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Capitolo XXI

La cena si era conclusa da poco; attorno al grande fuoco si chiacchierava, si cantava, si raccontavano storie. L'aria era frizzante e il crepitio delle fiamme vi mescolava di tanto in tanto scintille e brandelli roventi di corteccia. Un gioco di fumo saliva verso il cielo ma non arrivava ad offuscarlo del tutto. Poi, a confondersi con le scintille vennero le lucciole. Erano le ultime della stagione, percorrevano sentieri invisibili tra gli alberi e ricordavano vagamente gli spiriti raminghi delle fiabe nordiche. L'atmosfera era invitante; spirava una leggera brezza, sufficiente a far sussurrare le foglie. Voci lontane, lingue sconosciute, bisbigli da un altro mondo. Per un momento, tutti si fermarono, tacquero e ascoltarono le parole della natura. Poi ripiombò l'allegria, la festa per una buona caccia e per la bella stagione che offriva serate di così rara bellezza. Alcune fanciulle si alzarono dal posto, si aggirarono per un po' intorno alle capanne, poi infilarono un sentiero e si allontanarono di qualche passo dal chiasso del ritrovo. Rebecca era tra queste.

Giunsero in una radura dove la luce del falò filtrava solo a scaglie e i rumori della compagnia erano attutiti dallo stormire ininterrotto delle foglie. Si sedettero per terra guardando la danza delle lucciole che, come fluttuando attorno a loro, pulsavano il loro struggente amore alla ricerca della femmina. Sembravano stelle cadute dal cielo, confuse e sperdute, nel loro zigzagante andirivieni, nel loro subitaneo salire e ridiscendere, con la fioca luce dei loro corpi. Di tanto in tanto una di queste stelle si avvicinava alle donne, quasi volesse porgere un omaggio, un saluto. E le fanciulle sorridevano, additavano; in completo silenzio. Non c'era nulla da dire, nulla di cui parlare.

Un rumore sommesso di passi cominciò a crescere alle loro spalle. Marian fu la prima a gettare uno sguardo dietro di sé e subito fece cenno alle amiche di alzarsi discretamente. Rebecca, intenta a seguire il tragitto di una delle lucciole, se ne accorse quando ormai tutte erano in piedi e discoste. Volse gli occhi e notò una figura maschile che si avvicinava e accennava con la testa alle ragazze che si accodavano sulla via del ritorno al villaggio.

Sentì il cuore impazzire: di gioia? Di sorpresa? Di qualcos'altro? Bois-Guilbert era già lì, poco dietro di lei, fermo. La guardava senza sorriso. Erano i suoi occhi a sorriderle.

«Posso?» domandò sottovoce, come se non volesse disturbare le lucciole. Rebecca annuì e tornò a guardare davanti a sé.

«Tutto bene?» domandò ancora lui. Aveva notato che Rebecca non portava la lunga treccia delle donne sassoni: i capelli sciolti sulla schiena ondeggiavano alla brezza e le cadevano sul petto e sulle spalle.

«Tutto bene»

Bois-Guilbert prese un respiro profondo, quindi con la mano destra – sedeva alla sinistra di lei – cominciò ad accarezzarle la guancia. Lei arrossì leggermente, ma non si sottrasse.

«Sei bella come una stella, questa sera» sussurrò, e la sua mano scivolò dalla guancia ai capelli neri sulla schiena.

«Non ho fatto la treccia prima di uscire dalla capanna...» bisbigliò lei con tono colpevole, come se si accorgesse solo allora di una distrazione. Ma Bois-Guilbert ribatté: «Sei più bella con i capelli sciolti...»

«Signore, voi mi offendete con tutti questi complimenti» lo ammonì, scostandosi solo per farlo avvicinare. Eppure, nella sua mente tornava la conversazione con Marian, tornava la preghiera e a tutto si mescolava un gran timore. Erano giorni, ormai, giorni interi passati a riflettere senza mai arrivare a una decisione sicura: ogni momento un'esitazione, un ripensamento... E ore e ore di rassicurazioni cadevano in pezzi. In quel momento, però, aveva un forte desiderio di lasciare che le cose prendessero la loro strada, senza cercare di cambiare il loro corso.

Lui sorrise e ritirò la mano, dandosi un'occhiata intorno.

«Anche in Normandia c'erano boschi come questo»

Sorrise malinconica mentre chiedeva: «Vi manca la vostra terra?»

Bois-Guilbert alzò le sopracciglia: «Nulla è più mio laggiù, nemmeno la terra su cui mossi i miei primi passi...»

Rebecca gli dedicò un altro di quei suoi sorrisi tristi: «Io non ho mai nemmeno visto la terra del mio popolo»

«E' affascinante, la Palestina. In certi momenti è così silenziosa che, sì, forse, se qualcuno volesse ascoltare, sentirebbe la voce di Dio»

Una lucciola si posò sulla spalla di Rebecca, la spalla sinistra. Bois-Guilbert la notò, la prese sul palmo della mano e gliela porse: «Dicono che porti fortuna» sussurrò.

«Lo auguro» rispose lei, avvicinando un dito, ma appena toccò la lucciola, quella spalancò le ali e volò via di nuovo libera. La seguirono per un tratto con lo sguardo, poi Bois-Guilbert si fece di nuovo vicino e riprese ad accarezzarle delicatamente le spalle. E, come prima, Rebecca non fece nulla per farlo smettere.

«Mio padre diceva che bisogna esprimere un desiderio quando si tocca una lucciola. Era un modo per farmi contenta da bambina...»

Bois-Guilbert portò la mano all'altezza del suo orecchio e cominciò a domare le sue ciocche dietro di esso.

«E hai desiderato qualcosa, ora?» domandò sussurrando. Rebecca batté velocemente le palpebre e arrossì, mordendosi il labbro. Poi tornò a guardare avanti, rifiutandosi di dirlo.

«Rebecca...» sussurrò, come affidando il suo nome alle lucciole che volavano loro attorno. Le lisciò i capelli oltre la spalla, liberandole il collo. Si avvicinò piano, socchiuse gli occhi e le disse in un soffio: «Tu sai cos'ho desiderato»

Rebecca sentì come un solletico: lui le sfiorava il lobo con la punta del naso, respirava il profumo dei suoi capelli. Chiuse gli occhi e rimase immobile, permettendogli di spingersi oltre. Bois-Guilbert scese dall'orecchio al collo e lo sfiorò con le labbra; Rebecca rabbrividì di piacere e provò una strana sensazione di vertigine; avrebbe voluto coricarsi lentamente a terra. Bois-Guilbert, intanto, aveva cominciato a baciarla tra il collo e la spalla, delicatamente; piccoli baci senza rumore, discreti e appassionati insieme. Solo i suoi respiri intensi rompevano talvolta il silenzio delle lucciole.

«Rebecca...» sussurrò ancora un paio di volte, mentre lei sospirava per placare il suo folle cuore. Eppure...

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