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45. Profumo indimenticabile

Mina

Prima di mettere piede nella villa, non avrei mai immaginato quante persone potessero essere impiegate nella cura di un'unica abitazione. Tom, dopo essere stato chiamato con urgenza sul set per alcuni problemi tecnici, ci aveva lasciate in compagnia dell'autista, che ci presentò il giardiniere, due guardie, un cuoco, un aiuto cuoco e due cameriere che si occupavano della pulizia di diverse zone della casa. C'era persino un maggiordomo.

Fu proprio lui, Garren, a mostrarci le nostre stanze e a mettere in moto la casa per prepararci la cena. Doveva avere solo una manciata di anni più di me. Mi parve strano, perché nella mia testa assomigliavano tutti ad Alfred, il maggiordomo di Bruce Wayne. Affabile e sorridente, tentò di metterci subito a nostro agio, ma senza Tom, io e nonna ci sentivamo come due pesci fuor d'acqua. Quanto mi sentivo insulsa tra quelle mura, nella ricchezza del mobilio, dei tappeti, persino nelle cornici dorate dei quadri. La villa aveva più stanze al piano terra che un cinema multisala, e altrettante camere da letto e bagni al piano di sopra.

Dopo cena, quasi tutti i domestici si dileguarono, a eccezione di Garren, che ci assicurò di poterlo chiamare a qualsiasi ora della notte solo digitando lo zero sul telefono di casa.

Accompagnai la nonna nella sua stanza e la aiutai a svuotare le sue numerose valigie. «Dobbiamo stare qui solo qualche giorno e hai portato tutto il tuo guardaroba...»

Si era seduta sul letto, lamentandosi di un'infinità di acciacchi. La protesi al ginocchio e all'anca, l'osteoporosi e l'artrite si facevano sentire parecchio dopo la lunga giornata. «Non vorrai mica vestirti due volte nello stesso modo mentre sei qui.»

«Ovvio che no, sai che guai altrimenti!» la presi in giro. Nella mia valigia, a eccezione di un tailleur con camicia e pantalone e un paio di ballerine per il giorno del matrimonio, avevo portato solo una tuta e un paio di jeans con qualche t-shirt.

Restai con lei fin quando non si fu cambiata con la vestaglia da notte. «Certo che il piccolo Tom è cresciuto, vero?»

Alzai le spalle. «Non è molto diverso da come lo ricordavo. Solo con qualche ruga in più intorno alla bocca.»

«È sempre stato un bel ragazzo, ma ora che si è fatto uomo, è diventato proprio un gran bel pezzo di manz...»

«Nonna, buonanotte. Ci vediamo domani», tagliai corto, infilando un po' a casaccio gli ultimi vestiti nell'armadio. Le altre tre valigie avrebbero potuto aspettare il giorno dopo.

«Non ti va di parlare un po'? Facciamo due chiacchiere come ai vecchi tempi. Ora che non vivi più con me, sono sempre sola.» Le mancava poco per iniziare a piangere. Infilata in quel modo sotto le lenzuola, con le mani intrecciate sul ventre, i ricci intorno alla testa e il finto muso lungo, sembrava tanto il lupo travestito da nonna della favola.

«Guarda che non incanti nessuno», la provocai.

«Povera nonnina, sempre sola perché la nipote non va mai a trovarla.»

Serrai le braccia al petto. Se avessi alzato ancora un po' il sopracciglio destro, forse sarei riuscita a raggiungere l'attaccatura dei capelli. «Per venire a casa tua ci metto meno di cinque minuti a piedi; mi inviti a mangiare da te almeno quattro volte a settimana e spesso mi addormento sul tuo divano, così alle cene si aggiungono un'infinità di colazioni.»

«Sei perfida e ingrata», decretò infine quando si rese conto che con me non attaccava.

«Chiacchieriamo tutti i giorni e sono sicura che ora vuoi solo spettegolare su Tom, e non ne ho alcuna intenzione. In Italia sarebbero le sei di mattina e ho un assoluto bisogno di dormire.»

Si girò sul fianco per darmi le spalle e dalle lenzuola si erse in libertà un dito medio, tutto dedicato a me con grande affetto. Le diedi la buonanotte e andai nella mia camera.

Provai a dormire e forse per un paio di ore riuscii a chiudere gli occhi e fingere di sognare; ma quando dovetti sedermi perché non riuscivo a stare ferma sotto le lenzuola, era ancora notte fonda a Los Angeles. Forse il cuscino era troppo soffice, o il materasso troppo poco usato e quindi rigido come una tavola. In realtà, a farmi sentire così scomoda era l'idea di essere una perfetta intrusa in quella casa, come se ad un tratto l'ombra della futura signora Dawson avesse potuto sputarmi via attraverso una finestra.

Decisi di alzarmi e camminare un po' in giardino. L'aria condizionata della villa stava diventando irrespirabile. Uscii dal portone principale dopo essermi persa tra i corridoi della casa per ben due volte. La telecamera che controllava una parte del cortile esterno mi seguì mentre percorrevo il porticato e tuffavo i piedi nudi nell'erba tagliata di fresco. Compii l'intero giro della casa e seguendone il profilo passai davanti a quella che intuii essere la cucina. La finestra era aperta e lasciava passare la musica della radio a basso volume. Mi accucciai per sbirciare senza che nessuno mi notasse e riconobbi il maggiordomo insieme al cuoco e a una domestica. Divise sbottonate, se ne stavano intorno all'isola della cucina, bicchieri quasi vuoti in mano e una torta di compleanno privata di diverse fette.

Passeggiai ancora, zigzagando tra gli alberi da frutto e le numerose fontane disseminate lungo il giardino della proprietà, godendo dell'erba umida tra le dita dei piedi. Scoprii l'esistenza di una piscina, ma mi immobilizzai quando riconobbi una figura seduta sul bordo. Indietreggiai lentamente, sperando di non essere scoperta, ma Tom mi notò con la coda dell'occhio. A parte il vento leggero che increspava la superficie della piscina e la musica dei domestici, non si sentiva altro suono nel giardino.

«Mina?» si assicurò.

«Non riuscivo a dormire.» Mi schiarii la voce. «Bagno notturno?»

Lo raggiunsi, anche se avevo i piedi di piombo. Teneva la camicia arrotolata sui gomiti e i bermuda gli permettevano di immergere le gambe in acqua fino al ginocchio senza bagnarsi i vestiti.

«No, sono tornato pochi minuti fa e stavo cercando di rilassarmi.»

Colsi la palla al balzo. «Capisco, allora ti lascio solo. Buonanotte.»

«No, resta. Ti va di farmi un po' di compagnia?»

Lo aveva fatto apposta a chiedermelo? Si era accorto che quella richiesta me l'aveva fatta un'infinità di volte quando eravamo bambini? Quando ci intrufolavamo l'uno nel letto dell'altro perché non riuscivamo a dormire, o quando dovevamo studiare e nessuno dei due ne aveva voglia?

Acconsentii, senza nemmeno pensare di poter rifiutare. Mi sedetti accanto a lui, ma immersi solo la punta dei piedi in acqua. Era calda e piacevole.

«Brutta giornata sul lavoro?»

«Abbiamo dei problemi con alcuni componenti della troupe. Ci sono due attori che non si sopportano da anni e quindi dobbiamo fare attenzione a non farli capitare sul set negli stessi orari. E ovviamente, qualsiasi problema capiti, dalla rottura di un microfono fino al taglio delle unghie del cane dell'attore protagonista, tutti si rivolgono a me.»

«Posso sapere di cosa parla il film, o è un progetto top secret?» domandai.

Alzò gli occhi al cielo, a guardare la luna e perdersi nei suoi pensieri. Mi mostrava quel profilo che un tempo avevo amato, ma che negli anni mi ero convinta di aver dimenticato. Che gigantesca idiota ero stata. Perché era ritornata da lui? Lui era sempre Tom, con la stessa voce, lo stesso naso, lo sguardo, le spalle e gli stessi nei sul collo. Credevo che il tempo avesse cancellato i ricordi dolorosi, invece li aveva soltanto archiviati.

«Lo conosci già, a dire il vero.» Un lieve sorriso si aprì sul suo viso.

«Ah, sì?» dissi incuriosita.

«Ricordi ancora quando io e Luca parlavamo del suo libro? Dicevamo sempre che io sarei diventato il regista e lui avrebbe scritto la sceneggiatura. Ecco: ci siamo riusciti.»

Un velo di nostalgia sembrò avvolgersi intorno al cuore. Luca... Luca... da tanto tempo avevo smesso di pensare a lui.

«Il suo libro?» chiesi incredula. «Stai girando il film su Outsiders

Il suo sorriso decise di aprirsi del tutto. «Sono anni che ci lavoro su, ma non trovavo nessun produttore che fosse disposto a scommettere sul progetto. L'anno scorso, però, le cose sono decisamente cambiate.»

«Tom, è davvero fantastico. Sono curiosa di vederlo!» esclamai. «Quando uscirà al cinema?»

«Non prima della prossima estate. Domani sarò sul set, però. Potresti accompagnarmi.»

Sgranai gli occhi. «Posso davvero?»

«Sono il regista», mi diede di gomito, io lo guardai un po' imbarazzata e subito tornò ad allontanarsi per lo stesso motivo. «Certo che posso portarti.»

«Sei riuscito a tenere la storia intatta? Senza modifiche?»

Scrollò la testa. «Purtroppo no, qualcosa sono stato costretto a tagliarlo e ho dovuto aggiungere delle sequenze per rendere chiari certi passaggi. Mettere in scena uno romanzo non è mai cosa semplice. Domani ti spiegherò meglio.»

All'improvviso ci trovammo immersi nel silenzio, come se avessimo esaurito tutti gli argomenti in superficie e ora dovessimo scendere di un livello, immergerci in ciò che avevamo nascosto per più di dieci anni. Per fortuna, fu lui a rompere il ghiaccio. Teneva le mani aggrappate al bordo, gli avambracci in tensione. «Che cosa hai fatto in tutto questo tempo? Hai studiato ancora dopo il diploma?»

Era la voce di Tom, sempre la sua, ma di nuovo più sottile, più intima. Non era Thomas: il famoso regista, prossimo al matrimonio con una star dello schermo, realizzato e sicuro di sé. Era soltanto Tom: il mio migliore amico, pieno di difetti e insicurezze che io conoscevo bene come le mie tasche.

«Niente università. Sai che io e lo studio non siamo mai andati d'amore e d'accordo. Ho iniziato a fare qualche lavoretto, prima come cameriera nella pizzeria in centro. Non so se te la ricordi ancora.»

«Lo scoglio! C'è ancora?» domandò entusiasta.

«Sì, e Pietro fa ancora la stessa quattro stagioni come piaceva a noi.»

Passò le mani sul viso. «Damn, non mangio quella pizza da un secolo. Quanto darei per averne qui una fetta adesso.»

"Saresti potuto tornare. Potevi tornare da me e alla nostra vita, ma non l'hai fatto."

«Ho lavorato per un po' lì, poi come commessa in un negozio, ma odiavo quel lavoro e le colleghe. Alla fine mi hanno chiamato nella palestra come insegnante.»

Tom teneva lo sguardo puntato alla superficie della piscina, in quel minuscolo spicchio d'acqua tra le sue gambe. «Mi sembra proprio adatto a te. Hai fatto più sport tu che chiunque altro. Che cosa insegni?»

«Di tutto: Yoga, Pilates, boxe femminile; stendo i piani dei pesi e degli esercizi per chi si allena in sala... il solito insomma.»

«Non mi sembri molto... come si dice quella parola con la e? Eccitata?»

Risi, nascondendo l'imbarazzo. «No, quello significa un'altra cosa. Forse volevi dire entusiasta?»

Annuì. «Ecco, proprio quella. È piacevole parlare in italiano dopo tanto tempo. Ormai lo parlo raramente anche con mia madre.»

«Come sta? Ci siamo sentite per telefono solo un paio di volte per Natale.»

«Bene, sempre presa con il lavoro, sempre troppo impegnata. Purtroppo e per fortuna tutto questo lo devo a lei», disse abbracciando con lo sguardo tutto intorno.

«Purtroppo o per fortuna?»

«Se non fosse stato per i suoi agganci, non sarei di certo qui», ammise in completa onestà.

«Io invece credo di sì. Sei in gamba, ho visto tutti i tuoi film.»

«Davvero?» Sembrava sorpreso.

«Certo, nonna ti ha seguito per tutti questi anni e ogni volta che usciva un tuo film, mi costringeva ad andare al cinema.»

«In realtà, questo è soltanto il mio secondo film. Negli altri ero accreditato solo come aiuto regista.»

Sembrò ripensare alle mie parole. «Ti sono piaciuti davvero?»

«Non tutti allo stesso modo, ma dell'ultimo mi sono innamorata. Ti ho riconosciuto in quelle immagini, il modo in cui tu vedevi il mondo, quando ti aggiravi per il giardino con la tua macchina fotografica e inquadravi qualsiasi dettaglio dai punti più impensabili. Cercavi sempre di guardare il mondo da una prospettiva diversa.»

I suoi occhi restarono impigliati nei miei. «Non mi hai più detto se ti piace il lavoro che fai.»

«Mi permette di pagare l'affitto e le bollette e mi va bene così», tagliai corto.

«Non vivi con Melania?»

«Ho trent'anni, Tom. Direi che non era più il caso di vivere ancora con la nonnina. Quando le è arrivata la tua lettera di invito, è corsa a portarmela di persona.»

Le nostre mani erano così vicine. «Sono davvero felice che tu sia venuta. Non credevo che l'avresti fatto.» Prese un respiro profondo e fu lui a compiere quell'unico movimento che tornò a unirci: posò la mano sulla mia e la strinse appena. «Conta molto per me. Sei stata mia amica per buona parte della mia vita e ora fare questo importante passo non sarebbe stato lo stesso senza di te.»

Non riuscivo più a muovermi, il peso sul petto mi rallentava il respiro. Come poteva aver cancellato anni di resistenza al suo ricordo, di tentativi di dimenticarlo, solo con una mano e una manciata di parole? Nelle mie intenzioni gli dicevo quanto fossi contenta che la sua vita fosse andata nel migliore dei modi, che si meritava la ragazza bellissima e straordinaria che stava per sposare.

In realtà, dissi: «Mi hai lasciata sola e non ti sei mai più voltato indietro.»

Tolsi la mano dalla sua e mi alzai in piedi per tornare verso la casa. Non ero cambiata nonostante gli anni: girare intorno alle cose non faceva per me.

«Sono stato orribile, lo so», disse rincorrendomi. Mi aggirò per piazzarsi davanti a me, a bloccarmi il passaggio.

«E crudele», aggiunsi.

«Ok, un vero bastardo.»

«Stronzo credo che riassuma meglio tutte le sfaccettature di questa situazione.»

Prese un profondo sospiro, il petto si gonfiò sotto la camicia. «Hai accettato l'invito; credevo che venendo qui avessi deciso di perdonarmi.»

«Non sono stata io a perdonarti, Tom. Credo sia stato il tempo. Quando gli anni passano, poi certe cose perdono d'importanza. Ma non ti ho dimenticato e non posso dimenticare come te ne sei andato. Sei stato un amico, quasi un fratello per me. Forse, con questo invito improvviso, fingi o lo hai dimenticato davvero, ma io so che non siamo stati solo amici. Non puoi pretendere che un pezzo di carta cancelli undici anni di completa assenza. Non una chiamata, non un messaggio.»

Scrollò la testa e si avvicinò di un passo, ma io ne feci uno indietro di rimando. «Mina, so che non mi crederai, ma non passa giorno senza che io mi penta di come mi sono comportato nei confronti tuoi e di Melania.»

«Oh, ma smettila. Questa sembra proprio una frase da film "Non passa giorno senza che..."» Cercai qualcosa da afferrare, ma trovai solo erba. Ne presi un manciata e gliela scagliai addosso per scaricare un po' di nervoso. «Sii sincero, cazzo!»

«Lo sono! Mi avete ospitato per tanto tempo, mi avete voluto bene come fossi davvero della vostra famiglia, ma quando Luca è morto ho cercato di cancellare tutto e lasciarmelo alle spalle», disse veloce, quasi tutto d'un fiato. «Mi faceva troppo male. Poi il tempo è passato e anche se pensavo ancora a voi, mi chiedevo con che coraggio avrei potuto chiamarvi dopo essermene andato così. Sono stato un codardo, ma sto cercando di rimediare ai miei errori.»

Con cautela mi passò una mano sulla spalla, in gesto di riconciliazione. Chiusi gli occhi per un istante a quel tocco che non volevo, che volevo, che odiavo, che cercavo... Fu questione di un attimo e mi ritrovai stretta fra le sue braccia, le mie mani chiuse tra due corpi che ansimavano e il viso affondato nella sua camicia. Profumava di estate e di mare. Avevo dimenticato il suo profumo, eppure un tempo non gli avevo mai dato peso perché era sempre mischiato col mio, nella mia casa.

«Sono cambiate tante cose, Mina, e alla fine ho cercato di andare avanti. Ma non ho dimenticato niente, e non ho dimenticato la nostra vacanza a Garda.»

La nostra prima volta, il cielo e la luna sul lago, la musica, il suo abbraccio... Sentivo i suoi occhi addosso, ma tenni i miei a bada dietro le palpebre chiuse. Sapevo che se avessi incrociato i suoi, qualcosa sarebbe successo. Forse non nella realtà, ma di certo nel mio cuore martoriato.

Così mi mossi all'indietro per togliermi da quella dolce trappola. Tom mi lasciò andare e io, sempre con sguardo basso, gli diedi la buonanotte e tornai a rifugiarmi nella mia camera degli ospiti... perché non ero altro che quello: un ospite, che presto se ne sarebbe andato.

***

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