28. L'esame di teoria
Tom
Ecco cosa si doveva provare durante una fustigazione: una sferzata di dolore che sembra tagliarti in due.
Luca era già rientrato in casa e io mi ero voltato indietro solo quando avevo sentito gli pneumatici stridere sull'asfalto e lo schiaffo del vetro che si infrange durante un incidente. Quando la ritrovai con lo sguardo, Mina era ancora in volo. Precipitò sull'asfalto qualche metro più avanti, rotolando con le braccia incrociate davanti a sé.
Fu in quel momento che arrivò la seconda frustata. Non respirai.
Qualcuno scese dall'auto ormai ferma, non mi accorsi nemmeno se si trattasse di un uomo o una donna. Ero così sconvolto che non riuscivo nemmeno a ragionare. Corsi per quella manciata di metri che ci dividevano come se ne valesse della mia vita, ma quando la raggiunsi, lei era già in ginocchio che tentava di alzarsi. «Mina! Come stai? Come ti senti?»
Si aiutò con la mia mano per tirarsi in piedi. Scrollava la testa, sbatteva le palpebre a velocità impressionante, ma guardava nel vuoto. «Mina?» la chiamai di nuovo.
«Eh?» fece lei, ricercandomi a fatica con lo sguardo.
Qualcuno poco lontano gridò, addosso sentii l'attenzione di tutto il vicinato. Oltre al guidatore, che altri non era che Giuseppe, un meccanico che viveva con la sua famiglia due case dopo la mia, uscì anche la madre di Luca insieme a lui, e Melania. Era proprio lei che aveva urlato. Stava correndo in mezzo alla strada deserta ancora in tenuta da aerobica casalinga.
«Tesoro, che cos'è successo? Come ti senti?» le disse con apprensione, tenendola per le spalle.
Mina fece un passo malfermo indietro. «Non statemi addosso, fatemi respirare un attimo.»
Mi sembrò di essere appena finito dentro un film, se horror o comico ancora stavo cercando di capirlo. Studiai l'auto, con il parabrezza sfondato al centro, la lunga striscia di pneumatici sull'asfalto, e poi guardai Mina: capelli arruffati, jeans sdruciti e giubbotto squarciato in più punti dopo essersi grattugiato sull'asfalto.
Ma lei era del tutto illesa, eccetto per un paio di graffi sulla fronte.
«Sto bene», disse sorpresa. Sembrava confusa quanto me nel guardare lo stato dell'auto.
«Dobbiamo subito correre al pronto soccorso», incalzò Melania. «Devono farti dei controlli e...»
«Nonna, sto bene. Non mi sono rotta niente.»
Il proprietario dell'auto si avvicinò con cautela, pallido e sconvolto. A giudicare dall'espressione terrorizzata, forse avrebbe avuto lui la precedenza in ospedale. «Mina, stai bene? Sono mortificato. Io stavo tornando a casa e lei si è buttata sulla strada! Non sono riuscito a frenare in tempo.»
«Oh, oh, questo è tutto da vedere!» tuonò Melania. «Tu l'hai investita! Potrebbe avere un trauma cranico adesso! Incosciente, chissà cosa stavi facendo mentre guidavi e...»
«Nonna», Mina le afferrò un braccio. «Guarda che è stata davvero colpa mia. Ero sovrappensiero e ho attraversato senza guardare.»
Seguì un lungo battibecco con il pover'uomo, più sconvolto ancora di Mina che, a parte quello che lei definì un dolorino alla spalla e alla testa, non si era fatta davvero nulla. Il dottore al pronto soccorso faticò a credere alla dinamica dell'incidente. Decise di fidarsi della nostra versione dei fatti soltanto perché era ben poco probabile che avessimo avuto tutti e tre la stessa identica visione nello stesso momento. Mina era stata colpita in pieno da un'auto che viaggiava ai quaranta all'ora, aveva quasi sfondato un parabrezza ed era rotolata sull'asfalto dopo aver planato per tre metri. Eppure, dai graffi sulla fronte non era uscita che una sola goccia di sangue e l'avevano mandata a casa dall'ospedale solo con un cerotto. Da quel momento in poi, iniziai a guardarla come se fossi finito all'improvviso dentro un film degli X-Men, o in una puntata della serie tv Roswell.
Per lo meno per lei, la questione nota e voti pessimi in storia fu messa immediatamente in secondo piano da sua nonna, che non si prese nemmeno la briga di sgridarla. Per conto mio, continuai a fissare Mina a ogni movimento per giorni interi, un po' confuso dall'accaduto e un po' timoroso che le conseguenze del trauma cranico apparissero all'improvviso dopo ore.
Nei giorni seguenti tornammo alla nostra vita normale – per quanto potesse definirsi normale dopo ciò che era successo quel lunedì pomeriggio – e ci preparammo all'esame di teoria della patente che ci stava aspettando. Cercai di concentrare tutta la mia preoccupazione in quello per non dover pensare alla sfiga che tampinava senza sosta il mio migliore amico.
Era un nuvoloso giovedì pomeriggio quando io e Mina prendemmo il treno per Asti. Trovammo la motorizzazione civile, dove avremmo svolto l'esame di teoria, solo grazie al navigatore del cellulare. A ogni attraversamento, afferravo sempre Mina per mano e controllavo la strada una volta in più.
«Guarda che so attraversare da sola, non c'è bisogno che mi accompagni sempre come una bambina.»
La tenni ben stretta nonostante tentasse di sgusciare via. «Non lo faccio mica per te. È solo che non ho intenzione di vederti di nuovo distruggere un'altra auto. Ora Melania dovrà pagare il parabrezza, dato che l'incidente è successo per colpa tua.»
Sospirò, senza cogliere il mio sarcasmo. «Non c'è bisogno di ripetermelo ogni giorno. Lo so già che mi sono giocata pure la gita.»
«Perché?»
«La nonna avrebbe faticato a darmi i soldi per pagare la gita prima, figuriamoci ora che deve sborsare quasi duecento euro per il parabrezza di Giuseppe.»
«In qualche modo li troveremo», la incoraggiai.
«E dove? Vado a fare una rapina e torno? E no», mi anticipò previdente con l'indice puntato al mio naso. «Non voglio che me li regali tu, e nemmeno che me li presti.»
La ignorai. Non avevo alcuna intenzione di partire per la gita senza di lei. In qualche modo l'avrei aiutata, con o senza il suo permesso.
La motorizzazione civile era un enorme edificio grigio, un freddo blocco di cemento e tristezza. Appena fuori dalle porte a vetri dell'ingresso si era raccolto un discreto numero di persone, per lo più nostri coetanei. Dopo aver firmato per la presenza, gli addetti ci divisero in tre grandi gruppi in base alla lettera iniziale del cognome e io e Mina finimmo nello stesso gruppo.
«Me la sto facendo sotto», mimò con le labbra, le sopracciglia all'ingiù. Era seduta quattro postazioni computer dopo la mia.
Il mormorio dei presenti si annullò quando una donna iniziò a spiegare, con aria decisamente annoiata, come si sarebbe svolta la prova e quanti minuti avremmo avuto a disposizione.
«Andrà bene», le risposi.
La prova iniziò e io cercai di rispondere in fretta. L'agitazione si era dissolta non appena mi ero seduto davanti al computer e il tempo filò a una velocità incredibile. Per fortuna mi erano capitate domande molto semplici e nemmeno una sulle assicurazioni, in assoluto il mio tallone d'Achille.
La mia previsione si avverò solo in parte. Io superai la prova con soltanto un errore. Mina, invece, non riuscì a passarlo.
«Quanti errori?» le chiesi una volta fuori all'aria aperta.
«Cinque!» sbottò. «Ti rendi conto?! Solo un errore del cazzo in meno e sarei passata!»
Le passai un braccio sulle spalle per calmarla. «Dai, non ti buttare giù. Vedi il lato positivo.»
Mi trapassò con un'occhiata velenosa. «E quale sarebbe, Thomas?»
«Hai fatto soltanto cinque errori su quaranta domande. Se ci pensi, con quel poco che hai studiato è già un miracolo così!»
Assottigliò ancora di più lo sguardo. «Se non ti allontani immediatamente, ti tiro una gomitata nello stomaco che ti faccio vomitare pure il pranzo di Pasqua di due anni fa.»
La strinsi tra le braccia, in parte divertito dal suo broncio e in parte dispiaciuto. «Dai, Mina. Rifarai il test e la prossima volta andrà bene. Pensi che siano passati tutti oggi?»
«Non mi importa degli altri. E poi dovrò pagare di nuovo per sostenere l'esame», borbottò con le braccia incrociate tra i nostri corpi. Quel giorno il freddo invernale era particolarmente rigido.
«Come sei veniale oggi.»
«La fai facile tu. Tua madre guadagna al mese quello che la nonna prende di pensione in un anno intero.»
«E sciogliti un po', mi sembra di abbracciare un tronco.»
Mi guardai intorno, ma nessuno dei presenti sembrava avere una faccia conosciuta. Non vedevo l'ora di poter parlare con Luca liberamente e mettere fine a quella situazione in sospeso. Trattenermi tutto dentro stava diventando insopportabile, ma volevo parlargliene a tempo debito, e avrei dovuto essere io a farlo, non doveva venirlo a sapere da altre persone.
Nonostante il broncio, le presi il viso e la baciai. Mina scostò le labbra per lasciarmi entrare solo in un secondo momento, quando alla fine si tranquillizzò. «Va meglio adesso?» le sussurrai.
Non si prese nemmeno la briga di riaprire gli occhi che spinse di nuovo le labbra in fuori. «Un po', ma mi serve ancora un po' della tua medicina per riprendermi del tutto.»
***
Alla fine verremo a scoprire che Mina è un alieno ahahah Ci pensate?!
Un bacione e al prossimo capitolo!
INSTAGRAM: maiaiam88
FACEBOOK: maiaiam
YOUTUBE: maiaiam
TWITTER: maiaiam
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro