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19. Io non l'ho dimenticato

«Cosa ci fai qui?» borbottai a voce bassa.

«Scusa, credevo dormissi. Non riesco a prendere sonno.»

Sospirai, ma non mossi un muscolo. «Che ore sono?»

«Le tre e un quarto. Maledizione all'Esorcismo di Emily Rose. Ormai mi sveglio sempre a quest'ora.»

«Dovremmo riguardare un po' di horror, non li vediamo da un sacco.» "Perfetto, Tom, tieniti su discorsi neutri e tutto andrà bene."

«Abbiamo visto It due settimane fa e mi è bastato, tante grazie.»

«Sei una fifona.»

Grugnì appena e quando posò la gamba sulla mia coscia per stringersi a me, pregai indossasse i pantaloni. Han Solo era già pronto per farsi un nuovo giro sul Millennium Falcon. «Sì, se non ci sei tu.»

Mandai giù un blocco di saliva così grande che dovetti deglutire un paio di volte prima di riuscire a parlare. «Meglio dormire, ora. Ok?»

«Tom?» La sua voce si rese un sussurro impercettibile quando alzò la testa. Non riuscivo a vedere i suoi occhi, solo la vaga forma della testa e le punte sparate dei capelli. Forse era per quello che io e lei riuscivamo a parlare così bene nella notte. Era come vederci per davvero, dentro, ma senza la familiarità dipinta sui nostri volti che a volte ci faceva da barriera. «Che cos'è successo prima?»

"Nega, sempre. Nega fino alla morte." «A cosa ti riferisci?»

«Non fare l'idiota con me», mi rimproverò.

"Nega, nega, nega..." «Vorrei dimenticarmene, ok?»

Tolse la mano dal mio petto. Credevo avesse intenzione di andarsene, offesa, così io sarei stato libero dalla sua presenza, troppo invitante in un letto troppo stretto. Invece, le sue dita sottili trovarono la mia guancia, mi solleticarono. «E ci sei riuscito?»

"Menti, menti menti!" Aprii la bocca con grande determinazione, ma alla fine uscì soltanto: «No.» "Cretino!"

Restammo in quella stessa posizione per qualche secondo, in un limbo di silenzio e attesa. Lo sapevo che non indossava i pantaloni. Lo sentivo anche se non la stavo toccando, e il respiro sul mio viso mi rendeva chiara la nostra vicinanza. Non mi chiesi nemmeno quale sarebbe stata la prossima mossa perché fui io a farla, o per lo meno il mio corpo, che a quel punto agì da sé mentre gli insulti emanati dal mio cervello si trasformavano in un rumore bianco in sottofondo. Posai la mano sulla sua coscia e la conferma della pelle nuda mi scaricò un'onda di eccitazione ai nervi. Da quando avevo deciso di perdere peso e di andare in palestra, mi ero convinto di detenere un autocontrollo sul mio corpo da guinnes dei primati... ma se c'era Mina di mezzo, tutto andava a puttane.

Quelle dita traditrici salirono lentamente su, alla ricerca della seconda conferma che avrebbe azionato una volta per tutte i propulsori del Millennium Falcon. Quando arrivai alla curva della natica, i miei polpastrelli si trovarono a giocare con il bordo delle sue mutandine.

«Perché non metti mai i pantaloni del pigiama?» Doveva essersi avvicinata ancora perché quando rise, il suo respiro mi colpì le labbra. Le socchiusi, come avessero appena trovato una chiave segreta. Provai l'insensata voglia di addentarla. Ricordavo troppo bene quanto la sua bocca fosse morbida come zucchero filato. «Sei l'essere più perfido che io abbia mai conosciuto.»

Rise di nuovo e la sua risata mi riecheggiò nella testa. Mina non lo avrebbe mai fatto se non ci fosse stata la coperta del buio a nasconderla, non avrebbe mai lasciato un bacio proprio sotto l'orecchio, uno di quelli umidi e caldi che sanno farti rabbrividire peggio di una doccia gelida, e la sua gamba non sarebbe salita fino a muoversi sopra la mia eccitazione. «Continuo a pensare a quella notte, Tom. Non riesco a togliermela dalla testa e sapere che te ne sei dimenticato mi fa male.»

«Io non l'ho dimenticato.»

«E invece sì. Ricordi cosa mi hai detto la mattina dopo?»

Ricercai nella memoria quei momenti, quando Melania era entrata in camera e vedendoci a letto insieme aveva pensato al peggio. Ritornai nella stanza, alla mia fuga, a quando Mina mi aveva fermato sul pianerottolo. Le avevo chiesto che cosa avrebbe raccontato a sua nonna e la risposta era stata un'alzata di spalle, con un bel niente ad accompagnarla. «Ricordo che cosa mi hai detto tu. Che non c'era nulla da raccontare, in fondo.»

Alzò la testa all'improvviso, forse cercava di guardarmi negli occhi. «Beh, ero confusa. È chiaro. Non sapevo che cosa dire... e tu te ne esci con le tue solite frasi del cazzo. In fondo stanotte non è successo nulla di che.»

Finalmente collegai ogni cosa. «C'era Melania a tiro d'orecchio, e poi tu mi scarichi in quel modo. Mi avevi offeso, che cosa avrei dovuto dirti?»

Mina restò in silenzio, senza quasi muoversi eccetto per la mano, che giocava con il lenzuolo. Prese fiato due volte prima di trovare il coraggio per parlare, la voce quasi un sussurro. «Allora... hai pensato ancora a quella notte?»

In qualche angolo remoto, la mia coscienza ancora mi urlava di negare, fuggire via e salvare la situazione quando ancora poteva essere salvata. Ma la sentivo a malapena. La mano che ancora le tastava il fianco si muoveva da sola, strisciando in silenzio sotto le lenzuola. «Posso soltanto dirti che quella notte non riuscirei a dimenticarla nemmeno se lo volessi.»

Posò la fronte alla mia, punta del naso a contatto. «Mi dispiace di averti fatto credere che...»

Con quell'essere fatto di calore e desiderio che mi avvinghiava con le mani, le gambe e le parole, io persi il controllo. Mi bastò alzare appena la testa dal cuscino per trovare le sue labbra. Gemette quando le strizzai la natica nel mio palmo e con l'altra mano la assicuravo a me, tenendola salda sulla nuca. La sua bocca era proprio come la ricordavo, calda e fluida come latte. La sorpresi solo per qualche istante, perché sciolse le ultime barriere in fretta rispondendo alle stoccate della mia lingua, ma era insicura, impacciata. Le presi il viso tra entrambe le mani, nel buio ci scontravamo e quando ritrovavo la sua bocca, questa era piegata in un sorriso di imbarazzo.

Non dovevo farlo, lo sapevo e continuavo a ripetermelo, eppure non riuscivo a fermarmi.

Mina sospirava tra le mie labbra, mi regalava suoni che non avevo mai sentito arrivare da lei se non quell'unica notte di mesi prima. Volevo ricordarla, riviverla toccando ciò che nascondeva sotto la maglietta. I suoi seni erano lì, sodi e turgidi, mi riempivano le mani che non ne avevano mai abbastanza. Mina provò a salirmi a cavalcioni, ci riuscì solo per poco perché in fretta la rivoltai nel letto. Non riuscivo a ragionare, a pensare, e men che meno a vedere la linea di demarcazione che non avrei dovuto superare. Le sollevai la maglietta fino a togliergliela e mi abbassai, a cercarle il seno. Il petto si muoveva spasmodico su e giù. Pizzicai la punta rosea tra pollice e indice, poi la salutai con la punta della lingua. Un tocco leggero al quale Mina rispose con un gemito più duraturo. Mi ripetei, la lingua a occuparsi di un seno e le dita dell'altro. Quanto desideravo accendere la luce, vedere i suoi occhi languidi, le guance arrossate, le mie mani toccarla, ma sapevo che tutto si sarebbe dissolto insieme al buio. La voce della coscienza avrebbe alzato il volume e il mio egoismo non sarebbe più riuscito a ignorarla.

Feci scendere la mano sul ventre. Il bacino si ritrasse di scatto quando arrivai tra le cosce serrate. Era incredibilmente calda, la stoffa già umida. Le lenzuola si tesero e capii che le stava stropicciando tra le dita.

«Tom», sussurrò tra i miei capelli. Le tremava la voce.

La baciai perché non ricordavo più come si articolavano i pensieri in parole. Volevo dirle di rilassarsi, di non avere paura, e forse riuscii a trasmettergli ogni cosa attraverso quel bacio, perché la stretta delle sue gambe allentò. Riuscii a muovermi sulla stoffa in libertà, massaggiando con delicatezza. Più si bagnava, e più tastavo la forma precisa che nascondeva al di sotto. Così preso dalle centinaia di sogni che ci avevano visti insieme, scivolai in fretta oltre la barriera e lasciai insinuare il dito in quella fessura umida e calda. Rabbrividimmo insieme. Non era la prima volta che giocavo così con una donna. Spesso mi ero spinto tanto oltre con loro, che quando mi fermavo prima dell'ultimo passo, tutte non capivano le mie motivazioni. Nessuno avrebbe capito, io per primo. Fu la prima volta, però, in cui sentivo tutta quella resistenza intorno alle mie dita. Sapevo che Mina era vergine, ma averne la reale conferma mi riempì di un'energia nuova.

Sospirò più forte quando spinsi a fondo e dovetti bloccarle la bocca con la mia per evitare che Melania potesse sentire qualcosa. Giocai tra le sue pieghe, nuotai in lei con le dita immaginando che ci fosse qualcos'altro a scivolare su e giù. Era un brivido umido che mi percorreva tutta la spina dorsale e l'intero sistema nervoso. La sua schiena si inarcò quando aumentai la velocità. Penetravo e poi massaggiavo, imparavo dai suoi movimenti quando accelerare e rallentare. E così come sapevamo leggerci nel pensiero, la sua mano arrivò svelta a darmi un poco di sollievo. Si appoggiò sulla collinetta dei miei pantaloni, ma questa volta si nascose subito al di sotto, trovandomi duro e pronto. Dovetti rallentare il mio attacco quando Mina iniziò a muovere la mano. Mi accarezzò la punta con il pollice e poi ridiscese, la pelle seguiva ogni suo movimento. Le nostre lingue danzavano a ritmo, le mani scivolavano e penetravano. Ogni sensazione si fuse con l'immagine di lei nella doccia, delle sue dita che in realtà erano lingua calda e bagnata intorno a me.

Eravamo quasi al limite, mi si mozzò il respiro quando capii quanto poco mi mancava... poi sentii un rumore di passi appena fuori dalla porta, e tutto si bloccò.

Era Melania.

***

Vi avevo promesso un capitolo di fuego, ed eccovi accontentati!

Spero tanto che vi sia piaciuto, nonostante il finale in sospeso ;-)

A presto!

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P.S. Oggi condivido un video dedicato ai maturandi! Quanti di voi stanno per affrontare la maturità???

https://youtu.be/oO5somKihiQ

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