Ottavo Capitolo
POV BESSIE
Mi svegliai con un mal di testa infernale tale che il mio cervello sembrava aver subito un totale black out. Non ricordavo niente di cosa fosse successo o di dove mi trovassi, né del momento esatto in cui avevo perso conoscenza. Era successo e basta, per qualche strano e assurdo motivo. Poi, i ricordi tornarono e fecero talmente male che avrei preferito tornare a vivere nell'oblio e aggrapparmi a una menzogna. Dan, il mio ragazzo, era morto. Colui con cui avevo intrapreso una relazione quasi per gioco e che poi mi aveva fatto passare la più bella estate della mia vita. Era morto anche Bruce, uno dei miei migliori amici, il ragazzo che abitava distante da me soltanto due isolati e che io conoscevo fin da quando eravamo bambini, quando avevo cercato di vendergli alcune barrette energetiche per conto degli scout. Ero durata poco tra loro, così come quelle schifose barrette. E Tamara era in pericolo. Dovevo aiutare la mia migliore amica.
Balzai a sedere e dovetti sorreggermi la fronte con una mano nel momento in cui un violento capogiro mi colpì. Il mio stomaco fece qualche capriola e io mi chiesi se fosse il caso di sporgermi verso il pavimento per vomitare lì piuttosto che sul letto in cui mi trovavo.
-Vacci piano, dolcezza - disse una voce, nella stessa stanza - hai preso una bella botta in testa, biondina. -
Mi voltai di scatto in quella direzione: seduto su una poltrona in fondo alla stanza, a fumare una sigaretta con le gambe accavallate, con tutta la tranquillità del mondo, c'era un uomo dall'aspetto elegante, con lunghi capelli scuri e un forte accento spagnolo. Lo riconobbi immediatamente come uno degli uomini presenti in chiesa, in particolare colui a cui Chris mi aveva affidata prima di trascinare Tamara al piano superiore. Ricordando tutto quello che era successo, il sangue, il fuoco, le urla, tutte quelle ragazze a terra morte, non potei fare a meno di indietreggiare sul letto, spaventata e con il desiderio di allontanarmi da lui.
Lui si alzò e sollevò le mani, come in segno di resa, per tranquillizzarmi, come se si trovasse davanti un animale selvatico. Come se fossi io quella pericolosa e non lui. - Ehi, stai calma. Non c'è bisogno di metterti sulla difensiva. Ecco, io ti ho salvato - mi sorrise, ma la sua espressione era tutt'altro che amichevole e io non mi ero dimenticata ciò che lui e il suo amico ci avevano fatto.
-Non avvicinarti - ringhiai.
L'uomo rise e continuò a venire verso di me, per niente preoccupato. - Altrimenti? Cosa mi fai? Mi dai un graffietto con quelle unghie smaltate di rosso? -
Con uno scatto fulmineo mi afferrò gli avambracci e mi sollevò con forza dal letto, premendomi a sé. Io non potei fare niente per impedirlo, mi sollevò come se fossi priva di peso. Il suo volto era vicinissimo al mio e quando tese le labbra in un nuovo sorriso vidi i canini spuntare dalla sua bocca. Non capivo ancora bene cosa stesse succedendo, cosa significasse, se i miei occhi mi stessero soltanto giocando un brutto scherzo. Eppure ero troppo terrorizzata per fare o evitare qualunque cosa, così voltai la testa di lato, cercando di allontanarla da lui, ma così finii per mettere in mostra il collo. Lo vidi avvicinarsi e il pensiero che potesse mordermi e bere il mio sangue mi fece inorridire. Ma cosa stava succedendo? Stavo forse sognando? Ero finita in un incubo incredibilmente vivido? Sentivo il suo alito caldo accarezzarmi la carne e le forze venire meno. La mia testa si piegò all'indietro contro la mia volontà, esponendo la gola alla sua bocca. Ero ormai certa che mi avrebbe morsa e mi chiedevo se così facendo mi avrebbe trasformata in un mostro come lui, quando la porta si spalancò e qualcuno fece capolino.
-Lasciala andare, Carlos. Ti avevo espressamente detto di non toccarla. -
Carlos mi allontanò da sé, continuando a tenermi per le spalle. - Un morso le avrebbe fatto bene, e anche a me. Non l'avrei mica dissanguata. -
Io ero sconvolta. Le parole usate dall'uomo, "morso" e "dissanguata", non facevano altro che confermare le mie paure e, anche se tutto ciò era semplicemente impossibile da accettare, sconvolgente oltre ogni limite, non potevo ignorare ciò che avevo proprio davanti agli occhi. Potevo comportarmi da sciocca, fingere che non stesse succedendo davvero, ma a cosa sarebbe servito? Si sarebbe trattato soltanto di un'illusione. Che senso avrebbe avuto? Mi avrebbe aiutata a salvarmi forse?
-Non voglio farti del male - mi disse Chris, facendo un passo avanti verso di me - sei viva grazie a noi. -
-Grazie a me, in realtà - intervenne Carlos.
Io guardai entrambi con espressione inorridita. - Voi mi avete rapita! Tenuta imprigionata per giorni. E poi... E poi... - una morsa alla gola mi impedì di proseguire, sembrava stringersi sempre di più senza volere mollare la presa. Alla fine però esplosi, liberandomene con uno strattone. - Avete ucciso il mio ragazzo! Il mio migliore amico! -
Chris alzò le braccia in segno di resa, compiendo però allo stesso tempo un altro passo verso di me. - Be... -
-E avevate intenzione di uccidere anche me. -
-Sì, be, hai ragione. Non è stato gentile da parte mia, mi dispiace. Ma ora è tutto passato, giusto? Non ho più alcun bisogno di ucciderti ora. Anzi, mi servi molto di più da viva. -
Il tono di Chris non sembrava minimamente dispiaciuto e, anzi, quasi divertito. Nonostante il suo modo di accantonare il tutto come un semplice "sbaglio" mi avesse irritata oltre ogni misura, le sue ultime parole mi avevano anche spaventata, e molto. Avevo una paura folle. Paura di morire. Paura che mi aprissero la gola proprio come avevano fatto a Bruce e Dan. E il dolore... Oh, il dolore. Era così forte da essere insopportabile, peggiore di qualsiasi dolore fisico avessi mai provato. Quello del proprio cuore che è stato fatto a brandelli e che non sarà mai più lo stesso.
-Dov'è Tamara? - chiesi.
-Sicura che sia questo ciò che vuoi sapere? Forse prima dovresti andare per ordine. Chiedermi, ad esempio, cosa siamo io e Carlos. -
Strinsi i pugni lungo i fianchi e ignorai le sue parole, ripetendo la mia domanda. - Dov'è Tamara? -
-D'accordo, come vuoi - si poggiò con disinvoltura contro il muro, le braccia piegate sul petto. - È stata rapita da un branco di lupi mannari di Caracas. Non un branco qualsiasi in realtà, ma il branco guardiano. La Melena Dorada guidata dall'alpha Leo Teràn. -
Ebbi pochissimi secondi per decidere quale reazione avere. Conoscendomi, mi sarei aspettata di vedermi gridare, scappare e nel frattempo piangere, ma con mia sorpresa non feci niente di tutto ciò. Le sue parole mi sconvolsero, certo. Mi portarono a credere di stare sognando, di essere finita in un incubo e che presto mi sarei svegliata. Ma il ricordo di Dan, della sua morte e quella di Bruce, era ancora troppo vivido nella mia mente per pensare che fosse davvero così. Eppure mi serviva una prova. Così abbassai lo sguardo sui miei vestiti, e vidi che erano macchiati del suo sangue. Ricordavo bene che, dopo che quel ragazzo che mi stava di fronte gli aveva aperto la gola come se affondasse un coltello nel burro, mi ero subito gettata accanto a Dan e avevo cercato di fermare l'emorragia. Il sangue che usciva a fiotti dallo squarcio sul collo. Naturalmente era stato del tutto inutile ma le mie mani portavano ancora i segni di quel vano tentativo: i palmi erano stati ripuliti, ma sotto le unghie riuscivo a scorgere un sottile strato di sangue secco. Il sangue di Dan.
Tornai al letto e mi sedetti, la mano contro la fronte. Temevo di svenire. Visto e considerata la situazione, ero fin troppo calma. Con una certa sorpresa, mi resi conto di essere rassegnata. Anch'io sarei inevitabilmente finita come Dan e Bruce. -Perché non la facciamo finita?- chiesi -tanto mi ucciderete in ogni caso.
Entrambi si voltarono verso di me. Il ragazzo più giovane era quello che mi aveva rapita, di cui ora ricordavo ogni cosa. Era venuto la notte prima e si era introdotto in camera mia. Contro ogni aspettativa io non avevo urlato, perché una volta guardati i suoi occhi blu scuro profondi come la notte, mi ero sentita annegare. Priva di ogni forza. Mi aveva detto di fingere di avere la febbre e di non andare a scuola il giorno dopo, e io, contro ogni previsione, l'avevo fatto davvero. Quando mia madre era uscita alle nove per andare a lavoro, lui era di nuovo entrato in camera mia e mi aveva ordinato di dormire. Poi mi ero risvegliata chiusa a chiave in una stanza con Dan e Bruce, sotto la supervisione dell'altro uomo dall'accento spagnolo.
-Io non voglio ucciderti, in realtà. Non più, Bessie.
-E perché mai? - chiesi -non è per questo che ti sei intrufolato in camera mia e mi hai rapita? Proprio come hai fatto con Dan e Bruce?
-Allora te lo ricordi - mi disse.
Non risposi, mi limitai a guardarlo.
Lui capì che non avrei detto altro sull'argomento, quindi tornò sui suoi passi concentrandosi nuovamente sulla discussione precedente. -La verità è che sei diventata molto più utile e preziosa da viva di quanto tu non saresti da morta. Questa è una cosa buona per te, Bessie. Non ti piacerebbe rivedere Tammy?
A sentire il nome della mia migliore amica, non potei fare a meno di strabuzzare gli occhi e sentii il cuore cominciare a battermi più forte nel petto. A Chris non sfuggì la mia reazione, così lo vidi sorridere con soddisfazione. Aveva uno strano luccichio negli occhi capace di terrorizzarmi. -Questo direi che è proprio un sì. E indovina un po'? Anch'io voglio rivederla. E tu mi aiuterai.
Mi ritrovavo rinchiusa lì da settimane. Quale fosse lo scopo per il quale fossi ancora viva, che cosa volesse ottenere Chris dalla mia presenza, mi era del tutto sconosciuto. Sapevo solo che, chissà come, avevo scoperto di essere finita in Messico, nella casa dell'uomo che mi aveva tenuta già prigioniera in passato, che doveva chiamarsi Carlos. Per ironia della sorte, mi avevano messa nella stessa stanza in cui, a quanto pare, tempo prima era stata anche Tamara. Riuscivo a immaginarmela lì, seduta sul davanzale interno della grande finestra in fondo, con un libro aperto sulle gambe, a leggere. Questo mi aiutò a percepirla più vicina e a farmi sentire meno sola.
Passai quei giorni nella solitudine più totale. Chris non era mai a casa, diceva di uscire per svolgere importanti affari e io sospettavo che il motivo fosse proprio la ragione per cui stavo ancora respirando. Avevo temuto che Carlos avrebbe cercato di nuovo di mordermi, qualunque cosa potesse significare, ma lui non ci provò mai. Neanche mi avvicinò. Chris mi voleva viva e perfino Carlos capiva che doveva essere importante. Perciò mi portava da mangiare, ci scambiavamo un solo sguardo nel momento in cui mi porgeva il vassoio, e poi tornavo alla solitudine di sempre. Il tempo trascorreva in maniera estremamente lenta e io avevo troppo tempo per pensare.
Pensare a Dan. Al modo in cui era morto. E anche al mio migliore amico Bruce. E in quei momenti non riuscivo a trattenere le mie emozioni, mi sdraiavo sul letto e premevo il viso sul cuscino, inondandolo di lacrime. Mi sembrava di piangere da tutta la vita. Di non aver mai smesso da quando era morto mio fratello in quell'incidente stradale.
Si chiamava Joe.
Mia madre non ne parlava mai e neanch'io. Insomma, non l'avevo mai detto neanche alla mia migliore amica. Neppure al mio ragazzo. Bruce era stato l'unico al di fuori della famiglia a saperlo e, nonostante stesse con Tammy, aveva mantenuto il mio segreto e io gliene ero sempre stata grata. La verità era che io mi sentivo in colpa per la sua morte. Proprio come cominciavo a sentirmi verso quella di Dan e Bruce.
Quella sera di due anni prima stava piovendo a dirotto e i miei genitori avevano litigato per l'ennesima volta. Sapevo bene che il motivo per cui non mettevano semplicemente fine al loro matrimonio ero io, dal momento che Joe era ormai maggiorenne e lavorava in una fabbrica. Io dicevo sempre che non l'avrei mai sopportato. Così, sapendo quanto quelle litigate ogni volta mi sconvolgessero, Joe si era messo in macchina nonostante il brutto tempo per portarmi via da lì. Un breve viaggio in macchina per aspettare che le acque si calmassero. Solo che, non ricordavo neppure più come, anche noi avevamo finito per litigare. Gli avevo gridato che neanche a lui importava di me, proprio come non importava ai miei genitori, e che mi avrebbe lasciata, mi avrebbe abbandonata, perché aveva una sua vita. Lui si sarebbe preso un appartamento e se ne sarebbe andato di casa, perché avendo un lavoro poteva permetterselo, e io sarei rimasta completamente sola. Urlavo così forte e la pioggia batteva con violenza contro il vetro. Joe mi aveva guardata, aveva cercato di tranquillizzarmi, di dirmi che non mi avrebbe mai abbandonata. Ma io non lo ascoltavo, gridavo e avevo cominciato a colpirgli il braccio con i pugni. A nulla erano serviti i tentativi di mio fratello di calmarmi, poi la macchina aveva slittato improvvisamente di lato, invaso la corsia opposta, compiuto un giro su se stessa e poi si era rovesciata su un fianco, finendo fuori dalla carreggiata in un fosso in mezzo agli alberi. Io mi ero risvegliata in un ospedale con un braccio rotto e numerose contusioni un po' ovunque, su tutto il corpo, ma io ero ancora viva. Mio fratello no. Lui era morto sul colpo.
L'incidente e la morte di mio fratello avevano causato definitivamente la fine del matrimonio tra i miei genitori. Mio padre se ne era andato e, sebbene mi chiamasse ogni tanto, si era allontanato in modo indelebile da me, e sospettavo che dentro di sé mi incolpasse della morte di Joe. E aveva ragione. Probabilmente anche mia madre pensava lo stesso, ma non me l'aveva mai fatto pesare. Sapeva che mi sentivo già in colpa di mio e per questo evitava di parlare di mio fratello. Ma lui era sempre lì, una presenza costante a ricordarmi la mia più grande colpa.
E ora era morto anche Dan. E anche Bruce.
Qualcosa mi attendeva, così mi aveva detto Chris. Qualcuno sarebbe venuto a prendermi se mi avessero accettata come moneta di scambio. Non sapevo chi sarebbe stato o cosa potesse volere da me, e cosa c'entrasse tutto quello con Tamara. Ero consapevole soltanto di quanta paura avessi e di quanto anche quella flebile speranza di essere liberata, come una principessa rinchiusa in una torre, prigioniera di un drago, da un cavaliere in armatura scintillante, mi permetteva di resistere ancora. Anche se non era facile. Anzi, tutto il contrario.
Mi rannicchiai in posizione fetale sul letto, come se in quel modo potessi proteggermi dal dolore ed esso potesse semplicemente sparire. Ma lui era ancora lì, presente e costante, a ricordarmi che io ero ancora viva. Al contrario delle persone che più avevo amato nella mia vita.
~ Angolo autrice ~
Eccomi con un nuovo capitolo! Lo so, vi aspettavate di trovare Tamara e Derek, visto come vi ho lasciati l'ultima volta. Ma dovreste sapere che gli autori si divertono a lasciare i lettori in sospeso in questo modo xD Inoltre, vi aspettano molte cose interessanti che riguardano proprio Bessie, che per questo sarà la seconda narratrice insieme a Tamara. Spero che la scelta non vi dispiaccia e che la sua parte vi incuriosisca. È un personaggio che a me piace molto e che ha davvero tanto da dare. L'unica rimasta di Bannack. Fatemi sapere cosa ne pensate e, se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stellina e un commento. A presto!
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