Capitolo 1
"La vita non mi ha chiesto cosa volevo... ma credo che non guarderò più un tramonto senza pensare a te."
Anonimo
☾
Non avrei dovuto trovarmi chiusa in quel taxi diretta nell'unico posto in cui avevo sperato di non tornare mai più. La piccola cittadina dalla quale ero scappata sette lunghi anni prima non sembrava essere cambiata di una virgola, continuava ad essere l'unico luogo in cui avevo trovato tutto quello che avevo sempre sognato, ma anche l'unico posto in cui avevo perso tutto.
A distanza di anni riusciva comunque a ricordarmi la mia punizione, proprio come il bruciore costante di una ferita che non si era ancora rimarginata.
Mi sentivo ancora molto scossa dal viaggio, non più abituata a fare grandi spostamenti. Avevo messo radici ben profonde a San Francisco ed ero partita con la chiara idea di tornarci immediatamente non appena avessi sistemato alcune pratiche burocratiche, ma solamente dopo essermi assicurata che Nathan fosse in grado di stare da solo. Purtroppo ero ben consapevole che non sarebbe stato bene, almeno per un po'.
Faticai a trovare i soldi in borsa. Era piena zeppa di creme, fazzoletti, scontrini, un mucchio di cianfrusaglie inutili, proprio come la mia vita in quel periodo.
Pagai il tassista, scesi dalla vettura e mi diressi con passo deciso verso quello che aveva organizzato Janet: un funerale da sogno.
Il vento di fine settembre mi pungeva il viso mentre cercavo di regolare il mio respiro ad un battito accettabile e non farmi travolgere dalle mille emozioni che stavo provando. Il cappotto leggero che avevo indossato mi teneva al caldo, ma continuavo ad essere scossa da brividi.
Non potei fare a meno di sorridere davanti alla confusione di quelli che aveva denominato come "invitati". Le persone si guardavano in giro, probabilmente disorientati da tutti quei colori, da tutti quei fiori e persino dalle coccarde che, più che celebrare una morte, sembravano celebrare l'inizio di qualcosa.
La nostra cittadina era sempre stata piccola e tutte le persone si conoscevano tra loro e proprio per quel motivo, nonostante tutti quegli anni passati fuori casa, riuscii a riconoscere i soliti volti senza alcuna difficoltà. C'erano alcuni compagni di classe, persone che conoscevo di vista al liceo, genitori, insegnanti e vi era persino il sindaco con un paio di persone che lavoravano per lui.
Sembrava che per loro il tempo non fosse mai passato. Avevano tutti le stesse facce, forse qualche ruga in più per alcuni, ma nessuno aveva fatto grossi cambiamenti. Non avevo idea se qualcuno di loro si fosse trasferito, se avessero fatto grandi cose, se fossero riusciti a realizzarsi come persone.
Avevo tagliato i ponti con tutti, tranne che con due persone.
«Camryn Warrel! Sei proprio tu?»
Mi voltai sorpresa verso quella voce e non appena incrociai quei due occhi color nocciola, un sorriso sincero si fece spazio sul mio viso.
Le sue braccia erano diventate muscolose e me ne resi conto dal momento in cui presero a stritolarmi mentre una volta mi stringevano appena, timide. Si era fatto un po' più alto, un po' più uomo. Il suo profumo però, quello era rimasto lo stesso.
Un profumo che mi fece tornare indietro nel tempo a quando quel ragazzo rallegrava ogni mia giornata con la sua compagnia. Era il compagno di banco migliore del mondo ed era solo grazie a lui se non avevo cambiato classe ed ero sopravvissuta a tutti i commenti di quelle arpie.
«Liam». Pronunciai il suo nome sinceramente felice di vederlo.
«Camryn! Quanto mi sei mancata! Si può sapere che fine hai fatto?»
Non risposi, mi limitai solamente ad alzare le spalle, totalmente arresa al fatto che quella sarebbe stata una domanda frequente da quel momento in avanti.
Liam, con il suo tono di voce, attirò parecchi sguardi su di noi e pochi secondi più tardi iniziammo a sentire diverse voci parlare proprio della sottoscritta.
Mi prese sottobraccio e tentò di rassicurarmi. «Non ti preoccupare. Per quanto tu possa essere stata lontana da questo posto, è rimasto tutto esattamente come l'hai lasciato. Stesse persone che non si fanno mai gli affari loro!»
Nonostante fosse più alto e avesse sviluppato muscoli che non credevo, il suo sorriso era ancora la cosa che adoravo di più. Quella linea curva capace di illuminargli il viso non era cambiata di una virgola e contornato da un accenno di barba, lo rendeva ancora più affascinante.
«Tu si che sai come farmi amare questo posto», risposi cercando di sorridere.
«Quanto ti fermi?»
«Sto'... diciamo», risposi incerta. «Credo che mi fermerò almeno un paio di settimane. Ho delle faccende da sbrigare con la casa. Vorrei metterla in vendita e andarmene il prima possibile».
«Prima di partire di nuovo, mi dirai finalmente cosa ti ha spinto ad abbandonarci la prima volta?»
Scossi la testa, nascondendo ancora una volta i miei segreti più profondi dietro ad un sorriso di circostanza. Nessuno era in grado di spiegarsi il perché me ne fossi andata senza dare alcuna spiegazione. L'unica persona che aveva intuito il reale motivo era Janet, ma ora che non era più tra noi, avevo intenzione di tenerlo ben nascosto nel profondo.
Liam mi sorrise, leggermente rammaricato. Sapevo che in una piccola cittadina come Park City la mia partenza aveva destato parecchio stupore, ma lo avevo fatto non contemplando un mio possibile ritorno. Janet però doveva sempre trovare il modo di mettermi nei guai, soprattutto con lui.
Avevo riflettuto molto su tutti i possibili scenari. I primi tempi fantasticavo che venisse a San Francisco, che mi chiedesse di tornare a casa, insieme. La stessa mente che immaginava ciò però, era anche ben consapevole che non fosse possibile perché in primis non aveva idea di dove fossi scappata e soprattutto del motivo per il quale lo avevo fatto.
Con il passare degli anni avevo accantonato quei pensieri, le domande che mi imponevo di non farmi: come stava, cosa stava facendo, come stesse andando la sua vita e se la stesse condividendo con qualcuno.
Da quando avevo compreso che avrei dovuto fare ritorno a Park City, quella lunga lista di interrogativi, mi aveva travolto come una valanga.
Erano passati sette lunghi, lunghissimi anni. Eravamo cambiati e cresciuti entrambi e non avrei mai potuto immaginare come avrebbe reagito a vedermi lì, in carne ed ossa, ma sapevo come avrei reagito io, il mio cuore.
Nonostante tutti quegli anni distanti, non sarebbe mai potuto essermi indifferente.
«Nath», sussurrò appena Liam andandogli incontro.
Subito mi sfuggì una lacrima guardando il mio amico con lo sguardo perso nel vuoto. Mi affrettai ad abbracciarlo forte, sperando di potermi far carico del suo dolore e alleggerirlo un poco. Rimanemmo in quella posizione per diversi minuti e quando ci staccammo non potei fare a meno di notare il suo viso davvero abbattuto e non solamente di espressione, ma proprio fisicamente. Le guance solitamente belle in carne erano scavate, gli occhi azzurro cielo erano spenti, gonfi e rossi e la linea del suo sorriso sempre contagioso era una piega incerta pronta a spezzarsi.
Lo presi per mano, cercando di fargli sentire la mia presenza, non solo fisica, ma morale.
Janet ed io eravamo grandi amiche, l'unica, insieme a Nath, con cui avessi mantenuto i contatti da quando mi ero trasferita a San Francisco.
Mi erano venuti a trovare spesso, pur sapendo che io non avrei potuto fare lo stesso. Quante occasioni per stare insieme avevo sprecato pur di non scendere a patti con il mio stupido orgoglio. Se solo avessi saputo prima le condizioni di Janet, mi sarei precipitata da lei, dimenticandomi di tutto il resto.
Tuttavia il suo altruismo aveva deciso per entrambe. Era riuscita a nascondermi la malattia, la tristezza, la paura che ero sicura avessero avvolto anche un'anima sempre splendente come la sua. La mia migliore amica sapeva quanto fosse doloroso per me ritornare nella nostra città natale.
Si era limitata a mandarmi una lettera dove aveva tentato di spiegarmi quegli ultimi mesi della sua vita, le sue decisioni, le sue azioni e le possibili conseguenze che sarebbero derivate dalla sua scomparsa.
Con le mani tremanti, il respiro fermo nella gola e il cuore spezzato, l'avevo chiamata immediatamente, ma era troppo tardi.
Janet era già entrata in coma farmacologico e non si sarebbe più risvegliata.
Era la terza volta in tutta la mia vita che sperimentavo un dolore nel petto simile a qualcuno che mi strappava via il cuore, a mani nude e senza alcuna pietà.
«Forza amico, siamo tutti qui per te», tentò di incoraggiarlo Liam dandogli una pacca sulla spalla.
Lui sorrise. «Grazie, lo apprezzo davvero».
Si rivolse poi a me. «È arrivato?»
Mi sentii tremendamente mortificata. «Hanno cancellato il volo ieri sera. Dovrebbe arrivare a momenti. Ha preso il primo che ha trovato».
Cercò di non mostrarsi deluso, ma tutti sapevamo com'era diventato, io per prima.
«Scusatemi, vado a salutare gli ultimi e poi iniziamo».
«Certo», rispondemmo io e Liam in coro.
Prendemmo posto sulle sedie con il nostro nome. Janet aveva persino indicato ad ognuno dove sedersi e conoscendola, aveva sicuramente spedito gli inviti. Era una perfezionista e non potevo deluderla.
Mi aveva chiesto tre favori: assicurarmi che Nathan stesse bene, tenere il discorso al funerale e consegnare una lettera.
Per le prime due non c'erano problemi, ma la terza? Avrei fatto il possibile, ma non sapevo se la persona l'avrebbe accettata, almeno non da me.
A poco a poco tutti presero posto e il prete iniziò a recitare la messa. Parole senza senso, parole recitate secondo uno schema preciso e mentre tutti piangevano su quelle strofe io non ci riuscivo perché dentro di me stava montando solamente una rabbia pazzesca.
Janet era speciale. Era una persona dolce, premurosa e persino sin troppo buona per un mondo come il nostro, sicuramente si meritava molto più che le solite frasi fatte.
«Qui con noi abbiamo un'amica che vorrebbe dire due parole», disse infine osservandomi.
Mi alzai, sotto lo sguardo di tutti e sorpassando la sedia vuota che mi separava dalla navata che percorsi sicura di me. Arrivai davanti alla bara e posai la margherita che avevo trovato nel mio giardino incolto. Lo avevo trovato tutto trasandato, chiazze di fango si alternavano con piccoli ciuffi d'erba, ma sotto l'albero che avevo piantato con papà molti anni prima era nato quel fiore e l'avevo colto senza pensarci. Mi aveva ricordato Janet e la sua purezza in un mondo sporco come il nostro.
«Chi mi conosce sa che non amo parlare in pubblico. Non l'ho mai amato e mai l'amerò».
Sentivo gli sguardi di tutti su di me, soprattutto di Nath che non sapeva nulla di quello che mi aveva scritto Janet prima di lasciarci.
«Ma qui non si tratta di me, si tratta di Janet e lei amava parlare in pubblico, quasi quanto le piaceva che le persone facessero tutto quello che diceva».
Qualcuno sorrise più degli altri, ricordandola senza lacrime.
«Quando ho saputo che fosse malata non volevo crederci. Mi è letteralmente crollato il mondo addosso, travolgendomi e facendomi mancare la terra sotto i piedi. Mi ricordo bene quel giorno e credo proprio che non potrò mai dimenticarlo. Non le ho potuto nemmeno dire addio perché l'ho saputo tramite una lettera». Feci una pausa, cercando di ingoiare il groppo che avevo in gola.
«Come voi ben sapete, anni fa me ne sono andata da Park City e non ho mai guardato indietro. Anche se potrebbe sembrare una scelta egoista, non avevo alcuna intenzione di mantenere dei contatti, ma il mio piano è andato in frantumi proprio per colpa di Janet. La mia migliore amica, nonostante avessi messo migliaia di chilometri tra noi, ha preso il primo aereo e si è presentata davanti casa mia, in piena notte».
Sorrisi ricordando quella scena.
«Lei era semplicemente così: testarda, caparbia, ma soprattutto leale. Non ti avrebbe mai lasciato solo, non ti avrebbe mai allontanato. Persino nelle giornate più nere aveva il potere di contagiarti con il suo sorriso sincero, dolce, caloroso».
Nathan mi guardo con gli occhi inondati di lacrime e io gli sorrisi, asciugando una lacrima sfuggita al mio controllo. Dovevo essere forte, per la mia amica e per l'addio che si meritava.
«All'inizio non la sopportavo nemmeno», dissi lasciandomi andare ad uno sbuffo di risata. «Tutte le migliori amicizie cominciano così, no?»
Sorrisi ripensando alla sua caparbietà. «Era fin troppo perfetta per essere una ragazza. Non so se riuscite a comprendermi, ma quando il mio amico ha portato in compagnia la sua nuova ragazza, io sono rimasta sulle mie per parecchio tempo. Eppure Janet non ha mollato un attimo e nel giro di un paio di mesi è riuscita a convincermi non solo che sarebbe potuta essere una buona amica, ma soprattutto che era la ragazza giusta per uno dei miei migliori amici»».
Guardai Nath, lacrime incontrollate rigavano il suo viso.
«Si, Nath. Sei e rimarrai sempre l'amore della sua vita, come lei lo sarà sempre della tua. Perché non ho mai visto due persone tenere all'altro come voi, tenerci cosi tanto da rimanere assieme sempre, nonostante tutto e tutti. Perché non ho mai visto due persone volersi così tanto, giorno dopo giorno. Perché non ho mai visto due persone affrontare ogni difficoltà con tanta forza, con tanto rispetto, con tanta dedizione e soprattutto con così tanto amore. Perché grazie a voi ho capito cosa voglia dire trovare qualcuno che ti fa battere il cuore così forte da non avere bisogno di altro e ho capito cosa voglia dire riuscire a vivere una favola».
Lui mi sorrise, continuando a piangere.
«Grazie perché anche se questa favola non è stata a lieto fine, rimarrà sempre la mia preferita».
Fu esattamente in quel momento che lo vidi. Lo notai proprio lì, seduto infondo, all'ultima fila nel posto più esterno di tutti. Mi sentii come richiamare da quegli occhi verde smeraldo che mi stavano fissando con prepotenza.
I nostri sguardi s'incatenarono, come se non avessero aspettato altro per tutti quegli anni.
Quell'attrazione faceva male, era come bruciarsi con il fuoco. Perdersi in quel verde però, era allo stesso tempo paragonabile al paradiso.
Tutti scomparirono, rimanemmo io e lui. Sospesi nel vuoto di un tempo nostro, composto da tutto il tempo passato e da tutto il tempo perso.
Eravamo io e lui, ma eravamo ancora noi.
Sarei riuscita a riconoscerlo tra mille nonostante fosse cambiato non poco.
Quel completo nero, quella camicia bianca e la cravatta dello stesso colore della giacca erano ben diversi dagli abiti che mi ricordavo indossasse. I suoi capelli erano molto più lunghi rispetto al taglio alle orecchie che portava l'ultima volta in cui l'avevo visto, l'ultima volta in cui gli avevo detto addio.
Tornai nel presente con l'assurda convinzione che ci fosse lo zampino di Janet anche se non si trovava fisicamente lì con noi.
«lo non so cosa ci riservi la vita, ma so per certo che Janet non si meritava questo», continuai seria cercando di tornare in me. «Sono così arrabbiata con il mondo che è difficile non dire brutte parole durante questo discorso, ma non lo farò perché lei non voleva sentire pronunciare delle parolacce».
Liam e Nath si misero a ridere ricordando quanto Janet li rimproverasse quando giocavano davanti alla Playstation.
«Janet si meritava di vivere la sua vita, sorridere ogni giorno come solo lei sapeva fare e di contagiare tutti con la sua allegria e la sua voglia di cambiare il mondo. Lei era una forza della natura e spero che dovunque lei sia, ora abbia trovato la sua pace. Perché lei si merita tutta la pace del mondo», dissi ricacciando giù l'enorme groppo che mi si era formato all'altezza della gola.
«Perciò grazie per tutto quello che ci hai dato, che ci hai lasciato e che porteremo per sempre con noi. Insieme a te».
Partì un applauso non appena mi allontanai dal microfono, ma l'unica cosa di cui m'importava era l'aver almeno provato a dare un tributo a Janet.
«Grazie», disse Nath abbracciandomi non appena finì la cerimonia.
Gli sorrisi comprensiva di tutte le parole che non ci saremmo mai detti.
Il cuore improvvisamente prese a battere in maniera sconsiderata e non dovetti nemmeno voltarmi per percepire la sua presenza arrivare alle mie spalle. Il mio corpo continuava a reagire al suo come se tutti quegli anni di lontananza non fossero mai esistiti.
Nonostante il tempo, il silenzio, lo sentivo ancora parte di me. Infondo sapevo benissimo che lo sarebbe stato per sempre.
Si abbracciarono solamente, senza dire nulla. Erano sempre stati di poche parole loro due, nonostante Nath fosse un vero chiacchierone. Erano migliori amici da sempre ed era proprio grazie a lui che avevo conosciuto il biondo.
«Grazie per essere qui, so quanto tu sia impegnato e...»
Lo interruppe con un tono estremamente serio. «Non sarò mai troppo impegnato per te Nath. Mi dispiace, davvero. Avrei voluto essere qui molto prima di oggi, ma non ho potuto».
«Ogni volta che avevi un momento venivi a trovarci. Janet diceva sempre che ti disturbavi troppo», ricordò con un sorriso velato da malinconia.
Era tornato li? Da loro? Spesso? Ma soprattutto... lui sapeva?
Non potei fare a meno di rimanerci male. lo ero stata informata con una lettera e non avevo potuto dire addio alla mia migliore amica, mentre lui aveva potuto vederla, abbracciarla, consolarla, dedicarle tempo prezioso.
Due braccia mi cinsero i fianchi e s'incrociarono all'altezza del mio ombelico mentre delle labbra lasciavano un bacio sulla mia guancia.
«Scusami amore, ho fatto il prima che ho potuto».
Poggiai una mano sulla sua e sciolsi la sua presa, più infastidita che mai dal suo ritardo o forse intimorita dal fatto che lui potesse capire.
«Nath davvero mi dispiace, ma hanno annullato il volo e...». La sua voce si interruppe un attimo non appena si accorse di chi vi fosse accanto al biondo.
«Tybalt? Che ci fai tu qui?»
Lui non si scompose e il suo tono uscì glaciale.
«Al contrario tuo, io ci sono sempre per gli amici».
Mentre diceva quella frase però, il suo sguardo era fisso nel mio.
TYBALT - sei anni
Da quando mamma mi aveva lasciato lì dentro non ero ancora riuscito a parlare con nessuno. Avevamo cambiato casa solamente da pochi giorni e mi sentivo solo, tremendamente solo, senza nemmeno un amico.
L'unico che era rimasto al mio fianco era il mio orsetto e avevo il terrore di perderlo, così lo portavo sempre con me. Alcuni bambini mi avevano preso in giro, ma non gli avevo dato retta e mi ero allontanato da loro, ritrovandomi sempre più emarginato.
Più mi guardavo intorno e più vedevo bambini ridere, scherzare e abbracciarsi. Loro erano tutti amici, si rivedevano dopo le vacanze, mentre io non conoscevo nessuno e mamma se n'era andata, lasciandomi lì da solo.
«Come si chiama?»
Una bambina si mise davanti a me. Aveva i capelli neri, gli occhi chiari e aveva piegato
leggermente la testa iniziando a guardarmi con un'espressione strana.
«Non sai parlare?» continuò toccandosi il vestitino rosa.
Rimasi in silenzio. Volevo farmi degli amici, ma non ero poi così bravo. Mamma diceva sempre che nonostante fossi timido non c'era da vergognarsi perché voleva dire che chi fosse riuscito a farmi parlare sarebbe stato qualcuno di davvero speciale.
«Ci sei?» disse sventolandomi una mano davanti alla faccia.
Decisi di prendere coraggio. «Teddy», dissi infine.
Lei iniziò a ridere e quel suono era davvero bello, quasi quanto una delle canzoni che ascoltava la mamma alla radio la mattina mentre mi preparava la colazione.
«E un po' comune come nome, no?»
Misi il broncio. Teddy era l'unico amico che mi fosse rimasto e lei lo stava prendendo in giro.
«Scusami, non volevo farti stare male», disse sorridendomi, realmente dispiaciuta. «lo sono Camryn, ma tutti mi chiamano Cam!»
«Tybalt», dissi senza aggiungere altro. Non avevo nessuno che mi avesse ancora dato un soprannome.
«Hai un bel nome, ma è lungo». Fece una pausa assumendo un'espressione pensierosa.
«Credo proprio che ti chiamerò Ty!»
«Ty...», ripetei come incantato dalle sue parole.
«Ti piace?»
«Si!»
Lei sorrise. «Bene! Ora ti va di conoscere i miei amici? Puoi entrare nel nostro gruppo se vuoi. Mi sembri un tipo... ok!»
Lei mi sembrava davvero molto bella, ma non glielo dissi. Annuii solamente e la seguii, del tutto ignaro di come la mia vita fosse appena cambiata, per sempre.
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