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22. A lume di candela

Sveva entrò in camera e si lasciò cadere sul letto. Una tristezza infinita la pervase.
Ma che cosa sto facendo?, si chiese, sto uscendo con Zlatan solo per dimenticare Logan?
Ma la risposta le arrivò alla mente forte e chiara, e se ne stupì. No. Lei si era sentita attratta da Zlatan ancora prima che Logan tornasse. Da quella sera al party di inaugurazione del Garden Flower, nel momento in cui gli aveva stretto la mano e si erano guardati negli occhi. E poi, la volta successiva, quando era rimasta a guardarlo a lungo mentre discuteva con la sua ex fidanzata e avevano stabilito una specie di tregua tra loro... Sorrise da sola, rivolta al soffitto bianco che stava contemplando. Che figuraccia che aveva fatto con lui quando gli aveva dato del cafone. In realtà era un gran bravo ragazzo, educato e gentile, e aveva un cuore buono.
E alla clinica. Sveva non poteva dimenticare come l'aveva guardata quella mattina mentre lei lo visitava. L'aveva fatta sentire... viva. Era stato lì che aveva iniziato a sentire quel calore nello stomaco quando erano vicini. Ma poi era arrivato Logan e aveva scombussolato tutto. Fino a quando, quella mattina a casa sua, non erano stati sul punto di baciarsi.
Quindi no, non era andata a letto con Zlatan solo per dimenticare Logan. Però, forse, era il caso di rimanere con i piedi per terra e non farsi coinvolgere troppo dalla situazione.
Alcuni colpi sulla porta la distrassero dalle sue riflessioni e si alzò per aprire.
«Chi è?»
«Sono io, Zlatan.»
Oh, eccolo qui. Eccitazione e ansia si mescolarono in lei. Aprì la porta e se lo trovò davanti, tutto sorridente. I capelli erano ancora umidi e gli ricadevano sulle spalle coperte da una camicia color antracite e un jeans scolorito.
«Sei ancora così?»
Sveva si passò una mano tra i capelli intrecciati e pieni di sale. «Sì, stavo giusto andando a prepararmi.»
«Non mi fai entrare?»
Lei ci pensò un attimo, poi si spostò e lo fece passare. Chiuse la porta e si girò a guardarlo. Si ritrovò stretta fra le sue braccia, avvolta nel profumo di bagnoschiuma e shampoo mischiati all'odore unico della sua pelle che la mandava fuori di testa. Zlatan le sorrise appena e poggiò le labbra sulle sue. Un bacio delicato.
«Mhm» un altro bacio, e un altro ancora. «Mi sei mancata tanto, oggi.»
«Anche tu.»
Ed era vero, aveva pensato alle sue labbra in continuazione. Ma era ancora scombussolata da quello che era successo poco prima e Zlatan notò la sua espressione poco convinta. La lasciò andare.
«Ehi, che hai?»
«Niente...»
«Che ti ha detto Mark?»
Sveva distolse lo sguardo. «Niente. Lui... niente di importante.»
«Okay. Bè, sono venuto per invitarti a cena fuori...»
«A cena fuori?»
«Sì. Sai, volevo stare un po' da solo con te.»
«Oh...»
Zlatan prese un bel respiro. «Sveva, si può sapere che hai? Poco fa mi hai chiesto di venire in camera tua per fare la doccia insieme e adesso sembra che la mia presenza ti dia fastidio. Che ti prende?»
Sveva si allontanò da lui e camminò per la stanza. Zlatan aveva perfettamente ragione e lei era una stupida. Che cazzo! Erano tutte paranoie inutili, lei voleva stare con Zlatan tanto quanto lui voleva stare con lei. E questa era l'unica cosa che contava. L'unica. Si voltò di nuovo verso lui, che era rimasto immobile a fissarla.
«Non so cosa mi è preso, Zlatan. Ho avuto un... un... non so. Paura, forse.»
«Paura di cosa? Di me?»
Lei sospirò e si sedette sul letto. «Ah, che stupida che sono» disse sottovoce, mentre si passava le mani sul volto. Zlatan si sedette accanto a lei.
«Che ti ha detto Mark, Sveva? Lo so che c'entra lui. Ti ha baciata di nuovo?»
Sveva gli sorrise. «No, non mi ha baciata. E... Zlatan, gli ho detto di noi due.»
«In che senso?»
«Gli ho detto che ci stiamo frequentando.»
Zlatan sorrise. «Oh. Bene. Però non capisco una cosa, perché hai detto di aver avuto paura?»
«Lascia stare. Allora, dove mi porti a cena?»
«In un posto molto romantico...»
Sveva alzò le sopracciglia e sorrise. «Un posto romantico?»
Zlatan la tirò per un braccio e le diede un bacio. «Dai, sbrigati. Se il tuo invito è ancora valido potrei aiutarti a fare la doccia...»
La sua voce si era abbassata di qualche tono e Sveva ebbe un fremito. Emise un piccolo lamento e lo baciò.
«No. Sei già vestito...»
«Uhm. Mi spoglio subito.»
«Zlatan, ci metto dieci minuti.»
«Posso restare?»
«No! Aspettami in giardino.»
Zlatan si alzò, la fece alzare e la spinse in bagno. «Sbrigati. Sono impaziente.»
Sveva fece qualche smorfia, ma si chiuse in bagno e aprì l'acqua della doccia.

Zlatan rimase nella camera di Sveva.
Non capiva perché lei avesse detto di avere avuto paura. Era più che sicuro che fosse colpa di Mark, voleva sapere cosa si erano detti. Le aveva fatto delle avances, altrimenti Sveva non gli avrebbe mai detto che stava frequentando lui. Aveva una gran voglia di parlargli a quattrocchi, capire che diavolo gli passava per la testa. Adesso comunque non voleva farsi impensierire, voleva godersi la serata con Sveva, e magari anche la nottata.
Bussarono alla porta e Zlatan andò ad aprire. Se fosse stato Mark...
«Zlatan!»
«Ehi.»
«Che testa, ho sbagliato stanza. Stavo cercando mia sorella...»
«È in bagno.»
«Chi?»
«Tua sorella.»
«Ah. E tu che ci fai qui?»
«La sto aspettando, dobbiamo andare a cena fuori.»
«Quindi non venite con noi?»
«No.»
«Okay. E... okay, ci vediamo dopo allora...»
«Non credo.»
«Come?» chiese Ignazio stralunato. Non era mai stato geloso di sua sorella, Sveva era più grande di lui ed era sempre stata fidanzata, ma questa situazione lo imbarazzava un pochino. Zlatan era un suo grande amico e lei sua sorella, immaginarli insieme era... stranissimo.
Zlatan finse un'aria innocente. «Che c'è? Ho solo voglia di stare da solo con lei. Dopo cena magari la porto a fare una passeggiata in spiaggia.»
Ignazio scosse la testa ridendo. «Sicuro. Divertitevi allora.»
«Lo faremo» Zlatan strizzò l'occhio all'amico e risero insieme.
Chiuse la porta proprio nell'istante in cui Sveva usciva dal bagno con una minuscola asciugamano intorno al corpo. Rimase immobile a fissarla, il corpo teso già smaniava per lei. La cena avrebbe aspettato, adesso aveva un altro tipo di fame.

Sveva guardò Zlatan in piedi vicino alla porta e sorrise. Si portò le mani sui fianchi e fece finta di essere arrabbiata.
«Ma non ti avevo detto di aspettarmi in giardino?»
«No, non mi risulta.»
Intanto stava avanzando lentamente. Lei si passò la lingua sulle labbra, improvvisamente a corto di saliva.
«Bugiardo.»
«Tentatrice.»
«Se fossi rimasto fuori non ti avrei tentato...»
«Allora ho fatto bene a restare.»
Era ad un soffio dalle sue labbra, ma questa volta non aspettò che fosse lui a baciarla, si alzò sulle punte dei piedi e con deliberata lentezza gli accarezzò le labbra con la lingua, le mani stavano già sbottonando la camicia. Zlatan le prese la nuca e la baciò a fondo, prima lentamente, poi voracemente. Le lingue si intrecciavano, danzavano, e i respiri si perdevano nelle loro bocche. Zlatan fece sciovolare via l'asciugamano dal corpo di Sveva e le accarezzò la schiena, il collo, il seno. Lo strizzò nel palmo, scese verso la rotondità delle sue natiche. Lei sospirò.
«Spogliati» gli sussurrò, allontanandosi da lui per mettersi comoda sul letto e godersi lo spettacolo.
Si morse le labbra mentre Zlatan davanti a lei si toglieva la camicia e scopriva quell'addome perfetto e leggermente arrossato dal sole. Seguì le sue mani che sbottonavano i jeans e li abbassavano, rilevando il pene turgido e invitante ancora nascosto sotto i boxer. Riportò lo sguardo sul volto di Zlatan e scoprì che lui la stava osservando, un lieve sorriso gli increspava le labbra e il desiderio nei suoi occhi la lasciò senza fiato. Si liberò velocemente dell'ultimo pezzetto di stoffa che lo copriva e salì sul letto con un movimento felino. Sveva gemette quando Zlatan le allargò le gambe e si posizionò in mezzo. Si chinò sul suo collo e lo leccò, le stuzzicò l'orecchio e il punto sensibile dietro il lobo. Lei gli morse la spalla e gli graffiò la schiena.
Pochi istanti dopo furono una cosa sola, persi nella loro passione. Ansiti e gemiti, e morsi e graffi, spinte decise e altre più lente. Si baciarono a lungo al culmine del piacere, i cuori battevano all'unisono e i respiri si mescolavano.
Rimasero abbracciati in silenzio per un po', godendosi il calore dei propri corpi vicini e le loro carezze reciproche.
«Hai fame?» chiese all'improvviso Zlatan.
«Un po'» rispose lei.
«Vuoi ancora andare al ristorante? O preferisci rimanere qui?»
Sveva si scostò per guardarlo. Gli sorrise e gli poggiò un piccolo bacio sulle labbra. «Rimaniamo qui. Ceniamo sul terrazzino.»
Lui le scostò una ciocca di capelli dal volto. «Okay.»
Allungò una mano verso il telefono e digitò il codice per la reception. «Salve, vorremmo ordinare la cena. Ah, ah. Sì, a base di pesce: un antipasto e un secondo. Anche il dolce, sì. Ah, e anche una candela. Grazie»
Abbassò la cornetta e tornò a concentrarsi su Sveva. La sbaciucchiò e poggiò la testa sul suo petto, facendosi accarezzare i capelli mentre le baciava la pancia.
«A cosa ti serve una candela?» chiese scioccamente Sveva.
«Ti avevo promesso una cenetta romantica... la candela serve per creare l'atmosfera» rispose lui sorridendo.
«Pensavo volessi fare qualche giochetto perverso.»
Zlatan si bloccò con la bocca sul suo ombelico. «Tentatrice» mormorò sulla sua pelle, alzò la testa per guardarla. «Dopo, magari...»
«Dopo...?» chiese lei con aria divertita.
«Ti farò urlare per tutta la notte. È una promessa.»
Abbassò di nuovo la testa sulla sua pancia e cominciò a scendere, lasciando la scia umida della sua saliva mentre la leccava fino ad arrivare tra le sue gambe.
Glielo aveva promesso e mantenne la sua promessa. Trascorsero l'intera notte ad amarsi, concedendosi solo la pausa per la cena a lume di candela sul terrazzino.

Quella notte, però, Zlatan non andò via. Si addormentò accanto a lei, con il volto affondato nei suoi capelli e un braccio a cingerle la vita.

E tenerla stretta sul suo cuore.

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