Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

24. Chi vive, chi muore, chi racconta la storia

Cristiano era un uomo affascinante quanto audace. L'ardore della giovinezza lo pervadeva fino a luoghi reconditi dell'anima e, nel bel sembiante quasi femmineo per la sua grazia, non v'era nulla che paresse tratteggiato da mano inesperta.

La luna rischiarò il giardino odoroso, rifulse sui suoi capelli legati da un nastro nero. Egli avanzò verso di me, ansioso, e vidi la piuma sul suo tricorno oscillare, udii il fodero della spada tintinnare, dopo aver urtato sulla coscia la sua stessa cinghia.

I suoi passi svelti si fermarono dopo averlo portato dinnanzi a me.

«Oddio» esclamò, prendendomi entrambe le mani nelle sue. «Cirano, aiutami! Morirò, lo sento, se non mi fai rientrare in grazia!»

«Ah, bella!» replicai, in tono sarcastico. Il mio carattere irruente aveva per un istante messo da parte la poesia. «E come faccio a insegnarti qui, su due piedi?»

Cristiano mi lasciò le mani per giungerle in un gesto di preghiera.

«Ti prego, non essere feroce» mi domandò, e sul suo volto era dipinta quella disperazione che solo l'amore può indurre.

«Calmati, bestia, e parla un po' più sottovoce!» gli intimai. Non riuscii a trattenermi dal commentare tra me e me: «pare che costui non senta niente!»

Mi voltai di nuovo verso Cristiano che si struggeva. Ah, la belva contro cui non si può combattere, dolce e amara insieme, stringeva anche a me nel suo pugno. La mia signora crudele, però, aveva scelto Cristiano. A me il sogno dell'amore era stato proibito: avrei sublimato il mio animo aiutando il mio amico.

«Un modo c'è» spiegai. «La notte è nera e non si vede a un palmo dal naso, figurati se uno ha un naso come il mio. Se tu ti metti davanti, così...»

Mi posizionai dietro a Cristiano e continuai a guidarlo: «Un po' più a destra... ecco. In questo modo, lei non mi potrà vedere. Io me ne starò nascosto nell'ombra e ti suggerirò di volta in volta cosa dire. D'accordo?»

«Proviamo!» mi rispose lui, e poi mosse voce: «affacciati, Rossana, non mi dire di no!»

Il cuore mi si strinse: non mi sarei avvicinato a Rossana, ma il suono dei miei versi avrebbe sfiorato la sua bocca, come un bacio a fior di labbra. I suoi sospiri di rugiada si sarebbero alzati nell'aria, intrecciandosi ai miei, silenti.

Dal balcone uscì un angelo bianco, talmente lieve sui piedi che mi parve sul punto di spiccare il volo, così da lasciare la Terra imperfetta. L'ampia veste bianca racchiudeva la sua armoniosa figura, tanto che pareva una dalia in pieno fiore, ed ella teneva una mano sulla fronte, come se qualcosa quaggiù fosse per lei cagione di turbamento.

«Oh!» esclamò, in un lamento. «Voi non mi amate più... Andate via. A che vale affacciarsi, se mi parlate così?»

«Andiamo» dissi, in un sussurro, all'orecchio di Cristiano.

Lui si voltò e annuì, grave.

Di nuovo fremetti, come un fanciullo: le poesie che le avevo dedicato, le stesse che avevo poi nascosto in un cassetto chiuso a chiave, per dimenticare il mio peccato, scorrevano nella mia mente come il fiume scorre al mare. Impetuose, sciabordanti, si accalcavano sul chiostro dei denti e spingevano per venire fuori, tutte assieme e non una per volta.

«Ma tu non lo capisci che è proprio l'amore» attaccai, con grandi sospiri, diretto a colei che sarebbe stata la mia morte.

Cristiano assunse un atteggiamento da cavaliere, fece volteggiare una mano come se stesse per fare un inchino e scandì: «ma tu non lo capisci che è proprio l'amore!»

Oh, quanto era vile la mia parola che usciva dalle sue labbra volgari! Oh, quanto era vile il mio animo a pensare così dell'unica anima che m'era affine!

Me meschino, m'aveva assalito la stessa gelosia che rimproveravo agli altri, e non sapevo come espiare il mio peccato. Dovevo continuare, mi dissi, dovevo permettere a Cristiano di cogliere quel frutto che, alto sul suo trono di marmo, sembrava innalzarsi sempre più ogni volta che tendevo le dita.

«Che mi lega la lingua perché mi stringe il cuore» continuai, e ogni verbo era un sorso di fiele.

Il mio compagno si voltò verso di me con un plateale e gridato: «eh?»

«Ssh!» ribattei, senza riuscire a trattenermi.

Fellone, che fai! stavo per esclamare, ma ricacciai quella frase nel nero abisso della gola. Gli feci cenno con la mano di abbassare la voce, altrimenti la bella Rossana ci avrebbe sentito e, compreso l'inganno, "sarebbe scesa a dircene quattro", come avrebbe affermato Cristiano.

«Che mi lega la lingua perché mi stringe il cuore!» scandii di nuovo, un po' più forte, in modo che sentisse.

Cristiano, sempre con la sua posa eroica, ripeté in modo espressivo: «che mi sfrega la lingua, perché la sfinge muore».

Il raccapriccio s'impadronì delle mie viscere: mai le mie carte erano state insozzate da una tale onta. Mai nessuno, nemmeno gli stolti che osavano sfidarmi a duello, era arrivato a tanto!

Scossi la testa, in segno di disapprovazione per l'uomo che avevo accanto, e continuai.

«Le mie parole salgono, il cammino è più lento» recitai ancora, con enfasi poetica.

«Le mie parole salgono» disse Cristiano, poi si interruppe come preso dal dubbio, e riprese: «il camino s'è spento».

Alzai la testa, attonito e turbato. Sentii, sulla faccia, tutto il peso di quel naso sproporzionato, quella rocca, quella penisola, quel riposo per zampe d'uccelli, che recavo con me da quando ero nato.

Quando mi volsi verso i cespugli, il vento che ne agitava le foglie mi parve produrre lo scroscio d'una risata sguaiata. Con la coda dell'occhio vidi Rossana, e ne rimasi immagato. Ella fece qualche piccolo passo sul balcone, e si sporse verso di noi, per spinger più lontana la vista.

«Ma che dite mai?» esordì, stranita. «Forse non sento. Potete sul balcone salir, ma fate presto».

Ahimè! La mia poesia, calunniata in modo tale!

La mia parola, la mia professione d'eterna fede, che arrivava alle sue orecchie deturpata!

Poi, come da un sogno, d'un tratto mi destai. Mi resi conto d'esser burattinaio tramutato in burattino. M'avevano relegato dentro a un pupo che, persa la strada nella vita, non faceva che scompigliarsi.

Gli occhi di Rossana, belli, guardavano nell'ombra, e amavano Cristiano. Io ero amato per audita.

Sono più di questo, pensai, e quell'idea mi fece fremere di disgusto e di passione. Mi si presentò davanti una farsa, un gioco d'ingegno, come quelli dei servi di un tempo. Avrei rifiutato di portare avanti quel teatro, mi sarei voltato e sarei andato.

Ma, nella vita, io non andavo: io, col naso e con la spada, toccavo i miei nemici. Davanti a me combattevano aspro duello, il dramma dell'amore e la commedia della vita, ma solo io impugnavo il fioretto. Solo io ero il protagonista.

Ci sarebbe stato il momento in cui il sipario sarebbe calato – acta est fabula, plaudite! – ma la mia ultima battuta ancora doveva arrivare.

Io, Cirano, mi ribello, pensai. Io mi ribello a questa vita grama. Io mi ribello a chi l'ha scritta e a chi l'ha interpretata, a chi m'ha versato la boria nel cuore e a chi nell'ombra l'ha confinata.

Io, Cirano, io alto fattore mando tutto al diavolo. E a chi si lamenterà perché non era così lo scritto, ribadirò: vien fatta giustizia.

Non volevo più i sospiri d'amore: io desideravo l'invincibile risata. Così mi feci avanti, e di nuovo principiai, sottovoce:

«No! È così dolce! Appena ci si scorge tra noi».

Cristiano si inchinò davanti alla porta dell'amata, con mosse talmente ridicole da accrescere la mia ferocia.

«No! È così dolce!» le gridò. Poi proruppe in una risata sguaiata e imbarazzata che avrebbe dovuto distrarla, e a bassa voce si rivolse a me. «Che cosa hai detto?»

«Appena ci si scorge tra noi!»

«Appena vi si scorge, tra i buoi!»

Il vento mosse di nuovo le frasche. Rossana, scandalizzata dall'offesa, sussultò portandosi una mano a coprire le labbra.

«Ma quando mai parlaste in cotesta maniera?» esclamò.

Sentivo che, dentro me, qualcosa s'era scatenato, qualcosa che per anni aveva urlato senza essere sentito.

«Ma poi che cosa è un bacio?» gli suggerii, e il sapore di miele dei miei versi meglio riusciti mi riempì la bocca e m'irradiò l'animo.

E di nuovo la voce sacrilega di Cristiano salì, e con la sua sciatteria liberatoria colorò la notte.

«Ma poi, che cos'è un bacio?» ripeté, e fu come sentire la Vita Nuova grugnita da un maiale.

«Un bacio è un apostrofo rosa» annunciai e, con un piccolo slancio di egocentrismo, alzai quel tanto che bastava la voce, «messo tra le parole "T'amo!"». Rossana non avrebbe udito che un mormorio tra le fratte, e a sua insaputa le sue orecchie sarebbero state accarezzate dal mio amore per lei.

Cristiano si fece avanti tutto impettito: doveva aver intuito, pur nella sua rozzezza, che il pathos della mia poesia era giunto al suo culmine.

«Un bacio è un apostolo a Roma», sbraitò, «messo delle parole... annamo

Quelle parole sancirono la definitiva ira della dolce Rossana.

Con piglio sanguigno, si sporse dal balcone e strinse la balaustra nella sinistra. Poi slanciò in avanti il braccio, tenendo il palmo rigido e aperto in un gesto che nessun uomo al mondo mai equivocherà.

«Alla malora!» gridò con voce d'angelo vendicatore.

Sul viso di Cristiano s'aprì un grande sorriso felice, da innamorato vero.

«Baciamoci, allora!»

Per la gioia egli brillava talmente che una vampa di luce mi travolse, riducendo le mie pupille a due minuscoli punti-e-basta.

Prima che il sipario calasse, per annunciare la fine del primo tempo della commedia, vidi il pubblico applaudire, divertito: qualcuno mandava fischi d'approvazione, qualcun altro indicava la scena e ci commentava.

Lontano, oltre le ultime file, scorsi Davide. Si era appoggiato al muro, e aveva trovato un modo per tenere le stampelle sotto le braccia, così da riuscire a battere le mani.

Quando il suo sguardo incrociò il mio, sorridemmo.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro