Otto
1 Settembre, ore 15:00
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Io e Amanda decidiamo di uscire dall'Happy Chicken, il locale in cui "avremmo" dovuto pranzare, (ci è stato impedito a causa di un imprevisto che ha portato via sia il cibo che la nostra fame...) e di andare incontro al ragazzo che poco prima è stato licenziato dal padrone del locale.
Lo troviamo in un vicolo all'angolo dell'edificio, buio e pieno d'immondizia. Se ne sta seduto per terra con le gambe piegate e i gomiti poggiati su di esse. Le mani coprono quasi tutto il viso, ma da esso si possono comunque scorgere alcune lacrime che pian piano ne rigano la parte inferiore.
<<H-Hey, tutto bene?>> dico con voce flebile.
Ma quanto puoi essere stupida, Iole? È appena stato licenziato e, secondo quel che ha detto il direttore, aveva proprio bisogno di quel lavoro. Come può andare tutto bene? Te sei la prima a dover capire cosa significhi provare dolore, disperazione e angoscia per qualcosa che non potrebbe essere altrimenti, qualcosa che bisogna accettare così com'è perché ormai il passato è passato. Ed è impossibile cambiarlo.
Tua madre ha i giorni contati Iole, lo sai bene...proprio tu non puoi permetterti di fare l'insensibile con altri che soffrono come te. Non è giusto.
Il ragazzo adesso sembra guardarmi stranito e non sta piangendo più. Pare essere più preoccupato per me che per quello che gli è appena successo.
Identico a te, Iole...
Ma perché ogni volta che dico qualcosa a qualcuno, subito dopo mi perdo nei miei pensieri? Che razza di problemi ho?
Decido di non pensarci più perché quando penso troppo finisco col sentirmi male e col fare preoccupare gli altri inutilmente. Mi sento uno schifo, però.
<<Ti faccio la stessa domanda, ragazza. Va tutto bene?>>
Sentendo quella voce, la voce di Ryan, istintivamente muovo di scatto la testa e sbatto con un colpo secco le palpebre... mi ero incantata davanti a lui.
<<Dici a me? Oh sì, non può andare meglio di così. E tu invece? Ti va di parlare un po' con me e la mia amica? Sai, specialmente lei è davvero simpatica e->>
Mi interrompe.
<<Ho capito, ho capito... siete dispiaciute per me e quindi vorreste fare qualcosa per tirarmi su ma, davvero, sto bene... non dovete fare nulla per me.>>
Fosse stato per le parole mi avrebbe subito convinta ma, il suo tono dimesso e i suoi occhi pieni di tristezza... lo hanno proprio ingannato.
<<Dai, lo sai benissimo anche tu che non è così. Siamo qui e dovresti approfittarne... sfogati, parla, grida. Tutto quello che vuoi. Basta che non ti vediamo più così giù.>>
<<Esatto... Cannolino, siamo tutte orecchie!>>
Lancio un'occhiataccia ad Amanda che al suo solito prende qualsiasi cosa alla leggera e con molta scherzosità.
Ma che poi... Pasticcino, Cannolino... ci ha per caso scambiati per dei dolci esposti in un bar?
Mentre io me la sono presa a male, per via del mio carattere scontroso e irritabile, Ryan sembra essere invece divertito da quella benevola presa in giro.
<<Va bene, mi avete convinto. Vi racconto tutta la storia. Ma prima di farlo, potrei sapere il nome di voi umili donzelle?>> dice spiritoso.
Io e Amanda ridiamo compiaciute, dopodiché ciascuna di noi due gli dice il proprio nome.
Noi sappiamo già il suo quindi evitiamo di chiederglielo e lo lasciamo parlare:
<<Bene Iole e Amanda, dovete sapere che la mia vita è sempre stata un terribile inferno.
Mio padre è morto quando avevo solo quattro anni e mia madre, beh, lei mi ha abbandonato per mancanza di soldi. Ricordo ancora quel giorno come fosse accaduto ieri...
Quando avevo sei anni, la situazione economica della mia famiglia, composta unicamente da me e mia madre, era davvero critica.
Mamma così aveva cominciato a lavorare illegalmente, si avvicinò al mondo della droga, diventando lei stessa una tossicodipendente.
Potete immaginare voi stesse come siano andate le cose dopo: peggiorarono sempre di più.
Lei non si rendeva nemmeno conto di quello che diceva, figuriamoci delle azioni che compiva.
Così un "bel" pomeriggio di ottobre la sua testa malata decise di lasciarmi proprio qui, dove mi trovo adesso, abbandonato a me stesso. Da quel momento in poi non l'ho più rivista...
Comunque, dopo fui trovato proprio dal direttore che mi accolse a braccia aperte, mi crebbe come un figlio e non appena raggiunsi i sedici anni, mi mise in regola e mi fece lavorare... e ora eccomi qui. Nella stessa identica situazione di quando avevo sei anni.>>
Tornano le lacrime agli occhi di Ryan.
Per poco non mi metto a piangere anch'io... la sua storia è davvero commovente e io sono una persona molto sensibile.
Devo chiedergli ancora una cosa...
<<Però adesso mi sorge spontanea una domanda: perché il direttore ti avrebbe licenziato per una stupidaggine del genere?>>
Vedo i suoi occhi spegnersi.
<<Non è per quello che mi ha licenziato. È per una questione molto più complicata che non sto qui a spiegarvi. Inoltre si è fatto tardi e sicuramente avrete da fare. Vi ho già trattenute per molto.>>
<<Se pensi che dopo quello che ci hai raccontato noi ti lasciamo qui, in mezzo ad una strada, da solo... allora te sei proprio fuori di testa, più fuori di testa di me e Iole messe assieme. E credimi che non è tanto semplice esserlo...>>
Amanda dimostra ancora una volta di essere una bellissima persona, piena di vita e solare, a tal punto da riuscire a trasmettere tutta la sua positività a chiunque le sta intorno. Vorrei poter essere anch'io così.
<<Amanda ha ragione, noi non ti lasciamo qui da solo. Che ne dici se per ora venissi a stare con me all'Extended Stay American Hotel? Appartiene ai miei zii e non credo facciano storie se venissi a stare lì con me per un po'...>>
Gli occhi di Ryan si illuminano di gioia: <<C-C-Coosa? No, va be... non posso. Sarebbe davvero troppo, avete già fatto tanto per me. Grazie lo stesso.>>
<<E daii, non fare complimenti, che vorrei esserci io al tuo posto!>> dice Amanda di tutta risposta.
<<Okay... allora accetto. Ma comunque sono in debito con te, Iole.>>
Mi scappa una risatina e lo stesso accade ad Amanda e Ryan.
In questo momento la mia mente è leggera come una piuma e riesco solo a pensare a quanto possiamo essere un trio a dir poco perfetto.
So già che diventeremo grandi amici.
***
Si son fatte le cinque di pomeriggio, Amanda è tornata a casa, promettendo di venirci a trovare l'indomani mattina, mentre io e Ryan ci incamminiamo verso l'hotel.
Ci mettiamo meno di dieci minuti ad arrivare e con un passo neanche tanto svelto.
Giunti alla hall, troviamo Jace seduto nell'immenso divano in pelle con delle ragazze.
Diciamo che, più che ragazze, sembrano delle cagnette in calore. Ma va be...
Si strusciano con tutto il loro corpo su Jace e lui sembra proprio apprezzare.
Avverto un'improvvisa stretta al cuore.
Che mi prende? Non posso essere gelosa... è mio cugino.
Ma le lacrime si impossessano velocemente dei miei occhi, facendomi sentire un lieve pizzicore.
Dico frettolosamente a Ryan di seguirmi in camera e decido di non dire niente né a Jace (non posso di certo disturbarlo) né ai suoi genitori.
Mi chiudo alle spalle la porta della camera che ci è stata assegnata e mi ci appoggio subito dopo sollevando leggermente il capo e serrando energicamente gli occhi... non piangere Iole, non devi assolutamente piangere.
Ryan è rimasto colto di sorpresa dal mio comportamento e sembra essere piuttosto confuso: <<È tanto se chiedo spiegazioni su cosa è appena successo qua fuori?>>
Non ho voglia di parlarne.
<<Scusami tanto Ry, ma non sono in vena di raccontare. Magari un'altra volta... sono confusa anch'io, credimi.>>
Non voglio dare l'impressione di una persona scorbutica ma purtroppo ho una grandissima difficoltà ad aprirmi con gli altri, sono esageratamente riservata ed è come se avessi creato una barriera divisoria tra me e le altre persone.
Persino a mia madre, che è una delle persone per me più importanti, a volte non racconto tutto ciò che mi accade...
Forse ho paura di soffrire ancora una volta, come quando in Italia venivo derisa per via del mio modo di essere e di pensare.
Questi pensieri anziché farmi piangere mi hanno fatta smettere, non ho più lacrime. Ne ho versate fin troppe.
Basta piangere. Basta essere debole.
Devo essere forte e dimostrare di non essere chi dicevano che ero. Devo reagire.
In quello stesso momento sento bussare alla porta.
Chi può essere?
Giro la chiave e apro.
Mi ritrovo faccia a faccia con mia madre che se ne sta lì sospesa sull'uscio della porta.
Cosa ci fa lei qui? Perché non è in ospedale? E... per quale motivo indossa un camice chirurgico?
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