Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Diciassettesimo Capitolo

POV BESSIE

Era stata una settimana piuttosto impegnativa, orribile sotto ogni punto di vista. Con la morte di Dan e Bruce il sindaco aveva proclamato il lutto cittadino e a Bannack si respirava proprio un'aria di desolazione che rifletteva perfettamente il mio stato d'animo. A scuola, fu organizzato un concerto in onore di Bruce e, sebbene il mio ragazzo si fosse diplomato già un paio di anni prima, ricordarono anche lui. In molti si espressero a riguardo ed ebbero una parola gentile per ricordare due ragazzi che avevano percorso quei corridoio e si erano seduti su una di quelle sedie.

Può sembrare strano, ma la settimana trascorse in fretta. Ebbi il tempo di fare visita ai genitori di entrambi, restai a pranzo e a cena e, sebbene il mio cuore fosse a pezzi come il loro, mi occupai di cucinare, di lavare i piatti e di rispondere alle numerose lettere di condoglianze che ricevettero. Anche il cimitero diventò una tappa fondamentale della mia vita in quei giorni, mi ci recavo per portargli dei fiori, per parlare con loro e per sentirli di nuovo vicini. Ebbi poco tempo per stare ferma e, sebbene le attività che mi tennero occupata erano semplicemente orribili e deprimenti, mi aiutarono almeno in parte a tenere a bada quel lutto. Erano passati mesi e, volente o no, avevo bisogno di superare la mia perdita, o per lo meno accettarla, e andare avanti.

Quando quel fine settimana mi recai al cimitero, comprai dei fiori in più all'ingresso e mi recai in un punto in cui mai ero passata in tutti quegli anni: alla tomba di mio fratello.
Joe aveva un sorriso luminoso sulla foto posizionata sulla sua lapide, con i capelli biondo scuro così simili ai miei sparati sulla testa, le fossette pronunciate e quelle rughe particolari e tenere che gli incorniciavano gli occhi ogni volta che sorrideva. Accanto a lui, incise sulla pietra, c'erano queste parole: Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta. A un figlio, un fratello e un amico molto amato. Fiori di ogni tipo e colore circondavano la tomba, freschi e ancora bellissimi, a mostrare come mia madre si recasse spesso lì per ricordare il suo primogenito. Mentre io, da quando era morto due anni prima, non c'ero stata neppure una volta. Il dolore era ancora troppo forte, sordo, implacabile. Non avevo potuto assistere al suo funerale perché ricoverata in ospedale e per me era stato un sollievo. Con che coraggio mi sarei potuta presentare lì, se ero stata io a ucciderlo? Eppure eccomi.

Mi chinai sulle ginocchia e tolsi dai vasi i pochi fiori che avevano ormai cominciato ad appassire, sostituendoli con i nuovi che avevo comprato poco prima. Poi posai una mano sulla sua foto, tremando, e quasi mi sembrò di sentire la sua risata in lontananza. Era passato così tanto tempo, eppure sembrava soltanto il giorno prima. Mi ero domandata più volte in passato se esistesse o no qualcosa dopo, un luogo privo di dolore, lontano da spazio e tempo, in cui un giorno avremmo rivisto le persone care che avevamo perso e ora più che mai volevo crederci. Ne avevo bisogno. Immaginai Joe che accoglieva Bruce e Dan, per me, e a quel pensiero sorrisi.

Quando tornai a casa era quasi buio. Mia madre era appena tornata da lavoro e stava osservando con espressione accigliata l'interno del frigo.

-Cerchi un tesoro lì dentro? - chiesi, cercando di sembrare allegra. Speravo non mi chiedesse dove fossi stata perché non volevo dirle la verità, avrei dovuto mentire ma lei se ne sarebbe immediatamente resa conto.

-Ho finito molto tardi a lavoro e mi sono accorta soltanto di ora di non avere fatto la spesa ieri, perciò non abbiamo niente con cui cenare oggi - richiuse lo sportello con uno sbuffo - ti va se ordiniamo del cibo cinese?

-In realtà non ho fame - le diedi le spalle e mi diressi in camera, prima che potesse rimproverarmi o peggio, convincermi - perché non chiami Linda e la inviti a cena? È da tanto che non la vedo.

Entrai in camera e mi chiusi la porta alle spalle, gettando la borsa sul letto. Mi sentivo stanchissima ma allo stesso tempo sapevo che non sarei riuscita a chiudere occhio. Non prima di molto tempo. Decisa almeno a provarci o a rilassarmi, infilai le mani sotto il cuscino per prendere il pigiama ma, ancora prima del tessuto, le mie mani sfiorarono un pezzo di carta. Rimasi immobile per qualche secondo, inarcando le sopracciglia, poi le mie dita estrassero quel piccolo quadratino tutto ripiegato su se stesso e lo aprirono con decisione, impazienti. Già alla prima riga capii chi era stato a lasciarmelo.

"Cara B.,
Iniziare un biglietto così mi fa sentire vecchio. Perciò cercherò di assumere un tono più mascolino. Io e te, stanotte, alle nove, al parco dall'altra parte della strada per un gelato. Non accetto un no come risposta."

Lanciai un'occhiata all'orologio appeso alla parete e vidi che erano le otto e mezza. Avevo a mala pena una mezz'ora per prepararmi, ma non riuscii a trattenere un sorriso. Non ebbi bisogno di pensarci su. Gabe mi faceva stare bene e mi capiva. Comprendeva il mio dolore e non tentava di psicoanalizzarmi. Tenni i jeans scuri ma cambiai la maglietta, che era sudata e più adatta a un giro nei cimiteri. Mi detti una rapida sciacquata sotto il lavandino, mi lavai i denti anche se l'avevo già fatto e indossai una leggera blusa rosa cipria. Non mi truccai, perché temevo di scoppiare a piangere, ma ammorbidii le labbra con un burro cacao alla ciliegia.

Quando uscii dalla mia stanza, notai che mamma aveva sistemato il tavolino con vassoio, tovaglioli, bicchieri alti e una bottiglia di vino. - Hai ordinato il cinese? - le chiesi afferrando il cappotto all'entrata.

-Sì e ho chiamato Linda. Dove vai? Non resti a farci compagnia?

-In realtà sto uscendo - le rivolsi quasi uno sguardo di scuse - mi hanno invitata a prendere un gelato e...

-Ma certo - profonde rughe di preoccupazione le solcavano fronte e occhi, simili a quelli di Joe - solo... Fai attenzione.

Era difficile per lei, lo sapevo. Forse anche più di quanto non fosse per me. Le promisi che sarei stata attenta, la baciai sulla fronte e uscii di corsa, facendo gli scalini due alla volta perché già in ritardo, ma sperando di non scivolare e finire per farle rotolando. Per fortuna il parco distava molto poco dalla palazzina in cui abitavo. Mi bastò attraversare la strada e superare il marciapiede per trovarmi in prossimità della ringhiera che correva tutto intorno al perimetro, e nella penombra raggiunsi il cancello ancora aperto. Il custode sarebbe passato a mezzanotte a chiuderlo, perciò avevamo ancora un po' di tempo. Faceva freddo, perciò mu strinsi nella giacca in pelle, mentre un leggero ma gelido venticello mi scompigliava i capelli dalle punte arricciate.

Mi guardai intorno alla ricerca di Gabe. La luna era molto luminosa quella sera perciò i contorni dell'interno del parco erano abbastanza nitidi, ma non vidi il ragazzo. Lo cercai a lungo con lo sguardo, ma alla fine mi fermai al centro di una piazzola, quasi scocciata, guardandomi intorno. Avevo corso di fretta per nulla. Non avevo neanche il suo numero di telefono per contattarlo. Tolsi dalla tasca il mio smartphone e osservai lo schermo, quasi aspettandomi di trovarci un suo messaggio, anche se era impossibile. Poi due mani aperte mi si posarono sugli occhi, impedendomi di vedere. Sentii profumo di salsedine e pini.

-Eccoti, B.

Io sorrisi e Gabe mi lasciò andare, permettendomi di voltarmi verso di lui. Era vestito completamente di scuro, ma sotto la giacca scorsi sulla maglietta di cotone un omino verde, piccolo e tozzo con le orecchie a punta, che grazie a Cedric sapevo essere il maestro Yoda di Star Wars.

-Non sono le ragazze quelle che si fanno aspettare? - gli chiesi.

-Infatti mi hai fatto aspettare, B. - mi rispose, infilandosi le mani in tasca - mi sono preso la mia rivincita.

Gli sorrisi e lui ricambiò. Poi rimanemmo entrambi in silenzio per lunghi e interminabili secondi e mi resi conto che la situazione stava diventando quasi imbarazzante. - Oltre che a far aspettare le ragazze - mi decisi a dire - sei anche solito infiltrati in camera loro dalla finestra e lasciare bigliettini minatori sotto i cuscini?

Gabe non riuscì a trattenere una risatina sincera. - Solo a quelle che mi piacciono. Ora vieni, o congelerai. Più che un gelato, ti consiglio una cioccolata calda.

Camminammo per buona parte del parco fino a sbucare all'ingresso opposto rispetto a quello da cui ero entrata, e Gabe mi accompagnò con le mani infilate nelle tasche dall'altra parte del marciapiede, in un locale dall'aria semplice ma accogliente. Nella vetrina esterna, in un dorato corsivo elegante, vi era il nome: Cream and Chocolate. C'ero stata spesso in passato, insieme a Tammy e Bruce, e non avevo avuto l'occasione di portarci Dan. Ero contenta di tornarci dopo tutto quel tempo e qualcosa di dolce mi avrebbe fatto bene.

All'interno i tavoli erano piccoli e rotondi, coperti da tovagliette di carta colorata, e su ognuno di essi vi era una polaroid, con la quale era possibile scattare una foto istantanea da portare via come ricordo. Le sedie erano imbottite con morbidi cuscini circolari color panna e distributori di fazzoletti con ricamati cuori rosa erano sistemati su ogni superficie. La radio diffondeva nell'ambiente attraverso gli altoparlanti una melodia dolce e confortevole, armoniosa, capace di farti sentire a casa. Io e Gabe scegliemmo un tavolo accanto alla vetrina che, rimasta scoperta grazie all'assenza di tende, permetteva di osservare l'esterno, il via vai di persone e auto che attraversavano le vie di Bannack. Appesi la borsa allo schienale della sedia e mi sedetti, liberandomi della giacca. A quell'ora c'era poca gente ma a me non dispiaceva. Apprezzavo quella tranquillità e avevo intenzione di tirare fuori un discorso piuttosto importante con Gabe. Sospettavo lo sapesse anche lui e che mi avesse portata lì per farmi sentire più a mio agio. Ma non ero spaventata, non esattamente.

- Non sono mai venuto qui - disse Gabe afferrando un menu bianco, mentre io ne prendevo un altro rosa confetto - Tammy me ne ha parlato e Isaac anche, ma non ne ho mai avuto l'occasione. Hai qualcosa da consigliarmi?

- Dipende da quanta fame hai - scorsi il menu e sorrisi tra me e me, ripensando alla quantità ingente di cibo che Bruce era solito ordinare lì per placare il suo appetito - io credo che seguirò il tuo di consiglio e prenderò una tazza di cioccolata calda bollente, con doppia dose di panna.

- Soltanto della cioccolata? Non dirmi che hai già cenato o venire fino a qui è stato uno spreco.

-In realtà no, ma non ho fame - mi morsi il labbro, davanti alla sua espressione accigliata, e decisi di essere sincera - in questo periodo il mio stomaco è chiuso da un nodo stretto e doloroso.

- Posso capirlo, ma hai bisogno di mangiare. Sei pallida e devi recuperare ciò che hai perso in questi mesi. Ci sarà qualcosa in questo delizioso menu capace di farti venire l'acquolina in bocca.

Sospirai. - E va bene - diedi una rilettura al menu, sebbene ormai lo sapessi quasi a memoria, e alla fine optai per due pancake cosparsi di lamponi e mirtilli oltre alla cioccolata, mentre Gabe prese una cheesecake alle noci e al caramello e una spremuta d'arancia. La cameriera non ci mise molto ad arrivare e a prendere le nostre ordinazioni. Era piuttosto giovane e portava i capelli scuri legati in una coda alta, facendo risaltare dei lunghi pendenti alle orecchie. Ci sorrise ritirando i menu. - Ci sono un paio di persone prima di voi, ma arriveremo il prima possibile. Sono circa 20 minuti.

Quando se ne fu andata mi voltai a guardare Gabe, che aveva iniziato a sgranocchiare delle chips portate per l'attesa, e decidi di prendere l'iniziativa. - Dove hai imparato a farlo?

-Che cosa? - mi chiese lui, ma sospettavo sapesse già a cosa mi riferissi.

-Quello che hai fatto alla stazione di polizia - mi imposi di fissarlo dritto negli occhi e lui fece altrettanto - l'ipnosi.

- L'ho imparato da solo. So farlo da sempre, ma è una tecnica che ho affinato nel tempo. Con la pratica.

Rimasi in silenzio per un po', registrando le sue parole. Poi indicai con un cenno della testa la cameriera. - Saresti in grado di usarla qui e adesso? Su di lei?

L'altro mi guardò sorpreso, ma un sorrisetto contorse le sue labbra. - Che cos'hai in mente?

Scrollai le spalle. - Dille di servire noi prima delle altre persone, anche se sono qui da più tempo. Dille che vogliamo le nostre ordinazioni prima dei venti minuti.

Gabe si accomodò meglio sullo schienale, osservandomi con attenzione. - A cosa ti serve questo? Mi hai visto farlo alla stazione di polizia.

-Voglio che tu lo faccia un'altra volta. Voglio vederlo di nuovo. Per favore.

Alla fine Gabe acconsentì. Alzò un braccio e fece cenno alla cameriera di avvicinarsi e, quando lei si accostò al nostro tavolo, lo vidi sedersi meglio sulla sedia e i loro occhi incrociarsi. Anzi, forse il termino esatto è incatenarsi. Come due calamite che vengono irremediabilmente attratte l'una all'altra. - La dolce fanciulla seduta davanti a me ha fame e non ha voglia di aspettare. Le dispiacerebbe essere così gentile da servire prima noi? Il più in fretta possibile se non le è di disturbo. Prima di venti minuti, direi.

La voce vellutata, che accarezzava ogni singola parola con la dolcezza di un bacio a fior di labbra, mi fece venire la pelle d'oca. Ne avvertii il potere e ne fui tanto spaventata quanto affascinata. Ma a farmi paura non era il fatto in sé quanto ciò che poteva significare.

La ragazza non batté ciglio ma la sua voce arrivò molto lontana, come da dentro un sogno. - Ma certo, subito. Non vi farò aspettare che un paio di minuti.

E sparì dentro la cucina.

Gabe si voltò a guardarmi con un sorriso compiaciuto, aspettando la mia reazione. – Allora? Soddisfatta?

- Lo sarò quando tornerà con i pancake e la cheescake.

L'altro scrollò le spalle, indifferente. Poi la sua espressione cambiò, si fece più dolce. – Come stai?

In tanti mi avevano posto quella stessa domanda in quei giorni e ogni volta non avevo saputo cosa rispondere. Non c'era una vera risposta, perché le persone volevano sentirsi dire soltanto una cosa, perché in caso contrario non avrebbero saputo come comportarsi. Ponevano quel interrogativo soltanto per educazione, per semplice gentilezza. Ma non volevano davvero una risposta. Gabe però era diverso.

- Me la cavo – risposi, optando per una mezza verità – ho avuto tutti questi mesi per pensare, chiusa in una stanza, prigioniera di Chris. Ora ho avuto la possibilità di chiudere quel capitolo della mia vita ma non so che cosa farò adesso.

- Adesso ricominci a vivere. Potrai fare tutto ciò che vuoi e io ti aiuterò in questo.

Rimasi a guardarlo a lungo: la forma della mascella così delicata per essere un uomo, gli occhi grandi così simili a Tammy, di un verde intenso, e i capelli scuri disordinati sulla testa, come se non avessero mai visto nella loro vita una spazzola. - Perché mi stai aiutando? Non mi conosci così bene.

Gabe parve spiazzato da quella domanda ma si riprese in fretta. – Sei la migliore amica di mia sorella. Lei lo vorrebbe.

- È soltanto questo il motivo? – pronunciai quella domanda quasi in un sussurro.

Gabe si chinò in avanti su di me, facendomi mancare il fiato. Il mio cuore perse un battito quando si poggiò sui gomiti al ripiano del tavolo e si sporse, allungando una mano e sfiorandomi una ciocca di capelli. Sentii il mio stomaco ritrovarsi sottoposto a una pressione che non provavo da tanto, lo avvertii torcersi in preda alle emozioni. Quel momento sembrò protrarsi a lungo: le sue dita delicate a infilarmi quella ciocca dietro la pelle morbida e sensibile dell'orecchio, i nostri occhi incatenati. Verde contro verde. – Quale altro motivo dovrebbe esserci? – mi chiese con lo stesso tono di voce leggero.

Il momento fu spezzato dall'arrivo della cameriera, che lasciò le nostre ordinazioni sul tavolino augurandoci buon appetito. Mi schiarii la gola, concentrandomi sul piatto, mentre Gabe si allontanò da me quasi contrariato. Poi però mi sorrise di nuovo. – Hai visto? Ha funzionato. Di nuovo. Ne dubitavi?

- NO – sentivo il cuore battermi ancora con forza nelle orecchie – ma volevo rivederlo all'opera in un momento più tranquillo. Lo sai, mi ha ricordato qualcosa.

Lui inarcò un sopracciglio, ma notai che era a disagio. - Che cosa?

-Mi ha ricordato quando, mesi fa, Chris si è intrufolato in camera mia e mi ha ordinato di darmi per malata e non andare a scuola, per poi rapirmi e tenermi prigioniera per tutti quei giorni. E io l'ho fatto, senza oppormi, come la polizia quel giorno in centrale e come la cameriera oggi con le nostre ordinazioni.

Su noi due scese il silenzio. Ci facevano da sfondo gli altri rumori del locale, le chiacchiere degli altri clienti, la leggera musica diffusa dagli altoparlanti. Ma per noi non esistevano, c'eravamo soltanto io, Gabe e il mare inesplorato in cui mi stavo per inoltrare.

- Mi stai accusando di qualcosa, B.? - mi chiese.

- Certo che no. Tu mi hai salvato la vita. Ma... non sono stupida.

- Non ho mai pensato che lo fossi – disse con sincerità – e speravo che tu lo capissi da sola. Voglio esserti amico, B., ma non posso esserlo se ho dei segreti con te. Sei troppo importante.

Il mio cuore prese di nuovo a battere più forte, ma cercai di restare concentrata sul punto fondamentale del discorso. – Quindi è vero?

- Temo che dovrai essere più precisa, B.

Sbuffai spazientita. – Devi proprio farmelo dire?

- Dire che cosa?

Mi guardai intorno, ma nessuno stava facendo caso a noi. Così mi chinai verso Gabe e abbassai il tono di voce. – Sei un vampiro anche tu? Come Chris?

- È così. Ma preferisco non essere paragonato a quel succhiasangue bastardo.

- E Tammy?

- No. Lei è umana. O meglio, un'umana speciale.

- Non capisco.

- Lo so – si chinò in avanti, senza toccarmi questa volta, ma il suo sguardo era altrettanto intenso – ti spiegherò ogni cosa. Risponderò a ogni tua domanda. Ma prima ne ho io una per te. Hai paura?

Lo guardai, ogni tratto del suo viso, e ripensai alle ultime settimane, a come non solo mi avesse salvata da Chris, ma anche a come mi fosse rimasto vicino per tutto il tempo, nonostante non fosse obbligato. Ripensai anche a prima che la mia vita finisse sottosopra, ai nostri brevi incontri, a come fosse sempre stato gentile ed educato. E Tammy, la persona di cui mi fidavo di più al mondo, mi aveva sempre parlato di lui con grande amore fraterno. Amore che, anch'io, ormai nutrivo nei suoi confronti. – No – risposi decisa, e nell'esatto momento in cui pronunciai quella parola lo vidi rilassare le spalle, e capii che aveva avuto paura della mia risposta, paura di provocare qualcosa di simile in me.

Finimmo la nostra ordinazione in tranquillità, chiacchierando del più e del meno, consci che quella sera si era creato qualcosa tra noi, un legame indissolubile, dovuto al nostro esserci messi a nudo, all'esserci aperti l'uno all'altra come mai eravamo riusciti a fare con nessun altro. Una volta tornata a casa, conservai con sincero affetto la piccola fotografia che ritraeva quella splendida serata.

~ Angolo Autrice ~
Capitolo molto di passaggio, in cui finalmente Bessie entra a far parte del mondo sovrannaturale dei Vampiri. Nel prossimo capitolo, invece, ritroveremo anche Tammy e Derek, e vedremo in quali modi diversi le due coppie decideranno di festeggiare il Natale. Mentre qui da me c'è talmente caldo che stare in casa a scrivere è un peccato xD come al solito, se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stellina e un commento. Alla prossima settimana!

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro