidi più. Molto probabilmente si sarà dimenticata della nostra esistenza. Lara si è sacrificata per la famiglia: finita la seconda superiore si è ritirata per andare a lavorare e aiutarci ad andare avanti. Nostro padre non le aveva mai chiesto niente, ha fatto tutto di sua iniziativa. Anche lei ha avuto problemi con la scuola: al contrario mio, Lara si faceva condizionare da quello che gli altri le dicevano. La emarginavano solo perché noi viviamo a Calvairate, nelle case popolari. Abbiamo fatto affidamento l'una sull'altra da quando ne ho memoria ed è la spalla sulla quale posso piangere.

Andando dalla psicologa ho capito che non ho per forza bisogno di avere mia madre nella vita: io una famiglia c'è l'ho ed è migliore di molte altre, che sono solo apparenza".
Una confessione che non mi aspettavo da parte sua.

Avverto che c'è dell'altro, ma non insisto: dev'essere lei a volersi aprire con me, la fiducia va conquistata un po' per volta. Sapere chi è tua madre ed essere cosciente che non ti considera parte della sua vita fa più male di non conoscerne neanche l'esistenza.

Guardo l'ora: ci siamo persi completamente nel nostro mondo più intimo.

"Ti accompagno io a casa, conosco Calvairate. C'ho vissuto per un periodo". Mi offro.

Annuisce e raccoglie il bicchiere di granita vuoto, che getta nel pattume. Poi mi segue fino alla macchina.

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