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08. Giovani di belle speranze

Mi sporsi per guardare oltre la spalla del Netti, e vidi una ragazza che, timida, si era avvicinata ad Anita. Era piccola, sia di statura che di età: doveva essere al primo anno o al secondo, ma era davvero minuta. Indossava una felpa larga e dei semplici jeans chiari, l'unico suo tratto distintivo era un ciuffo rosa che spuntava da una capigliatura "alla maschiaccio".

«Sì...» cominciò la mia amica, senza aver ancora visto chi le aveva parlato. Non appena l'altra ragazza entrò nel suo campo visivo, il volto di Anita si illuminò.

«Ehi! Ciao!»

La ragazza dal ciuffo rosa ricambiò il sorriso e le strinse la mano.

«Ciao» rispose, con tono dolce. «Ti chiedo scusa, alla manifestazione non ci siamo neanche presentate... sapevo che eri della mia scuola, ma sono stata in dubbio fino a oggi se venire a parlarti o meno...»

La mia prima impressione si rivelò fondata: era una persona molto introversa, e forse intimorita dal fatto che fossimo più grandi di lei. Anita aveva la sua completa attenzione, e i suoi occhi non osavano soffermarsi nemmeno per un attimo su di me o sul Netti.

«Non scusarti!» le disse Anita. «C'era un sacco di gente, l'altro giorno, nemmeno a me è venuto in mente di dirti il mio nome. Io sono Anita, molto piacere!»

Mi resi conto che mi ero ipnotizzato guardandole, e distolsi lo sguardo per non apparire inopportuno. La dolcezza e la spontaneità di Anita mi colpivano al cuore, in una maniera che non sempre riuscivo a spiegare.

«Io sono Emma» rispose l'altra, sorridendo. Una fossetta tonda le comparve sulla guancia destra, facendola somigliare a una mela a cui avevano tolto il picciolo. «Sono in quinta A, e tu?»

Ecco confermata anche la mia seconda supposizione: era più piccola di noi.

«Noi siamo in seconda C» ribatté Anita, senza perdere quel tono rassicurante e gentile che la faceva sembrare una sorella maggiore. Era chiaro che Emma la vedeva come tale, anche se non sapevo cosa fosse successo durante la manifestazione, come si fossero incontrate.

«Questi sono Davide e il Netti, i miei migliori amici!» disse poi, riscuotendomi dai miei pensieri. Io e il Netti, coordinati come due campionesse di nuoto sincronizzato, alzammo una mano in cenno di saluto e abbozzammo un: «ehilà».

Osservai le due parlare del più e del meno, chiedersi che professori avevano e sghignazzare su quelli comuni.

Ogni tanto il Netti interveniva, dato che era per sua natura un animale socievole. Questo tratto del suo carattere gli aveva portato non poche sofferenze quando era stato costretto a confrontarsi con un rifiuto, o con le prese in giro dei nostri compagni.

Io, invece, preferivo starmene sulle mie, pur seguendo il discorso in silenzio. Controllai un paio di volte il telefono, ma non ricevetti nessun messaggio durante quella ricreazione.

Speravo andasse tutto bene.

Al suono della campanella, poco prima di separarsi dalla sua nuova amica, vidi Anita rivolgerle un gran sorriso. Gli occhi le si erano illuminati, come quelli di qualcuno che è stato colpito da un lampo di genio.

«Ah, Emma, dimenticavo! Per caso ti interessa il teatro?»

Gli occhi della ragazza minuta si spalancarono. Era chiaro che non si aspettava quella domanda, e sul momento ci rimasi anche un po' male: Anita non aveva nemmeno chiesto a me e al Netti se era il caso proporglielo. Però, era anche vero che avevamo poco tempo, e tanto valeva tentare. A parole me la cavavo bene, ma lei sapeva essere la più convincente del gruppo.

«Di che si tratta?» domandò Emma, incrociando le braccia al petto. Non capii, sul momento, se volesse assumere una posa rilassata o se volesse in qualche modo nascondersi.

«Siamo del gruppo di teatro di Mondini, ci incontriamo dopo scuola» le spiegò Anita. Una mezza verità.

«Ne ho sentito parlare...» mormorò Emma. «Avevo anche pensato di iscrivermi...» abbozzò un trepido sorriso, e poi alzò gli occhi sull'amica. «Sai, sono molto timida, ma mi piace l'arte! I miei compagni, però, dicono che Mondini è molto noioso e non ci sa fare con il teatro...»

«E hanno ragione...» si tradì Anita, cominciando ad arricciarsi sul dito una ciocca di capelli. «Il fatto è che, quest'anno, il Netti è stato incaricato di scrivere una commedia, quindi sarà qualcosa di completamente nuovo!»

L'espressione di Emma cambiò all'improvviso, tutto il suo viso si illuminò.

«Davvero?» esclamò. «E la scriverai tu?»

Si era messa direttamente davanti al Netti, con le braccia appoggiate ai fianchi. Notai un leggero rossore invadere le guance del mio amico.

«Sì... più o meno...»

«Che figata! Mi piacerebbe un sacco partecipare!»

«Già...» sussurrò il Netti, in maniera quasi impercettibile. Sentivo un imbarazzo denso come la nebbia della mattina pervadere l'atmosfera.

«Il fatto è», intervenne Anita, «che siamo ancora proprio all'inizio, e vogliamo cercare gente che potrebbe essere adatta a diverse parti. Quindi, che ne dici di venire a provare?»

Emma si ravviò il ciuffo rosa che le era finito davanti alle ciglia.

«Certo!»

«Sarebbe oggi alle due e mezza».

Emma accettò, in un modo che tradiva delle aspettative forse troppo alte per la faccenda. Avevo uno strano presentimento, dovuto al fatto che, in effetti, il gruppo di teatro del professor Mondini non aveva mai portato sul palco nemmeno una piccola recita. Ogni volta che lo chiedevo al Netti, lui glissava oppure cominciava a sproloquiare su argomenti tecnici relativi alla recitazione che sapeva che io non avrei ascoltato.

Nonostante i miei pregiudizi, quel pomeriggio alle due e mezza mi presentai puntuale in palestra, dove la compagnia si riuniva per le sue prove.

Mi ero anche portato una sciarpa alla Fellini, che indossavo sopra il chiodo, e un quaderno ad anelli per prendere appunti. Quando mi sedetti sulla sedia, facendo finta che la plastica scadente fosse in realtà della stoffa, e le gambe rachitiche di ferro fossero pieghevoli, mi accorsi che Mondini non c'era ancora. Ah, ci teneva così tanto che arrivava pure in ritardo.

Appoggiai il Papero a terra, accanto al mio piede destro, in modo che mi guidasse con la sua sapienza.

Vidi il Netti, coi capelli sciolti come una menade, sfrecciarmi davanti con passo saltellato e dirigersi verso Anita, all'ombra del canestro come Titiro all'ombra del faggio. Durante le lezioni odiava la palestra, dato che era teatro di prese in giro continue dei nostri compagni di classe che gli rinfacciavano il fisico scheletrico e lo scarso interesse per gli esercizi. In quel momento, tuttavia, sembrava aver subito una trasformazione totale. Sorrisi divertito nel pensare a come sarebbe potuto essere con addosso un fascio di muscoli alla Ken il Guerriero.

«Ciao» sentii provenire dalla porta. Una voce remissiva che avevo sentito poche ore prima.

Alzai gli occhi e vidi Emma, che era arrivata nello stesso momento di Mondini, avvicinarsi al mio trono.

«Ciao!» ricambiai, alzando una mano. Notai che portava a tracolla una borsa con i colori dell'arcobaleno. Questo significava che Emma era...?

Mi bloccai per un attimo, perso nei miei pensieri. Non che ci fosse niente di male, ma lo avevo sempre visto come una cosa... strana, fuori dall'ordinario. Però non stava bene chiederlo, insomma.

Distolsi l'attenzione dalla borsa, e proruppi in un: «come stai?» che speravo non sembrasse troppo goffo.

Prima che potesse rispondere, il professore prese la parola. Si passò una mano sui capelli radi, che gli coprivano a stento la testa su cui si riflettevano i neon della palestra, e si sistemò gli occhiali. Una folata di dopobarba scadente aggredì le nostre narici.

«Abbiamo dei nuovi acquisti, vedo» commentò, con la sua voce roca da fumatore. «Oh, Corbelli!»

Anita saltellò sulle punte, e assunse una buffa posizione d'attenti.

«Buongiorno!» ribatté, quasi cantando.

«Come sta il papà?»

Mondini, che di mestiere insegnava Italiano, non era mai stato un nostro professore, ma per uno strano caso del destino era venuto fuori a un'assemblea che lui e il padre di Anita erano stati alle superiori nella stessa classe. Poi, il signor Corbelli aveva trovato posto alle Ferrovie dello Stato, e lì era rimasto sino a quando era andato in pensione, ancora relativamente giovane per la media.

«Tutto bene, grazie!» rispose la mia amica, con tono affabile.

Mondini fece scontrare i palmi delle mani, come per esibirsi in un singolo applauso, ed esordì, con una delle sue battute di spirito vetuste:

«Bene, giovani di belle speranze!»

Non appena lo sentii, persi ogni voglia di vivere: il suo tono era piatto, noioso. E aveva pronunciato solo una frase. Avevo visto il Netti recitare, una volta, ed era davvero bravo. Non lo dicevo solo perché ero suo amico: lui ci metteva una sincera passione. Quindi il problema doveva essere altrove.

Vidi tutti i presenti disporsi in fila indiana davanti agli occhi del professore. Nell'ordine: il Netti, Anita, Emma, una ragazza bionda e magra come uno stecco con degli orecchini a cerchio troppo grandi, un ragazzo molto basso e dalla barba incolta e un tipo dall'aria del tutto anonima. In sintesi, a parte i tre che conoscevo, gli altri sembravano degli NPC di un videogioco generico, di quelli che possedevano solo qualche linea di dialogo e non ti assegnavano missioni secondarie.

«Tu, lì in fondo» mi raggiunse la voce di Mondini, «non vuoi venire a provare?»

«Oh, no, no, non fa per me» mi schermii, alzando il tono, dato che mi avevano detto che era un po' duro d'orecchi, assieme al quaderno che reggevo. «Io aiuto Netti prendendo appunti», spiegai.

«Certo, certo, va bene» replicò lui, con aria un po' delusa. Poi si voltò di nuovo verso i suoi studenti, e fece scontrare di nuovo i palmi delle mani.

«Dato che vedo facce nuove», continuò, «vi spiego un po' di cosa ci stiamo occupando. Il vostro compagno Serse ha intenzione di scrivere una commedia da far partecipare al concorso "Su il sipario!" di quest'anno».

Il Netti fece un passo avanti e io inarcai le sopracciglia, accostando la matita alle labbra. Non mi aveva detto che aveva addirittura intenzione di buttarsi su un concorso. Un po' azzardato ma competitivo: mi piaceva.

«Quindi ho affidato a lui la scelta del testo, per quest'anno, e mi sono accontentato di un posto da aiuto regista».

E censore, aggiunsi mentalmente. Sapevo che non lo faceva per cattiveria, ma il suo pudore era veramente ridicolo, qualcosa che nessun attore di teatro dovrebbe avere.

«Che cosa facciamo oggi, Serse?»

Il Netti si affrettò verso una sedia su cui aveva posato dei fogli stampati. Era chiaramente a disagio nel sentirsi chiamare per nome, ma di certo non poteva chiedere a un professore di non usarlo. Fra l'altro, il suddetto professore sembrava esibirsi in sforzi titanici per risultare più amichevole e avvicinarsi agli alunni.

«Ehm... la commedia è ancora in fase di scrittura» disse. Era quasi carino il modo in cui mentiva spudoratamente. «Quindi ho portato un testo su cui possiamo lavorare, per... vedere a che punto siamo».

Cominciò a distribuire una copia dei fogli che aveva stampato – quattro pagine, tenute insieme da una graffetta storta – a ciascuno di noi, compresi me e il professore.

Quando mi si avvicinò, notai nel suo sguardo una tacita preghiera che aveva una sfumatura molto vicina alla disperazione. Erano messi davvero così male?

Abbassai gli occhi e lessi il titolo dell'estratto di commedia che avevo sulle gambe. Le Rane di Aristofane: poteva risultare divertente.

Stavo per dirgli qualcosa, quando il telefono che avevo nella tasca dei jeans vibrò. Sussultai, e mi tastai subito ovunque, cercandolo. Quando lo trovai e osservai lo schermo, vi era comparso proprio il nome che aspettavo.

Nulla mi rendeva più inquieto del tempo che trascorreva tra il momento in cui ricevevo la sua chiamata e quello in cui rispondevo. Poteva essere una tranquilla chiacchierata pomeridiana come una vera e propria emergenza.

«Scusami» dissi al Netti, «devo rispondere un attimo».

Lo vidi fissarmi, trattenere una domanda e voltarsi di nuovo verso la sua improvvisata compagnia teatrale. Io portai il telefono all'orecchio e mi diressi verso la porta, per non disturbare.

«Pronto?»

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