5. Le Iene, i Drughi e la Banda del Big Bang
Mina
In cuor mio avevo davvero sperato che il liceo si sarebbe rivelato migliore delle disastrose scuole medie, passate come emarginati tra le prese in giro dei compagni e i miei voti che puntavano al ribasso. Purtroppo nessuno di noi tre aveva messo in conto che quasi la metà di quelli che ci avevano tormentato durante gli anni precedenti fosse finita in classe con noi. Insomma, ormai la sfiga mi tallonava a tal punto che stavo iniziando a pensare di preparare i documenti per farmi adottare da lei una volta per tutte. Nonna diceva che ero esagerata, che qualche presa in giro temprava il carattere e che i bulli erano sempre esistiti... Io non l'ascoltavo. "Facile per gli adulti guardare ai nostri problemi dall'alto in basso. Ormai si sono dimenticati di quanto faccia schifo l'adolescenza."
Di conseguenza, la situazione a scuola non era affatto cambiata dall'anno precedente. C'era ancora il gruppo delle "Iene", chiamate così da Tom per la loro risata irritante. Si trattava di un potpourri di figli di dottori, ingegneri e avvocati che facevano a gara a quale famiglia avesse il conto corrente più gonfio, mostravano fieri la loro American Express – ovviamente la copia scaduta di uno dei genitori – e quando passeggiavano nei corridoi, durante ogni intervallo delle dieci, sembravano voler inscenare la settimana della moda milanese. Guai a passare nella loro zona – primissimo banco per meglio mostrarsi ai prof – con scarpe comprate nei negozi dei cinesi. Qualcuno giurava di averli visti perdere i sensi quando avevano riconosciuto la borsa Prada contraffatta della prof di biologia.
Oltre alla loro aura fatta dorata, galleggiava "la Banda del Big Bang" in seconda fila: un'associazione pseudosegreta di rachitici secchioni e occhialuti nerd che, oltre a essere l'obiettivo prediletto dei peggiori bulli della scuola, non si preoccupavano nemmeno di rendersi simpatici agli occhi degli altri. Io, Luca e Tom avevamo cercato di unirci a loro, per creare una sorta di controffensiva alle prese in giro dato che l'unione fa la forza, ma si atteggiavano con superiorità, non capivano mai le battute di Tom e il fatto che noi odiassimo studiare per loro equivaleva a un insulto. Tutti insieme erano peggio di uno Sheldon Cooper nella sua forma peggiore: coperta fin sulla testa e Marcia Imperiale in sottofondo.
The last but not the least, così come spesso diceva Tom, c'erano i "Drughi", gli unici che si erano scelti il soprannome da soli, non di certo per i Drughi che vedevo quando andavo in curva allo stadio della Juventus, ma per i ben noti teppisti di Arancia Meccanica. Al primo anno di liceo li avevo vinti tutti e quattro in blocco nella mia classe.
Lo dicevo io di dovermi fare adottare dalla sfiga.
«Hai visto quella stronza di Colosso?» domandò Tom dalla porta alle mie spalle. La sua voce si disperdeva nella grossa palestra della scuola.
«Sì, continua a fare lo sgambetto al nostro attaccante.»
«Perché cazzo il prof non l'ammonisce?»
«Perché non vuole farsi rigare la macchina dai Drughi. Ora concentrati, che siamo sotto di due.»
La partita di calcio durante l'ora di educazione fisica era al termine e la mia squadra, come sempre, stava perdendo. Luca ci guardava da bordo campo, ogni tanto alzando la testa dal suo libro per fare il tifo e, per lo più, annoiarsi. Non poteva fare molto altro durante quell'ora.
I Drughi giocavano contro di noi, aggressivi e disorganizzati. Erano stati proprio loro quattro il nostro incubo scolastico peggiore e ancora continuavano a esserlo. Come le Iene, passavano gran parte delle loro giornate a prendersela con gli altri, ma invece di ridere e basta, quelli preferivano sbellicarsi dalle risate mentre ti spaccavano il naso o ti rubavano i soldi dal portafogli.
Fabio, lo stesso che aveva iniziato a tormentare Tom alla scuola dell'infanzia, negli anni era cresciuto tanto da essersi guadagnato il soprannome Hulk. I muscoli dovevano essere l'unica parte che avesse superato la pubertà, dato che il cervello non aveva subito alcun miglioramento dall'asilo. Se ne stava sempre in coppia con Wolverine, un brutto ceffo magro e spigoloso, che qualcuno sospettava girasse con un coltello nella tasca dei jeans e la pistola del padre sotto la sella dello scooter. Si diceva che insieme spacciassero fumo già alle scuole medie.
Con loro agivano da un paio di anni anche la Vedova Nera e Colosso. Mai viste due coppie tanto innamorate e affiatate fuori da un film. Incredibile quanto inquietante. La Vedova Nera, ormai fidanzata storica di Wolverine, aveva guadagnato quel soprannome non di certo per essere figa quanto Scarlett Johansson, ma perché nel suo guardaroba non esisteva altro colore se non il nero; la sorella, invece, era la trasposizione femminile del personaggio d'acciaio della Marvel. Beh, definirla femminile era un'esagerazione. Alta un metro e ottanta, spalle larghe che Federica Pellegrini levati proprio, muscoli sulle braccia peggio di un carcerato appena uscito dopo anni di reclusione, era proprio lei la mente del gruppo. Avrei preferito finire tra le mani di Hulk per essere accartocciata come l'involucro dei Fonzies, piuttosto che finire sulla sua personale lista nera.
Durante un delle azioni finali della partita, fu Colosso a commettere fallo per l'ennesima volta, colpendo con una spallata uno dei nostri sulla fascia. Di nuovo, il professore fece finta di nulla. Stavo immaginando nuovi modi per maledirli tutti quanti, tra diarree fulminanti, emorroidi e un bel Sectumsempra che mi avrebbe soddisfatto parecchio se solo avessi avuto una bacchetta a portata di mano – e se Hogwarts mi avesse mandato quella dannata lettera tre anni prima –, quando la vidi: la gigantessa controllò che il professore fosse impegnato a parlare con un compagno, prese la mira e calciò la palla con il collo del piede con tutta la sua forza in direzione della panchina. Per fortuna aveva una mira pessima e non beccò in pieno la faccia di Luca, ma il muro appena sopra la sua testa. Il pallone rimbalzò con violenza e colpì il mio amico sulla nuca, gli occhiali caddero a terra e vennero poi pestati da Hulk, che si trovava "accidentalmente" lì accanto.
«Che pezzi di merda», disse Tom affiancandomi. «Lo hanno fatto apposta.»
«Che brutti figli...» feci un passo avanti, ma la sua mano mi trattenne.
«Lascia perdere, Mina. Non vorrai metterti contro quelli?»
Aveva ragione, come sempre. Eravamo soltanto a novembre del primo anno del liceo linguistico e avevo già accumulato una lunga sfilza di insufficienze e ben due note: la prima perché avevo marinato la scuola e mi avevano scoperto dopo nemmeno un'ora per colpa del dannato registro elettronico. La seconda perché avevo il brutto vizio di rispondere ai professori. All'ennesimo Non ti permettere di parlarmi così dell'odiosa prof di storia, io avevo replicato con Se lei spara stronzate in continuazione, è mio preciso dovere dire la mia.
Il prof sospese momentaneamente la partita e chiese a Luca se andasse tutto bene. Io e Tom raggiungemmo il nostro amico e cercammo di raccogliere i pezzi sparsi dei suoi occhiali, ormai irrecuperabili. «Va tutto bene?» chiesi.
«Una meraviglia», rispose asciutto. «Dai, andate, la vostra squadra fa già schifo così, almeno tornate in campo a fare qualcosa.»
Obbedii. Trattenni tutte le maledizioni che conoscevo, li guardai con sguardo ferino mentre speravo di vederli vomitare lumache, e tornai mesta verso la mia difesa.
«Sai cosa si dice in giro, topo di fogna?» sussurrò Colosso mentre le passavo accanto.
Ignorai quel nomignolo che mi perseguitava da anni, un po' per gli incisivi pronunciati e un po' per il color biondo cenere spento dei miei capelli corti appena sotto le orecchie, e continuai per la mia strada. «Si dice in giro che tua madre ti abbia abbandonato in un bidone dell'immondizia perché è una drogata del cazzo.»
Ingoiai la bile e proseguii. Purtroppo sapevo che ignorarla l'avrebbe solo spinta a continuare.
«E dicono anche ti scopi l'handicappato. È vero? Sai, mi sono sempre chiesta se gli si alza l'uccello, o se pure quello è paralizzato.»
La ragazza che nonna Melania aveva cresciuto con sani principi continuò a camminare, passò sopra agli insulti tenendo lo sguardo alto e dimenticò in fretta l'accaduto.
Mina, invece, la ragazza che ero diventata, fatta di cocciutaggine, testa dura e mani svelte, si scagliò a colpire quell'energumeno formato femmina con una testata in pieno stomaco, meglio di Zidane alla finale dei mondiali. Avrei sopportato le parole contro mia madre o le prese in giro nei miei confronti, ma non riuscivo ad accettare che se la prendessero con Luca.
Nella palestra all'ultima ora del mattino scoppiò il finimondo, che presto si concluse con Colosso senza un graffio, ma così furiosa che dovettero trattenerla in tre, Tom partito a spalleggiarmi mentre se la prendeva con Hulk a furia di spintonate, il professore che si piazzò in mezzo per mettere fine alla rissa, e io con la faccia dolorante dopo il secondo pugno subito.
Io, Tom e Colosso ci ritrovammo in presidenza così velocemente che ancora mi girava la testa. Urla del professore, tono severo del preside, chiamata alla nonna, minaccia di sospensione, e tempo cinque minuti eravamo già in classe insieme agli altri per uscire prima del suono della campanella. Colosso se l'era cavata con una lavata di capo, dato che il professore aveva confermato l'accaduto da lei riportato: è stata Mina ad attaccarmi senza motivo, io mi sono solo difesa. Il preside aveva fatto finta di crederci, dato che non aveva prove che fosse avvenuto il contrario. Tutti conoscevano la fama dei Drughi e nessuno, nemmeno la maggior parte dei professori e bidelli, aveva intenzione di mettercisi contro.
«Ti si sta gonfiando la faccia come una zucca», mi fece notare Tom. Mi sfiorò la guancia dolorante con la punta delle dita, io mi ritrassi, un po' imbarazzata per il gesto. Lui se ne accorse, così tornò a spingere la carrozzina di Luca mentre tornavamo verso casa.
«Metterò del ghiaccio e si sgonfierà... che palle, se prendo un'altra nota, rischio la sospensione.»
«Sono cazzi tuoi. Non avresti dovuto metterti contro quelli.» Erano le prime parole che Luca pronunciava da quando ero uscita dalla presidenza e me le buttò addosso quasi con disprezzo.
«Che bel ringraziamento. Tu non hai sentito cosa ha detto quella stronza.»
Sbuffò dalle narici e con un colpo alle ruote si staccò da noi per proseguire da solo. «Ehi, ma che ti prende?»
Dovetti velocizzare il passo e ripetermi due volte prima che parlasse. «Mi prende che sono stanco di avervi come due cazzo di guardie del corpo. Lo so che mi ha chiamato handicappato, l'ho sentita, l'hanno sentita tutti, ma non ho bisogno di protezione continuamente. So cavarmela da solo.»
Una nuova spinta e si allontanò ancora. Stavo per rincorrerlo, ma Tom mi trattenne. «Lascialo stare.»
«Nemmeno un grazie!» sbottai. «Ti rendi conto? Per poco non mi sospendono e lui mi risponde così.»
«Ha bisogno di stare solo.»
Incrociai le braccia al petto, ogni sbuffo che lasciava la mia bocca diventava una nuvola di vapore. «Non capisco quale sia il suo problema. Sono io che sono finita dal preside, non lui.»
«Nessun ragazzo è felice di sapere che c'è una femmina a proteggerlo.»
Aggrottai la fronte. «Ma che cazzata è? Avrebbe reagito allo stesso modo se lo avessi difeso tu.»
«Probabile. Il fatto è che vorrebbe poterlo fare da solo. Possibile che il tuo cervello sottosviluppato non ci arrivi?»
Ripresi a camminare. Tom mi si affiancò, teneva entrambe le mani agganciate alle bretelle del suo eastpak nero pieno zeppo di scritte fatte con il bianchetto. «Posso sapere cosa ti ha detto Colosso?»
«Pensavo l'avessi sentita, visto che ti sei azzuffato anche tu.»
«No, dopo che hai dato di matto, ho visto Hulk che stava arrivando a spalleggiare la sua ragazza, così mi sono buttato anche io nella mischia.» Lo guardai di sfuggita, ma lui evitò i miei occhi. Valeva così tanto quel gesto per me, ma parlò prima che potessi ringraziarlo. «Allora, che cosa ha detto per farti incazzare così?»
«Mi ha chiesto se me la faccio con l'handicappato e se a Luca si alza il... beh, hai capito. Allora non ci ho visto più. Che idiota che sono, avrei dovuto stare ferma. Perché non penso mai prima di agire?»
Mi sospinse appena con la spalla. «Odio doverti dare ragione, girl, ma questa volta mi sarei comportato allo stesso modo.»
Gli sorrisi, mi chiese un cinque veloce e proseguimmo verso casa... e la sicura ramanzina di nonna Melania.
***
Buon sabato! Spero tanto vi sia piaciuto il capitolo, perché a me continua a non convincere. L'ho corretto mille volte e ogni volta trovo qualcosa che non va... quindi, aspetto i vostri commenti!
Un abbraccio e a presto!
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