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Capitolo XI

Ora che quella cicatrice gli attraversava la guancia dal mento all'orecchio, rossa come pulsasse, veniva chiamato banalmente "lo Sfregiato". Già altri malviventi erano stati soprannominati in quel modo e, in fondo, non avrebbe mai dovuto spiegare come quella ferita fosse stata inferta. A nessuno, era ovvio, avrebbe confessato che si era trattato di un coltello da pane. Pure, Jeoffry lo Sfregiato  raccontò a molti di aver incontrato un viaggiatore disarmato ma evidentemente avvezzo all'uso delle armi e per nulla intimorito dall'inferiorità numerica. Raccontò della facilità con cui aveva ucciso il Lesto e fronteggiò gli increduli quando ribadì che il Lesto era morto con la testa quasi staccata dal corpo.

Una sera a una locanda di York si mise a raccontare di nuovo la solita storia. Un mese, sì: un mese prima, sulla strada che si insinua attraverso le foreste di Nottingham, appena dopo la bettola del Cervo rosso. Luoghi conosciuti a molti dei suoi interlocutori e rinomate per i grandi affari fatti a scapito dei ricchi mercanti che ogni giorno passavano per quei sentieri.<br />

Aveva giusto abbozzato il contesto della rapina quando una voce familiare si sollevò da un angolo della locanda e un uomo si alzò in piedi.

«Mi crolli il cielo sulla testa se questo che sento non è mio fratello Jeoffry!» esclamò, e Jeoffry stesso si protese per vedere in volto colui che aveva parlato.

«Albert!» esclamò, veramente sorpreso. Albert si avvicinò a grandi falcate al tavolo del fratello e gli tese il braccio: «Fratello, io ti davo per morto!»

«E io pure!» confessò Jeoffry lo Sfregiato.

«Quel maledetto Templare per poco non ti ha accoppato, vedo! Oppure hai tentato qualche colpo dopo che ci siamo separati?» domandò Albert, scoprendo i denti radi in un macabro sorriso.

Jeoffry aggrottò la fronte: «Non ricordo di aver rapinato un Templare. Solo un matto lo farebbe!»

«Ascoltami: se te l'ha fatto l'incappucciato del Cervo rosso, sta' sicuro che è un Templare. L'ho riconosciuto!»

Gli avventori della locanda si affollarono attorno a lui e anche l'oste tese l'orecchio.<br />

«Brian de Bois-Guilbert, sono pronto a giurarlo sull'anima di nostra madre!» disse con tono enfatico. Ma un tagliagole di città troncò brutalmente il suo entusiasmo: «Tua madre ti rinneghi! Giuro sulla mia testa di aver sentito dare per certo che quel Templare è morto giusto tre mesi fa!»

«Morto?! Impossibile! Un mese fa mi ha quasi ridotto a un colabrodo» inveì Albert, scaricando una serie di pugni in aria contro il malvivente.

«L'ho sentito dire anch'io – intervenne l'oste – S'è fatto ammazzare ad una lizza a Templestowe per un'ebrea»

«Un'ebrea?!» ghignò un altro avventore dall'aria pericolosa.

«Si dice che l'avesse rapita, ma il Gran Maestro l'ha accusata di essere una negromante e lei ha preteso un'ordalia. Bois-Guilbert ha parteggiato per l'Ordine ma la maledizione è stata più forte di lui e l'ha spinto a farsi ammazzare» raccontò l'oste.

«Tu hai sognato, Albert – lo rimproverò Jeoffry – Come fai ad essere sicuro che si tratti proprio di lui?»

Albert fece una brutta smorfia al fratello e rispose rancoroso: «Perché l'ho visto da vicino ad Ashby, imbecille! E sono pronto a giurare anche sull'anima di nostro padre: quello era lui! Un'ebrea: giusto, oste? Jeoffry, non dirmi che quelli che volevamo rapinare non erano ebrei»

«Non ho mai detto il contrario – ribatté – Ma di ebrei ce ne sono tanti!»

«Sì, ma erano padre e figlia. E la figlia aveva tutta l'aria di essere una maga»

«Potrebbe darsi – ammise Jeoffry, facendo spallucce – Ma quante della sua razza lo sono?»

Albert si spazientì e batté un pugno sul tavolo.

«Era lui, ti dico!» esclamò.

Jeoffry non si spaventò; si alzò in piedi, guardò il fratello dritto in viso e bisbigliò: «Tu sei matto, Albert!»

«L'ha richiamato in vita» sentenziò l'altro.

«Chi?» domandò un uomo non distante.

«La ragazza! – rispose, voltandosi di scatto – Con i suoi incantesimi, i suoi demoni... L'ha richiamato dall'Inferno! Ecco come ha fatto. Il Templare era morto, ma lei lo ha risuscitato, l'ha fatto schiavo ed ora quello la serve come se fosse la sua padrona»

Jeoffry continuò a fissarlo, mentre un sottile, gelido brivido gli percorreva le braccia. Albert aveva studiato, se ne intendeva sicuramente più di lui... Il pensiero di aver affrontato un demone lo atterrì, e il suo viso sbiancò. Nell'osteria era piombato un silenzio di tomba; nessuno aveva più obiezioni da muovere. Lentamente, il sospetto cominciò a serpeggiare tra i tavoli.

«Dove si trova, ora?» domandò l'oste, con voce roca.

Albert alzò le spalle: «Io, grazie al Cielo, non li ho più incontrati. Anche se mi piacerebbe avere la mia rivincita... e il mio bel bottino. Un morto, di certo, non può più apprezzare certi aspetti della vita; io, invece, sono vivo e vegeto»

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