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Capitolo XIII

Le donne tornarono in tempo per la cena. Avevano le trecce fradice e le guance rosse; Rebecca non faceva eccezione. Bois-Guilbert, come ogni sera, sedeva già in un gruppo di uomini e scambiava con loro qualche chiacchiera, qualche opinione sulla caccia e qualche consiglio sull'uso della spada in combattimento. I suoi occhi, però, volgevano spesso nella direzione di Rebecca e le sue parole inciampavano una sull'altra mentre parlava. Ben presto i compagni cominciarono a prenderlo bonariamente in giro, e poco dopo sopraggiunse Robin.

«Brian – disse sedendogli accanto – Hai l'appoggio di tutti i buoni fuorilegge di Sherwood e l'intercessione delle loro mogli. Di cosa ti preoccupi?»

Tutti risero di cuore. Non Bois-Guilbert; Bois-Guilbert si limitò a un sorriso amaro, per poi ribattere: «Nemmeno l'intercessione della Santa Madre di Dio potrebbe aprire un varco nel cuore orgoglioso di quella fanciulla»

«E' proprio per il suo orgoglio che ti sei lasciato vincere» osservò Little John.

«Mai concedere la minima libertà alla donna che si vuole! – spiegò un altro compare – Come si dice, dalle un dito e si prenderà tutto il braccio!»

Erano parole che rivendicavano la saggezza dell'esperienza; eppure i compari scoppiarono a ridere, e uno gli urlò: «Tanto lo sappiamo chi è che comanda in casa tua!» E quello grugnì un insulto e annegò i seguenti con una sorsata di birra.

«Non state parlando a uno sprovveduto – li ammonì Bois-Guilbert, alzando la coppa di legno per imporre il silenzio – Non sono nuovo a un tale rifiuto»

A quelle parole chi ancora parlava tacque: e l'attesa dei compagni spinse il cavaliere a continuare: «Certo, su un animo giovane e inesperto sortisce tutt'altro effetto. Era una nobile fanciulla normanna, così bella che aveva pretendenti ben al di sopra del suo rango. Io avevo appena una ventina d'anni e mi infiammai d'amore per lei non appena la vidi. La corteggiai secondo le regole e riuscii a strapparle un pegno; tuttavia, avrei dovuto meritarmi la sua mano e per questo, dopo aver vinto anche i cavalieri più provati sul campo dei tornei, la mia sete di gloria mi spinse a partire tra i crociati. Dissi a tutti che combattevo per Adelaide e presto tutti i menestrelli cristiani cantarono la sua bellezza e la sua virtù. Mi caricai di tanta gloria e di tante ricchezze che avrei potuto gareggiare da pari con i re crociati e quando tornai in Normandia per ricevere la ricompensa che tanto avevo agognato scoprii che la mia amata aveva preso per marito...»

«Ebbene? Continua, Brian!» lo incoraggiò Will Scarlett.

Bois-Guilbert scosse la testa e, dopo un lungo sorso di birra, disse semplicemente: «Un altro» e alzatosi, se ne andò immerso in oscure riflessioni.

Rebecca gli diede il permesso di entrare e Bois-Guilbert scivolò all'interno della capanna con discrezione, serrando subito la porta con un colpo secco al chiavistello. La luce che entrava dalla piccola finestrella, situata al di qua della tenda, illuminava a sufficienza da permettere di distinguere il giaciglio e il cavaliere ci si sdraiò sopra pesantemente.

Si fece svogliatamente il segno di croce e cominciò a recitare le preghiere, ma la sua mente era altrove come lo era stata per tutto il pomeriggio: questa volta, però, era agitata dai ricordi del passato, dai sentimenti che ribollivano nel suo cuore e lo tormentavano ormai da molti anni. Si chiedeva perché i fantasmi della sua giovinezza dovessero perseguitarlo ancora, perché le immagini di dieci anni prima dovessero riapparirgli davanti più nitide che mai rammentandogli a quale prezzo aveva sacrificato le proprie forze e il proprio avvenire. Era accecato dall'amore allora, e aveva promesso che nessun'altra donna avrebbe ingannato Bois-Guilbert; Brian de Bois-Guilbert. Perché un inganno era stato, un tremendo inganno per allontanare un pretendente e magari sperare che non facesse ritorno. Era stato tanto amaro, quel momento, che ne sentiva ancora la frustrazione e la vergogna. Quando l'aveva vista... E quel bambino... E quell'unione... Aveva conosciuto i Templari in Palestina; aveva condiviso con alcuni di loro il combattimento, la mensa, la tenda. E in seguito a quella scoperta aveva deciso che quello sarebbe stato il suo destino; il destino di Brian de Bois-Guilbert.

Rebecca si mosse al di là della tenda; probabilmente era già addormentata. La tentazione di rompere il patto, di varcare la soglia e raggiungerla, stringerla come l'aveva stretta durante il viaggio di ritorno alla locanda, e anche di più... Quasi si alzò, Brian de Bois-Guilbert; ma mentre si metteva seduto ecco tornargli alla memoria il periodo del suo noviziato, e poi i voti sacri, e poi di nuovo la guerra. Adelaide non era Rebecca: per Rebecca, per la sua sopravvivenza, era stato disposto a dare la vita e prima ancora l'onore. Per Adelaide, invece, non aveva desiderato altro che accumularne a dismisura. E a cosa era valso l'onore, se non a una veloce ascesa dell'Ordine Templare fin quasi a sfiorare il bastone di Gran Maestro in un'età assolutamente precoce? Ma ancora: a che cosa valeva quell'onore supremo ora che non aveva più la minima possibilità di raggiungerlo?

Bois-Guilbert si distese nuovamente a pancia in su e incrociò le mani sul petto: e se fosse morto quel giorno? Quale significato avrebbe trovato la sua sete di gloria e quale il suo amore per Rebecca? Davanti ai suoi occhi si spalancò la realtà: la gloria sarebbe morta insieme a lui. Anzi, la gloria era la parte morta di lui. Con la sconfitta aveva ammesso la propria colpa: e per quanto la sua gloria fosse grande, l'infamia l'aveva spazzata via. Nessuno dei suoi compagni d'arme l'avrebbe più portato quale esempio, vuoi perché aveva perso il senno per un'ebrea, vuoi perché aveva preferito la vita dell'ebrea alla propria. Se si fosse trattato di Adelaide, una bella normanna dagli occhi azzurri e lunghi capelli biondi, la sua fama si sarebbe prolungata nei secoli attraverso le canzoni struggenti dei menestrelli e dei trovatori. Eppure il comportamento della bella normanna non aveva sollevato lo stesso scandalo dell'innocenza di un'ebrea contro la colpevolezza di un Templare.

Rebecca si mosse di nuovo e la mente di Bois-Guilbert si liberò d'un tratto di tutti i cattivi pensieri. Era lì, così vicina e pur così lontana da lui. Possibile che anche lei fosse cieca come i cristiani che avrebbero voluto ucciderla? Che non vedesse come l'uomo che aveva di fatto risvegliato dalla morte non fosse più l'uomo che l'aveva rapita?

«Signore – sussurrò Rebecca all'improvviso – Volevo dirvi che Marian mi ha detto ciò che avete raccontato a Robin questa sera...»

Bois-Guilbert sorrise debolmente: «E cosa ne pensi?»

«Penso che mi dispiace» rispose dopo un istante di indecisione.

«Buona notte, Rebecca»

«Buona notte a voi»

I cattivi pensieri rimasero con lui per giorni, come fossero la sua ombra, il lato oscuro di un uomo che dopo molto tempo vissuto all'ombra di un riparo possente esca di nuovo alla luce del sole e riveli il bene e il male che fino ad allora erano apparsi nello stesso bigio colore. Così come ora si svelava il lato più umano del suo carattere, allo stesso modo le cicatrici degli errori passati erano evidenti. Prima era stato semplicemente un normanno assetato di potere – un normanno come tutti gli altri; ora anche gli abitanti del villaggio lo guardavano con un pizzico di compassione. Forse gente sassone di così basso lignaggio non riusciva ad afferrare il peso che l'onore ha sulla dignità di un normanno di nobile nascita; ciononostante, qualcosa era cambiato. L'impenetrabile sguardo celeste del Templare rinnegato non differiva, in fondo, dal colore del ghiaccio che gela i corsi d'acqua durante l'inverno: una calda estate aveva preceduto il gelo e se ne scorgevano gli strascichi nell'impeto passionale che talvolta infuocava quegli occhi e quelle membra; era succeduto un autunno di piogge e lacrime e poi, inevitabilmente, l'inverno che aveva congelato, sigillato l'anima dell'uomo Brian e l'aveva trasformato in fratello Brian, cavaliere dell'Ordine del Tempio.

Bois-Guilbert cercò di non dare importanza a quell'indizio di umanità che aveva seminato sbadatamente. Non lasciò trapelare emozioni quando un compagno gli domandò a che famiglia appartenesse quella Adelaide di cui era stato innamorato. Aveva risposto con voce indifferente, come parlasse di una sconosciuta.

Il cavaliere, quindi, rimase oppresso dalla cupezza per diversi giorni e nemmeno la vista di Rebecca riusciva a fargli tornare il benché minimo sorriso. Una mattina, approfittando di una certa libertà di entrambi – Bois-Guilbert non era nel numero dei cacciatori e lei non era impegnata con le altre donne a cucinare –, la fanciulla si fece raggiungere da lui in un luogo appartato.

«Vi vedo molto provato dai vostri ricordi. È difficile non notarlo, soprattutto se penso all'uomo che eravate fino a una settimana fa» esordì, cercando il suo sguardo. Bois-Guilbert, infatti, non alzava gli occhi su di lei; li aveva fissi a terra distrattamente.

«Se è per questo che mi hai chiamato...» si schermì lui, stringendosi nelle spalle.

«Non mi dite che non è vero, signore. Voi provate ancora dolore per quella donna»

Bois-Guilbert storse le labbra e ribatté: «Quello che provo per quella donna è solo disprezzo»

«Amore e odio vanno di pari passo nel cuore degli uomini. Ditemi: nel vostro si cela anche l'invidia per l'uomo che l'ha sposata?» domandò candidamente Rebecca e, facendolo, sollevò con delicatezza la mano destra di lui. Era un gesto spontaneo, totalmente istintivo; Bois-Guilbert rimase colpito da quella premura e finalmente alzò gli occhi su di lei.

«Invidia no – rispose dolcemente, mentre con la mano libera osava sfiorarle la guancia – Nemmeno per un momento; nemmeno quando la vidi allora. Un tale pensiero non mi si è mai nemmeno avvicinato»

Rebecca arrossì per le sue carezze; non per questo lasciò cadere la mano che, anzi, stringeva più forte.

«Fatemi una promessa, se davvero tenete a me» bisbigliò per farlo avvicinare.

Bois-Guilbert chinò leggermente il capo e accostò l'orecchio alle labbra di lei, invitandola a continuare.

«Non disprezzatemi per il mio rifiuto» singhiozzò Rebecca e, quando lui si fu risollevato, lo guardò con occhi lucidi.

«Rebecca – ribatté lui, commosso profondamente – Io capisco la tua paura; la comprendo davvero. Non ti biasimo: ti ho rapita, ti ho minacciato, ti ho fatto soffrire. Ma guardati attorno: costoro sono fuorilegge proprio come noi. Io sono un rinnegato, non appartengo a nessuna categoria del mondo da cui vengo; tu sei una reietta, poiché appartieni al popolo che mise in croce Nostro Signore. Ma a me non importa, Rebecca!»

«Vi avevo chiesto di non ritornare più su quel discorso!» lo interruppe, aggrottando le sopracciglia. Il cuore batteva all'impazzata nel suo petto, e incrociò le braccia per evitare che lui si accorgesse della sua agitazione.

Ma Bois-Guilbert era distratto da altri pensieri: «Tu mi vedi ancora come un normanno, anche ora che non lo sono più!»

Rebecca sentiva le lacrime sulle ciglia, ma tratteneva il pianto dissimulando le emozioni. Lo ascoltava e le sue parole arrivavano dritte a quel cuore che pulsava a ritmo frenetico. Arrossì violentemente, chinò la testa e distolse lo sguardo.

Lui imputò quell'atteggiamento alla sua contrarietà e troncò il discorso per non offenderla. Se si fosse risvegliato in lei il sentimento testardo del castello di Torquilstone non avrebbe più avuto la possibilità di parlarle francamente. Ritenne meglio, allora, dargliela vinta e sperare, con questo, di accontentarla.

Rebecca non interpretò allo stesso modo il suo improvviso silenzio: avrebbe preferito mille volte continuare ad ascoltare i suoi appelli disperati, piuttosto che trovarlo così pronto ad obbedirle. Colta alla sprovvista, pensò che lui avesse capito: capito cosa? Nemmeno lei aveva chiaro cosa stesse succedendo. Di colpo sollevò lo sguardo e incontrò i suoi occhi fissi, enigmatici. Cosa stava pensando? Pensava di aver vinto, forse? Rebecca rabbrividì a quella prospettiva; rabbrividì perché riconobbe istintivamente che era quella giusta. E si promise di dissimulare in ogni modo: doveva convincerlo di essere ancora quella di un tempo, quella che l'aveva rifiutato a costo della vita.

«Mi dispiace, signore, ma questo non potrà mai essere – rispose mesta e distaccata insieme – Un'ebrea resta un'ebrea e un normanno un normanno, benché rinnegato. Non li aspetterebbe nulla di buono – prese un respiro, poi, allentando le redini del cuore, constatò – Quel giorno mi diceste che avreste fatto di me una regina. Ma non ho mai desiderato esserlo...»

Bois-Guilbert replicò serissimo: «Eppure lo sei. Sei la regina del mio cuore e continuerai ad esserlo. Il tuo rifiuto non sarà come quello di Adelaide»

Rebecca sorrise e lui portò la sua mano alle labbra e la baciò come un servo devoto.

Ecco di nuovo quelsentimento dirompente, quel desiderio di contatto fisico; se rialzandosil'avesse spinta contro il muro della capanna dietro di lei, se l'avesseabbracciata e baciata con la passione che agitava in quel momento tutto il suocorpo dilaniato dai risentimenti, di certo lei non l'avrebbe rifiutato più. Mafacendolo avrebbe dimostrato in primo luogo a se stesso di non essere diversodall'uomo che era stato. Deglutì e tornò a guardarla negli occhi; lei glisorrise più generosamente e con una leggera riverenza si congedò.

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