Capitolo XXXIV
Dopo due giorni di digiuno e solitudine, finalmente la porta si aprì.
«Rebecca...»
Sollevò la testa dal cuscino, intontita dalla stanchezza. Per un attimo le era parso di aver udito la sua voce, la voce di Brian. Ma sulla soglia c’era Abraham, e aveva un’espressione cupa. Si mise seduta sul materasso senza preoccuparsi di darsi una parvenza di presentabilità. I capelli spettinati le cadevano arruffati sulle spalle; i vestiti erano stropicciati; gli occhi socchiusi.
«Mio padre mi ha detto di venire da voi»
Era tornato alle buone abitudini dell’educazione, e Rebecca lo notò con un mezzo sorriso di vittoria.
«Sono grata a Solomon per la sua bontà e per la sua saggezza» ribatté semplicemente.
Abraham richiuse la porta e si avvicinò. Rebecca non aveva paura di lui.
«Credo dobbiate sapere cos’è accaduto due giorni fa» continuò l’ebreo guardandola dall’alto in basso. Lei annuì, cercando di dissimulare il proprio interesse.
Abraham aspettò a parlare di nuovo, poi: «C’è stato uno scontro, un agguato. Uomini di corte, ufficiali, guardie e semplici ladri di strada, un totale di trenta persone, ha attentato alla vita del re. Erano di certo in combutta con i condannati e avevano sostenitori al castello pronti a prendere il controllo del regno – disse lentamente – Ma sono morti tutti. Uno dopo l’altro, uccisi senza pietà. E il vostro Templare con loro»
Senza lasciarle il tempo di realizzare, Abraham trasse da una tasca un anello e afferrò rudemente la sua mano destra. In un batter d’occhio, l’anello fu al suo dito.
«Con i dovuti tempi, Rebecca, noi ci sposeremo. Questo pomeriggio stipuleremo il contratto matrimoniale, domani io partirò per Sheffield e tra un mese celebreremo le nozze»
Rebecca non afferrò appieno tutto quanto Abraham le diceva. Si ritrovò con quell’anello e quella promessa e comprese troppo tardi.
«Avete capito bene – continuò lui vedendo la sua espressione smarrita – Vi prenderò in moglie nonostante sappia perfettamente in che condizioni siate»
«Cosa dite, Abraham?» singhiozzò, rigirandosi l’anello sul dito.
«Voi non siete più una fanciulla; è inutile che protestiate, perché lo so. Solo mio padre è così ottuso da pensare che diciate il vero. Forse lo dice per accattivarsi la vostra simpatia, vista la quantità d’oro che entrerà nelle nostre casse con il matrimonio. O forse questo è ciò che farei io se fossi al suo posto: lui è un filosofo, ha tanti bei concetti per la testa, ma concetti vuoti. Io ho girato il mondo e conosco gli uomini. E anche le donne»
Rebecca rabbrividì: «Anche io credevo di conoscervi, Abraham, ma mi rendo conto che il mondo vi ha cambiato in questi dieci anni»
«Mi ha semplicemente aperto gli occhi, e mi stupisco che non l’abbia fatto anche a voi. Eppure siete stata a Costantinopoli; la vostra maestra e protettrice è stata arsa sul rogo... E voi vi compromettete con un cristiano; ma che dico? Con un Templare!»
«Io non...!»
«Non avete più nessuno, Rebecca: vostro padre è morto ed è morto anche il vostro amante; non vi resto che io. Certo, forse sul momento non vi garba molto l’idea, ma sarete mia moglie e dovrete sottostare alle mie leggi. Ho visto tanti ebrei fare i permissivi con le loro mogli e finire gabbati, perciò con voi sarò un marito duro e geloso. Alla fine sarete contenta del vostro destino; sarò fin troppo clemente con la donna che si è fatta disonorare da un cristiano e che era pronta a morire per lui»
Trattenne le lacrime giusto per il momento in cui Abraham rimase ancora nella sua camera, e non fu lungo. Quando fu di nuovo sola, la solitudine non le parve più una punizione, ma una protezione: nessuno, fuori da quella stanza, avrebbe mai scoperto il suo dolore. E se non fosse stato per le grate alla finestra, Rebecca pensò che si sarebbe potuta buttare di sotto.
***
Una settimana era già passata da quel giorno terribile. Il guardacaccia Robert di Huntingdon provò un brivido a ripensare a quell’agguato e a quanto vicino alla morte si fosse spinto. Ora il re lo convocava. Un’altra volta. L’ennesima volta, avrebbe potuto dire. Ma non si scompose, nonostante avesse i nervi insolitamente sensibili quella mattina.
Lo sguardo di Richard era offuscato da nubi di tempesta. Robin, in un primo tempo, non fu nemmeno sicuro di essere stato notato. La guardia l’aveva ben annunciato, e la sua figura non passava facilmente inosservata. Eppure, il re guardava fisso davanti a sé, come se contemplasse la personificazione di tutto ciò che odiava.
Alla fine, la sua voce roca ruppe il silenzio quasi sussurrando: «Cos’è diventata l’Inghilterra?»
Robin scosse il capo, abbassandolo progressivamente. Richard si fece impettito, trasse un profondo respiro e proseguì, a voce alta e squillante: «Un covo di vipere, ecco cos’è diventata l’Inghilterra!»
I suoi occhi infuocati saettarono contro il fuorilegge sassone che, in un battito di ciglia, lesse tutte le emozioni contraddittorie che animavano il suo sovrano. Non l’aveva chiamato per rimproverarlo o per punirlo: aveva già sorvolato sul fatto che lui e i suoi uomini fossero entrati armati nella città e anzi lo aveva già ringraziato generosamente per la sua lealtà. Ciononostante, aveva ragione di nutrire sospetti; e aveva ragione di esternarli con qualcuno di cui si potesse fidare. Robin era la persona che faceva al caso suo, e Robin questo lo sapeva.
«Se non fosse stato per voi, a quest’ora sarei già sottoterra a farmi divorare dai vermi! – continuò, ripetendo una frase che era diventata un ritornello durante i loro incontri – Se non foste intervenuto, a quest’ora quei ribelli avrebbero messo a soqquadro l’Inghilterra! C’è solo da gioire a sapere che sono morti»
Ma la sua espressione esausta bastò a smentire l’ultima affermazione: Richard cercò l’appoggio dello schienale di una sedia e vi si aggrappò.
«Normanni. Normanni come me, del mio stesso sangue – borbottò come se non avesse fiato – Tradito dai miei stessi uomini, dagli uomini della mia stessa stirpe! Non dai sassoni, non dagli sconfitti! Locksley, voi non sapete quanto costi a un re condannare i figli del suo stesso popolo! Accetterei più di buon grado una forca piena di sassoni, lasciatemelo dire! Ma una forca di normanni è un vero e proprio abominio per un re normanno! Certo, certo anche voi comprenderete: quanti sassoni hanno tradito il loro re quando la sorte ha volto in favore dei conquistatori!»
Robin annuì, senza alzare gli occhi sul suo viso. Contemplava le sue mani, la cui presa faceva scricchiolare il legno.
«Quell’uomo... – riprese, con un tono totalmente diverso – Se non aveste insistito, oggi sarebbe in fondo alla fossa comune insieme ai suoi pari... Ma no! Giace qui, invece, nel mio castello, perché il re si vergognava a lasciar morire la migliore lancia del regno! Sia maledetto chi mi ha consigliato in questa scelta, e voi prima di tutti, Locksley! Se sarò costretto dalle circostanze, giuro che lo ucciderò con la mia stessa mano: e a nulla varranno le vostre parole»
Cuor di Leone gesticolava in modo convulso e si contraddiceva una frase con l’altra; Robin guardava di sottecchi, non osando interromperlo.
«Ho sempre tenuto in conto l’esempio dei miei predecessori e ora vi dico, Locksley: pensate a Giulio Cesare. Cesare è stato clemente con i suoi nemici... Guardate com’è finito miseramente! Ed ora io sto facendo lo stesso con questo Templare... Cosa mi assicura della sua fedeltà? Il fatto che gli abbia salvato la vita, forse?»
Richard prese a misurare la stanza con ampie falcate. E Robin conservava per sé le sue riflessioni: nulla traspariva sul suo volto se non un certo imbarazzo.
«Come sta?» domandò alla fine, vincendo le proprie riserve. Da giorni ormai fremeva di impazienza ed essere lasciato all’oscuro delle condizioni di Bois-Guilbert gli sembrava una ricompensa ingrata per l’aiuto da lui portato nella piazza. Perciò, quando ebbe pronunciato quelle due semplici parole si sentì infinitamente più leggero; i suoi nervi si distesero. Bene o male, finalmente avrebbe avuto una risposta.
Richard non si aspettava una domanda del genere, ma capì subito che dovevano essere sentimenti di sincera amicizia a suscitarla. Quindi raccolse le idee, si schiarì la voce e disse: «Ora sta di sicuro meglio: non vi nascondo che al suo arrivo il mio medico gli diede poche speranze di sopravvivenza. Lavato via il sangue, però, si è reso conto che le ferite erano solo superficiali»
«Anche quella al petto?» lo interruppe.
«Certo! – rispose, indicando il proprio petto per accennargli di cosa si era trattato – Vedete, la punta della freccia è penetrata in questo senso, verticalmente, su nel muscolo pettorale. Non ha superato le costole e non ha nemmeno sfiorato il cuore... Ha perso sangue, questo sì, ed era oltretutto debilitato: le mie guardie mi hanno riferito che durante i quattro giorni di prigionia non ha toccato cibo, accontentandosi di bere la sua caraffa quotidiana. Ecco perché ha perso i sensi, capite?»
«E il collo?»
«Una ferita di striscio. Malvoisin non ha avuto modo di sferrare il colpo come si deve»
Robin trasse un respiro di sollievo, ma il re volle confidargli gli ultimi particolari: «Si è svegliato mentre il medico gli stava ricucendo il petto. E sapete cos’è stata la prima cosa che ha detto, me presente? – diede a Robin il tempo di scuotere il capo e si rispose – “Rebecca è qui? È salva?”»
Robin si rilassò definitivamente, ridendo di cuore. E Richard lo guardò con un’espressione di incredulità, probabilmente la stessa con cui aveva assistito di persona alla scena che aveva appena raccontato. Un breve intermezzo di silenzio diede modo ad entrambi di scacciare i ricordi dell’attacco di una settimana prima.
«Ditemi, Locksley – riprese il re tornando serio – Anche voi siete un capo: come avete potuto pensare che i vostri uomini non vi avrebbero mai tradito? Avevate molti nemici influenti, primo tra tutti mio fratello: ma a quanto mi hanno detto vi siete dimostrato inafferrabile»
Robin fu costretto a cercare una risposta adatta: «La mia situazione non è paragonabile a quella di Vostra Maestà. Io ho a che fare con persone semplici, persone povere e disperate. Chi mi ha seguito nella foresta l’ha fatto per sopravvivere e non aveva speranze al di fuori di me. Io ho dato loro la speranza del vostro ritorno e la certezza di cibo. Questo bastava per i semplici cuori sassoni. Voi, Maestà, avete a che fare con ben altro»
Gli occhi di Richard si accesero di curiosità: «Dite, Robin – disse – Voi avete dato ai vostri uomini questa speranza. Che speranza potrei dare io ai miei uomini per accattivarmeli?»
«Speranza di terre, senza dubbio; e ricchezze a dismisura... Ma chiunque può promettere lo stesso, Vostra Maestà, e un cuore avido non conosce fedeltà duratura. Voi dovrete dare qualcosa che nessun altro potrà né togliere né aumentare» rispose Robin acutamente.
Richard affilò lo sguardo e si fermò: «Voglio dirvi una cosa, Locksley, e voglio dirvela da quando ho avuto occasione di conoscervi. Voi parlate bene, fin troppo per credere che siate un semplice fuorilegge sassone. E come mai vi siete presentato come Robert di Huntingdon? Certo, per non farvi riconoscere. Ma perché proprio questo nome, Robert di Huntingdon?»
Robin sospirò e distolse per un momento gli occhi dal re, poi, tornando a guardarlo, replicò: «Vi suona familiare questo nome?»
«Mi è subito suonato conosciuto, lo ammetto. Perciò vi prego di rispondermi sinceramente e senza timore»
Robin annuì: «Forse il figlio del duca di Huntingdon non è morto in terra di Crociata, dopotutto... Ma le circostanze lo hanno costretto a rinnegare la propria famiglia per non attirarle contro la vendetta di vostro fratello, Maestà. Non gli rimaneva che vivere da fuorilegge e aiutare la gente sassone; da nobile, non avrebbe potuto farlo con la stessa facilità. Ma Robert preferisce il nome di Robin, adesso, e la casata degli Locksley a quella degli Huntingdon. Perciò, Maestà, considerate questa l’ultima manifestazione di un fantasma che, placato, tornerà ad abitare l’oscurità dei boschi. Il duca non dovrà sapere...»
Il re lo interruppe: «Lasciate che vi renda l’onore dovuto a un figlio della nobiltà sassone, Robert – disse stupito – Vi darò terre e un castello e delle rendite. Vi devo il mio ritorno e la mia stessa vita, permettetemi di ripagarvi»
Robin negò: «No, Maestà. Per voi voglio essere ciò che sono: Robin Locksley, fuorilegge. Robert di Huntingdon è solo una maschera»
Richard lo guardò quasi con ammirazione, poi, dopo una breve pausa, tornò al discorso precedente: «Il Templare non è uomo che si lasci conquistare da terre e ricchezza, proprio come voi; inoltre, come avete detto prima, chiunque, sia io che mio fratello che qualsiasi altro re, potrebbe offrirgliene. Come farò dunque ad assicurarmi la sua completa fedeltà, Locksley? Come posso avere la certezza che non oserà più tradirmi?»
Robin sorrise ed ammiccò: «Sarà più semplice di quanto pensiate, Sire: tutto ciò che dovrete fare sarà permettergli di sposare l’ebrea Rebecca. Se riuscirete in questo, Bois-Guilbert non solo non oserà tradirvi, ma vi sarà più fedele di vostra madre»
Richard ricordava nitidamente il dialogo cui aveva assistito di nascosto nelle prigioni e non dubitò un istante del consiglio di Robin.
«Non è affatto semplice come credete – confessò, lisciandosi la barba – Perché la ragazza è già ospite di Solomon di Sheffield e suo figlio pare molto interessato alla dote della fanciulla e alla fanciulla stessa. E in ogni caso gli ebrei non sono così inclini a dare una propria figlia in sposa a un cristiano. E non ultimo, il Templare, benché espulso dall’Ordine, rimane comunque un sacerdote. Un sacerdote indegno, sicuramente, ma un sacerdote vincolato al celibato»
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