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4 - Fantasie

Zlatan parcheggiò la sua auto nell'ampio spiazzale davanti alla bellissima villa fuori Milano, dove i suoi compagni lo stavano aspettando.
Avevano organizzato una giornata tra ragazzi e in quel momento Zlatan non poteva che esserne felice, visto che proprio quella mattina lui e Megan avevano troncato la loro relazione; adesso voleva solo trascorrere un po' di tempo in buona compagnia senza pensare a nulla.
Entrando, incontrò Ignazio e Pippo nell'enorme salone che sorseggiavano del vino rosso.
‹‹Ehi››, disse loro.
‹‹Ciao Zlatan››, rispose Pippo.
‹‹Dove sono gli altri?››
‹‹Sono fuori in giardino, noi stavamo parlando di una cosa.››
‹‹Okay, allora vi lascio soli.››
‹‹No, siediti con noi. Stavamo solo organizzando la festa di compleanno di Alessia.››
Zlatan si sedette di fronte a loro. ‹‹Ah. Quando?››
‹‹La settimana prossima. Stavo giusto dicendo ad Ignazio che volevo farle una festa a sorpresa nel suo nuovo locale, in giardino.››
‹‹Mi sembra un'ottima idea.››
‹‹Ovviamente tu e Megan siete invitati!››
Zlatan si mosse sulla sedia. ‹‹Io e Megan non stiamo più insieme.››
‹‹Cosa?›› Abate e Pippo avevano parlato all'unisono.
‹‹E da quando?›› Ignazio aggrottò la fronte ‹‹L'altra sera vi ho visti insieme.››
‹‹Da oggi.››
‹‹Wow. Mi dispiace.››
‹‹Anche a me. Le voglio bene, ma non potevamo più stare insieme.››
‹‹Sempre per gli stessi motivi?››
‹‹Sì.››
‹‹Zlatan, tu lo sai, non è la prima volta che te lo dico›› intervenne Filippo ‹‹Lei è bellissima, incredibile, simpatica, ma non è adatta a te. Tu hai bisogno di una donna con le palle e lei non le ha. Mi dispiace che tu adesso stai male, è normale, l'ami. Ma sono contento che finalmente vi siate lasciati.››
Zlatan sorrise. ‹‹Grazie amico! Lo sai che amo le persone sincere. Vado a salutare gli altri.››
‹‹Arriviamo subito.››
Zlatan raggiunse gli altri amici in giardino e fece l'aperitivo con loro. Pranzarono in quella villa enorme, scherzando sui possibili trasferimenti di quell'anno e sui possibili arrivi.
Qualcuno trovò un pallone e iniziò a fare dei palleggi sul prato. Piano piano si unirono tutti gli altri e ben presto iniziarono una partitella.
In un contrasto con Ambrosini, Zlatan cadde e sbatté violentemente la testa a terra.
‹‹Cazzo›› esclamò, massaggiandosi la parte dolorante.
‹‹Merda, scusami. Ti sei fatto male?›› chiese Massimo Ambrosini, porgendogli una mano per farlo alzare.
Zlatan stava per afferrare la mano di Massimo, ma una fitta di dolore lo obbligò a stringere i denti; si portò le mani alla testa e poco dopo perse conoscenza.
‹‹Oh! Zlatan!›› i ragazzi si radunarono attorno a lui e lo schiaffeggiarono per fargli aprire gli occhi.
‹‹Chiamiamo un'ambulanza!››
‹‹Aspettate, portiamolo da mia sorella. Dovrebbe essere in clinica oggi.››
‹‹Chiamala.››
Zlatan nel frattempo aveva aperto gli occhi e si era seduto sull'erba.
‹‹Come stai?›› chiese Rino, passandogli un bicchiere d'acqua.
Zlatan se lo gettò in faccia e scosse la testa. ‹‹Bene››, si massaggiò la testa e si portò una mano davanti agli occhi per vedere se c'era del sangue. Fu sollevato nel vedere che non era nulla di grave, almeno non doveva mettersi i punti. ‹‹Che botta, ragazzi.››
Ignazio si unì al gruppetto intorno a Zlatan. ‹‹Ho chiamato Sveva, ci sta aspettando.››
‹‹Dove?››, chiese Zlatan confuso.
‹‹All'ospedale››, Pippo allungò una mano verso di lui ‹‹Dai su, alzati.››
Zlatan non aveva nessuna intenzione di andare in ospedale, ma i compagni insistettero. Si rese conto che era giusto che facesse qualche controllo. Si alzò e si diresse in ospedale con Ignazio.
Una strana inquietudine serpeggiava dentro di lui. Avrebbe rivisto Sveva e non sapeva se fosse un bene o un male.

Sveva procedette lentamente lungo il corridoio che portava alla stanza di Zlatan. Dagli esami che gli avevano fatto non era risultato nulla di negativo o di preoccupante. Solo che, considerato il fatto che aveva perso conoscenza, aveva preferito tenerlo una notte lì in osservazione. Per precauzione.
Entrò nella stanza e lo trovò seduto sul lettino mentre un'infermiera gli allacciava il camice. Sulla sedia accanto al letto c'erano il suo jeans corto e la sua maglietta blu ripiegati con cura.
‹‹Ciao››, disse lui voltandosi.
‹‹Dottoressa››, disse l'infermiera.
Sveva notò subito il modo in cui la ragazza guardava la schiena di Zlatan: incantata ed estasiata. Si avvicinò a lui.
‹‹Fa ancora male la testa?››
‹‹No.››
‹‹Bene. So che preferiresti essere a casa tua, ma si tratta solo di una notte. Se hai bisogno di qualcosa ci sono Sandra e le altre infermiere di là. Domani mattina potrai andare a casa.››
‹‹Va bene. È la terza volta che me lo ripeti.››
Sorrise. ‹‹Scusa.›› Poggiò una mano su quella di Zlatan. Un gesto che faceva spesso con i suoi pazienti, li tranquillizzava.
La lasciò andare subito, ma Zlatan le afferrò il polso e i loro sguardi si incontrarono. Sveva fu percorsa da una scarica di calore che si propagò in tutto il corpo e istintivamente si irrigidì. Zlatan la lasciò andare.
‹‹A che ora posso andarmene domani?››
‹‹Di solito io non vengo prima delle nove, ma se hai da fare posso venire prima.››
‹‹No, no. Ho un volo domani sera, e...››
L'infermiera uscì e li lasciò soli.
‹‹Sarai il primo da cui verrò, promesso.››
‹‹Sì certo, voi dottori ve la prendete sempre con comodo››, scherzò Zlatan.
Sveva rise. ‹‹Adesso riposati.››
Stava per avviarsi alla porta quando entrò un bambino con un orsacchiotto di peluche sotto il braccio. La guardò divertito e la salutò.
‹‹Ciao Sveva.››
‹‹Mattia!›› Sveva si abbassò e gli accarezzò la punta del nasino con un dito. ‹‹Che ci fai in giro? Dov'è mamma?››
‹‹Stavo giocando con Teddy››, le mostrò l'orsacchiotto e poi si accorse dell'altra presenza nella stanza. Fissò Zlatan un po' intimorito.
‹‹Ma tu sei Ibra!››
‹‹No Mattia, è solo una persona che gli somiglia›› rispose prontamente Sveva. L'ultima cosa di cui aveva bisogno Zlatan era una ressa di fotografi all'uscita dall'ospedale l'indomani mattina. Nessuno doveva sapere che era lì.
Zlatan sorrise al bambino. Lui si fece coraggio e disse: ‹‹Vuoi giocare con me?››
‹‹Dai Mattia, andiamo a cercare la mamma. Dammi la manina.››
‹‹Non posso stare con Ibra?››
‹‹No, lui deve riposare...››
‹‹Sveva, è tutto a posto, può rimanere.››
Sveva si voltò verso di lui. ‹‹Sicuro?››
‹‹Sì. Allora, come ti chiami piccoletto?›› chiese al bimbo andando verso di lui. Si fermò a pochi passi da loro e si abbassò.
‹‹Mattia›› rispose il piccolo, felicissimo.
‹‹Okay, allora vi lascio. Mando la madre a riprenderlo. Mattia fa' il bravo e non andare in giro per l'ospedale.›› Il bimbo annuì. ‹‹Buonanotte.››
‹‹Buonanotte Sveva.››

Zlatan rimase in compagnia di Mattia per un po', poi cercò di dormire.
Quella notte fantasticò sulla sexy dottoressa, immaginando però che fosse lui a prendersi cura di lei. In maniera molto molto accurata.

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