Terza prova
"Stupido gatto!" Peter lo scacciò, tentando di assestargli un calcio, ma la bestiola scappò prima che potesse colpirla "Quel gatto mi odia, James!" "Oh, direi più che... non sai come prenderlo" ribattei, guardando James che scoppiava a ridere, mentre Robin saltava sulle mie gambe. Peter Sbuffò contrariato e James lo rimbeccò, giusto per irritarlo ancora un po' "Andiamo Pete... non fare il geloso" "Pff, geloso..." Si alzò dalla poltrona impettito, senza aggiungere altro e scomparì per le scale che portavano al dormitorio, senza proferire parola. La Sala Comune era deserta, apparte me e James, ma nonostante l'ora, non avremmo seguito Minus. "Hai il Mantello?" lui acciuffò il boccino che aveva appena lasciato andare, e poi, sorridendo, lo tirò fuori. A noi bastava un gesto per capirci. Si alzò, senza che aggiungessi altro, andando dritto al ritratto. "Sai che l'altra sera penso di esserci andato molto vicino..." disse James con gli occhi brillanti "Non conta quanto ci sei andato vicino" ribattei impertinente, divertemdomi come al solito nel vedere la sua faccia scocciata, che solo io e la Evans eravamo in grado di provocargli "È riuscirci, l'importante...". Lui mi spinse in corridoio "Sta' zitto...". Quella nostra routine stava andando avanti ormai da un po': quasi ogni sera ormai sgattaiolavo via insieme a lui, passando buona parte della nottata insonne. Volevamo aiutare Remus. Il suo piccolo problema peloso era sempre stato un fardello per lui, poi però aveva iniziato ad allontanarci. E quell'idea, che era nata per caso, fu attuata per momentanea follia, e per amicizia, solo per amicizia, avremmo potuto portarla a termine. Nessuno di noi sapeva a che cosa stava andando incontro, ma avremmo affrontato qualsiasi cosa, spalla a spalla. Il processo di trasformazione in Animagus non era sicuro, né scontato, ma la nostra determinazione compensava le difficoltà. "Stasera la Evans è di ronda..." disse James, mentre mi copriva con il Mantello, attirando la mia attenzione "Vedi di non fare rumore" lo guardai di sottecchi "Piuttosto tu, cerca di non fare rumore... l'ultima volta per colpa tua, e ci scommetto la bacchetta che ti sei fatto scoprire apposta, ho dovuto sorbirmi la McGranitt per un'ora!" "Sirius... ti prego, sai che non lo farei mai..." bisbigliavamo, prendendovi a gomitate sotto il mantello, per ogni frecciatina lanciata. Scendevamo le scale silenziosi e rapidi, continuando a parlottare fra noi, mentre tutti i quadri del castello ignoravano il nostro passaggio. Tra una scorciatoia e l'altra in pochi minuti avevamo quasi raggiunto l'ingresso. James era intento in una specie di monologo, cercando di convincere me e se stesso che la sua trasformazione era ormai prossima, ma oltre il suo chiacchiericcio sentì dei passi provenire dal corridoio vicino. "James!" gli feci segno di tacere, e lui, guardandomi dubbioso si zittì, riconoscendo anche lui il rumore. Rimase un attimo in ascolto, ma subito un sorriso furbo si dipinse sul suo volto. Per Godric... Probabilmente era la Evans "Non pensarci nemmeno..." "Andiamo Sirius..." mi supplicò con espressione da cucciolo bastonato "Dannazione James! Stai diventando più insopportabile di Peter" "Senti..." iniziò, ma lo fermai subito "Cammina" "...ti lascio il Mantello, per favore... quello che vuoi...". Non mi aveva mai supplicato in quel modo, e la cosa mi aveva decisamente messo di buonumore: avrei di certo sfruttato questo punto debole in futuro. "D'accordo" sospirai, e James fu tanto veloce a squagliarsela prima che cambiassi idea, che sospettai si fosse smaterializzato. La tua è fatica sprecata Potter... Presi la via per l'ingresso, e non ero neanche a metà strada che già le grida e i rimproveri di Lily mi raggiunsero strappandomi una risata. Erano anni che tormentava la povera Evans, tanto che gli avrebbe concesso un appuntamento solo per esasperazione, se non fosse stata così testarda... Era peggio di James. Per uscire dal castello, non impiegai molto, soprattutto grazie al mantello. Raggiunsi prima il cortile, e poi il platano. In lontananza si vedeva un filo di fumo spuntare dalla capanna di Hagrid. Ero abbastanza riparato, e sapevo per certo che quel posto era sicuro: nessuno si spingeva di ronda fin laggiù, e non era troppo vicino alla Foresta, né alla scuola. Usavamo sempre quel luogo. Cominciava a darmi un po' sui nervi... Ricordo ancora la frustrazione. Non ero abituato a quella sensazione... non ero abituato a fallire. E quella storia andava avanti ormai da anni. Il fatto era che non ero abituato neanche ad arrendermi. Mi sentivo così... patetico. Così frustrato. Era qualcosa che mi bruciava dentro, come una sorta di rabbia. Per l'ennesima volta presi posto, nascosto dietro l'altura del Platano. Com'era possibile che ancora non ci fossi riuscito? Io che ne avevo superate tante, che ne affrontavo sempre di più? Volevo aiutare Remus, volevo stargli accanto, alleggerire il suo fardello. Era quello di cui avevo bisogno per sentirmi un buon amico, perché era così che vedevamo l'amicizia: affrontare le avversità insieme, e condividere la felicità. Mi tremavano le mani per l'agitazione. Non riuscivo a capire cosa mi prendesse, ma i miei pensieri erano fuori controllo, e quella rabbia verso me stesso mi accese il petto, per concentrarsi dietro le costole, nel cuore. Tentai di sedermi, per fermare quel tremore che mi impediva quasi di tenere la bacchetta. Non devo desistere... Nonostante la presa poco salda sulla bacchetta, pronunciai la formula di rito, e attesi qualche istante. Niente. Ancora. Niente. Ancora. Niente. Mi strappai la gola con un grido di impazienza, lanciando a terra la bacchetta. Ero immobile, eppure senza fiato. La luna si affacciava ogni tanto dalle nuvole passeggere e illuminava il prato intorno a me, ma in quel momento era buio. Un respiro, agitato e rumoroso mi uscì dalle labbra. Portai una mano alla fronte, sentendola calda. La bacchetta. Dovevo trovarla, ma non riuscivo a distinguere neanche il profilo del castello, nello scuro della notte. Mi chinai, tastando il terreno. Mi sentivo più calmo, ma le mie mani tremavano, e brividi mi correvano lungo la schiena. Non impiegai molto a trovarla, e non appena la mia mano sfiorò il manico di legno, una scintilla partì dalle mie dita, correndomi per tutto il corpo. Soffocai un grido di sorpresa, quando la sentii fermarsi di nuovo nel petto. Questa volta più calda. Mi costrinse a carponi, mentre pian piano tutto il mio corpo sembrava nuovamente bruciare, in un confuso tremolio. La luna emerse dalle nuvole, e vidi la mia stessa mano, aggrappata al terreno, sdoppiarsi in un'immagine confusa. Prima ero io, poi, al posto del mio braccio, un artiglio nero. Rantolai, ma quello che giunse alle mie orecchie assomigliava di più a un ringhio bestiale. Era come se mi stessi frantumando per cambiare forma. Era giunto il momento. Perfino la mia spina dorsale sembrava volere uscire dalla carne: la pressione delle ossa era tremenda, sentivo ogni singolo muscolo riadattarsi e modellarsi al nuovo aspetto. Nel tremolio delle mie braccia non distinuevo più la pelle rosea, solo un folto manto nero. PA schiena scricchiolò, aggiustandosi, e le gambe, nonostante ricordavo di essere ancora in ginocchio, erano pronte a scattare. In pochi istanti tutto si fermò, e quel fuoco che aveva consumato la mia forma umana, si ritirò. Ero immobile. Sentivo la forza. L'aria. I suoni. Sentivo me stesso. E tutto era diverso. Io ero diverso. Avevo una gran voglia di ridere. Una sorta di latrato mi sfuggì dalle fauci, e, divertito, iniziai a muovermi. Le mie gambe erano potenti zampe, e il busto possente riusciva a spingermi sempre più veloce. Mi ritrovai a correre. Senza quasi essermene reso conto. Capii che la mia nuova forma era imponente. Mi sentivo al settimo cielo. E in pochi secondi tutto finì. Ruzzolai a terra, fermandomi. L'erba si era strappata, rimanendo fra le mie dita. La sensazione di potenza non se n'era ancora andata. Un sorriso era stampato indelebilmente sul mio viso. Iniziai a ridere. Ridevo rivolto al cielo. Ridevo alla notte, e alle stelle. Ridevo rivolto alla luna.
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