Capitolo XXV
Bois-Guilbert si sollevò dal giaciglio: la luce che penetrava dalla finestrella non era più quella notturna, segno che l'aurora era ormai imminente. Guardò Rebecca, coricata supina lì accanto, i capelli neri spettinati e il viso finalmente sereno. Si sentiva pervaso dal suo profumo femminile. Era stata una notte diversa da tutte le altre notti, quella: non gli era mai capitato, in tutta la vita, di stringere a sé una donna e dormire. No, non era accaduto nulla ed era giusto così; il tempo era passato, scaduto, non era più il momento. Bois-Guilbert distolse gli occhi, rinunciando alla tentazione di scoprire una trasparenza nella camicia di lino. Rebecca non era sua; un altro uomo aveva con lei un vincolo legittimo e quell'uomo l'avrebbe voluta gelosamente come la voleva lui. Tuttavia, la voglia di stendersi nuovamente accanto a lei, all'innocenza del suo corpo indifeso, era forte. Forte come era stato il desiderio di restare ad aspettare al laghetto, dietro a un pino, che lei uscisse dall'acqua e si svelasse. No, non era più il tempo, non era più il momento.
Bois-Guilbert afferrò la cintura e la legò ai fianchi prima di uscire senza svegliarla. L'asinello aveva passato la notte poco lontano dalla capanna. Il carico di sacchi e borracce che avrebbe dovuto portare lungo il viaggio era già pronto, riposto con cura all'interno della capanna-magazzino. Attese veramente poco, Bois-Guilbert, prima che qualcuno lo raggiungesse: erano Robin e Will Scarlett. A loro si aggiunsero nel giro di qualche minuto altri compari fuorilegge che diedero una mano ad ultimare i preparativi. Quando l'asinello fu caricato di tutto il necessario, il normanno tornò alla capanna per svegliare Rebecca nell'imminenza della partenza.
Entrò e la trovò prona: la luce era già più intensa, benché il sole non fosse ancora sorto. Si inginocchiò e le sfiorò il fianco con la mano; la sensazione di solletico bastò a infrangere il suo sonno, e fremendo per la sorpresa si rigirò a pancia in su e, istintivamente, si coprì con alcuni stracci. Bois-Guilbert non trattenne un sorriso e i suoi occhi brillarono; Rebecca, rossa in viso per il pudore, non gli lasciò dire nemmeno una parola, ma lo spedì di nuovo fuori ad aspettare che fosse vestita.
Che strani comportamenti hanno talvolta le donne! Un pensiero simile dovette attraversare la mente di Bois-Guilbert mentre tornava al gruppo di uomini che si confrontavano attorno all'asinello.
«Brian – lo chiamò a sé Robin, insospettito dall'aria sovrappensiero del normanno – Non so cosa ti dia quella faccia trasognata, in ogni caso temo di doverti dare alcune dritte per il tragitto che dovrai seguire»
Punto sul vivo dall'osservazione del capo dei fuorilegge, Bois-Guilbert assunse un'espressione più composta, un'espressione che gli era sicuramente meno inconsueta.
«Se veramente Richard si trova a Lincoln – cominciò Robin – vi conviene tenervi sul confine occidentale della foresta. Sali fino al laghetto (conosci la strada) e poi risali il corso dopo aver guadato il torrente. Arriverai a vedere un vecchio cippo di confine: da quel punto prosegui su un sentiero che si infila tra gli alberi. È stretto, ma non lasciarti ingannare dalle apparenze: conduce direttamente alla strada per Sheffield e, quel che è meglio, non incontra altri sentieri né locande né stazioni. Impiegherete due giorni per arrivare alla strada. Da lì in poi dovrete fare attenzione ai luoghi che frequentate e alla gente con cui parlate: è molto probabile che, come le spie sono arrivate qui, così abbiano indagato anche laggiù. Siate discreti e non date nell'occhio...»
In quel preciso momento Rebecca uscì dalla capanna, vestita come al solito con abiti sassoni e i capelli spartiti in due lunghe trecce.
«Comportatevi da sassoni – continuò Robin dopo averle gettato un'occhiata – Non parlate mai in francese, non rivelate in nessun modo la vostra vera identità. Ma tu, Brian, sei abbastanza intelligente da arrivarci da solo. Non è più tempo di parlare, ora che siete pronti a partire: partite e che la benedizione di Dio sia su di voi»
Bois-Guilbert afferrò le redini dell'asino e lo tirò dolcemente dietro di sé dopo aver stretto la mano a tutti i compari presenti. La commozione lucidava gli occhi di tutti e stringeva la gola, cosicché le parole furono davvero poche e più gli sguardi e i sorrisi tirati.
«Un'ultima cosa – lo richiamò Locksley appena si fu voltato – Tieni. A noi non serve un coltellino come questo»
Bois-Guilbert afferrò il pugnale del bandito detto il Lesto e lo assicurò alla cintura, ringraziando con un cenno. Quindi si voltò definitivamente. Rebecca attese in disparte che lui la raggiungesse e, quando le fu accanto, gli domandò: «Che strada dobbiamo tenere?»
Lui indicò davanti a sé e replicò con un'altra domanda: «Preferisci viaggiare in groppa all'asino?»
«No, grazie – rispose, accarezzando l'animale – Finché non sarò stanca camminerò»
Si avviarono nel fruscio dei loro passi sulle foglie secche. Sentivano dietro di loro, fissi, vigili, gli sguardi degli uomini di Sherwood. Avrebbero sentito la loro mancanza.
Robin, dal canto suo, aveva imparato a proprie spese quanto un occhio in più, anzi due, e meglio ancora quattro, potessero risultare utili a chi viaggia nella foresta. Perciò si voltò verso i compari che lo attorniavano e ordinò a due di essi, un certo Thomas e l'altro Alan, di seguire a debita distanza i due viaggiatori e di vegliare su di loro. Non che non confidasse nella benedizione divina: certo, però, se fosse accaduto qualcosa di spiacevole non sarebbe sceso nessun angelo dal cielo ad informarli. Li inviò quindi con il preciso ordine di intervenire solo ed unicamente se le circostanze lo avessero permesso: valeva a dire non rischiare la pelle in due contro dieci. Se le cose avessero dovuto volgere in peggio, avevano l'espresso ordine di tornare immediatamente indietro e di avvisarlo.
Rebecca e Bois-Guilbert, dunque, viaggiavano scortati senza saperlo. Superarono il torrente, ne risalirono il corso. Seguirono in tutto le indicazioni di Robin, in attesa di giungere al cippo che avrebbe segnato la svolta del loro tragitto. Camminavano silenziosi: forse l'imbarazzo della notte, forse la mancanza di argomenti così rilevanti da spezzare il clima di complicità che il silenzio coltivava, fatto sta che per buona parte della giornata non parlarono. Se veniva scambiata qualche parola era per indicare un tratto accidentato, un ostacolo o uno scoiattolo. Molto più delle parole valevano, anche in questo caso, gli sguardi vellutati che si scambiavano l'un l'altra. Di tanto in tanto si sfioravano quasi inavvertitamente ed erano brividi di dolce sorpresa per entrambi.
Arrivò infine il momento di cercare un riparo per la notte: Bois-Guilbert avrebbe voluto prolungare il cammino fino ad arrivare al cippo, ma era combattuto all'idea di stancare l'asino e Rebecca. Era quasi tentato di fermarsi, quando proprio Rebecca puntò il dito davanti a sé e disse:«Guardate! È il cippo?»
Bois-Guilbert aguzzò la vista in quella direzione, schermandosi gli occhi dal sole al tramonto. Tra la vegetazione del sottobosco sorgeva un tronco grigiastro intricato in un'edera. Si avvicinarono e, quando finalmente furono prossimi, si resero conto di aver raggiunto la meta fissata per il primo giorno di cammino.
«Siediti pure, Rebecca. Accendo un fuocherello per tenere a bada gli animali del bosco e prendo un pezzo di carne» disse Bois-Guilbert, cominciando a raccogliere legna. Rebecca si sedette a riprendere fiato e legò le redini dell'asino a un ramo vicino. In meno di due minuti il fuoco cominciò ad ardere.
«Non attirerà l'attenzione?» chiese con un filo di voce. Il timore di brutti incontri – banditi o guardie del re – era ciò che più la angosciava da che erano partiti e a nulla valevano le rassicurazioni di Bois-Guilbert.
«Ci bado io – ribatté lui – Lo faccio prendere, poi terrò la fiamma bassa. Farà poco fumo, ma basterà a spaventare le bestie»
Detto ciò, afferrò un pezzo di carne essiccata e la porse a lei, che l'addentò subito: la camminata aveva svegliato la fame di entrambi e fiaccato le loro gambe. Bois-Guilbert prese del cibo per sé e porse la borraccia a Rebecca. E lei, pensando fosse piena d'acqua, ne trasse un sorso abbondante, per scoprire troppo tardi che si trattava di vino rosso.
«Volete farmi ubriacare? – lo sgridò indispettita – Non sarà facile viaggiare con una fanciulla ubriaca!»
Rideva come se il vino la inebriasse già. Bois-Guilbert rise a propria volta e le rubò la borraccia: «Di sicuro sarà più facile dormire!» ribatté e bevve. Rebecca non seppe cosa dire e tacque; in seguito si assicurò che la borraccia che lui le tendeva contenesse pura acqua di fonte.
La notte filò liscia senza che nessun animale facesse capolino a disturbare il loro riposo. Gli ululati dei lupi erano molto distanti, mentre un barbagianni, di tanto in tanto, strillava come uno spettro sopra le loro teste. Rebecca, però, era troppo stanca per svegliarsi; Bois-Guilbert, invece, era abbastanza abituato ai rumori notturni da non distrarsi dalla veglia. Non rimase sveglio tutta la notte, ovviamente; fu più il tempo in cui dormì che non quello in cui controllò il fuoco. Di certo, nei momenti in cui era vigile, i suoi occhi cadevano spesso su Rebecca e la sua mano indugiava sulla sua guancia e sul suo collo. La vedeva sorridere di piacere alle carezze e non trovava la forza di smettere. Al risveglio, Rebecca dovette insistere per destarlo dai sogni.
Il secondo giorno si prospettava non tanto diverso dal primo: imboccarono senza indugi il sentiero che si incuneava, sparendo a tratti, nel bosco. Secondo le stelle che ancora puntellavano il cielo si stavano dirigendo verso nord, l'esatta direzione per Sheffield. Una breve sosta a mezzogiorno e poi di nuovo in cammino, finché quello che sembrava l'ennesimo tratto confuso si rivelò essere più esteso del previsto. Ben presto cominciarono a dubitare di stare seguendo la via tracciata, ma, nell'impossibilità di tornare indietro, si risolvettero ad andare avanti nonostante tutto.
Non era ancora il tramonto quando finalmente il bosco si diradò e poterono mettere i piedi su una strada più trafficata. Bois-Guilbert capì che si trattava della strada indicatagli da Robin e si diresse nella direzione che gli lasciava il sole a sinistra. Tutto sembrava andare per il meglio, se non che – ma loro non potevano saperlo – nel loro girovagare nel bosco avevano finito con lo smarrirsi e con lo sbucare molto indietro rispetto a quanto indicato da Robin: così si ritrovarono a viaggiare sì sulla strada per Sheffield, ma significativamente arretrati. E, cosa forse ancora peggiore, i due fuorilegge incaricati di seguirli avevano riconosciuto le tracce sbiadite del sentiero giusto e avevano proseguito verso nord: prima di accorgersi che qualcosa era andato per il verso sbagliato erano dovuti arrivare allo sbocco sulla strada per poi constatare che nessuna impronta usciva dal bosco.
Tornando a Bois-Guilbert e Rebecca, i due percorsero fiduciosamente la strada finché fu d'accordo anche l'asinello. All'approssimarsi di una locanda, però, l'animale annusò l'odore di buon foraggio e, stanco di cibarsi di erba, puntò gli zoccoli e decretò una sosta.
Bois-Guilbert arrivò quasi a bastonarlo dalla rabbia, ma non ci fu verso. Rebecca alla fine cedette e appoggiò la scelta dell'asino. Lui avrebbe preferito passare la notte in un luogo meno frequentato, ma capitolò.
«Se è qui che vogliamo fermarci, mi sta bene: ma ascolta, Rebecca. D'ora in poi parleremo solo e soltanto in sassone e ci comporteremo esattamente come fossimo sassoni. Se ti chiedono qualcosa, io sono tuo marito. Dobbiamo anche sceglierci dei nomi sassoni»
Rebecca gli venne in aiuto: «Cosa ne dite di Drustan ed Essylt?» propose con un sorrisetto complice. Bois-Guilbert approvò.
Entrarono nella locanda segnalando l'asino intestardito appena fuori la porta e chiedendo un tavolo. Tutto rigorosamente in sassone. Il locandiere indicò un tavolino in un cantuccio della sala e si affrettò a servirli. Portò della minestra e del pane secco, che, fatto a brandelli, venne sciolto nella ciotola. Appena cominciarono a mangiare – parlandosi rigorosamente in sassone – Rebecca notò qualcosa.
«Ci sono degli uomini che ci stanno fissando» sussurrò. Dalla sua posizione, spalle al muro, Rebecca aveva la visuale completa sul locale; Bois-Guilbert, invece, non vedeva nulla oltre alla parete che si alzava davanti a lui.
«Guardano me o te?» domandò senza alzare il viso dalla scodella. Poi aggiunse: «Non li guardare direttamente»
Rebecca li osservò con la coda dell'occhio e alla fine rispose: «Guardano me. Si dicono qualcosa nell'orecchio...»
Bois-Guilbert si scosse leggermente, senza cambiare atteggiamento. Prese l'ultima cucchiaiata di pane e minestra e poi si rivolse di nuovo a lei: «Non dargli attenzioni. Forse sono solo un po' brilli... Se vedranno che non ti preoccupi di loro ti lasceranno stare. In ogni caso – soggiunse, scattando in piedi e spostando la sedia da un lato del tavolo a quello consecutivo – Meglio far capire chi comanda»
Si risedette e le strinse la mano sinistra, portandosela alla guancia. Rebecca stette al gioco e finì il proprio piatto di minestra velocemente, poi si lasciò scivolare contro lo schienale della sedia e si volse a lui accondiscendente. E lui, con il braccio libero, le cinse la vita.
«Non esagerate con la scusa di essere mio marito; ricordate che non lo siete – lo rimproverò, allontanandogli delicatamente la mano – E inoltre una donna vi sta guardando»
«Ed è bella?»
Rebecca storse il naso divertita: «Ditemelo voi, è laggiù vicino alle scale»
Bois-Guilbert si voltò leggermente e sorrise all'indirizzo di una donna di trent'anni, appoggiata languidamente al corrimano, che gli rispose con un cenno civettuolo.
«Non male... – commentò, poi, scuotendo la testa – Che posti, le locande!»
«Non mi fate ingelosire nemmeno un po' – scherzò lei, e avvicinandosi a lui sussurrò – Vorrei andare in camera, ora... sono molto stanca»
Bois-Guilbert si alzò scattante e, voltandosi verso il banco dell'oste, si accorse che anche due uomini seduti poco distanti avevano fatto lo stesso. Per istinto cercò nuovamente la mano di Rebecca e, trovatala, la trasse vicina. Come aveva previsto, i due uomini si mossero verso le scale e ignorarono le attenzioni della donna trentenne. Ormai giunto al banco, Bois-Guilbert chiamò il locandiere e richiese una cameretta, anche piccola, in cui potessero passare la notte. Il locandiere gli disse che non c'erano camere, semplicemente uno stanzone dove tutti i viaggiatori dormivano assieme su materassi di paglia. Bois-Guilbert deglutì e accettò a denti stretti quell'opzione. Accennò a Rebecca di seguirlo verso le scale, istillandole con uno sguardo rassicurante la fiducia che le serviva ad affrontare i due sconosciuti.
«Dove andate, signori?» domandò uno dei due in un sassone ricco di accenti francesi. Bois-Guilbert non si degnò di rispondere e forzò la resistenza per passare.
«Levati, William. Il signore qui ha fretta» lo canzonò l'altro, dando al compare una gomitata tra le costole.
«Chi non l'avrebbe? – ribatté il primo – Se ci fate prendere parte, signore, vi facciamo strada volentieri alla camera. È un servizio dovuto a tutti i forestieri»
Rebecca si premette tutta contro il fianco di Bois-Guilbert che la cinse nuovamente con il braccio.
«Fate largo, cani» ringhiò questi, forzando una seconda volta il loro sbarramento.
«Ehi! – imprecò William – Che modi sassoni! Uno offre un servizio e viene insultato!»
Bois-Guilbert sfoderò uno sguardo di ghiaccio e ripeté: «Levatevi di torno, fateci passare»
«Se in tre siamo troppi, c'è qui Brunilde che può aiutare la vostra pupilla» replicò William, che dei due era sicuramente il più interessato.
A quelle parole, Bois-Guilbert si sentì accecare dalla rabbia e dalla vergogna.
«Razza di porci, sparite dalla mia vista!» esclamò in francese, slanciandosi insieme a Rebecca per superarli. William, che stava alla loro destra, afferrò Rebecca per il braccio e la strattonò; Bois-Guilbert se ne accorse e non perse tempo, sferrandogli un sinistro che gli ruppe uno zigomo e lo mandò lungo disteso ai piedi del banco. L'amico non stette a guardare, e colpì Bois-Guilbert alla schiena. Rebecca perse l'equilibrio e cadde a terra, troppo spaventata persino per gridare. Bois-Guilbert, dopo una frazione di secondo in cui non riuscì a respirare, si volse contro l'assalitore, ma quello era più preparato e cercò di colpirlo con un destro al viso. Bois-Guilbert era sveglio di riflessi e deviò il pugno con il braccio, per replicare subito con il proprio, affondato nella pancia dell'avversario. Quando l'aggressore crollò contro il muro, Bois-Guilbert aiutò Rebecca ad alzarsi e a salire le scale.
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