24. Pokémon
Mina
Non avrei mai creduto di provare tante emozioni tra le braccia di un ragazzo, anche perché non ne avevo mai avuto uno prima. Gli abbracci con il mio amico Tom, i tocchi casuali, avevano sempre significato altro, mai quel tipo di intimità.
Minuto dopo minuto, sotto quelle coperte che iniziavano a sapere di noi, conobbi una persona nuova, fatta di gesti, parole e respiri inediti, mai così genuini.
Mentre io lo fissavo per capire cosa ci fosse di diverso nel suo volto, Tom invece preferiva scoprirmi a occhi chiusi, mi guardava attraverso le mani. Le sentivo scivolare sul mio corpo, a volte stringevano con possesso, altre con gentilezza. Le sue dita risalivano tra le scapole per intrecciarsi ai miei capelli, scendevano poi a tastare la spina dorsale per soffermarsi infine sui fianchi e le natiche. Io non mancavo di rendergli le stesse gentilezze, ma scoprii anche un sadico senso inverso del piacere. Più le mani chiedevano maggiore spazio sui nostri corpi, più ci stuzzicavamo portandoci al limite, e più era eccitante fermarsi appena un attimo prima della discesa. Con la porta aperta della camera e mille occhiate furtive alla finestra per assicurarci che mia nonna non tornasse prima del previsto, raggiunsi la bellezza di sette orgasmi mancati... e tre che decise di concedermi con un gran sorriso strafottente e maledettamente sexy.
Chi mai aveva pensato che passare ore intere a torturarsi le labbra tra lingua e denti potesse essere così divertente? Io no di certo, dato che prendevo in giro le coppiette che incrociavo sulle panchine additandole come smielate fino al diabete.
Mentre il ronzio della caldaia riempiva l'aria della casa deserta e la luce della lampada bagnava la nostra pelle dello stesso oro, le sue braccia lunghe, forti e solide divennero per me una seconda pelle, e le sue mani si fecero nido per il mio piccolo cuore arruffato. Dissi addio a Tom, al bambino goffo e insicuro di sé, e sorrisi al ragazzo... all'uomo diverso che stavo imparando a conoscere.
«Ti ricordi quel giorno all'asilo?» domandò dopo un lungo silenzio.
A occhi chiusi, cercavo il suo odore nell'incavo del collo e di tanto in tanto lo baciavo. «Che cazzo ne so. Ne abbiamo passati tanti di giorni all'asilo.»
«Idiota, intendo quando ci siamo conosciuti.»
«Ah già, quando ti ho salvato da Fabio, che continuava a tormentarti.»
Mi accarezzò i capelli. «Sai cosa dissi alla tata quando tornai a casa nel pomeriggio?»
Scossi la testa per farlo continuare. Morire con le sue mani che mi massaggiavano la testa... ci avrei messo la firma.
«Dissi che avevo conosciuto la Fata Turchina.»
Scoppiai a ridere e mi spinsi sul cuscino per guardarlo negli occhi. «E perché?»
«La Fata Turchina proteggeva Pinocchio, no?» Agitò la mano per scompigliarmi ancor di più i capelli. «Direi che ci avevo visto lungo sul colore.»
Sorrisi e tentai di abbassare le radici, puntate al cielo. «E io direi che dovrei rifarmi la tinta. Stanno diventando verdogno...»
Prima che la sua bocca tornasse sulla mia stavo dicendo qualcosa? Forse... mah...
«Ricordi cosa mi avevi promesso quel giorno?»
Sbattei le palpebre un paio di volte. «In questo momento credo che faticherei a ricordare il mio cognome.»
«Avevi detto che mi avresti protetto sempre.» Ridacchiò di me. «Alta nemmeno un metro, volevi proteggermi.»
«Pezzo di cretino! Intanto grazie a me, Fabio smise di rubarti i giocattoli.»
«Lo so, me lo ricordo bene.» Tenne indice e pollice intorno al mio mento, mi guardò le labbra prima di sfiorarle con le sue. Non mi diede nemmeno il tempo per rispondere al bacio. «Ma io non ti ho mai reso la stessa promessa.»
Perché sembrava essere diventato tutto un discorso troppo serio? «Io so proteggermi da sola», borbottai a disagio.
«Ne sei proprio sicura?» Mi strinse di nuovo fra le sue braccia. Casa, rifugio, protezione.
In fondo, al centro di quella spirale di corpi e respiri, non ci stavo affatto male.
«Beh... forse un pochino non mi dispiacerebbe.»
Per qualche secondo non disse nulla, quasi credetti si fosse addormentato da quanto se ne stava immobile. In realtà, Tom era solo preso dai suoi pensieri. «Sempre», sussurrò soltanto.
Chiusi gli occhi, trattenni la marea che mi travolse con quelle parole per lasciarla riecheggiare dentro di me il più a lungo possibile. Tom me lo stava promettendo, lui mi avrebbe protetta sempre, sempre, sempre...
Eppure, nonostante le belle parole, la sua promessa e il pomeriggio da sogno, sapevo che non tutto era come doveva essere, che ancora c'era qualcosa che non quadrava in tutta quella situazione. Perché dirmi certe cose, se i giorni precedenti aveva fatto di tutto per tenermi distante? La paura di vedergli incrinare il momento perfetto era troppa e non l'avrei sopportato. «Perché ti sei comportato in quel modo nei giorni scorsi?»
Continuò ad accarezzarmi il viso, anche se il suo sguardo si allontanò un poco. «È complicato. Mi dispiace di averti detto certe cose.»
«Non siamo mai stati bravi a dirci le bugie, io e te. Credevo di riuscire a scoprirti sempre... ma certe cose che mi hai detto, ho creduto che le pensavi davvero.»
«Pensavi o pensassi?» fece lui con un mezzo sorriso.
«Non mi prendere in giro proprio ora.»
«Non le pensavo, Mina. È solo che... ci sono delle cose di cui non posso parlarti.»
«Dovremmo dirci tutto», lo ammonii, confusa e un poco offesa. «Io l'ho sempre fatto.»
Annuì con un sospiro. «Dammi solo qualche giorno, ok? Fidati di me. Devi darmi un po' di tempo per aggiustare le cose e poi ti spiegherò tutto.»
Mi sfiorò la punta del naso con l'indice, il gesto mi spinse a sorridere nonostante tutto. I suoi occhi grigi, quel pomeriggio tanto scuri da sembrare come l'onice, mi cercarono con insistenza, stanandomi infine dietro le mie difese.
La fiducia era una questione molto delicata, per me un concetto quasi inconsistente. Forse era a causa dei miei genitori, diceva la nonna. Quando una madre ti abbandona e il padre non sa nemmeno che esisti, non è facile imparare quella parola. Non mi fidavo della scuola, pronta solo a giudicarmi attraverso i voti dei professori; non mi fidavo dei miei coetanei, che mi ignoravano e non perdevano occasione per deridermi, e non mi fidavo allo stesso modo degli adulti, più immaturi di certi adolescenti e pronti soltanto a tradirsi l'un l'altro. Facevano eccezione al quadro generale soltanto la nonna e i miei due amici, ma non avrei mai creduto di poter affidare a Tom una parte così grande del mio cuore, del mio orgoglio e amor proprio, quando era palese che mi stesse nascondendo qualcosa di importante. Eppure eccola lì, la mia fiducia che gli stavo donando sul palmo tremolante della mano.
Quando tornammo a vivere in quella piccola capanna sicura fatta di respiri e coraggio, tentai di zittire in ogni modo la malefica vocina che mi suggeriva lo scenario peggiore di tutti: e se prima di potersi sentire libero con me, Tom avesse dovuto mettere a posto le cose con una ragazza? Una delle sue conquiste californiane, o addirittura la Persefone con la quale scambiava i messaggi di cui non mi aveva mai raccontato? Forse era fidanzato e non aveva mai avuto il coraggio di dirmelo.
Dovevo solo aspettare. Mi imposi di godermi quei momenti con lui e che le domande e i chiarimenti avrebbero trovato il loro tempo. Non dovevo avere fretta.
Restammo così, a coccolarci con gesti e parole, a guardarci con occhi nuovi e sorrisi più intimi, a parlare di quello che avevamo provato, cancellando a furia di baci sottili e risate liberatorie l'ombra che ancora minacciava di intimidirci.
«Ci scommetto la mia bacchetta di sambuco autografata da Sir Micheal Gambon che stai pensando a qualcosa», disse.
La punta delle sue dita tracciava i miei lineamenti. Guardava la mia bocca come se non l'avesse mai vista prima.
«Pensavo ai Pokémon.»
Aggrottò la fronte. «Che cosa c'entrano ora i Pokémon?»
«Riflettevo sul perché tutto questo», indicai noi due con un gesto della mano, «non mi sembri così strano come avrei immaginato prima. E allora ho pensato che è stata come un'evoluzione naturale, come un Pokémon che si evolve nella sua forma successiva.»
«O come la fusione tra Goku e Vegeta.»
Mimai una faccia schifata. «Che paragone del cazzo. Meglio i Pokémon.»
Ci pensò su, poi annuì per darmi ragione. «E quale sarebbe il nome di questo Pokémon leggendario? Tomin?»
«Insomma, tu sempre per primo, eh? Perché non Minatom?»
«Perché è orrendo.»
Stavo per ribattere, e probabilmente malmenarlo anche un po' giusto per sfogarmi e divertirmi in onore dei vecchi tempi, quando il rombo sommesso di un motore familiare si spense proprio davanti casa. «Sembra la nonna.»
Ci alzammo in fretta per sbirciare dalla finestra. «Già... dai, rivestiamoci e scendiamo, prima che sospetti qualcosa», disse, poi mi trattenne la mano prima che fuggissi nel bagno. «Mina, vorrei tenere questa cosa tra di noi, ok?»
«Certo, vorrai mica dirlo alla nonna? Quella è capace di organizzare il matrimonio la prossima domenica.»
«Non dico solo lei. Intendo anche Luca.»
Annuii come se capissi davvero le sue parole. Davvero non voleva farsi vedere con me? E perché tenerlo nascosto proprio a Luca?
Mentre mi rivestivo e tentavo di domare l'elettricità dei miei capelli, riflettei su quella richiesta. Forse voleva aspettare per parlargliene per non farlo soffrire. Luca non aveva mai avuto una ragazza e Tom non voleva sbattergli addosso la novità di noi due... che poi, che cosa eravamo diventati noi due quel pomeriggio? Non trovare una definizione mi aprì una voragine nello stomaco, e la fame non c'entrava proprio nulla.
Dopo aver riassettato il letto della camera e una volta rivestiti, ci precipitammo giù dalle scale che la porta di casa si stava per aprire. «Se non faccio pipì entro due secondi, scoppio come un gavettone.» Ci lanciò un'occhiata tagliente. «E se scopro che ancora non avete apparecchiato per la cena, vi vendo al mercato nero.»
Senza aspettare la nostra risposta e senza guardare la cucina, ci oltrepassò a gambe strette per correre in bagno, borbottando imprecazioni contro l'incontinenza.
«Hamburger e hot dog?» proposi in automatico mentre raggiungevamo la cucina. «Sto morendo di fame.»
Qualcosa mi pizzicò il fianco, tanto da farmi sussultare. Per poco con la testa non colpii l'interno del frigorifero che stavo sbirciando. «Ti ho sfiancata poco fa e ora sei affamata, dico bene?» mormorò a voce bassa, roca, profonda, sexy.
Scoppiai a ridere, anche se il mezzo sorriso sghembo che mostrava mi provocava di tutto tranne che ilarità. Riuscì a rubarmi un rapido bacio prima che i passi della nonna tornassero al piano terra, così mi tuffai di nuovo a fissare la lampadina del frigo aperto con esagerata attenzione: speravo che il freddo cancellasse le guance accaldate.
«Melania, cena americana per stasera, ok?»
«Cucinate voi?» Da come sbatteva le palpebre doveva averci dato dentro con gli aperitivi quella sera.
Io e Tom ci scambiammo uno sguardo carico di significati. «Sì, non preoccuparti. Resta pure sul divano a guardare l'Eredità. Ti chiamiamo quando è pronto», fece lui.
«Come siete stranamente gentili stasera. Che succede? Avete fatto pace alla fine?»
«A dire la verità, vorremmo evitare di farti bruciare gli hamburger come l'ultima volta che li hai preparati tu», la rimbeccai.
Alzò le braccia al cielo e se ne andò. «Due serpi. Ecco cosa siete voi due», borbottò dal soggiorno. «Chi s'assomiglia si piglia!»
Cucinammo insieme, spalla contro spalla, rubando una carezza o due dopo esserci assicurati che gli sguardi della nonna fossero lontani. L'idea del segreto mi elettrizzava, ma allo stesso tempo non vedevo l'ora di parlarne con lei, di rivelarle tutto quello che avevo nascosto a chiave dentro il mio cuore. Dopotutto, non avevo amiche e mia nonna era la forma più simile a una confidente che c'era a disposizione, anche se del tutto bizzarra.
Poco dopo prendemmo posto intorno alla tavola. Mentre lei addentava il suo panino con mugugni di soddisfazione e si infervorava per convincere il concorrente che aveva sbagliato la parola durante il gioco finale della ghigliottina, Tom non si lasciava scappare un attimo per solleticarmi il ginocchio sotto il tavolo, per avvicinarsi con la sedia, per guardarmi con uno sguardo diverso da tutti quelli che mi aveva riservato in passato. Parevano nascondere un universo intero di significati, di promesse...
Tra un bicchiere di Coca Cola e un morso, però, mi accorsi dell'attenzione che lui continuava a riservare al suo telefono. In modalità silenziosa, Tom lo teneva distante da me per non farmi leggere i messaggi che continuava a ricevere e a inviare. Qualcosa mi suggeriva che fosse proprio relativo a ciò che avevamo detto nel pomeriggio, alle cose che avrebbe dovuto aggiustare... e il tarlo del dubbio iniziò a scavare sempre più a fondo, facendomi del male.
Chi era la ragazza con cui doveva mettere a posto le cose?
***
Ma quanto sono belli???? E soprattutto, quanto fa caldo???
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P.S. vi lascio il video di oggi, la recensione di Wonder... che HO AMATO!!!!
https://youtu.be/mNahM22dxmU
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